IN CALABRIA LA CULTURA È IN SVENDITA
E I MUSEI SONO “ORFANI” DI ATTENZIONI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – «La Calabria potrebbe vivere solo di turismo, ma perché i musei sono ridotti così?». È quanto si sono chiesti diversi turisti milanesi in vacanza in Calabria.

È una domanda più che lecita, che porta a domandarsi il motivo per cui ci sia così tanta trascuratezza nei confronti dei luoghi di cultura che, invece di essere valorizzati e promossi, spesso rimangono all’angolo e lasciati in balìa di se stessi.

È inutile dire che chi viene in Calabria se ne innamora e lascia un pezzo di cuore qui, con la voglia di ritornare appena possibile,  ma, accanto alle cose belle, ci sono anche quelle che hanno lasciato l’amaro in bocca. I musei in Calabria dell’arco jonico reggino, per esempio. Che, pur essendo di grande suggestione e richiamo, rivelano la grande trascuratezza in cui sono abbandonati, con poca valorizzazione dei propri tesori e scarsa considerazione per il visitatore.

La cultura in Calabria sembra essere in svendita, senza valore. E questo fa male. Fa male perché vedere quei tesori ritrovati, frutto di anni di lavoro e di ricerca trattati come se fossero pezzi di poco conto non è giusto. Non è giusto trovare i Musei della Città Metropolitana di Reggio Calabria in condizioni di trascuratezza, non è giusto che i musei debbano arrancare da soli perché la Regione o il Governo si dimenticano della loro esistenza – o non vogliono investirci. 

Non è giusto – né rispettoso – che l’ingresso al museo di Locri o di Monasterace si debba pagare solo quattro euro, quando la visita al Castel Sant’Angelo di Roma costa 15 euro, senza visita guidata. Perché la cultura in Calabria deve essere svenduta e sminuita? Certo, pagare poco una entrata al Museo fa sempre piacere – considerando spesso i costi un po’ alti – ma non si pensa che, magari, quei soldi possono aiutare il museo?

Da qui, è emersa la consapevolezza – amara – che in Calabria ci sono musei di serie A e di Serie B. E, purtroppo, a parte quello di Reggio, gli altri sembrano essere di serie B.

Il MArRC, per esempio, è un museo di serie A. È innegabile la bellezza dei tesori che il Museo custodisce – d’altronde, è la casa dei Bronzi di Riace – e il percorso che offre ai suoi visitatori è un viaggio magico alla scoperta di un’era che non c’è più raccontata dai reperti che sono stati trovati. Ad arricchire il tutto, le innumerevoli mostre che rendono l’esperienza ancora più magica, ancora più ricca, grazie all’encomiabile impegno del suo direttore, Carmelo Malacrino, che cerca di portare al MArRC mostre di alto profilo, spesso da lui curate e che si rivelano sempre di grande successo.

Ma, se il MArRC è un “sogno jonico”, basta salire un po’ più in alto per scoprire che sì, ci sono altri musei, ma non sono curati come lo è quello di Reggio.

Basta vedere in che condizioni in cui versa il Museo e Parco Archeologico dell’Antica Kaulon, a Monasterace. Il Museo è in ristrutturazione – in piena stagione estiva, e già questo fa storcere il naso – e, quindi, all’interno del museo si può solo vedere una stanza. Quattro teche, nulla di più.

Non è messo meglio il Parco Archeologico, dove 10 anni fa fu ritrovato il Mosaico del Drago, che è stato definito «il più grande mosaico di epoca ellenistica rinvenuto al Sud», oltre che il più antico della Calabria, in quanto risale al IV secolo.

Una scoperta importantissima, tant’è che il Fai, addirittura, avviò un progetto per la sua ricollocazione in situ, in quanto il mosaico era stato esposto al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria.

