LA DIFFICILE RIAPERTURA DELLE SCUOLE
POCO TEMPO PER ADEGUARE GLI ISTITUTI

La preoccupazione è condivisa a vari livelli: difficilmente gli istituti scolastici della regione Calabria potranno essere pronti per la riapertura prevista il 14 settembre. Manca proprio il tempo utile per gli adeguamenti necessari per garantire un alto livello di sicurezza e scongiurare il rischio contagio tra i ragazzi. Senza contare che in Calabria ci sono molte cattedre vuote e oltre ai docenti manca anche il personale a tempo determinato (bidelli, assistenti tecnici, amministrativi, etc).

DI queste perplessità si era fatto portavoce con la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina il consigliere regionale Marcello Anastasi, durante la sua visita in Calabria:. Le rassicurazioni della ministra, riferite da Anastasi, avevano lasciato molte perplessità: la ministra – ha detto Anastasi – «si è impegnata a sollecitare gli Uffici scolastici regionali affinché velocizzino le operazioni e soddisfino le richieste di assegnazione provvisoria entro il primo settembre, in modo da evitare un esodo di migliaia di docenti del Sud che, altrimenti, sarebbero costretti ad andare fuori regione per poi magari dover rientrare dopo un brevissimo lasso di tempo». Anastasi aveva anche riferito che «Nell’incontro con la ministra ho fatto presente che molte strutture scolastiche non sono adeguate alle misure anti covid e spesso mancano ancora le condizioni minime per poter partire in sicurezza. Considerando anche che in mezzo potrebbero tenersi le elezioni amministrative, ho dunque ribadito la mia proposta di posticipare l’inizio dell’anno scolastico al primo ottobre; un’eventualità per la quale dovrebbe attivarsi subito la Regione Calabria che consentirebbe così anche di allungare la ‘stagione’ dando un sollievo economico al settore turistico-alberghiero».

Alla ministra Azzolina il consigliere di Io resto in Calabria aveva parlato qualche settimana fa  anche della questione dei dirigenti scolastici. «In Calabria – ha fatto presente Anastasi –, infatti, ci sono oltre 50 sedi ‘a reggenza’ e basterebbe accorparle, prevedendo l’aliquota indicata dal concorso nazionale e non da quello regionale, per avere la disponibilità di tali posti di dirigenza da assegnare ai dirigenti che vogliono rientrare nella loro terra d’origine». Nessuna novità in questo senso si è fino ad oggi registrata, anzi sono aumenatte le preoccupazioni proprio per l’inizio dell’anno scolastico.

L’altro ieri l’assessore Sandra Savaglio, che in Regione ha anche la delega dell’Istruzione, aveva convocato un tavolo tecnico ristretto proprio per raccogliere elementi utili sulle criticità della rete scolastica. L’ottimismo dell’assessore, pur condiviso dal sindaco di Catanzaro Sergio Abramo , dal conigliere metropolitano di Reggio Calabria Antonino Castorina, dal presidente della Provincia di Cosenza Franco Iacucci e dal direttore dell’ufficio scolastico regionale Maria Rita Calvosa, non ha trovato risposte convincenti sulla necessità di riaprire in assoluta sicurezza.

«È il momento utile per risollevare le sorti degli istituti scolastici, alcuni dei quali, versano in condizioni difficili da anni – ha detto l’assessore Savaglio –. La semplificazione burocratica, avviata dal Governo, ci aiuterà – si spera – a raggiungere più scuole possibili. Personalmente, credo anche che gli esempi più virtuosi vadano premiati in qualche modo e chiedo a tutti gli attori coinvolti al tavolo di comunicare tra loro e con noi Enti. Siamo qui per ascoltarvi e trovare insieme delle soluzioni che ci portino a settembre a riaprire la scuola in presenza e in sicurezza», ma la direttrice Calvosa  ha fatto presente che ci sono troppe criticità nell’organico.

Sul problema distanziamento, il presidente dell’Anci Calabria Francesco Candia ha riferito che molti Sindaci chiedono di riaprire le scuole il 28 settembre perché, tra lavori di adeguamento sismico e difficoltà a reperire gli spazi utili al distanziamento, temono di non poter essere pronti. Nè la proposta di utilizzare tensostrutture provvisorie ha trovato risocntro: la Protezione Civile della Regione le ha classificate assolutamente inadeguate allo scopo.

Nonostante il clima di moderato ottimismo, questo fine settimana, dopo l’annuncio della data fissata per le elezioni comunicali a Reggio e Crotone e in altri comuni della regione per il 20 settembre, sono aumentate le perplessità sulla riapertura ipotizzata per il 14 settembre. Numerosi edifici scolastici dovrebbero essere utilizzati, come di consueto, per le votazioni e, date le circostanze del post-covid – è da ipotizzare un’accurata quanto lunga sanificazione degli ambienti prima di poter ammettere o riammettere gli studenti. A questo punto, persino la data del primo ottobre comincia ad apparire a rischio. (rrm)

 

 

DALLA CALABRIA L’INIZIATIVA POPOLARE
D’UNA LEGGE PER I SANITARI POST-COVID

Parte dalla Calabria, anzi da Reggio, la proposta di legge d’iniziativa popolare che prevede una contribuzione aggiuntiva convenzionale ai fini pensionistici per i medici e gli operatori sanitari che sono stati e sono ancora impegnati a contrastare l’epidemia da Covid-19. Prima firmataria della proposta di legge – pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 10 luglio scorso – è l’avv. Giovanna Cusumano del Foro di Reggio che ha coinvolti colleghi avvocati di diverse regioni del Paese, in rappresentanza di importanti Fori come Milano, Bolzano, Torino, Venezia, Firenze, Perugia, Avezzano e Roma. Nel comitato promotore figurano anche numerosi e apprezzati docenti universitari di tutt’Italia. L’obiettivo è riconoscere un adeguamento finanziario che abbia ripercussioni ai fini pensionistici a quanti, in ambito medico, si sono prodigati, anche a costo della propria vita, ad assistere e curare i pazienti colpiti da coronavirus.

Il comitato si adopererà in tutte le regioni d’Italia, affinché la proposta venga regolarmente sottoscritta, entro i sei mesi previsti, da almeno 50.000 cittadini italiani attraverso il coinvolgimento degli Ordini professionali dei medici e degli infermieri, i cui iscritti sono i naturali destinatari del beneficio pensionistico. Raggiunto il quorum necessario,  è auspicabile che le forze politiche rappresentate in Parlamento si impegnino e approvino la proposta in Aula perché diventi Legge. È significativo che l’iniziativa di legge popolare sia partita della Calabria, una regione non ha patito in modo pesante gli effetti della pandemia, ma ha potuto apprezzare la professionalità, l’impegno e l’abnegazione mostrata da tutto il personale medico degli ospedali calabresi con il prezioso contributo del personale sanitario e paramedico, nei confronti dei pazienti affetti da coronavirus. È giusto un riconoscimento aggiuntivo a questi nuovi eroi del terzo millennio che in tutto il Paese si sono prodigati senza mai fermarsi, qualche volta anche a costo della propria vita.

L’Avvocatura italiana  con questa proposta di legge  ricorre ad uno degli strumenti di democrazia diretta riconosciuti dalla nostra Costituzione qual è, appunto, l’iniziativa legislativa popolare, al fine di tributare, appunto, un doveroso riconoscimento all’impegno profuso dagli operatori sanitari per fronteggiare la terribile pandemia causata dal Covid-19. Visto che il Parlamento non ha messo in cantiere iniziative a favore di medici e personale sanitario, il ricorso a una legge di iniziativa popolare è sembrata la via più adeguata per sollecitare e promuovere interventi di sostegno a chi ha messo al primo posto la salute degli altri. Il Presidente del comitato, avv. Giovanna Cusumano, ha spiegato che «il beneficio della contribuzione aggiuntiva convenzionale ai fini pensionistici previsto da questa proposta di legge,  ha l’obiettivo di compensare il maggiore sacrificio e/o il maggior rischio, sostenuti dagli operatori sanitari nell’espletamento delle loro mansioni durante la pandemia».

