NEL MARE DELLA DISPERAZIONE, L’UMANITÀ
CALABRESE NELLA TUTELA DEGLI “ULTIMI”

di PAOLO CANCELLI –  Il mare che bagna le coste, irrora le sabbie, risplende di profumi e desideri lontani, sogni e speranze di bene comune. Le onde che volteggiano con energia ed impeto portando con se la dicotomia delle paure e dei sogni, la dolcezza delle possibilità di futuro e l’amarezza della rassegnazione, il limite, la vita e la morte.

È lo stesso mare, il nostro Ionio plumbeo della notte invernale, dove ancora galleggiano le parti in legno dei relitti, frantumate dalla forza delle onde e del destino, dove è annegata la vita e la speranza di uomini e donne in fuga dall’indigenza, campeggia in ordine sparso il vuoto della rassegnazione dei sopravvissuti, che portano negli occhi la morte dei propri cari e le rughe della disperazione più profonda.
I nostri piedi affondando nella costa dei gelsomini e dei bergamotti, dei matematici e dei poeti, lo sguardo di libertà si dilata verso l’orizzonte accompagnato dal fragore delle piccole pietre della costa che ricorda l’andar via del tempo.

È il mare delle culture, della storia, delle tradizioni, delle religioni, dell’armonia, della sinfonia delle diversità, talenti e vocazioni. La chiamata all’ accoglienza è nel cuore di queste coste calabresi ricche di passione, di saper fare e saper essere. È il genius loci del dialogo tra l’eleatismo, la Scuola filosofica greca di Parmenide, dell’essere statico e immutabile, e il divenire di Eraclito, secondo il quale viceversa «tutto cambia».

È l’ambiente del pensiero integrale che riflette a partire dal testo “Sulla Natura”, opera principale del filosofo della Magna Grecia che si pone tra il mondo sensibile, molteplice e mutevole, regno del divenire e dell’apparenza, oggetto della ragione, il solo che esista. Un pensiero sempre in movimento, complesso e raffinato che proietta l’essere così affermato come unica vera realtà, declinato da Melisso di Samo, per il quale era ammessa, in linea di principio, la possibilità di una pluralità di realtà.

Per dirla nella traiettoria del Magistero di Francesco quello che stiamo vedendo ripetutamente nel Mare Nostrum è un disastro umano e ambientale, che non riconosce ai nostri fratelli di qualsiasi paese di provenienza e approdo un valore proprio, fino alla reazione di negare ogni peculiare valore all’essere umano. Ma non si può prescindere dall’umanità. Non ci sarà una nuova relazione con la natura senza un essere umano nuovo. Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia.

Quando la persona umana viene considerata solo un essere in più tra gli altri, che deriva da un gioco del caso o da un determinismo fisico, si corre il rischio che si affievolisca nelle persone la coscienza della responsabilità come ricorda il Santo Padre nell’ Enciclica Laudato Si.
Il pensiero della storia della filosofia radicato nelle nostre memorie aiuta a far riflettere noi Calabresi nel mondo sul cosa significhi morire nel nostro mare, nel terrore dei sensi, nella desolazione più nera, nel buio di una notte del mare in tempesta di fine febbraio del 2023.

È annegata la vita, la speranza, la possibilità di uno sviluppo umano integrale, emblema di dignità universale.
Certamente non possiamo farci travolgere dalle onde dell’indifferenza, dell’anestesia percettiva che annulla e sfuma ogni capacità di reazione. Rimane il Mediterraneo della fratellanza dove il rapporto tra Occidente e Oriente è un’indiscutibile reciproca necessità, che non può essere sostituita e nemmeno trascurata, affinché entrambi possano arricchirsi a vicenda della civiltà dell’altro, attraverso lo scambio e il dialogo delle culture.