Quella del mosaico, tuttavia, è una storia di breve celebrità: se ne  sono dimenticati tutti – tranne RaiNews che ha dedicato un servizio per appunto i 10 anni dal ritrovamento. Eppure, lo stesso Comune di Monasterace, ai tempi del suo ritrovamento, scriveva che «per le sue caratteristiche, il il mosaico può assurgere a simbolo dell’intera fascia territoriale della Locride archeologica e il progetto per il recupero e la ricollocazione nel suo contesto originario essere l’emblema della valorizzazione delle risorse culturali e ambientali del territorio».

Non è stato da meno nemmeno il Ministero della Cultura che, candidamente, ha deciso di dedicare un post su Facebook al mosaico, ma non per la ricorrenza, bensì perché rientra tra gli “animali e luoghi fantastici”, un viaggio promosso dal Mic in collaborazione con Finestre sull’Arte.

Ma non è solo il mosaico a essere “orfano” di attenzioni: anche il Parco, purtroppo, si presenta in uno stato di totale abbandono, con pochi pannelli informativi e pochi recinti a “salvaguardare” e proteggere i preziosi reperti.

Recinzioni che mancano anche sul delimitare nella spiaggia, permettendo, così, ai cittadini o turisti, di entrare tranquillamente nel Parco Archeologico per scendere a mare.

Un fatto, che mette a rischio il sito e che lo espone a possibili danneggiamenti, che si possono facilmente provocare data la totale assenza di controlli. D’altronde, se nei mesi scorsi il direttore Malacrino denunciava la mancanza di personale al suo MArRC, è forse troppo pretendere la presenza di personale che vigili su dei reperti così preziosi. 

Un discorso che si ripete, purtroppo, anche al Parco Archeologico di Locri, che è completamente abbandonato. Invece di un Parco, sembra di trovarsi nella terra di nessuno, dove i pannelli informativi sono completamente sbiaditi dal sole, lasciando i poveri turisti in balìa di se stessi e di un parco dove c’è il rischio di perdersi.

Infatti, in biglietteria, c’è un foglio con su scritto di chiamare due numeri se ci fossero problemi all’interno del Parco, perché non c’è personale, al suo interno.

Ed è un peccato perché, insieme ai vari reperti, c’è il Casino Macrì che, come c’è scritto in uno dei pannelli informativi al suo interno, è «il cuore della città antica», dove si sovrappongono e intrecciano edifici e testimonianze che documentano 2700 anni di storia, dalla fondazione di Locri Epizefiri fino ai giorni nostri».

Una struttura fondamentale, peccato che nel librone che si trova appena entrati nel Museo – perché è stato adibito a Museo – si legge spesso una frase lasciata dai turisti: «ripristinare la cartellonistica che non è più leggibile».

Quello di Locri e Monasterace sono solo due esempi di come due siti importanti della Provincia reggina siano svalutati in modo inverosimile e senza motivo, dimostrando come l’amministrazione pubblica di Enti così importanti non è sufficiente, se il risultato è questo.  Allora ecco una provocazione: Perché non privatizzarli? Un esempio di come il privato riesca a dare il giusto valore al Museo è il Musaba di Nik Spatari. L’ingresso costa 10 euro, ma l’esperienza espositiva è qualcosa di unico.

Al di là dell’arte e di ciò che ha creato il compianto Nik Spatari, la differenza tra un Museo gestito pubblicamente e privatamente è innegabile. E, allora, senza dover aspettare miracoli o nuovi finanziamenti dal Ministero della Cultura, perché non diamo in mano ai privati questi Musei reggini che sono in stato di abbandono? Sarà una proposta che potrebbe far storcere il naso, ma penso che lo faccia storcere ancora di più vedere i luoghi della cultura ridotti così. E, se Regione, Governo o chicchessia, non faranno nulla a riguardo, allora è vero che in Calabria la cultura è in svendita e che esistono musei di serie A e B.