I medici e gli operatori del Servizio Sanitario Nazionale impegnati a fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, infatti, secondo i promotori,  hanno il diritto di incrementare il trattamento pensionistico, che sarebbe loro spettato in condizioni ordinarie di svolgimento dell’attività professionale, e per compensare il maggior dispendio di energia fisica e psichica necessaria per lo svolgimento dell’attività lavorativa nel corso della pandemia e per l’elevata probabilità di contagiarsi, con ulteriore rischio di diffusione del contagio ai propri familiari.

La proposta, pertanto, spiega ancora l’avv. Cusumano, prevede che il contributo previdenziale del lavoratore venga moltiplicato per un coefficiente di maggiorazione determinando una anzianità contributiva convenzionale che si somma a quella effettiva ed è utile sia ai fini della misura che ai fini del diritto alla pensione. Il beneficio dovrà così essere calcolato: per ogni mese di attività lavorativa effettivamente svolta in condizioni di emergenza epidemiologica, viene riconosciuta una maggiorazione contributiva di tre mesi,  fino a un massimo di 3 anni.

«È doveroso precisare – afferma sempre il presidente Cusumano – che la maggiorazione contributiva ha natura di indennità, in quanto finalizzata a compensare una prestazione sanitaria resa in peculiari condizioni ambientali, senza che rilevino profili risarcitori derivanti dal contagio del Covid-19 o dall’inadempimento di obblighi di prevenzione del datore di lavoro (carenza strumenti di protezione)».

L’avv. Giovanna Cusumano illustrerà nei prossimi giorni i dettagli dell’iniziativa nel corso di  una conferenza stampa. La promotrice ha voluto sottolineare come questa proposta di legge si inserisce nel solco di quella “Giustizia distributiva” che riguarda le relazioni della società con i singoli individui e comprende ogni forma di distribuzione di beni fatta da una Autorità tra i membri della società. «È, infatti, una questione di giustizia ed equità che i medici e tutti gli operatori sanitari impegnati durante l’emergenza pandemica ricevano dallo Stato un trattamento pensionistico migliore rispetto ai loro colleghi “pre e post Covid-19”. Pertanto – conclude l’avv. Cusumano – poiché attraverso questa proposta di legge si tende a realizzare giustizia, essa non poteva non essere pensata e sostenuta da avvocati che sono strumento di giustizia per antonomasia, sebbene mai come in questo preciso momento storico si tenda maldestramente ed indegnamente di attribuire alla figura dell’avvocato una accezione sovente negativa». (rrm)

 

BANCHE, SOSTEGNO NEGATO ALLE IMPRESE
IN CALABRIA APPENA IL 25% DI RISPOSTE OK

di SANTO STRATI — I numeri sono impietosi e fotografano l’assoluta indifferenza degli istituti bancari nei confronti degli imprenditori. Non basta la garanzia totale dello Stato per i prestiti di liquidità (o per investimenti) che servono a far ripartire l’economia reale, no serve ugualmente una montagna di carte, bilanci, autodichiarazioni, prospetti contabili e quant’altro per far passare la voglia al più “disperato” operatore che pensa a salvare l’azienda, il lavoro, l’occupazione dei suoi dipendenti.

Bastano le cifre per far indignare anche il più tollerante dei cittadini: appena un quarto dei richiedenti i prestiti ha avuto risposta per i finanziamenti fino a 25mila euro (oggi diventati 30mila), mentre va peggio per le aziende che puntano ai prestiti fino a 800mila euro. Il Mezzogiorno e, in particolare, la Calabria, hanno trovato un incredibile muro di ingiustificata indisponibilità da parte delle banche, che portano avanti qualsiasi pretesto per negare gli aiuti finanziari che servono a far ripartire le aziende. Mentre la media nazionale delle mancate risposte è del 62%, al Sud la percentuale sale al 75%.

La burocrazia degli istituti di credito non conosce stop e la discrezionalità concessa ai responsabili della banche per l’accettazione della domanda complica ulteriormente la situazione. In poche parole, le banche non scuciono quattrini (su cui lo Stato garantisce al 100%) e trattano le richieste con una lentezza che fa davvero rabbia. Per dirla in breve, gran parte degli istituti di credito porta avanti le istruttorie dei richiedenti un aiuto finanziario nella stessa maniera con cui operavano in condizioni normali: tre-quattro settimane di istruttoria (a pagamento nell’era pre-covid) per poi concludere con una “semplice” richiesta della firmetta a garanzia, una fidejussione, a totale copertura del finanziamento, anche in presenza di garanzie Confidi, per esempio.

Stanno facendo la stessa cosa e qualcuno si è persino azzardato a suggerire che una garanzia personale (di tutti i soci) avrebbe accelerato l’iter burocratico preliminare alla concessione del prestito.

Siamo impazziti? La commissione bicamerale d’inchiesta sulle banche, presieduta dalla deputata grillina Carla Ruocco, è stata subissata da migliaia di messaggi – a volte disperati – di imprenditori ed esercenti che non riescono nemmeno a parlare col proprio istituto di credito. Tra liquidità e ritardi, il responsabile della Vigilanza della Banca d’Italia, Paolo Angelini, ha presentato alla Commissione un corposo dossier che mette in luce le criticità del sistema utilizzato per gestire i due decreti “liquidità” e “Cura Italia”. Viene fuori che gli incredibili e ingiustificati ritardi messi in evidenza dalla Commissione nell’erogazione dei prestiti non avrebbero ragione di esistere. Ma soprattutto emergono tempi di attesa incredibili perché gli istituti di credito devono comunque “valutare” il cosiddetto rating creditizio del richiedente. Secondo Angelini «la norma del decreto non esonera in modo esplicito dall’effettuare controlli», così che le istruttorie seguono un iter pressochè identico a quello pre-covid. Sembra corretto il controllo del profilo del richiedente per evitare situazioni di riciclaggio o di stretta vicinanza a organizzazioni mafiose, ma il merito del prestito – superate queste oggettive valutazioni – non può e non dovrebbe essere messo in discussione per quel che riguarda la “solvibilità” del richiedente. È troppo facile dare i soldi a chi non ne ha bisogno e negarli a chi è rimasto a secco e non può ripartire senza l’aiuto finanziario (si tratta sempre di prestiti, ricordiamolo) che lo Stato si è impegnato a offrire.

Peccato che le buone intenzioni del Governo, nell’ottica di aiutare l’economia reale, si siano scontrate con pressapochismo e totale superficialità. Ma il premier Conte e il suo ministro dell’Economia non hanno ascoltato i rappresentanti dell’Associazione Bancaria italiana prima di decidere di affidare agli istituti di credito la gestione dei crediti garantiti? E se sono stati “auditi” i responsabili, perché poi proprio dall’Abi sono state avanzate obiezioni sulla mancata tutela penale degli istituti che potrebbe derivare da prestiti andati a male?

La verità – sottolineata da Angelini – è che la mancata indicazione nei decreti della eventuale salvaguardia e tutela delle banche nelle operazioni creditizie, ha fatto sì che di fatto si autorizzassero le banche a seguire criteri autonomi di scelta su quali prestiti erogare e quali no. Con buona pace di imprenditori che si sono visti negare il prestito perché magari avevano avuto qualche “acceso” scontro verbale col direttore della propria filiale.