È il mare dove far salpare le navi del dialogo e non le barchette della disperazione, locus della cooperazione e non luogo nefasto di damnatio memoriae. Le morti dello scontro tra poteri non possono far crollare il sentiero dell’incontro di civiltà, vera sinfonia dei talenti, speranza concurante di bene comune, la chiave di volta per i popoli mediterranei. «Questa vocazione o questa missione storica comune consiste nel fatto che i nostri popoli e le nostre nazioni sono portatori di una civiltà che, grazie all’incorruttibilità e alla universalità dei suoi componenti essenziali, costituisce un messaggio di verità, d’ordine e di bene valido per tutti i tempi, per tutti i popoli e per tutte le nazioni».

Seguendo il pensiero di Giorgio La Pira “statista dell’umiltà” gli elementi essenziali sono tre. «Primariamente la componente religiosa della rivelazione divina che trova in Abramo – patriarca dei credenti – la comune radice soprannaturale. Il Tempio, la Cattedrale e la Moschea costituiscono precisamente l’asse attorno al quale si costruiscono i popoli, le nazioni e le civiltà che coprono l’intero spazio di Abramo. In secondo luogo la componente metafisica elaborata dai Greci e dagli Arabi: è ad essa che si deve l’immensa ricchezza di idee che sostengono una visione ordinata, essenzialmente metafisica e teologica del mondo, e che costituiscono intellettualmente ed artisticamente la bellezza stessa della civiltà di cui i nostri popoli e le nostre nazioni sono portatori. In terza prospettiva c’è la componente giuridica e politica elaborata dai romani. È a questa che si deve la strutturazione di un ordine giuridico e politico di cui gli elementi maggiori costituiscono il tessuto essenziale dove si articola ogni ordine sociale e umano autentico».

Così si descrive la nostra matrice da cui partire per avviare un nuovo sguardo, costruire ponti, avviare processi di autentica cura della casa comune dove l’ Occidente potrebbe trovare nella civiltà dell’Oriente rimedi per alcune sue malattie spirituali e religiose causate dal dominio del materialismo, e viceversa, l’Oriente potrebbe trovare nella civiltà dell’Occidente tanti elementi che possono aiutarlo a salvarsi dalla debolezza, dalla divisione, dal conflitto e dal declino scientifico, tecnico e culturale.

È importante prestare attenzione alle differenze religiose, culturali e storiche che sono una componente essenziale nella formazione della personalità, della cultura e della civiltà orientale; ed è importante consolidare i diritti umani generali e comuni, per contribuire a garantire una vita dignitosa per tutti gli uomini in Oriente e in Occidente, evitando l’uso della politica della doppia misura che favorisce le povertà e le partenze disperate delle popolazioni migranti del mediterraneo allargato. La costruzione della nostra casa comune, del Mare Nostrum deve essere realizzata con i mattoni della tutela dei diritti fondamentali dei bambini a crescere in un ambiente familiare, all’alimentazione, all’educazione e all’assistenza: un dovere della famiglia umana e della società universale.

Le arcate della costruzione comune sono i diritti universali delle popolazioni migranti che devono essere garantiti e tutelati sempre come superiore interesse collettivo, affinché non manchino e non vengano negati a nessun bambino in nessuna parte del mondo. La nostra diaconia di bellezza scolpita nella storia della nostra terra di Calabria condanna qualsiasi pratica che violi la dignità dei bambini migranti o i loro diritti. È importante vigilare contro i pericoli a cui essi sono esposti e considerare come crimine il traffico della loro innocenza e qualsiasi violazione della loro infanzia.