Gli esempi di Locri e Monasterace sono i più evidenti, ma basta salire un po’ sopra Monasterace e arrivare a Roccelletta di Borgia e trovare una situazione surreale che sta vivendo il Museo e Parco Archeologico di Scolacium che, come ha denunciato l’assessore al Turismo del Comune di Squillace, Franco Caccia, è vittima di «una gestione dissennata che determina danni all’immagine e all’economia per il turismo di tutto il comprensorio del Golfo di Squillace».

Quello di Scolacium, ma non solo, è la dimostrazione vivente di come ci siano «burocrati che dis-amministrano i tesori del nostro territorio» piuttosto che valorizzarli. E non bastano i quattro milioni dal Ministero della Cultura a compensare i disagi che il Parco Scolacium ha dovuto subìre nel corso della stagione estiva: prima l’apertura a tempo ridotto, poi la chiusura per due giorni a settimana del sito, confermata dalla funzionaria Elisa Nisticò.

Ma, mentre delle difficoltà del Parco Scolacium se ne parla, come scrive Giuseppe Lacquaniti sulla Gazzetta del Sud, «sul Parco di Medma di Rosarno è calato un assordante silenzio tombale», la cui apertura è attesa da 20 anni.

Una situazione che ha portato la comunità locale a pensare «che nella Città Metropolitana di Reggio Calabria vi sono coloro che remano contro, fingendo di tessere di giorno la tela per poi di notte disfarla» e, scrive Lacquaniti, «la Metrocity aveva chiesto diversi mesi orsono del tempo per mettere a posto alcune pratiche catastali», per poi sposare l’idea di «cedere il Parco in concessione con gara a evidenza pubblico, fingendo di ignorare che i 13 ettari del Parco sono per metà di proprietà dello Stato e per metà sono gestiti dall’Istituto Agrario, che li utilizza per le attività tecnico-pratiche degli allievi».

Una vera e propria vergogna, se si pensa che l’ultimo intervento di restyling risale al 2014 grazie a un contributo di oltre 1 milione di euro messo a disposizione dalla ex Provincia che, tuttavia, non è durato a lungo, lasciando il Parco in una condizione disastrosa e abbandonata, con l’impianto di illuminazione completamente distrutto, pannelli della recinzione mancanti in alcuni tratti, tanto per citarne alcuni.

Intanto, è recente l’annuncio, da parte della vicepresidente della Regione, Giuseppina Princi, dell’investimento di 10 milioni per sostenere «gli eventi culturali, tra cui quelli storicizzati da diversi anni, nonché le realtà teatrali, non dimenticando una particolare attenzione al sostegno delle diverse realtà artistico-musicali, come quelle bandistiche».

«Insieme al Presidente Roberto Occhiuto, abbiamo delineato un piano di rafforzamento e riorganizzazione del settore Cultura che vada dagli strumenti di sostegno finanziario per i diversi attori del comparto, all’avvio di un serio lavoro di aggiornamento di quel corpus di norme che regolano il settore», ha spiegato Princi, che ha parlato di una nuova programmazione, oltre che della necessità di riorganizzare e aggiornare delle normative regionali di settore che per alcune aree sono ferme a leggi emanate oltre 30 anni fa «e quindi – ha spiegato – da aggiornare ai tempi diversi ed esigenze del comparto».

In tutto questo, viene da chiedersi dov’è la Direzione Regionale dei Musei – Calabria che, proprio a fine luglio, ha sottoscritto una convenzione con le Soprintendenze per valorizzare i musei.

«L’intesa – si legge – nasce dalla convinzione che il patrimonio archeologico della Calabria, in qualunque posto esso sia custodito e da chiunque sia gestito, è parte indistinta della memoria e della storia della ricerca archeologica dello Stato e che per questo motivo ne vada ricercata la gestione migliore e più unitaria possibile».

«Intendiamo favorire processi e programmi comuni di tutela, ricerca e valorizzazione del patrimonio culturale per promuovere uno sviluppo sostenibile e un riequilibrio sociale nei territori» ha sottolineato il direttore ad interim della DRM Calabria, Filippo Demma.