Altro tema di non minore importanza è quello dei tassi imposti al credito erogato: in alcuni casi si è arrivati a chiedere il 2,4%, valore che la presidente Ruocco ha definito troppo alto, per sentirsi ribattere dal capo della Vigilanza di Bankitalia che «i tassi sono già ai minimi storici e, a volte, insufficienti anche a recuperare il costo del rischio».

La verità è che i soldi non arrivano alle aziende, soprattutto alle più deboli (e la fragilità delle imprese nel Mezzogiorno è decisamente molto più alta rispetto al Centro-Nord) e la situazione sta innescando un allarme sociale di grandissima entità. Si presume che almeno un quarto di attività operative prima dell’epidemia non potranno riaprire o sceglieranno di non ripartire per le impossibili condizioni di mercato. Il rischio usura è altissimo, con il velenoso sguardo ammiccante del mafioso pronto con i suoi prestiti – impossibili da restituire con percentuali di interesse elevatissime e ovviamente insostenibili. Il risultato, spesso, come è già capitato altre volte, è che la mafia e la delinquenza organizzata mirano a impossessarsi di attività commerciali e industriali “sane”, per farle diventare ottime “lavanderie” di contante.

Cosa si deve e si può fare? La Commissione Ruocco sta facendo un’ottimo lavoro, ma è evidente che non è sufficiente mettere in risalto criticità e incongruenze nella concessione e nell’erogazione dei prestiti alle aziende. Occorre un atto di umità da parte di chi sta al Governo per ammettere di “non aver capito niente” e mettersi seriamente a trovare le soluzioni funzionali perché l’economia del Paese possa ripartire.

Alle banche – a quanto pare – non è servita la circolare dell’Abi del 6 giugno scorso che illustrava le novità introdotte dalla conversione  del decreto, ovvero la possibilità di erogare i finanziamenti senza necessità di ulteriori istruttorie, eccezion fatta per i controlli antimafia e antiriciclaggio. Basta un’autocertificazione per accedere ai prestiti. Qualcuno, forse, farà bene a spiegarlo ai funzionari di banca che s’impegnano a complicare la vita a chi crede nella possibilità di riaprire, ripartire, rimettere in moto l’economia. Quella della sua azienda che è poi quella del Paese. (s)

Buio in discoteca e zero divertimento al mare
Salvare la stagione turistica e gli imprenditori

La fase 3, che non significa liberi tutti, visto che il rischio del contagio è ancora possibile, continua, purtroppo,  a dimenticarsi di un segmento di imprenditoria che ha molto a che vedere con il turismo e una stagione da salvare: sono i gestori di discoteche, di locali pubblici, i responsabili di quello che, in condizioni normali, si sarebbe chiamato con il bruttissimo neologismo”divertimentificio”. Ovvero quel richiamo alla notte da ballare, da bere, da gustare, prevalentemente in riva al mare. Ma per questi imprenditori c’è buio totale, nessuna idea, né dal Governo centrale, nè da quello regionale: eppure il segmento discoteca e ballo coinvolge circa 100mila persone, la cui occupazione, in questa strana estate del 2020, è a serio rischio.

Il presidente dei giovani di Confcommercio di Reggio Sasha Sorgonà ha fatto proprie le istanze dei gestori dei locali della movida e parteciperà, a nome degli imprenditori calabresi del comparto al flash mob organizzato per dopodomani, mercoledì 10 giugno, a piazza Montecitorio. Il leitmotiv della manifestazione sarà “La vità è bella, la vita è ballo”, cercando di sensibilizzare Governo e forze politiche sulla gravissima situazione in cui tutto il settore è precipitato, con evidenti ricadute sulla stessa stagione turistica-balneare. Indubbiamente, pensare a serate al mare senza discoteca sembra un assurdo, eppure non sono ancora state previste né misure di prevenzione da attuare per consentire, anche in misura ridotta, l’attività di club e discoteche, soprattutto all’aperto, né sono stati previsti aiuti per sostenere la chiusura forza dei locali di intrattenimento sui quali grava l’ombra della chiusura definitiva.

In un comunicato diffuso dall’Associazione Italiana Imprese di Intrattenimento da Ballo e di Spettacolo (Silb) vengono sottolineati l’amarezza e lo sconforto: «La tempesta c’è stata – dicono gli imprenditori delle discoteche –. E pare anche parzialmente passata. La pioggia invece continua a cadere su una categoria: quella che per mestiere, la gente la fa divertire. E la fa divertire in sicurezza.

«Dopo 106 giorni di chiusura (e di silenzio) ininterrotta, gli imprenditori dell’intrattenimento riprendono la parola. Perché di imprese, come tutte le altre, si tratta. Si tratta di Pil, di gettito fiscale, di affitti, di lavoratori (100.000), di famiglie, di persone. Che potrebbero riprendere a lavorare con responsabilità, che hanno bisogno di aiuti economici (ma non arrivano). Qui, con la corona dei reietti (senza forse più virus), siamo rimasti solo noi. Mentre la società prende le distanze dalla paura con il metro di una maggiore responsabilità, mentre le strade si popolano e i sorrisi riprendono a sbocciare, seppur coperti da una mascherina, mentre le luci si accendono e dissolvono la nebbia della pandemia rivelando uno scenario di ben più modeste proporzioni ormai conclamato a livello europeo, nelle discoteche e nei locali notturni, nelle sale da ballo rimane il buio.

«Non possiamo accettarlo. Noi non siamo la “movida”. Parola usata per esprimere il lato deteriore di un “movimento” finalizzato a divertirsi pare, chissà perché, con una velata inclinazione alla scelleratezza. Noi siamo imprenditori che hanno stilato protocolli seri, rispettosi delle ordinanze, del vivere civile, della salute pubblica, al fine di riprendere le loro attività – ha detto Maurizio Pasca, presidente di Silb – Imprenditori che onorano regole di capienza dagli anni Settanta, che hanno locali strutturati al fine di garantire distanze di un metro, imprenditori che hanno proposto protocolli di sanificazione, tracciamento, sicurezza. Imprenditori che hanno creato procedure per la sicurezza di pubblico e lavoratori! E che hanno bisogno di aiuti economici perché sono stati i più colpiti. Chiediamo una data di riapertura in condizioni economicamente sostenibili».

«Se è possibile – fanno notare gli operatori del settore – ballare “sotto la pioggia” a un ristorante, al tavolo di un bar, su una metropolitana, in un mercato pubblico, per le strade di una Bergamo alta invasa di persone, in tutte le piazze e le vie d’Italia che in questi giorni hanno ripreso il vigore dei volti uno a fianco all’altro, non vediamo perché sia vietato “ballare” nel luogo deputato al ballo.  Quello dove la vita, nonostante il discredito gettato dal luogo comune, è sempre stata bella. Perché alla musica non servono parole. Alla politica invece si. Per questo adesso la tiriamo in ballo. Preferiamo usare “balla” come esortazione verbale anziché come sostantivo che si riferisce ad un’emergenza ormai derubricata a pseudo normalità da titoli come “12 regioni senza morti” oppure “epidemia finita il lockdown non serviva”. Sono titoli di giornali. Senza nulla togliere al senso di responsabilità che da sempre distingue noi di Silb, con i 4 miliardi di fatturato che rappresentiamo, vorremmo fare il rumore che serve per orientare l’udito all’ascolto di un fiume inarrestabile: quello della vita che riprende il suo ritmo, con le dovute precauzioni. Precauzioni che i nostri locali sono perfettamente in grado di far osservare, molto più dell’anarchia di una spianata fronte mare o di una festa improvvisata in spiaggia o in casa.  A proposito, riaprono gli stabilimenti balneari. I teatri. I cinema. I musei. Perché non i locali da ballo?».