La tutela integrale degli ultimi, la dignità della povera gente è radicata nelle nostre menti e alberga nei nostri cuori meridiani insieme al desiderio di cura per gli anziani, per i deboli, per i disabili e per gli oppressi. La tenerezza della Madre Celeste e l’umiltà di Francesco D’Assisi possano accompagnare le più profonde vocazioni alla pace e la bene comune attivando in ognuno di noi la luce della missione di co-costruzione, convocazione costituente per l’Euro-Mediterraneo allargato alle Afriche e all’Oriente, adottando la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio. (pc)

[Paolo Cancelli è Direttore Ufficio Sviluppo e Relazioni Diplomatiche della Pontificia Accademia Mariana Internationalis (Città del Vaticano/Stato Pontificio/Santa Sede in Roma)]

NON C’È TURISMO SE MANCA REPUTAZIONE
IN CALABRIA IL FUTURO RICOMINCIA DA QUI

di MAURO ALVISI – La mia discesa qui in Calabria ha inizio quasi sei anni fa a Catanzaro, quando chiamato dalla municipalità e dai maggiorenti calabresi tenni, quale massimo esperto internazionale, una riuscita conferenza sul marketing e la valorizzazione del territorio, tutta incentrata sul Critical Success Factor della reputazione, questa misconosciuta. 

Ci ero passato prima di sguincio in due differenti occasioni. Nell’estate del 1990 per una vacanza estiva a Scalea, ospite onoratissimo di una famiglia di luminari della medicina veneta, originari del luogo (che poi realizzai essere quasi un’enclave napoletana nelle prime propaggini calabresi). Per la verità non felicemente percepita. Poi nel 2004, quando nell’allora governo Berlusconi collaboravo, quale esperto per la valorizzazione del territorio, con la Presidenza del Consiglio dei Ministri. In carico al Ministero Affari Generali (che reggeva il siciliano Enrico La Loggia) e a quello degli Esteri, condotto da Franco Frattini. Furono però due straordinari personaggi locali, che per ragioni di privacy ribattezzo qui Madonna dei Girasoli, straordinario esempio dell’accoglienza e della concuranza calabrese e il Superdon, un generoso Paperone e a pieno diritto un accademico della strada (come gli piace definirsi) a convincermi che avrei dovuto piantare tende qui. 

Oggi nel Decisions Lab (il Laboratorio della Scienza delle Decisioni, all’Università Mediterranea di Reggio Calabria), insieme a tanti eccelsi talenti della ricerca, mi occupo di performetrica (metrica delle performance dei sistemi complessi), e in particolare della misurazione e certificazione della reputazione. Dei territori, delle istituzioni, delle organizzazioni, delle imprese, dei manager e di ogni identità individuale e collettiva.

Napoleone parlando dell’attacco alla reputazione affermava fosse come una batteria di cannoni al tiro, quando ne senti il rumore sei già sotto bombardamento. Oggi l’intero ecosistema e sociosistema delle relazioni e delle interconnessioni a valore aggiunto, o se preferite l’economia della fiducia, o come la chiama il Pontefice Francesco L’economia del Noi, si basa essenzialmente sul patrimonio reputazionale di cui si gode e di cui si può dar prova inconfutabile, certificandolo. Gli economisti e gli analisti finanziari più accreditati sostengono addirittura che ad ogni incremento parziale del ranking e/o del sentiment reputazionale percepito corrisponda, in modo direttamente proporzionale, un incremento sensibile del volume quanti-qualitativo delle performance sociali ed economiche di un territorio, di un brand, di ognuno di noi. Esiste oramai un’ampia letteratura di casi a suffragio universale di questo postulato, non più teorico. 

Abracalabria. Chiamai così il mio intervento nel giugno del 2016 a Catanzaro, seguito più tardi da un riuscitissimo convegno di Confindustria Reggio, presieduta allora dal vero pioniere dell’incoming turistico calabrese, Giuseppe Nucera, replicato poi anche al Senato della Repubblica. Già il turismo. Risorsa ipertrofica di questa terra, una miniera d’oro di proporzioni inestimabili e per larga parte ancora tutto da estrarre. 

A Falerna Marina (CZ) ieri, nella splendida cornice del resort di Villa Ventura, si è tenuta la giornata di chiusura della partecipata tre giorni sugli Stati Generali del Turismo in Calabria. A tracciare le linee generali e programmatiche finali del Piano di Sviluppo Turistico Sostenibile della Regione, si sono alternati sul palco Fausto Orsomarso, Assessore Al Turismo e al Marketing del Territorio e Roberto Occhiuto, Presidente della Regione. A margine dell’incontro le due figure apicali hanno risposto ad alcune mie domande, focalizzate sul tema baricentrico della reputazione calabrese, o come lo chiamava la compianta e amata Jole Santelli il riscatto reputazionale della Calabria.

