LE CONSIDERAZIONI DEL PROF. PIETRO MASSIMO BUSETTA SULLA SITUAZIONE E LE SCELTE OPERATE;
MEDITERRANEO, L'ITALIA PUÒ COMPETERE MA DEVE INVESTIRE SUI PORTI DEL SUD

MEDITERRANEO, L’ITALIA PUÒ COMPETERE
MA DOVRÀ INVESTIRE SUI PORTI DEL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Una volta si chiamava Mare nostrum. Ed era un mare di civiltà sul quale si sono affacciati grandi Paesi e tutte le religioni monoteiste. I nostri progenitori lo percorrevano in lungo e in largo tanto che più che un mare era un lago che univa popoli .

In tale mare l’Italia è centrale fisicamente ma purtroppo si sta facendo sfuggire i traffici internazionali. Prima con la scoperta dell’America i porti atlantici sono diventati quelli fondamentali per i traffici con il nuovo mondo, poi con l’apertura del canale di Suez non si è riusciti a far diventare i porti mediterranei centrali perché quelli atlantici, malgrado la loro lontananza fisica sono riusciti a prevalere per la loro efficienza e la capacità di collegarsi via terra al centro dell’Europa  con collegamenti ferroviari, autostradali e aerei. 

Quindi la centralità dell’Italia è rimasta solo fisica, considerato che il Sud che doveva essere il luogo di attracco per le navi provenienti da Suez in realtà è rimasta un’area isolata. Il porto di Augusta, frontaliero a Suez, peraltro non utilizzabile anche per le scorie esistenti nei suoi fondali é rimasto non collegato con una linea ferroviaria veloce.  Ma che anche se fosse esistita avrebbe trovato nell’attraversamento dello Stretto di Messina un blocco difficilmente superabile, visto che il collegamento veniva fatto con i Ferry Boat. 

Ma anche Gioia Tauro, che non aveva il problema della strozzatura dello stretto di Messina, non è stata collegata adeguatamente con la linea ferroviaria al Centro Europa, per cui le maxi navi porta containers avevano più convenienza a percorrere tutto il Mediterraneo, attraversare il canale di Suez, costeggiare la Spagna, il Portogallo, la Francia, attraversare il canale della Manica ed arrivare poi ai porti dell’Europa del Mare del Nord, dai quali le merci, dopo essere state lavorate creando migliaia di posti di lavoro nei retroporti relativi, potevano essere trasportati nel centro Europa. 

In realtà l’Italia ha sempre puntato ai due grandi porti dell’ascella del paese, Genova e Trieste, che non sono mai riusciti a competere adeguatamente con Rotterdam, Amburgo e Anversa. Con investimenti importanti fatti in essi, forse meno giustificati di quelli non effettuati nei grandi porti meridionali che caratterizzano tutto lo stivale, da Napoli a Salerno, a Gioia Tauro a Messina, Taranto, Bari e poi di tutti quelli della Sicilia che da Palermo, Trapani, Marsala, Mazara del Vallo, Porto Empedocle, Gela arrivano fino a Siracusa, Augusta e Catania. 

Con la chiusura degli approvvigionamenti energetici dalla Federazione Russa, l’esigenza di guardare verso sud è diventata prioritaria e con essa la favola del Mezzogiorno Batteria del Paese. Cioè si è cominciato a capire che essendo a pochi chilometri di distanza dalla costa africana la Sicilia poteva diventare un territorio fondamentale di attracco per i vari oleodotti, elettrodotti, metanodotti che, partendo dal Nord Africa, ricca di energia fossile, sarebbe potuta diventare un punto di passaggio importante per portare l’energia alle aree produttive del Nord e magari anche al centro Europa. 

Tale approccio insieme alla favola di una seconda industrializzazione, dopo quella mancata degli impianti petrolchimici, è diventato fondamentale per illudere i meridionali che tali impianti avrebbero portato anche posti di lavoro. 

L’altro elemento che è diventato fondamentale è stato quello relativo agli impianti eolici e solari, che necessari portano però uno stravolgimento dello skyline delle realtà interessate e un consumo di suolo agricolo, per quanto attiene agli impianti solari, estremamente elevato. 

Tanto che recentemente si è pensato di permettere la costruzione di tali impianti soltanto offshore, cosa che è estremamente più costosa di quanto non si realizzano sul territorio. 

Il recente progetto che dovrebbe realizzarsi con il piano Mattei in realtà poco può fare se diventa una realizzazione che riguarda solo l’Italia. Con tutta la buona volontà che il nostro Paese può metterci è chiaro che se parliamo di accordi di cooperazione che aiutino l’Africa ad uscire dalla condizione di sottosviluppo in cui si trova, per evitare i flussi drammatici di emigrazione, che ci riguardano, ci preoccupano e rischiano di far saltare gli equilibri socioeconomici di tanti paesi dell’Unione Europea, dobbiamo guardare a dimensioni finanziarie di aiuti che certamente il nostro Paese da solo non può consentisi. 

Il rischio che lo scambio con l’Africa continui ad essere quello predatorio, che prevede l’acquisto di energia in cambio di risorse, che spesso si perdono a favore della nomenclatura di paesi ancora che non hanno ancora raggiunto o consolidato processi democratici evoluti e che non contribuiscono ad innescare quel processo di sviluppo necessario per creare un percorso autonomo di autosufficienza, è alto.

In tale contesto l’interesse della Cina per quest’area, conseguenza degli interesse per tutto il continente africano, rischia di consentire l’esproprio di un’area che naturalmente dovrebbe far parte di una zona teorica di influenza riguardante l’Italia. 

Mentre anche la Russia manifesta l’esigenza di affacciarsi sul Mediterraneo, per cui si capiscono  i grandi interessi di conquistare il Donetsk ucraino in modo che tramite Odessa, Mariupol, che si affacciano sul Mar Nero, arrivare al grande lago salato che si chiama Mediterraneo. 

In tale contesto geopolitico l’Europa sembra totalmente assente e sta guardare i conflitti che stanno avvenendo sulle coste del grande lago salato, come se non la riguardassero, mentre invece nascono da interessi ben precisi contrapposti di influenza in tali aeree. 

Se le politiche che il Paese vuole portare avanti riguardano lo spopolamento del Mezzogiorno, fornendo anche aiuti a chi si voglia trasferire, non investendo adeguatamente in tale realtà attraendo investimenti dall’esterno dell’area, infrastrutturando adeguatamente tale territorio, lavorando fin da adesso per mettere a regime i porti del Mediterraneo e della Sicilia orientale in maniera tale che all’apertura del ponte sullo stretto del 2032 siano già pronti, perché competere con Rotterdam non è un gioco da bambini, se tutto questo non si fa quando ci sveglieremo dal lungo sonno troveremo i giochi già tutti fatti e non potremmo che essere spettatori in casa nostra. 

Per guardare al Mediterraneo non basta solo affermarlo a parole o sostenere soluzioni parziali come quella di diventare il centro di formazione per i paesi arabi, o altre correte visioni ma parziali, ma è necessario un approccio sistemico, che guardi a tutte le variabili economiche e geopolitiche. Prima ce ne rendiamo conto e più facile sarà avere un ruolo. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]