Fin qui gli operatori della notte, ma anche per i gestori di stabilimenti balneari e locali pubblici che vivono di turismo non è facile affrontare questa stagione che si preannuncia davvero difficile. A mettersi di traverso per complicare ulteriormente si mettono anche i sindaci che, in alcuni casi, interpretano in modo soggettivo e molto più restrittivo le prescrizioni governative. A questo proposito, l’assessore regionale Fausto Orsomarso, che ha anche la delega al Turismo, ha fatto sentire la propria voce, stigmatizzando quanto accaduto a Praia a Mare dove il sindaco ha emesso una serie di ordinanze che hanno creato malcontento e disorientamento tra turisti e operatori. Non bisogna ha detto Orsomarso – «introdurre elementi di confusione e di discriminazione tra i territori. Condivido la preoccupazione degli imprenditori turistici e dei cittadini di Praia a Mare dopo l’emanazione delle ordinanze del sindaco che pone ulteriori limitazioni sia per la gestione degli stabilimenti balneari che per l’ospitalità turistica. Abbiamo tentato, tenendo sempre ben presenti le regole di base per il contenimento, di dare regole chiare e univoche,  come l’obbligo di registrazione per chi viene in Calabria da fuori regione o come l’indicazione secondo la quale gli immobili debbano avere la capacità ricettiva adeguata al numero di ospiti che vi pernotteranno, senza imporre la necessità di far parte dello stesso nucleo familiare. Il modo migliore per proteggerci dal contagio è rappresentato dal senso di responsabilità, dal rispetto delle distanze e dall’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale. Auspico che il sindaco di Praia a Mare recepisca le giuste istanze degli operatori della filiera turistica, consentendo l’avvio della fase del coraggio, nella quale si possa lavorare insieme per l’accoglienza in sicurezza dei turisti, che rappresentano la principale risorsa su cui l’economia locale può contare. Da parte mia assicuro il massimo impegno sul piano politico e per il mio ruolo istituzionale a sostenere, semplificare e liberare dai legacci burocratici l’impegno economico e personale di questi imprenditori che con tenacia e sacrificio realizzano giorno dopo giorno la principale opportunità di sviluppo e di lavoro vero per la nostra terra». (rrm)

La Calabria non “riapre” le imprese più deboli
In migliaia hanno rinunciato ai 2.000 € di aiuti

di SANTO STRATI – Quanto si temeva si è regolarmente realizzato: al bando “Riapri Calabria” che concede 2.000 euro alle aziende calabresi costrette all’inattività per due mesi a causa del lockdown, sono arrivate meno domande del previsto. Ci sono 40 milioni di euro per almeno 20mila aziende: hanno presentato la domanda col click-day solo 16.980 imprenditori (e si erano registrati 17.520). Mancano all’appello 3.020 aziende, le più deboli, le più in difficoltà. Quelle che non hanno potuto sottoscrivere l’autocertificazione di non avere pendenze con l’Erario (imposte e tasse arretrate) o con gli istituti previdenziali (i contributi per i dipendenti). E quanti altri imprenditori non hanno nemmeno tentato di fare due conti per estrarre la percentuale di perdita che li avrebbe qualificati per l’aiuto regionale? Aiuto modesto, ma utile e importante in questo deserto di iniziative finanziare a favore di chi ha dovuto interrompere l’attività, continuando a pagare i costi fissi dell’impresa: affitti, utenze, anticipazioni di cassa integrazione e quant’altro.

Da questo punto di vista l’aiuto regionale di “Riapri Calabria”, pur offrendo una boccata d’ossigeno (fino a 2000 euro a fondo perduto, cioè da non restituire) a svariate migliaia di aziende, ha fallito l’obiettivo principale, quello di venire incontro agli imprenditori con maggiori problemi. Come si ricorderà, all’inizio era stato previsto l’obbligo di presentare il cosiddetto Durc (documento unico di regolarità contabile) che viene rilasciato dall’Inps alle aziende per certificare che versano regolarmente i contributi sociali e non hanno debito con lo Stato. La mezza rivolta degli imprenditori e il suggerimento di molti commercialisti ha fatto abolire tale obbligo, sostituito però da un’autocertificazione, con evidenti rischi penali in caso di dichiarazione mendace, che molte aziende non hanno potuto sottoscrivere. Quanti imprenditori in difficoltà – e non solo per l’emergenza covid – hanno preferito qualche volta pagare gli stipendi ai dipendenti e rinviare (sottolineiamo rinviare non evadere) i versamenti dovuti per tasse e previdenza? Il 2019 non è stato un anno brillante per le imprese, i fatturati hanno registrato, in alcuni casi, vistosi cali per minore disponibilità di spesa dei consumatori, i pagamenti della Pubblica Amministrazione più volte promessi, pur in presenza di larghissimi ritardi, non sono arrivati e così diversi imprenditori hanno dovuto fare i conti con la mancanza di liquidità. Non supportata in alcun modo dagli istituti di credito in condizioni “normali” e ancora oggi mal gestita nonostante la garanzia totale da parte dello Stato.

Il Covid, con la sua terribile scia di poveri morti cui è stato persino negato un funerale, ha provocato altresì un’altrettanto disastrosa epidemia sociale nell’economia reale del Paese. Alla mancanza di liquidità è stato risposto con interventi complicati e resi ancor più inattuabili dall’incapacità delle banche di intuire la gravità della situazione. Ma a quale genio delle finanzia e dell’economia è potuto venire in mente di far gestire alle banche il famoso decreto da molti ribattezzato di “illiquidità”? Come si è potuto pensare di affidare a chi ha affossato l’economia reale del Paese con la negazione del credito, soprattutto nel Mezzogiorno e in particolar modo in Calabria, ad aziende sane, che garantivano posti di lavoro e imposte per lo Stato?

Il dramma del credito negato in Calabria ha spalancato, molto spesso – come ha denunciato più volte il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri – le porte all’usura mafiosa. Di fronte alla minaccia di catastrofe finanziaria, di fronte all’indifferenza degli istituti di credito, facile cadere in mano agli usurai, ancora più facile cadere preda all’usura della ‘ndrangheta che mira a impossessarsi di attività produttive, negozi, esercizi pubblici, i cui titolari alla fine non riescono a pagare gli interessi stratosferici richiesti. L’alternativa è chiudere, perdere tutto, visto che le banche sono assenti e il “compare che si offre a dare una mano” in realtà ha già messo gli occhi sull’azienda per conto proprio o del capobastone di turno.

Le banche hanno una gravissima responsabilità nella crisi economica pre-Covid: da tempo hanno smesso di esercitare il mandato che la società imponeva loro, cioè raccogliere risparmio e dare prestito alle imprese, preferendo la più facile via della finanza creativa. Zero rischi (apparentemente, ma la cronaca ci ha raccontato un’altra verità) al posto di stare appresso a “quattro morti di fame di imprenditori” in cerca di spiccioli per investire in produzione e lavoro.

Figurarsi nel post-covid cosa sono state capaci di inventarsi le banche pur di non dare denaro agli imprenditori. Forti di un decreto che andava buttato nel cestino e completamente riscritto, hanno accampato mille impedimenti, a loro dire imposti dalla legge bancaria, per dire no a prestiti che non sarebbero mai potuti finire nella categoria del NPL (non performing loans), ovvero dei crediti inesigibili, visto che c’è la garanzia totale – ripetiamo totale – dello Stato. E questo per i prestiti fino a 25mila euro (nella misura percentuale del 25% del fatturato dell’anno precedente). I numeri parlano da soli: il decreto è dell’8 aprile – sono già passati due mesi – ed è stato evidenziato che solo 1 prestito su due (fino a 25mila euro) e uno quattro (per i prestiti fino a 800mila euro) arriva alle imprese che lo hanno richiesto. Tanto per spiegarci meglio, su 559.139 domande presentate per il “mini” prestito fino a 25mila euro, sono state accolte 290.114. È andata peggio per le imprese che volevano investire nella produzione, richiedendo prestiti garantiti al 90% dallo Stato: accolte o erogate 11.663 domande a fronte di 48.252 richieste (poco più del 24%).