L’iniziativa è sicuramente pregevole, ma se i tesori e i reperti devono essere abbandonati o stipati nei magazzini dei Musei, allora forse è meglio pensare a un’alternativa diversa altrimenti, è la storia del cane che si morde la coda.

Fa riflettere il commento lasciato da un utente sotto il post della pagina satirica Facebook Lo Statale Jonico in cui c’è scritto «Considera che se avessimo un po’ di testa, in Calabria potremmo vivere di turismo», in cui dice che «in Calabria non abbiamo la mentalità per puntare sul turismo». E se c’è questa mancanza, come si pensa di poter sostenere la candidatura della Locride a Capitale Italiana della Cultura 2025? Ma, soprattutto, con la situazione descritta prima di due Musei e Parchi Archeologici che si trovano proprio nella Locride, con che faccia e coraggio ci presentiamo all’Italia e pretendiamo di diventare Capitale della Cultura, se la cultura stessa la trattiamo come se fosse uno straccio?   (ams)

ARCHEO-TURISMO, UNA RISORSA VINCENTE
MA BASTA PRECARIETÀ, SERVE IL RILANCIO

di ARISTIDE BAVA  – Grazie ad una convenzione firmata dal Commissario di Calabria Verde, Giuseppe Oliva, con il Ministero della Cultura, in Calabria, in vista della stagione estiva, saranno “ripuliti” 52 siti archeologici e tra questi ci sono anche alcuni dei più importanti della provincia reggina.

Nell’elenco figurano infatti il borgo antico e la Villa Romana di Casignana, la necropoli di Gerace, il Parco archeologico della Villa Romana del Naniglio di Gioiosa Jonica, il Teatro di Marina di Gioiosa, l’area Archeologica Kaulon- Monasterace, l’area della Cattolica di Stilo, il Parco archeologico di Locri, l’area Castellace di Portigliola la Cattedrale Isodia e il Castello Normanno di Bova, il Forte Siacci di Campo Calabro, la Grotta S. Elia di Melicuccà, il Parco Melia di Oppido Mamertino, il Parco Tauriani di Palmi, l’ Antica Medma di Rosarno, l’area archeologica di Bova Marina e alcuni siti urbani di Reggio Calabria. ùPer alcuni di essi ridotti in condizioni fortemente precarie ( uno per tutti il Naniglio di Gioiosa Jonica “gioiello archeologico” che meriterebbe certamente maggiore attenzione) potrebbe essere un autentico toccasana e, nel complesso, l’iniziativa dovrebbe servire a promuovere decisamente la spinta turistica legata a questo settore.

Secondo quanto previsto dal piano operativo, infatti, Calabria Verde fornirà la manodopera idraulico-forestale con una accurata pulizia dei siti archeologici dalle erbacce per renderli fruibili in piena sicurezza ( e preservandoli anche da eventuali rischi di incendio). Gli interventi come è intuibile riguarda parchi, aree archeologiche e luoghi di cultura risalenti in particolare alla Magna Grecia. Siti, peraltro,che si trovano in gran parte, specie nella fascia ionica reggina, a ridosso delle zone balneari maggiormente affollate durante il periodo estivo.