– Assessore Orsomarso Dai lavori di questi riusciti Stati Generali sono senza dubbio emersi alcuni punti di forza e di debolezza della regione e forse anche qualcosa che minaccia la buona riuscita del Piano in via di definizione?

«Non vedo alcun tipo di minaccia a parte quella che potrebbe sorgere dal non attuare tutto lo straordinario scambio con gli operatori e con i media che ricaviamo da questa esperienza aperta di dialogo e concertazione. I punti di debolezza della Calabria sono andati calcificandosi negli anni, quasi per l’inerzia della non azione che ha connotato la gestione della cosa pubblica. Il turismo per questa terra è un fattore determinante per lo sviluppo futuro, per gli indicatori economici di crescita, la nascita e il mantenimento dell’impresa turistica e commerciale, la creazione di nuovi posti di lavoro I punti di forza della Calabria vanno fatti tutti conoscere e riconoscere. Quasi come se fossimo all’anno zero. L’esperienza di governo con Jole Santelli mi ha lasciato moltissimo sul piano umano e professionale, quella con il Presidente Occhiuto, per quanto già impostato nei primi sei mesi, promette di essere davvero capace di trasformare questa terra. Come ha sostenuto il Presidente nel suo intervento, il suo stile di conduzione è eterarchico e libertario. Da spazio alle iniziative dei diversi assessorati. Incita a moltiplicare le iniziative, spendendo la sua grande autorevolezza a Roma come a Bruxelles e nel mondo. Un gioco di squadra. Questa riuscita kermesse del turismo, può diventare un appuntamento ricorsivo. Per decidere occorre ascoltare gli stakeholder. Nessuno escluso».

– Sul tasto della reputazione il presidente ha battuto non poco. Lei pensa che la Calabria abbia ancora un problema reputazionale in atto?

«Io sostengo che qui dentro la nostra terra e lì fuori nel mondo si conosca ancora in minima parte cosa sia questo straordinario territorio. Penso che una narrazione distorta e stereotipata della Calabria sia responsabile di un percepito non corrispondente ai valori e ai voleri dei calabresi tutti. Sono oltre sei milioni i Calabresi nel mondo. Possono essere una straordinaria opportunità per il turismo delle radici. Si pensi a cosa accadrebbe se un 10% di loro decidesse di scegliere la propria terra natale come destinazione frequente. E ognuno di loro e di noi è anche ambasciatore di grandi valori. Quelli che fanno di questa terra e di questa nostra gente un’eccellenza mondiale per capacità di accoglienza. Quindi la reputazione si costruisce con gli atti di ogni giorno. Però se poi non esce una corrispondente narrazione delle virtù, una comunicazione efficace e attrattiva si finisce per essere schiacciati dal luogo comune più becero, penalizzando interi comparti strategici, come il turismo e la valorizzazione del territorio».

Un bilancio quindi più che positivo di queste giornate di lavoro a Falerna?

«Più che positivo lo definirei a tratti sorprendente. La Calabria ha davvero voglia di riscatto, di ripartenza. Gli operatori del turismo ne sono la prova. Non lasceremo nulla di intentato nel piano pluriennale che stiamo andando ad attuare a breve».

Le parole del Presidente Roberto Occhiuto, raccolte a caldo, sono cariche di pragmatismo liberale. Ha chiuso ricordando quanto apprezzi le critiche, da dovunque, chiunque e comunque provengano «mi sono da stimolo competitivo – sottolinea- come un’esortazione adrenalinica a dare il meglio sempre».