Gli istituti di credito hanno giustificato il ritardo perché il personale era ancora in smart working (neanche dovessero contare a mano i quattrini) e poi perché andava rispettata la procedura prevista dalla legge bancaria: presentazione della domanda, accoglimento, erogazione. Questo potrebbe andar bene in condizioni “normali” non nell’emergenza in cui eravamo e da cui non siamo ancora usciti. Per non parlare poi dei prestiti “importanti” sui quali – nonostante la quasi piena garanzia fornita dallo Stato, qualche banca ha ritenuto di avviare la classica procedura di finanziamento: una montagna di documenti, bilanci certificati, situazioni patrimoniali, business plan, dichiarazioni e autocertificazioni, ecc. ecc. per poi mandare la richiesta al vaglio della sede centrale, cui spetta l’ultima parola. Per farla breve se avete mandato qualche volta al diavolo il responsabile della vostra filiale, questi può permettersi il lusso di respingere la vostra domanda, adducendo qualsiasi pretesto utile per il comitato di credito della banca stessa. Ma allora, a cosa serve la garanzia statale se qualche istituto è arrivato persino a chiedere la fidejussione dei soci a ulteriore garanzia del prestito? In base a quale maledetto criterio imbecille si pensa di far ripartire il Paese se si blocca l’economia reale, quella dei piccoli imprenditori, dei commercianti, degli artigiani, dei ristoratori, quella che versa regolarmente il 16 di ogni mese l’F24 con tasse e contributi e permette allo Stato di pagare stipendi ai burocrati cialtroni che stanno mandando all’aria il Paese?

Il discorso è lungo, fermiamoci alla Calabria. A conti fatti avanzano quasi 5 milioni di euro dal fondo dei 40 previsto per il bando “Riapri” (sempre che vengano accolte tutte le 16.980 richieste): cosa si farà con quei soldi “avanzati”? L’assessore al regionale al Lavoro Fausto Orsomarso ha detto che saranno inglobati nel secondo bando, quello che prevede il sostegno all’occupazione, finanziando un terzo dei contributi dovuti se si mantiene stabile l’occupazione pre-covid.

Andava sicuramente fatto qualcosa di diverso, troppe categorie sono state escluse, pur essendo rimaste inattive nel periodo del lockdown. Occorre che la Regione s’inventi qualcosa per le categorie più a rischio d’usura.

La richiesta dell’autocertificazione dell’assenza di irregolarità amministrative non ha premiato i più virtuosi, ma le aziende più ricche, quelle che non hanno avuto difficoltà a versare tasse e contributi. Le altre, le più deboli, non certo gestite da “evasori fiscali”, sono rimaste a bocca asciutta. Con due opzioni: chiudere e mandare a casa i dipendenti, o cedere ai prestiti “facili” della ‘ndrangheta.

Senza bisogno di consultare la palla di cristallo, facile prevedere che un gran numero di saracinesche resteranno abbassate. E la bomba sociale della disoccupazione ,che già in Calabria era a livelli insopportabili scoppierà, in autunno, se non prima. A settembre ci saranno le elezioni in buona parte d’Italia (e a Reggio) dove non mancherà la solita abbondanza di promesse, ma questa volta nessuno starà ad ascoltarle… (s)

Giusy Versace racconta il suo lockdown oggi su SkyTg24 (16.30 e 21)

Oggi pomeriggio alle 16.30 la deputata reggina Giusy Versace racconta il suo lockdown su SkyTg24. La Versace è uno dei tanti volti che il produttore e regista Luca Vullo ha selezionato per dar voce a  Red Zones , il documentario in quattro episodi coprodotto da Ondemotive Productions Ltd & Videoplugger Ltd e in onda su SkyTg24, nel quale sono state raccolte le testimonianze di gente comune e volti noti, che raccontano a caldo gli effetti psicologici, emotivi e sociali provocati dal lungo periodo di isolamento che l’Italia ha vissuto per l’emergenza sanitaria da Covid19.
Il terzo episodio, dal titolo Bivium  e nel quale si racconta anche la Versace, andrà in onda oggi domenica 31 maggio alle 16:30 (con un successivo passaggio alle 21:00) su Sky TG24.
«Red Zones è stato per me una sorta di confessionale – racconta Giusy Versace – ho fatto diversi interventi sui social e sul web in questo periodo, ma mai come in questa occasione sono riuscita a tirare fuori i sentimenti più intimi e profondi che ho provato durante i quasi 2 mesi di isolamento. Sentimenti altalenanti come la paura per il virus, l’angoscia per i parenti lontani ma anche il desiderio di aiutare gli altri attraverso la solidarietà e la voglia di sdrammatizzare con le mie mascherine ‘fashion’. Sono, quindi, felice di aver contributo, con il mio racconto, a dare vita a questo importante progetto dell’amico Vullo e invito tutti a seguirlo non solo per la stima e amicizia che ho per il regista, ma perché lo reputo un lavoro ben riuscito non solo dal punto di vista registico e grafico, soprattutto per i contenuti che rappresentano un importante spaccato della nostra società e spunti interessanti per ognuno di noi.”

In questo terzo epidosio, oltre a Giusy Versace ci saranno contributi di Corrado Guzzanti, Jo Squillo, Sabrina Salerno, Rossella Brescia, Danny Virgillo e Filippo Ferraro di RDS. (rs)

Fase 2. Amarelli, Confindustria Cosenza: ripartenza a rischio in assenza di aiuti

Sono troppi i rischi di un inevitabile ritardo nella ripartenza per la cosiddetta Fase due: imprenditori, esercenti e commercianti hanno grosse difficoltà di cassa e il bilancio della prima settimana di riapertura delle attività commerciali e produttive non è brillante. Lo sostiene il presidente degli industriali di Cosenza Fortunato Amarelli secondo il quale «Le aziende devono gestire un ritorno non facile. Complicato perché denso di procedure, formazione, approvvigionamenti ed organizzazioni interne nuove. Il tutto con la difficoltà di dover affrontare queste novità dopo due mesi di fermo, con evidenti problemi di flussi di cassa. Con grande dignità gli imprenditori si stanno facendo carico di questa grave situazione in attesa di strumenti concreti che possano permettere di pensare al futuro in maniera positiva. La paura di non reggere quest’onda d’urto – denuncia il presidente di Confindustria Cosenza – rischia di indurre a ridurre costi, investimenti e progettazione. Questo l’Italia non può permetterselo. Le misure messe in campo dal Governo che riguardano la cassa integrazione o l’accordo sulla moratoria sui prestiti, hanno funzionato e sono fondamentali in questa crisi. Il decreto liquidità invece sta presentando non poche criticità nella gestione operativa. È stato chiesto alla banche – ricorda Amarelli – di fungere da intermediarie nell’erogazione per arrivare con rapidità a ristorare gli imprenditori. In realtà il sistema si è inceppato. Le banche, non sentendosi garantite a sufficienza, non hanno voluto cedere sulla loro discrezionalità. Quello che sembrava essere un ottimo strumento sulla carta, nell’attuazione pratica è servito quasi a nulla. La speranza è che attraverso le modifiche apportate possa tornare ad essere utile. In ogni caso, arriverà in forte ritardo».