L’augurio è che la pulizia venga fatta al più presto e che, quindi, i potenziali turisti possano usufruire di questi siti già daauesto  mese di giugno anche se le previsioni, come da tradizione, prevedono i grandi afflussi a luglio e agosto. D’altra parte per la fascia ionica reggina ( e non solo) il turismo archeologico e culturale è un grande potenziale che non è stato mai completamente sfruttato, anche se negli ultimi anni, grazie soprattutto ad una promozione effettuata in particolare dagli Operatori turistici del comprensorio che hanno recepito le richieste di molti tour Operator itaiani e stranieri , sono stati predisposti appositi “pacchetti turistici” con specifiche indicazioni di questi siti che hanno subito attratto l’attenzione di molti turisti particolarmente appassionati a questo tipo di escursioni spesso accumunata a quella dei borghi antichi. L’augurio è, dunque, che, anche se a piccoli passi , il turismo che rimane l’unica possibile arma vincente della Locride, trovi sempre maggiori spazi nei carnet dei Tour Operator. E, obiettivamente, questo può avvenire solo se, finalmente, gli organismi istituzionali si renderanno conto dell’importanza di prestare maggiore cura e maggiore attenzione alle possibilità di un territorio che ha moltissime potenzialità che sinora sono state sfruttate solo in piccola parte.

DISSESTO IDROGEOLOGICO, IN CALABRIA
SONO A RISCHIO LE AREE ARCHEOLOGICHE

Difendere e tutelare i siti archeologici dal dissesto idrogeologico. È questo l’obiettivo della convenzione firmata tra Archeoclub d’Italia e l’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Meridionale, che svilupperà «progetti ed iniziative di comune interesse, predisporremo un programma informativo e formativo, attraverso l’organizzazione congiunta di workshop e seminari sui temi della tutela del patrimonio ambientale e culturale, in connessione con la tutela e salvaguardia delle risorse acqua e suolo, il sistema costiero e la difesa dai rischi indotti da fenomeni naturali e antropici».

«L’obiettivo – ha spiegato Rosario Santanastasio, presidente nazionale dell’Archeoclub – è la difesa e tutela dei siti archeologici e quindi le attività che si andranno a sviluppare riguardano la valutazione di tale patrimonio e la loro esposizione ai pericoli, per cui le attività oggetto dell’accordo con Archeoclub, vanno a rafforzare l’azione di tutela del patrimonio archeologico, a valutare tutti quei siti che hanno problematiche connesse al dissesto idrogeologico. L’azione concorrerà ad avere un quadro chiaro, completo del patrimonio culturale da mettere in sicurezza».

Per l’espletamento delle attività, il coordinamento tecnico per l’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Meridionale sarà curato dal segretario generale dott.ssa Vera Corbelli, supportata dal dirigente dott. Gennaro Capasso, dirigente ing. Raffaele Velardo, arch. Maria Pagliaro, il coordinamento tecnico per Archeoclub d’Italia aps sarà curato dal Presidente nazionale dott. Rosario Santanastasio, supportato dal prof. Filippo Avilia archeologo, Ing. Federico Boccalaro esperto di ingegneria naturalistica. Un programma di difesa, valorizzazione e tutela che vedrà il coinvolgimento anche del mondo accademico.

«A seguito di confronti tecnici – ha spiegato Vera Corbelli – abbiamo manifestato la volontà di promuovere un’attività di collaborazione tecnico-operativa comune sia per la creazione di un sistema condiviso di conoscenze sia per la predisposizione e realizzazione di percorsi tecnico-scientifici-gestionali in ambito del Distretto Idrografico dell’Appennino Meridionale, nelle tematiche di comune interesse».

Una iniziativa che, oggi, è quasi prioritaria, sopratutto a seguito degli eventi recenti che hanno visto la Calabria e i suoi beni “minacciati” dal dissesto idrogeologico, una piaga che, da anni, colpisce la nostra terra e a cui, servono tanti fondi per poter rendere sicuro non solo il territorio, ma anche tutti i tesori che custodisce.

In Calabria, infatti, c’è una vera e propria emergenza di rischio idrogeologico che, ad oggi, è diffuso in maniera capillare a causa della sua conformazione geologica e geomorfologica «caratterizzata da un’orografia (distribuzione dei rilievi montuosi) complessa e bacini idrografici generalmente di piccole dimensioni, che sono quindi caratterizzati da tempi di risposta alle precipitazioni estremamente rapidi».