– Presidente Occhiuto, la sua giunta da lei sferzata, è molto attenta al tema della reputazione della Calabria. Un tema fondamentale del diverso racconto che questa terra merita verso se stessa e la sua gente, verso l’Italia e verso il mondo. Una componente davvero rilevante per le ricadute che riguardano da vicino l’industria turistica regionale. Quanto è fondamentale a suo giudizio poter dichiarare e certificare che la reputazione del territorio è in crescita, è positiva, con dati euforici e non disforici come spesso vengono associati alla Calabria?

«La Calabria intanto va misurata. La reputazione si costruisce nel tempo. C’è una reputazione erronea e del tutto fuori luogo, che nasce da autolesionismo portato alle volte all’ennesima potenza. Un racconto disforico davvero sproporzionato e alcune manovre che vanno concertate bene in cabina di regia. Se per esempio si considera questo evento felice degli Stati Generali del Turismo, che definirei anche di spessore culturale come tanti nostri beni ed eventi, un attrattore culturale che poi non si contestualizza e prosegue in un turismo organizzato diventa un risultato deprimente, una mossa sbagliata e inefficace. I lavori di Falerna non sono stati una mera occasione di autocelebrazione. Abbiamo passato ore e ore ad analizzare i punti di debolezza, le carenze strutturali, le manovre correttive di rilancio, Tutto questo poi organizzato bene, raccontato bene e sempre meglio si trasforma nella maturità di una reputazione complessiva dei luoghi, borghi, città e attrattive del territorio calabrese quali destinazioni elettive del turismo nazionale e internazionale. Cito quale esempio Tropea, città di duemila abitanti con un’ottima reputazione e una eccellente qualità dei servizi turistici resi al visitatore. Tutta la Calabria è orientata verso la crescita. Il turismo ha una notevole incidenza sul nostro PIL e noi possiamo anche raddoppiare questo risultato». 

– L’economia della reputazione ha dimostrato la diretta connessione tra i Key Performance Indicators del sentiment reputazionale percepito di un territorio e la relativa capacità attrattiva e performante dello stesso. Uno studio del 2015, solo sette anni or sono, dimostrava che alcuni presunti fattori di negatività reputazionale si controvertivano nella percezione pubblica internazionale della Calabria. Come ad esempio la sorpresa di essere tra le eccellenze assolute per capacità di accoglienza del turista. Non crede che una misurazione certificata della reputazione calabrese, mettendosi nel ventaglio di altre aree turistiche competitrici che già la posseggano, possa essere un valido punto d’origine per l’attacco e la difesa reputazionale? Un supporto tecnico al lancio distintivo di un nuovo storytelling?

«Ci stiamo lavorando e possiamo continuare a lavorare sempre in questa direzione strategica. Abbiamo dei Paesi target sui quali concentrare maggiormente la percezione di buona reputazione. La Calabria all’estero è spesso poco conosciuta o misconosciuta. La reputazione della Calabria, anche quella nazionale, è in via di progressivo miglioramento. Lo abbiamo visto anche qui, in questi giorni. Sono le dimensioni del renderlo noto, del raccontarlo diffusamente che vanno allargate. Dobbiamo investire, anche se è ovvio che non dobbiamo né possiamo strafare perché non possiamo creare una domanda superiore alla risposta, alla capability dell’offerta proponibile e sostenibile. Alcuni nostri territori non sono ancora pronti a superare quel 6% di presenze straniere complessive che sono assolutamente migliorabili. Per dirne una anche solo la capacità di rispondere in inglese o nella lingua del visitatore rappresenta un indubbio fattore di successo».

– Quali sono, per amore di sintesi, le tre cose importanti che lei porta a casa da questi Stati Generali di Falerna?

«Non si tratta di una sola manciata di cose o mosse ma di un programma integrato che presenteremo, a partire dalla massima rassegna turistica che è imminente, ovvero la BIT di Milano. È una strategia di penetrazione del mercato nazionale e estero, dotata di una serie di strumenti e investimenti correlati, di comunicazione e marketing territoriale e diversificazione dell’offerta turistica, anche in un’ottica destagionalizzante».