In un’intervista all’Adnkronos – Amarelli ha detto che «La burocrazia non permette di porre in essere azioni che poi abbiano effetti immediati sul sistema produttivo. Gli strumenti messi in campo sono sufficienti, ma sulla capacità di arrivare presto nell’economia bisogna ancora lavorarci. I ritardi comportano la difficoltà delle aziende di far fronte alle proprie scadenze ed il rischio di fallire per il Covid-19. Non possiamo pensare – sottolinea il presidente di Confindustria Cosenza – che società già in difficoltà che stavano per cessare le attività si risollevino ora, però non dobbiamo far chiudere quelle che funzionavano. Se un’azienda muore, perdiamo la capacità di produrre ricchezza e di erogare stipendi. Il presidente di Confindustria in maniera decisa aveva chiesto ad inizio pandemia  di dare liquidità alle imprese, di poter sottoscrivere dei mutui trentennali garantiti dallo Stato, di saldare i debiti con i privati maturati dalle pubbliche amministrazioni e si sbloccare i 150 miliardi di euro stanziati per le opere pubbliche. Atti che se posti in essere in tempo sarebbero stati sufficienti per superare questo periodo creando anche posti di lavoro. Servono con urgenza strumenti nuovi di sostegno al consumo: imprenditori e cittadini devono essere incentivati ad investire nel futuro altrimenti tenderanno al risparmio. Ai miei colleghi – conclude Amarelli – dico di avere fiducia nel futuro perché gli imprenditori devono mantenere l’ottimismo che è alla base del nostro lavoro. Possiamo essere noi in questa fase a fare la differenza, se continueremo a progettare e a far crescere le imprese, risolleveremo l’occupazione e l’economia del Paese».  (ed)

La fotografia è di Luigi Salsini

La Calabria ha il tasso più basso di contagiosità
Ma per le imprese i 2.000 euro solo il 15 giugno

Pur con cautela, viene accolto con entusiasmo il dato che indica la Calabria la regione col tasso più basso di contagio in Italia (0,17). È un segnale che le misure di contenimento hanno funzionato e può diventare un importante elemento di attrazione turistica. Domani, intanto, viene pubblicato il bando definitivo di Riparti Calabria e le aziende potranno registrarsi sul sito della Regione, in attesa del click-day previsto per il 29 maggio. I 2000 euro, però, arriveranno alle 20.000 aziende (che ce la faranno a richiederli col click) solo il 15 giugno: prima dovranno essere contabilizzati come “aiuti” nell’apposito registro UE.

Bollettino Regione Calabria 23 maggio

La Calabria emerge nel report settimanale sull’indice di contagiosità come regione col tasso più basso: appena lo 0,17. È un dato confortante, mentre è in calo il trend nazionale sui valori di contagio, ma per la Calabria questo dato non solo conferma la validità della strategia adottata dalla presidente Santelli che ha “chiuso” il territorio calabrese al rischio di contagi dal rientro di calabresi dal Nord, ma diventa un punto essenziale per creare attrazione turistica nei confronti del territorio calabrese. È evidente che – se continuano questi valori – la Calabria possa aspirare a venir considerata una regione Covid-free: quale miglior richiamo per il turismo nazionale che, dimenticando obbligatoriamente le vacanze esotiche o in località estere, sarà alla ricerca di località “sicure” in Italia.

L'andamento del contagio

Nel grafico accanto è possibile notare la curva dei guariti in costante ascesa, mentre il livello di contagio si mantiene quasi inalterato ormai da diversi giorni. (rrm)

Aerosol contro Covid: la ricerca targata Reggio
Dal ‘Grande Ospedale’ una via per salvare vite

di MARIA CRISTINA GULLÍ – Un grande segnale di speranza per la cura contro il coronavirus arriva dal Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria. I primi risultati di una semplice, quanto rivoluzionaria, terapia a base di un comune farmaco antivirale, sono sorprendenti: su 14 pazienti trattati in 120 ore, 13 hanno reagito positivamente, confermando l’efficacia dell’intuizione dell’equipe specialistica del Gom  guidata dal dottor Pierpaolo Correale, Direttore dell’Unità Operativa di Oncologia, e il dott. Sebastiano Macheda, Direttore dell’Unità Operativa di Rianimazione. Lo studio, confortato da seri riscontri clinici, si configura come un trattamento efficace del danno polmonare acuto legato a Covid19 mediante una tecnica innovativa, basata sulla somministrazione del farmaco per via aerosol, adottata proprio per evitare effetti collaterali. Adesso si attende il via libera dell’Aifa (l’Agenzia italiana del farmaco) per la sperimentazione e lo studio clinico sulle tecnica utilizzata a Reggio: in questo momento, in attesa del vaccino, vanno percorse tutte le strade possibili alla ricerca delle cure necessarie per salvare vite umane. La ricerca del formidabile team di cui il Grande Ospedale Metropolitano va fieramente orgoglioso, per la competenza e la capacità dei suoi componenti, sarà brevettata come modello e troverà spazio in un’importante pubblicazione scientifica. L’aspetto ulteriormente interessante è che questa tecnica che ha utilizzato l’aerosol al 21% di ossigeno per la somministrazione del farmaco potrebbe avere implicazioni anche al di fuori dell’epidemia Covid in situazioni di danno infiammatorio polmonare, aiutando a risolvere altre gravi patologie polmonari non legate all’emergenza coronavirus.

Sebastiano Macheda
Il dottor Sebastiano Macheda: con il dottor Pierpaolo Correale e l’équipe medica del Gom ha sperimentato per via inalatoria un comune antinfiammatorio

«Sicuramente un’idea originale – ha detto il dott. Macheda – nata da uno scambio di vedute e un confronto col dottor Correale che si occupa da molto tempo di immuno-oncologia. Da esperto di immunologia mi ha manifestato in uno dei tanti incontri la possibilità di utilizzare l’adenosina, questo farmaco noto a noi come potente antinfiammatorio. E noi l’abbiamo messo in atto per via inalatoria, che non è quella utilizzata abitualmente: in genere si usa la via venosa, prevalentemente in cardiologia. Come antinfiammatorio ci siamo riferiti ai dati sperimentali sugli animali fatti soprattutto dal prof. Sitkovsky a Boston. Abbiamo quindi avuto la possibilità con un’idea mia e dei miei collaboratori di utilizzare il farmaco per via inalatoria. Questo ci ha consentito di non avere effetti collaterali che purtroppo si hanno per la via endovenosa e allo stesso tempo di vedere dei risultati, a nostro avviso positivi»

A questo proposito, il dott. Macheda ha detto che lo studio è stato presentato all’Aifa: «Speriamo dia esito positivo per cui sarà fatto uno studio in più centri clinici, uno studio multicentrico sperimentale, per verificare se questa azione,  sia antinfiammatoria, quindi di risoluzione del quadro clinico, sia anche antivirale perché c’è una negativizzazione del tampone, è reale o meno. Noi l’abbiamo vista, a noi sembra esserci, però i dati vanno confermati con metodo scientifico».

Il dott. Correale ha illustrato come si è giunti a sperimentare questa tecnica assolutamente innovativa: la terapia ha permesso di risolvere 13 casi di danno polmona­re acuto, con presenza di infiammazione che «non si manifesta solo per il CoVid-19 ma anche a seguito di ischemia, in presenza di infezione da vi­rus di influenza, o in caso di febbre. In un primo momento – ha detto il dott. Correale – si manifesta una polmonite interstiziale cui segue una tempesta infiammatoria dove ci troviamo tutta una serie di cellule e sostanze che, mentre prima agivano in maniera coordinata, ora agiscono in maniera totalmente scoordinata e tendono a peggiorare il caso. Esistono per questa fa­se già diverse speri­mentazioni. In questa situazione il paziente ha bisogno di ossigeno. Una circostanza che pone grossi problemi perché mette fuori gioco i meccani­smi di sicurezza auto­nomi del nostro orga­nismo. Quando le cel­lule muoiono liberano nell’organismo, in ma­niera massiva ATP dando così un segnale di pericolo. Si tratta di utilizzare un metodo con un farmaco naturale che è adibito a spegnere il sistema immunitario o altre indicazioni mediche mediante il quale stimoliamo il recettore dell’adenosina che è il più potente immunosoppressore, antagonizzando gli effetti pro-infiammatori dell’ossigeno. La terapia è stata capace di ridurre l’infiammazione in molti dei pazienti in un tempo molto breve, circa 120 ore e ha dato il via alla presentazione di uno studio clinico razionale che è poi sfociato nella ricerca presentata all’Aifa».

