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L'OPINIONE / Nino Foti: Le criticità e le opportunità di sviluppo per il Mezzogiorno

L’OPINIONE / Nino Foti: Le criticità e le opportunità di sviluppo per il Mezzogiorno

di NINO FOTI – L’appuntamento di oggi mette al centro del dibattito politico il concetto di Mezzogiorno come punto di forza per la rinascita del nostro Paese e lo fa focalizzando l’attenzione sull’importanza di investire sul capitale umano, quello che c’è già, e soprattutto quello che va potenziato, fatto esplodere e diventare fondamenta di sviluppo etico, sociale ed economico.

È bene evidenziare tuttavia, quali sono le criticità che al momento limitano lo sviluppo del Mezzogiorno e concentrarsi sulle opportunità. Nel nostro Sud peggiorano le condizioni di vita delle famiglie e diminuiscono le opportunità di crescita delle imprese. Esiste inoltre un importante problema di natura sociale. Una parte rilevante della popolazione si sente intrappolata da una struttura sociale e da una cultura politica che rende difficile la cooperazione e la solidarietà tra cittadini. Tuttavia, mai come in questo periodo storico abbiamo di fronte una possibilità di cambiamento importantissima, forse l’ultima.

In soli 8 anni ci saranno a disposizione oltre 150 miliardi di euro considerato che ci troviamo nella fase di passaggio tra due cicli di programmazione della politica di coesione. Per il completamento del ciclo 2014/2020 dovranno essere spesi entro il 2023, oltre 30 miliardi di euro ai quali si aggiungono i fondi della programmazione 2021/2027 che assegnano al Mezzogiorno 55 miliardi di euro, da utilizzare entro il 2030. Ulteriori risorse saranno poi disponibili, come sappiamo, con il Pnrr da spendere entro il 2026 -circa 86 miliardi-, pari al 40,8% dei 211,1 miliardi complessivi del Pnrr.

Ma come investire tutte queste risorse? Sicuramente, continua Foti, partendo dalle infrastrutture, con due opere chiave come l’Alta Velocità e il Ponte sullo Stretto. Nel primo caso bisogna fare attenzione alle soluzioni da mettere in campo. Al momento ad esempio esiste una proposta del Ministero dei Trasporti che presenta diversi aspetti poco chiari. Innanzitutto è prevista la costruzione di un nuovo tracciato più lungo (445 Km) rispetto a quello attuale (393 Km) che andrebbe ad attraversare, senza un apparente valido motivo, le zone più impervie della Calabria tagliando i Parchi Nazionali del Pollino e della Sila e che, nonostante costi 22,8 milioni di euro, collegherebbe Roma e Reggio Calabria in 4 ore, non riducendo quindi in modo drastico i tempi di percorrenza. Un’opera che, per via della maggiore lunghezza del tracciato costerebbe oltre 2,5 miliardi in più rispetto ad un altro progetto esistente, già proposto in un documento condiviso da Professori ordinari di Strade, Ferrovie, Aeroporti e Trasporti di tutte le università Calabresi e Siciliane che, consentirebbe invece di collegare Roma e Reggio Calabria in 3 ore.

Sul Ponte sullo Stretto invece, basterebbe riprendere il progetto esecutivo già approvato che consentirebbe, con un dovuto aggiornamento tecnologico e finanziario, di iniziare subito a costruire. L’importante è fare tesori degli errori del passato. Ricordo, ad esempio, che la chiusura della società concessionaria Stretto di Messina spa, ad opera del Governo Monti nel 2012, ha obbligato lo Stato italiano al pagamento di penali per oltre 700 milioni di euro – per le quali ad oggi sono ancora aperti dei contenziosi – ai quali vanno aggiunti i soldi spesi per le opere propedeutiche, circa 300 milioni e i costi per la smobilitazione dei cantieri e il ripristino dei terreni già predisposti per l’opera pari a circa 150 milioni di euro. In sintesi, invece di spendere 1 miliardo 300 milioni per realizzare il ponte sono stati spesi circa 1 miliardo e 150 milioni per non farlo.

Oltre a questi aspetti, abbiamo elaborato, con il Dipartimento per il Mezzogiorno di Noi con l’Italia, 5 idee per la ripartenza del Sud: fare sistema nelle vie del mare con un hub unico per i 4 porti transhipment del Mezzogiorno, investire sull’orientamento per migliorare l’accesso delle donne al mercato del lavoro, investire sulla formazione dei giovani per abbattere il digital divide culturale, istituire una Commissione Parlamentare per la sburocratizzazione, rimettere la persona al centro dello sviluppo investendo sulle periferie, sul contrasto alla povertà educativa e sui servizi alla persona.

Per concretizzare queste idee inoltre, impostando una programmazione concreta ed articolata, sarebbe opportuno che l’Italia si dotasse di un Ministero per il Futuro, sulla falsa riga di quello già attivo in Svezia. (nf)