– Quindi è un piano che qui avete sottoposto al contributo e al giudizio degli operatori turistici regionali?

«Certamente. L’istituto del dialogo è funzione imprescindibile del governo di una regione. In ogni comparto. Queste giornate, grazie a questa nuova piattaforma, hanno consentito a tutti di scrivere il futuro del turismo a breve e medio termine».

Un ultima domanda Presidente. Qual è lo scenario maggiormente minaccioso per il turismo regionale, da evitare assolutamente?

«La minaccia si esprime solo nei termini della competizione. Attiene al mercato e al saper sempre starci al meglio. Riguarda l’efficacia e l’efficienza degli operatori che vendono servizi. La regione Calabria non può sostituirsi al mercato. Può favorirne in ogni modo la libera espressione imprenditoriale, aumentando i fattori endemici di attrattività. Non ci sono pertanto minacce precostituite. Va posta al cento la cura e l’attenzione per il fruitore di vacanze ed esperienze culturali e ricreative e affaristiche del nostro territorio. Il turismo è mutato negli anni, come suggerisce il titolo degli Stati Generali, i turismi sono variegati e molteplici come i target e le nicchie che li riguardano. Il turismo culturale, quello delle origini, quello religioso e quello termale rappresentano canali di domanda e offerta a volte verticali a volte interconnesse. Bisogna pertanto investire oculatamente le risorse per attrarre i flussi turistici adeguati».

Se si volesse seguire il fondamento filosofico del sillogismo, che prevede che a due premesse certe e accettate se ne possa postulare una terza, quale logica conseguenza delle prime due, dovremmo allora affermare con certezza come in assenza di una certezza reputazionale opponibile al rumore della comunicazione e dell’informazione fake driven sulla Calabria, non si possa davvero difendere il patrimonio identitario e valoriale del suo eccellere, a volte inconsapevolmente, in così tante aree. Né tantomeno predisporre un programma di ingegneria reputazionale, ossia un piano di life time reputation, che consente di attenzionare tutte quelle emergenze reputazionali che discendono da una narrazione lesiva e schiacciata del territorio, come associabile al crimine organizzato, cosa che offende e mistifica la vera natura della gente di Calabria. 

Non vi è valore certo dimostrabile senza una certa reputazione rappresentabile scientificamente. Oggi è possibile certificarla a livello europeo e quindi nel mondo. Facendola riconoscere da Accredia in questo Paese e dalle Nazioni Unite attraverso l’UNAI, United Nation Academic Impact, l’organizzazione dell’ONU per l’impatto scientifico delle pratiche scientificamente rilevanti e certificabili. Si tratta infatti di ricollegarsi allo schema Bloomiano della conoscenza. Il Sapere è funzionale al saper Fare solo quando si raggiunge il Saper Essere con il Far Sapere. Con la marcata differenza da dichiararsi una volta per tutte. 

L’era della pubblicità e della notorietà sta lasciando il testimone a quella della reputazione e del societing, dell’intelligenza collettiva cooperante, quella concurante e mai più noncurante. È curioso osservare che la buona o eccellente nomea, un diverso e forse più elegante termine di appellare la reputazione, sia l’anagramma dell’antico etimo medioevale e rinascimentale di monea ovvero moneta. Guarda caso per onomatopea etimologica molto simile all’inglese money, il caro vil denaro. Più chiaro di così. 

La reputazione, per lanciare un’ultima metafora o se si preferisce semantica iconica rappresentativa, assomiglia molto ad una notissima vignetta del grande Mordillo, scomparso prima della pandemia, nel 2019. Un suo memorabile soggetto vede una clessidra, dove nella parte superiore sono seduti una coppia di turisti sotto l’ombrellone, piantato sulla sabbia di un’assolata spiaggia estiva. Nella parte inferiore della clessidra, l’invaso va, ad insaputa dei due bagnanti, riempendosi della stessa sabbia, per naturale caduta della stessa, facendo presagire a chi osserva quale sarà la loro prossima destinazione. Eccola qui la metafora perfetta. La reputazione è quella sabbia mobile dove il turismo pianta i suoi ombrelloni. A che serve un bello spot, una comunicazione d’impatto, se il tempo scorre e la sabbia non viene fermata? 