«Abbiamo trattato – ha dichiarato il dott. Massimo Caracciolo del reparto di Terapia Intensiva post-operatoria del G.O.M. – 14 pazienti con questa nuova metodologia, non solo con il farmaco, e i risultati sono stati incoraggianti: in 13 pazienti abbiamo ottenuto risultati positivi sia in termini di riduzione dell’infiammazione e quindi di miglioramento del quadro radiologico e, quello che era inaspettato, anche sulla negativizzazione del virus o sull’abbassamento importante della carica virale. Un solo paziente ha avuto degli effetti collaterali – ha avuto un broncospasmo – per cui non è stato possibile continuare la terapia. Noi ci aspettavamo dalla somministrazione di questo farmaco una possibile influenza sul ritmo cardiaco: in realtà, durante tutto il periodo della somministrazione non abbiamo avuto alterazioni della frequenza cardiaca e questo è un elemento molto importante».

La ricerca è stata condotta in collaborazione con il dott. Michail Sitkovsky, della Nor­theastern University di Boston, il prof. Antonio De Lorenzo del Department of Biomedicine and Prevention, dell’Univer­sità di Roma Tor Vergata, il prof. Fede­rico Bilotta del Department of Anesthe­siology, Critical Care and Pain Medicine del Policlinico Umberto I dell’Universi­tà La Sapienza di Roma, il prof. Michele Caraglia Department of Precision Medi­cine, dell’UniversitàVanvitelli di Na­poli. Nella ricerca sono stati coinvolti, oltre a Correale e Macheda e Caracciolo, gli altri medici e specialisti del Gom: Eleonora Iuliano e Rocco Giannicola di Oncologia Medica; Antonella Morabito dell’ Uoc Farmacia; Giuseppe Foti e Carmelo Mangano di Malattie infettive; Antonio Armentano, Nicola Arcadi e Carmela Falcone dell’Uoc Radiologia; Marco Conte di Microbiologia, Corrado Mammì di Genetica Medica e Giuseppe Romeo dell’Uosd Laboratorio di Tipizzazione Tissutale, tutti affiancati dai rispettivi team.

Grande soddisfazione è stata espressa dal Commissario straordinario del Grande Ospedale Metropolitano di Reggio, l’ing. Iole Fantozzi: «Il Gom ha reagito con grande professionalità, tempismo e coerenza davanti a quella che si temeva potesse essere una pandemia disastrosa». La Fantozzi, nel corso di un incontro con la stampa, ha tenuto a ringraziare tutti coloro che con vari ruoli, hanno lavorato assiduamente affinché tutto funzionasse per il meglio. Dagli «infermieri ai dirigenti, sanitari, medici, amministrativi, tecnici, tutti, con uno spirito di squadra che non si era mai visto – ha detto – si sono uniti per portare un contributo determinante alla gestione dell’epidemia».

A conferma della validità del modello adottato, il Gom ha voluto pubblicare un compendio ragionato di tutte le misure, le procedure ed i protocolli adottati dall’Ospedale di Reggio Calabria per fronteggiare con efficienza l’emergenza epidemiologica da Covid-19. Un lavoro frutto di équipe, coordinato dallo stesso Commissario Fantozzi. Il libro, pubblicato da A.L.E. edizioni e i cui proventi saranno interamente devoluti all’Unità Operativa di Oncoematologia Pediatrica del Grande Ospedale Metropolitano “Bianchi-Melacrino-Morelli” di Reggio, si caratterizza per una duplice valenza: quella antologica, perché raccoglie tutte le attività del Gom in relazione al Covid-19, e quella di programmazione e prevenzione, nell’eventualità di dover fronteggiare una nuova emergenza dello stesso tipo. Per questa ragione, sarebbe opportuno considerare questa pubblicazione come la piattaforma di un piano pandemico. (mcg)

L’amara drammatica verità del post-riapertura
Per negozianti e bar a fine giornata casse vuote

di SANTO STRATI – Quando a fine serata, il primo giorno di riapertura, hanno guardato il registratore di cassa, lo sconforto di molti esercenti, di troppi negozianti, ha raggiunto dimensioni inimmaginabili. Dopo 70 giorni di chiusura forzata (legittima e dovuta, per carità), il giorno della ripartenza, pur con molte incognite, sembrava dovesse riportare qualche timido sorriso sulle facce sconsolate di chi non vedeva né clienti né quattrini da troppo tempo. Invece, il disastro annunciato si è rivelato ancor più grave di quanto si potesse immaginare. Sette su dieci hanno riaperto (la percentuale nazionale si attaglia anche alla realtà calabrese) e di questi sette, dopo lo choc (pur se ipotizzato) del registratore di cassa con numeri a una cifra negli scontrini emessi, in molti – sfiduciati – stanno seriamente pensando di chiudere. Del resto, come si può dar loro torto? Non ci sono aiuti seri, le provvidenze annunciate con grande enfasi sono irraggiungibili se non totalmente impossibili, l’accesso al credito uguale a zero e il peso fiscale identico se non superiore a prima. Oltre, naturalmente, ai costi fissi su cui il Governo non ha ha avuto il minimo senso pratico di intervento. Continuare con la logica del credito d’imposta, pari al 60% delle spese di affitto è un’ignobile risposta a chi fatica da anni e versa regolarmente tasse e contributi e permette allo Stato di garantire i lauti stipendi ai burocrocrati ormai integrati nelle strutture dei ministeri. Funzionari che vivono una dimensione tutta loro, incapaci di valutare, capire,o appena immaginare la gravità della situazione.