Nel rapporto nazionale dell’Ispra – Istituto per la Protezione e la Ricerca Ambientale del 2018 – l’ultimo pubblicato – sulla situazione del dissesto idrogeologico nel Paese, è stato rilevato che in Italia «è a rischio il 91% dei Comuni italiani (88% nel 2015) ed oltre 3 milioni di nuclei familiari risiedono in queste aree ad alta vulnerabilità».

In Calabria, in particolare, a rischio molto elevato si trova l’1,9% del territorio, mentre i beni culturali sono 408, circa l’8,3%. Sommato al rischio elevato (p4+p3), in Calabria in pericolo si trova il 3,6% del territorio (545,59 km²), 603 beni culturali (12,3%), 87.623 (4,5%) della popolazione, 35.936 (4,6%) famiglie e 3.863 (3,3%) imprese.

Un quadro preoccupante, che fa emergere un’emergenza che non si può più ignorare, sopratutto a seguito dell’alluvione che il 21 novembre ha provocato danni ingenti a Crotone e alla sua Provincia e che, per fortuna, ha trovato il suo epilogo in positivo grazie all’impegno della consigliera regionale Flora Sculco, che è riuscita a far stanziare dalla Regione Calabria 6 milioni di euro per risanare il territorio di Crotone e Provincia.

Consapevolezza di questa piaga, è stata mostrata anche dall’assessore regionale all’Istruzione, Sandra Savaglio, che ha promosso una serie di webinar sul dissesto idrogeologico – a cura del docente Vincenza Calabrò – perché «bisogna sollevare le coscienze, ed educare i ragazzi alla tutela del territorio» e dai parlamentari calabresi, in particolare dal Movimento 5 Stelle, che di recente ha annunciato che alla Calabria spettano 11 milioni e 178 mila euro per finanziare cinque interventi a tutela del territorio, che si vanno ad aggiungere ai 300 milioni che arrivano direttamente dal Governo tramite il Decreto Agosto e annunciato dalla deputata grillina Elisa Scutellà nel mese di ottobre.

Si può dire, quindi, che la Calabria, sul tema del dissesto idrogeologico è molto attenta e sensibile. Basti pensare che il bilancio dell’Ufficio del Commissario straordinario delegato per la mitigazione del rischio idrogeologico della Regione Calabria si è chiuso positivamente in termini di andamento delle attività di avvio e di nuovi finanziamenti.

«Sono stati attivati, nel primo semestre – comunica la nuova struttura commissariale – 13 interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico, localizzati a Diamante, Gizzeria, Soveria Simeri, Belvedere (2 interventi), Rogliano, Rende, Cicala, Gioiosa Ionica, Corigliano-Rossano (3 interventi) e Tarsia. L’importo complessivo è pari a 24.226.701,97 di euro, di cui quasi 18 milioni relativi soltanto ai lavori. È stato anche profuso un notevole impegno sia per l’acquisizione di nuovi finanziamenti che per l’accelerazione della realizzazione delle attività finanziate ma in fase di stallo».

«È di questi giorni, infatti – prosegue – la sottoscrizione tra la Regione Calabria e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare, del secondo atto integrativo all’Accordo di programma finalizzato alla programmazione e al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico. Nell’accordo è prevista la realizzazione di cinque interventi per un importo complessivo di 11.178 628,27 di euro. Si tratta di interventi che vanno ad aggiungersi a quelli, già finanziati, dal primo atto integrativo del 9 gennaio 2018».

«Tra i nuovi finanziamenti – spiega ancora la struttura – ci sono anche quelli sulla redazione delle progettazioni esecutive per la realizzazione di ulteriori interventi di mitigazione. Nello specifico, il finanziamento relativo a un terzo stralcio di interventi a valere sul fondo di progettazione, per un importo complessivo di 4.066.639, 30 di euro, che vanno ad aggiungersi a quelli già finanziati in precedenza, ovvero 34 interventi per un importo complessivo di 5.046.852,05 di euro, oggi pienamente in fase di attuazione».