[Mauro Alvisi, docente universitario al Decision Lab dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, è uno dei maggio esperti internazionali di reputazione]

Sabato alla Pontificia Accademia Mariana si presenta il libro “Concuranza” di Mauro Alvisi

Sabato, alle 10.30 presso la Pontificia Accademia Mariana Internationalis di via Merulana 124/b a Roma, tavola rotonda e presentazione del volume Trattato della Concuranza di Mauro Alvisi (edito da Media&Books), con il Patrocinio del Dipartimento Benessere Integrale dell’Academia coordinato dalla Prof.ssa Filomena Maggino. 

Concuranza è un termine coniato dal prof. Alvisi che rappresenta l’opposto della noncuranza ed è una parola che entrerà facilmente nella vita di tutti i giorni, anche alla luce della guerra in Ucraina, su cui sono puntati gli occhi di tutto il mondo e che sta suscitando nuovi sentimenti di solidarietà e fratellanza, appunto “concuranti”.

I Principi dell’Intelligenza Connettiva contenuti nel libro di Alvisi sono molto affini al pensiero di Papa Francesco, esposto nell’Enciclica Laudato si’. Scienza, Tecnica, Finanza ed Economia possono diventare quattro cavalieri dell’Apocalisse, distruttivi e autodistruttivi se non governati da un paradigma di intelligenza collettiva cooperante, all’altezza di noi Sapiens, ormai a metà strada tra Ludens e Demens.

Se il lavoro, la sicurezza, il bene ambientale, la formazione, l’educazione civica, la partecipazione culturale, l’etica del governo, la ridistribuzione equa delle risorse, la meritocrazia, la valorizzazione dei talenti, la cura e salvaguardia attiva dei patrimoni territoriali, la capacità delle idee di attrarre investitori, la solidarietà non di facciata e infine la pace sono in bilico, allora evidentemente occorre mettere in discussione l’intero paradigma capitalistico, culturale e geo-politico che ne tracciano ancora la via. 

La scienza può e deve provare il cambio di paradigma. Cercandolo nell’Intelligenza Collettiva Cooperante, ovvero nel nuovo “Paradigma Misurabile” di Concuranza. 

In caso contrario il vuoto di fraternità continuerà ad originare l’individualismo sfrenato, la noncuranza che tanti danni arreca a livello sociale, ambientale, economico, causando disuguaglianze apocalittiche, povertà diffusa, migrazioni di massa o deportazioni indotte come andrebbero chiamate, carestie e guerre di memoria biblica come quella che stiamo vivendo in questi giorni, lacerazioni della bio diversità con avvelenamento degli ecosistemi. 

Il quotidiano testimonia in ogni istante come siano le relazioni e le associazioni reticolari e cooperanti le forze più potenti in campo. Lo sguardo della complessità, la visione del noi, è lo sguardo concurante. Lo stesso che Alce Nero può apprezzare salendo sulla collina. Lo sguardo grandangolare dell’aquila che non si ferma al dettaglio. Quello dell’insieme e della complessità. Di casa in casa, di cosa in cosa, di testa in testa, di terra in terra, di vita in vita. Un mondo di micro sistemi connessi tra loro, per il bene comune. Il mainframe azionato dal socialware della concuranza di tutti noi unità periferiche, frattali d’una intelligenza connettiva. Se scegliamo la ConCuranza, il modello performante dell’Intelligenza Collettiva Cooperante e perdiamo possiamo sopravvivere ancora, se vinciamo allora vinciamo per sempre. 

Alla Tavola rotonda con l’autore, moderata dal giornalista  Santo Strati, parteciperanno numerose autorità accademiche, religiose, istituzionali e culturali.