Perché non ci vuole molto a comprendere che ci sono due ordini di problemi: da un lato agli esercenti viene richiesta l’adozione di misure di sicurezza che non sono gratis, dall’altra le stesse misure scoraggiano i clienti e fanno rinviare consumi e acquisti in tempi migliori. Veniamo agli esercenti: comprare gel, mascherine, plexiglas, disinfettanti, richiedere interventi di sanificazione, ecc. ha un costo. Già da 70 giorni baristi, ristoratori, artigiani, parrucchieri, barbieri, estetiste, ecc. non battono un centesimo sul proprio registratore di cassa e devono pure affrontare altre spese per iniziative di cui non si sa per quanto tempo saranno richieste. Facciamo un esempio pratico: il ristoratore Pippo che aveva venti tavolini per 80 coperti, dovrà rinunciare a due terzi di clienti (25 clienti al massimo) e garantire le dovute distanze di sicurezza. Ha un colpo di genio, ordina lastroni di plexiglas che facciano da divisorio tra un tavolo e l’altro. Siccome di 20 tavolini potrà utilizzarne appena sei, gli serviranno almeno cinque lastroni di plexiglas trasparente (non può mica mettere il polistirolo o il cartongesso…). Costo medio di ogni lastrone da 250 a 400 euro  oltre l’eventuale montaggio. Alla fine del giorno prima della ripartenza il nostro ristoratore avrà speso almeno 2/3000 euro per mettere in sicurezza il locale. Col rischio, naturalmente, che tali misure, a distanza di qualche mese possano non essere più considerate adeguate e dovranno essere sostituite o modificate. A fine giornata, il nostro ristoratore con due-tre giri di coperti avrà realizzato 75 coperti, se gli butta bene, contro i 240 del periodo pre-covid. Come farà a gestire il locale, gli affitti, il personale e tutto il resto? Se ha una cospicua somma da parte e vuol fare il missionario non avrà alcun ripensamento. Ma se è un onesto lavoratore che si spezza la schiena tutto il santo giorno facendo salti mortali per mantenere la famiglia e garantire il lavoro ai propri dipendenti, cadrà nello sconforto più totale. Già, perché c’è l’altra faccia della medaglia: il cliente. Scoraggiato da un servizio spesso poco funzionale e da obblighi che, pur se legittimi, risultano demoralizzanti (lunghe file per l’accesso nei locali o nei negozi, gel per le mani, guanti, mascherine, distanze da mantenere, ecc) finisce per rinunciare agli acquisti o ai servizi cui era abituato. Escludendo la cura del corpo (barbieri, parrucchieri, manicure, pedicure, massaggi) tutto il resto risulta persino superfluo, oppure – disgraziatamente per i dettaglianti – si può ordinare ad Amazon o a chiunque faccia e-commerce, restandosene tranquillamente a casa, senza file da fare, senza obbligo di mascherine, senza sentirsi addosso il rimprovero della cassiera perché ci si attarda nella scelta dei prodotti. Questo significa – in assenza di una seria politica di aiuti che compensi lo squilibrio provocato dal covid alla piccola impresa, al negoziante, al gestore di bar o di trattoria, che non c’è futuro altre che per il 30% (quelli che hanno deciso momentaneamente di non riaprire) ma per una larghissima fetta di operatori commerciali. Chiudono i negozi, le attività al dettaglio, se ne avvataggiano i grandi del commercio on line, e ci ritroveremo con centinaia di migliaia di disoccupati prima che arrivi l’autunno. E non parliamo qui del personale addetto al cosiddetto turismo balneare: quanti giovani quest’estate non avranno neanche l’opportunità di un lavoro part-time come bagnini, assistenti di spiaggia, aiutobanconisti, camerieri, ecc.? A piangere non sono solo i gestori dei lidi, abbandonati e trascurati, ma saranno migliaia di famiglie.

C’è, insomma,  una bomba sociale che sta per esplodere e il contagio della crisi economica non ha né eparina né plasma autoimmune che possano alleviare il rischio di morte: qui – scusate il macabro raffronto – avremo migliaia di aziende destinare a morte certa. E nessuno fa nulla. A cominciare dal Governo che offre solo le funamboliche capacità del premier Conte di restare sempre in equilibro sul filo delle promesse e degli annunci, quando in realtà servono fatti concreti. Serve denaro fresco e qui continuano a parlare di credito d’imposta. Ma quale imposta, quali tasse ci saranno da pagare se le aziende esalano l’ultimo respiro? Chi verserà i contributi previdenziali e assistenziali se la platea degli aventi diritto, i lavoratori, diventerà sempre più assottigliata, come se a uno spettacolo, pur importante e degno di attenzione, si recassero quattro spettatori soltanto.

Gli attori protagonisti, negozianti, esercenti, liberi professionisti, non solo non hanno visto il becco d’un quattrino da 70 giorni. L’elemosina dei 600 euro ha offerto, nella sua drammatica funzione, comiche surreali. La cassa integrazione è ancora un miraggio per oltre due terzi di lavoratori che a casa non hanno niente da mangiare, mentre continuano ad accumularsi bollette, utenze, affitti, spese di ogni genere. In Calabria, almeno, la metà di chi aveva diritto alla cassa integrazione l’ha ricevuto in tempi “umani”, ma non è sufficiente, serve tempestività e un minimo di buonsenso. Che i nostri governanti mostrano di non avere la più pallida idea di cosa possa essere.

Anche in Regione, per la verità, le cose non brillano: il 7 maggio in pompa magna sono stati annunciati 120 milioni di aiuti “immediati” da tradursi in 20.000 assegni da 2000 euro da destinare ad altrettante aziende indebolite dal coronavirus e impossibilitate a produrre reddito da 70 giorni, più il pagamento di un terzo dei contributi dovuti per i lavoratori cui viene garantito il mantenimento del posto di lavoro. Siamo al 20 maggio, il primo preavviso di bando pubblicato ha provocato una marea di proteste per l’assurdità dei requisiti richiesti (incluso il documento di regolarità amministrativa, ossia la dimostrazione di essere in regola con il versamento di tasse e contributi e, per buttarla sul comico, una certificazione firmata da apposito perito (con pagamento ovviamente a carico del beneficiario dell’aiuto) attestante la perdita di reddito. Ieri è apparso il preavviso numero due e, ancora una volta, si ha la concreta dimostrazione che a scrivere questi bandi siano funzionari privi di senso pratico (che avranno probabilmente fatto le scuole serali con Crudelia Demon). Non si capisce che ogni giorno in più che si rinvia ci sono decine di aziende che non riaprono più. Non si comprende che qui non si sta facendo beneficenza, ma si cerca, in misura abbastanza modesta, di rendere meno amara la vita di chi è rimasto fermo 70 giorni (pensiamo a parrucchieri, estetiste, artigiani, negozianti, baristi, ristoratori, ecc.). E per distribuire la miseria di 2000 euro (importanti, per carità, in un momento di panico totale) si continua a chiedere di certificare “lo stato di povertà” e quantificare le perdite. Poteva aver senso se a disposizione di questi imprenditori aspiranti morituri ci fossero 20-30mila euro ciascuno: ti dò il 50-60% di quello che hai perso, per farti riaprire, per farti recuperare la fiducia in uno stato che non è solo un “rapinatore autorizzato” a mezzo tasse, ma provvede concretamente a far ripartire il Paese. Invece no, per il contributo a fondo perduto l’azienda dovrà autocertificare che la sua “attività economica è stata sospesa ai sensi dei D.P.C.M. 11 marzo 2020 e 22 marzo 2020” e che il contributo non eccede il “fabbisogno di liquidità determinatosi per effetto dell’emergenza Covid-19”: che significa? Chi farà corsi accelerati per insegnare a comprendere le scritture dei bandi regionali si farà d’oro.

L’assessore al Lavoro Fausto Orsomarso, uno degli ideatori di “Riparti Calabria”, sostiene che per la misura flat dei 2.000 euro «sono richiesti una semplice autocertificazione e un documento di identità». Quando apparirà il bando e il relativo modello di autocertificazione ne riparliamo. L’altro bando, invece, riguarda le aziende con fatturati superiori a 150 mila euro (previsto un bonus fino a 15mila euro come sostegno all’occupazione). «Le due misure – ha dichiarato Orsomarso – sono accomunate dalla facilità di accesso attraverso piattaforme informatiche sulle quali sarà sufficiente caricare pochi documenti per completare la procedura e accedere direttamente agli aiuti. Niente obbligo di rivolgersi ai consulenti, niente firma digitale, diamo fiducia agli imprenditori calabresi, avviamo subito i pagamenti e rinviamo ad una fase successiva i controlli, sia quelli a campione da parte della Regione, sia quelli demandati a prefetture e Guardia di finanza cui invieremo i report delle domande. Abbiamo cercato di coniugare le regole alla semplicità e alla rapidità di intervento. La procedura prevede un ordine cronologico, che è quella che garantisce maggiore trasparenza, ma il sistema impedisce invii massivi e richieste multiple». Sembra un film già visto, ci perdoni l’assessore il nostro inguaribile scetticismo. Sarà una lotta all’ultimo (anzi “al primo”) click tra i mouse più veloci della regione. Su oltre 100mila piccole imprese potenziali destinatarie di questi miserevoli 2000 euro, una su cinque vincerà la medaglietta, sempre che, nell’attesa non abbia definitivamente abbassato la saracinesca e mandato a casa anche l’unico dipendente rimasto. (s)