Un impegno che, sicuramente, deve essere replicato e amplificato nel 2021, in modo da permettere ai cittadini di vivere «in un territorio più sicuro e ottenere il giusto ristoro per il sacrificio che gli è stato richiesto e al quale, molte volte, hanno risposto con buon senso e spirito di collaborazione per la realizzazione di interventi finalizzati alla pubblica utilità e incolumità». (rrm)

TUTTI A MONASTERACE AD AMMIRARE IL MOSAICO DEL DRAGO

1° agosto – Un’opportunità straordinaria e a non perdere: oggi e domani al Parco archeologico di Kaulonia (a Monasterace – RC -, contrada Runci ) apertura eccezionale del mosaico pavimentale della Sala dei draghi e dei delfini. Con il richiamo del mosaico sarà possibile scoprire un’area archeologica di grandissimo valore, fino ad oggi – immeritatamente – trascurata dal turismo culturale,
L’iniziativa è del Polo Museale della Calabria, guidato da Angela Acordon, e del direttore del Parco e Museo di Kaulonia Rossella Agostino, con l’obiettivo di offrire al pubblico un’ulteriore l’occasione per prendere visione di manufatti di particolare fascino e suggestione archeologica, ma anche di ricordare la valenza del patrimonio storico-archeologico del territorio calabrese e reggino in particolare. Dopo quest’esposizione eccezionale,il mosaico andrà in prestito al Museo archeologico nazionale di Reggio.
Per la realizzazione dell’iniziativa hanno collaborato a Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio della Città Metropolitana di Reggio Calabria e della provincia di Vibo Valentia, del Comune di Monasterace, dell’Ufficio Circondariale Marittimo di Roccella Jonica e della Delegazione di Spiaggia di Monasterace, della Cooperativa Vivikaulon-Servizi aggiuntivi Museo archeologico di Kaulonía. L’apertura eccezionaledel mosaico è stata possibile anche grazie alla sponsorizzazione di Restauro opere d’arte Giuseppe Mantella e della Ditta Falcomar.


Il mosaico della cosiddetta Sala dei Draghi e dei Delfini, realizzato con tessere policrome, di particolare interesse scientifico per la sua fattura, per la ricercatezza del tema figurativo e per le dimensioni, è da considerarsi tra le testimonianze più significative riconducibili al centro magno-greco di Kaulonía, identificato dall’archeologo Paolo Orsi agli inizi del Novecento e localizzato nell’odierna cittadina di Monasterace Marina. Testimonianze oggi conservate nell’area del Parco archeologico dedicato allo stesso centro e situato in contrada Runci, lungo la Strada Statale 106, nel comune di Monasterace ai piedi della suggestiva Collina del Faro.
Dopo la scoperta, a cura della Soprintendenza Archeologica della Calabria, nel 2012, nell’ambito delle attività di ricerca condotte nel sito di Kaulonia, il mosaico ad oggi ricordato come uno dei più importanti e dei più antichi ritrovati in Magna Grecia, è stato ricoperto per una sua opportuna tutela e conservazione, dopo un intervento di restauro conservativo finalizzato alla messa in sicurezza delle parti più deteriorate.


Il mosaico, di circa 30 mq e databile tra fine IV-inizio III secolo a C., costituisce il piano pavimentale centrale di un lungo vano con piscina per il bagno caldo di un edificio termale, eretto su un edificio pubblico già esistente, munito di ambienti di rappresentanza e di servizio. Colpisce la particolare ricchezza dei motivi e dei soggetti decorativi scelti – delfini, draghi, ippocampi – e la loro composizione armoniosa con particolari tecnici quali l’uso di lamine in piombo per delineare i profili dei delfini. Lo schema compositivo del mosaico – realizzato con tessere policrome in pietra naturale, ceramica e terracotta di varie forme e dimensioni – pone al centro sei medaglioni con motivi floreali, delimitati da più listelli colorati, la cui particolare composizione dà luogo a una visione prospettica, mentre sul lato occidentale e meridionale sono disposti stretti e lunghi pannelli con figure di animali marini (draghi, delfini e ippocampo) affrontati per coppie. Un particolare decorativo è costituito inoltre, in prossimità dell’accesso alla sala, da una rosetta circolare a 12 petali.

