di FRANCO CIMINO – Oggi la Giornata della Memoria. Ricorre ogni anno, puntuale il 27 gennaio, giorno in cui intorno a mezzogiorno del 27 gennaio 1945 quattro giovani soldati dell’Armata Rossa, giunsero per primi ai cancelli di Auschwitz. Soliti rituali, in questo giorno, solite dichiarazioni, solite carrellate di immagini televisive, che dovremmo avere tutti impresse nella memoria. Immagini dure, che procurano in chiunque sconcerto e dolore.
Un po’ d’altro nelle scuole, dove se ne parla ancora molto poco e l’attenzione si accende particolarmente quando in alcuni istituti si organizzano incontri con qualcuno dei pochissimi, ormai, scampati ai campi di concentramento. Li chiamiamo i sopravvissuti. Quelle poche migliaia di esseri scheletriti, che i nazisti non fecero in tempo a distruggere nei forni crematori per la fuga accelerata dei carcerieri-torturatori vigliacchi all’arrivo dei liberatori russi e americani. Quegli scheletri che ridivennero persone perché potessero raccontare.Tutto quell’orrore che si presenta annualmente alla nostra memoria non è un film di fantasia.
È realtà. Tutto è accaduto veramente. E non in un tempo lontano che, con distacco, ce lo faccia osservare come un fatto storico, rispetto al quale ogni giudizio trova lunghi spazi di distensione, se non addirittura di sospensione. Questa barbarie inconcepibile si è verificata meno di novant’anni fa, cioè ieri. Erano gli anni dei nostri padri. E per le nuove generazioni, quelli dei nonni e dei bisnonni. Sono ancora i loro occhi e la loro voce a testimoniarlo direttamente. Nulla di nuovo, quindi, se non l’attesa bramosa di vedere il comportamento sull’evento dei nuovi governanti italiani, provenienti quasi tutti da quella destra ideologica e storica che ha avuto molto a che fare con il fascismo razzista, dittatoriale, assassino. Ma anche qui, la retorica e il senso dell’opportunismo nella rigidezza del ruolo istituzionale, non può che offrire le risposte più comuni.
La solita condanna, e netta, con qualche passaggio verbale ambiguo di qualche vecchio ex missino che pensa di essere il più furbo di tutti, dicendo e non dicendo, condannando e non condannando, magari ritenendo quella famosa legge razziale del trentotto l’unico errore di Mussolini. “Ovvero, sì ci sono state quelle cose là, ma nulla al confronto con i gulag dell’impero comunista sovietico. “ E cose del genere. Nulla di nuovo. Ancora nessuno scandalo, nel senso etimologico della parola. E, allora, questa giornata si ripeterà con lo stesso rituale fino a diventare “un solo rigo sui libri di storia”, come ci ha ammonito Liliana Segre, se oggi, almeno oggi, non si trasformerà in domanda acuta.
Una domanda dalla quale ne potranno nascere altre. Questa «che cosa ci insegna quell’orrore? L’uomo cosa ha imparato da quella immane tragedia? Cos’è il razzismo fuori dal dizionario?». Le risposte sono ben note, anche se le dimentichiamo un attimo dopo averle ottenute. L’uomo non ha imparato nulla da quei campi di sterminio, in cui si è consumato uno dei tanti genocidi della storia. E il razzismo è una costante antropo-ideologica del suo cammino avanti e indietro alla storia dell’umanità. Tutto si ripete in forme apparentemente nuove. Ciò che le mette in movimento senza soluzione di continuità, è quella energia demoniaca, che non è sentimento, che dà nomi diversi allo stesso male, l’odio dell’uomo verso l’altro uomo. Il male, questo, che nasce dall’egoismo con il quale l’individuo non solo vuole prendere le cose e le ricchezze e gli spazi della natura, che è di tutti, come la terra unica che abitiamo, ma vuole impadronirsi dell’uomo stesso, nel suo essere persona, famiglia, comunità, popolo e nazione e territorio. Anima e coscienza civile.
Nel suo essere ansia di pace. Desiderio di Dio. Volontà di giustizia ed eguaglianza. La guerra è l’invenzione più efficace per imporre l’egoismo. L’odio, l’energia fondamentale per poterlo esercitare senza remora alcuna. Il razzismo è figlio della guerra e viceversa. Ambedue sono generati dall’egoismo. Ma cos’è davvero il razzismo se non la ricorrente e diffusa affermazione della superiorità non solo di una razza su un’altra? Certamente questo, ma dal dopoguerra ad oggi e assai di più. È la negazione del valore della diversità e, nel contempo, la pretesa superiorità del proprio popolo su un altro, della propria nazione su un’altra. Le guerre sono fatte apposta per imporre questo follia come principio, questa stupidità come diritto. La guerra come giustificazione a tutto e legittimazione dell’orrore. Come lo sterminio degli ebrei fu generato dalla guerra, le guerre in atto, non solo quella più “celebrata” in Ucraina, ma anche le diverse guerre sparse a macchia di leopardo su tutto il pianeta, in particolare quelle dimenticate in Siria e nello Yemen, sono partorite dall’odio.
Lo stesso che abbiamo visto all’opera nella storia. L’odio contro il diverso, contro il nemico inventato, contro il presunto occupatore di terre che vogliamo essere le nostre e che siano nostre. L’odio contro quell’uomo, quella cultura, quella religione, quello stesso Dio di altri, per il solo fatto che vi siano. Che esistano. Che vogliano vivere. E liberi. E in sicurezza. Nel proprio territorio, che fu dei loro padri. Questo è il nuovo razzismo, che incontriamo quotidianamente anche nei piccoli e non visti assalti quotidiani. Nei bagni delle scuole, contro i diversi e i fragili. Nelle strade delle nostre Città, specialmente in quegli angoli lasciati al buio dall’indifferenza della politica. Il nuovo razzismo è quella cultura dominante, imposta in modo soft da chi detiene il possesso dei nuovi strumenti del potere( quelli della comunicazione e della tecnologia più avanzata unite al potere finanziario) che trattiene per sé il novanta per cento delle ricchezze lasciando il restante dieci nell’arena della stragrande maggioranza dei poveri, che si odiano tra loro o semplicemente non si incontrano, invece di sollevarsi tutti insieme contro i nuovi padroni.
Questa nuova, non vista, guerra ha un nome soltanto: povertà. Il nuovo razzismo è la povertà. Se vogliamo, pertanto, celebrare seriamente e onestamente questa giornata, come tutte le altre del calendario internazionale, come quelle sull’Amicizia, sui baci, sugli abbracci, e le tante altre similari, dobbiamo abbattere tutte le forme di egoismo dentro di noi e combattere quelle bellicosi e belligeranti degli altri. Dobbiamo farci carico della Vita, dell’Uomo e della Natura. Dobbiamo ripudiare la guerra, in ogni sua forma. Specialmente, quella condotta da pochi umani contro l’umanità intera attraverso l’arma più micidiale, la fame. Ché nella lotta contro la povertà, ci sono tutte le più nobili ragioni: la lotta contro le povertà, le discriminazioni, l’ingiustizia, le diseguaglianze, l’intolleranza, il totalitarismo liberticida. Ché Libertà, senza aggettivazione, alcuna, fondamento della Pace, è il premio della vittoria auspicata. (fc)