Angela Acordon, direttore del Polo Museale della Calabria
Angela Acordon, direttore del Polo Museale della Calabria

Il prestito del mosaico al Museo di Reggio (da cui si avrà in cambio in prestito una sfinge) ha suscitato particolari timori su un eventuale mancato ritorno alla sua sede naturale. La direttrice del Polo Museale della Calabria, Angela Acordon, a questo proposito ha scritto una lettera aperta dove si legge: «Per chi non riuscisse a immaginarlo, il Museo non è solo ciò che espone, ma è anche un insieme di grane (impianti malfunzionanti da sostituire, manutenzioni del verde e dei servizi, edificio – di proprietà comunale – in certe parti quasi fatiscente e chi ne ha più ne metta). Al Polo stiamo lavorando da soli per risolvere i problemi e offrire al pubblico uno spazio decente, pulito, senza rischi…
Il Museo, dunque, non è solo il mosaico del Drago. E seppur ne è il simbolo, il Museo non è solo il Drago anche dal punto di vista dei reperti, che offrono la possibilità di una visita ugualmente elevata. Non ha perciò senso, anche se ne comprendo la logica provocatoria, dire che senza quel mosaico il Museo di Kaulonia può anche essere chiuso. Se per qualche mese il Drago si sposta entrando a far parte di una mostra che inanella una sequenza di capolavori provenienti dai più importanti Musei archeologici d’Italia, non credo che ciò venga a detrimento del Museo dal quale il Drago proviene, ma penso anzi che esso venga ancor più valorizzato e che venga aumentata la diffusione della sua conoscenza, portando  in futuro più persone a cercarlo nel Museo della cittadina di Monasterace.
Sono convinta che questa operazione non darà lustro esclusivo alla mostra organizzata dal Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, ma che ne deriveranno benefici notevoli anche per il Museo di Kaulonia, per una sua immagine più dinamica e vivace. Tanto più che da oltre un mese il Museo di Reggio Calabria ha accolto la proposta avanzata dal Polo Museale di avere in cambio, per lo stesso periodo, la testa in terracotta proveniente dal tempio della Passoliera e provo particolare orgoglio ad aver saputo leggere nella mente di Francesco Cuteri, che qualche giorno fa, schierandosi contro la partenza del Drago, ha affermato che, se davvero dovesse partire, avrebbe voluto in cambio proprio questo bene.
Uno scambio temporaneo di opere – comunicato alla Direzione Generale Musei, che nulla ha eccepito – che in altra circostanza non ha trovato né intoppi, né critiche. Mi riferisco alla preziosa Laminetta orfica del Museo Archeologico Nazionale di Vibo Valentia, simbolo di quest’ultimo Museo come il mosaico del Drago lo è di quello di Monasterace, partita per un’importante mostra a Paestum e sostituita dalla magnifica e problematica testa bronzea “del Sele”. Lo scambio è iniziato a maggio e durerà fino al 7 ottobre (dunque durerà per tutta l’estate).
Caro Sindaco, cari archeologi, cari cittadini di Monasterace, cari amici – protettori veri, ma per cortesia sempre, non solo in questa occasione! – del Museo di Kaulonia, non dovete temere – come avete scritto – che il Drago possa non ritornare: non lo farebbe il Direttore del Museo di Reggio, non lo farei io, ma soprattutto non ce lo permetterebbe la Direzione Generale Musei. In ogni caso vi offro la mia parola, che per chi mi conosce è più di una garanzia, che questo non accadrà».