Delusione e amarezza tra i giovani di Milano per il mancato rientro in Calabria

L’Associazione Calabro-Lombarda, presieduta da Salvatore Tolomeo, ha raccolto la delusione e i malumori di tanti giovani bloccati a Milano e in Lombardia e di fatto impossibilitati a rientrare in Calabria.

Cresce – secondo Tolomeo – il solco tra la Calabria e i suoi figli che vivono lontano: «L’enorme clamore mediatico che in questi ultimi giorni ha creato il diniego a tornare in Calabria ai ragazzi calabresi rimasti al Nord senza poter frequentare le Università, senza lavoro precario, senza soldi e le elevate spese da affrontare, mentre le famiglie in Calabria vivono in uno stato di preoccupazione ai limiti della sopportazione, sta inesorabilmente creando un distacco tra la Calabria e i suoi emigrati sia pure occasionali».

Il presidente dell’Associazione Tolomeo tira in ballo lo scrittore di Africo: «Gioacchino Criaco, intellettuale di alto spessore, anch’egli calabrese a Milano, dopo aver inutilmente lanciato appelli per consentire il rientro dei ragazzi in Calabria, ha chiaramente indicato chi non vuole il rientro: la politica calabrese!

E c’è assolutamente da credergli se la Regione, pur di non farli tornare, stanzia 3 milioni di euro per sostenerli nelle spese di mantenimento al Nord».

Tolomeo sottolinea che erano già state avviate procedure per il rientro sicuro: «E pensare – dice – che la  Federazione Italiana Circoli Calabresi, già dal 16 marzo aveva individuato una soluzione per un rientro regolare, controllato e sicuro per i ragazzi tramite un coordinamento Regione Calabria – Consultore Emigrazione della Calabria».

«Ci si chiede ora – dichiara Tolomeo – se queste migliaia di persone (circa 2.000 secondo la Presidente Santelli) avranno in futuro lo stesso amore per la loro terra come lo hanno avuto finora o, semmai, serberanno un risentimento nei confronti di chi li ha respinti a prescindere senza la cognizione che fossero sani ma ritenendoli sicuri contagiati senza prove per il solo fatto che provenivano dal Nord.

Se questo non auspicabile rancore si confermerà, caleranno al Nord i consumi agroalimentari di prodotti calabresi, i turisti del passa parola dal Nord verso la Calabria, il disprezzo per la politica calabrese come reazione.

Il tutto mentre si assistono a paragoni che accentuano il malumore dei ragazzi bloccati:

– il ministro Di Maio si autoelogia per aver fatto rientrare, con voli di stato, 4.500 italiani dall’estero, anche da zone di focolaio Covid-19;

– i mezzi pubblici a Milano circolano con a bordo passeggeri muniti di mascherina e pertanto considerati

– molte aziende del Nord sono rimaste operative e altre stanno riaprendo solamente con tampone preventivo e uso mascherine. Al lavoro anche con mezzi pubblici.

Ci sono le condizioni per una mobilitazione in sicurezza e rispettare e norme anche in Calabria. (zc)

Decreto liquidità: perché non funziona e non aiuta le aziende

Pubblichiamo il contributo di due esperti in campo contabile: il dott. Gaetano Condello (dottore commercialista) e l’avv. Giacomo Francesco Saccomanno (avvocato) che analizzano il decreto liquidità, individuando le tante criticità.

L’Italia in questa emergenza sanitaria ha pagato a prezzo alto la sua famosa burocrazia, che, soprattutto in questa situazione, ha avuto retroscena inverosimili, grazie a siti disorganizzati, inaccessibili da giorni e persone che aspettano sussidi per sopravvivere da troppo tempo.

In Europa, invece, la situazione è radicalmente diversa.

Tra le misure economiche adottate dall’efficienza tedesca, anche l’ormai famoso bonus di 5 mila euro per i lavoratori autonomi e per le piccole medie imprese che hanno fino 5 dipendenti a tempo pieno. A questo bonus si aggiunge un fondo federale da 9mila euro, che raggiunge quota 15mila per le imprese che hanno tra 5 e 10 dipendenti. Un mix di fondi locali e federali messi in campo per sostenere l’economia. Nessun limite di reddito per accedere ai bonus e ai fondi, nessun sito in tilt.

Ed in Italia?

Bonus Inps

Esito tragicomico.

Commercianti, artigiani e lavoratori autonomi: bonus di 600 euro ma non per tutti (sono esclusi i pensionati o i lavoratori dipendenti, anche con un part-time simbolico!!!)

Ma com’è andata?

L’Inps nella sua pagina aveva preannunciato che la richiesta delle domande sarebbe potuta avvenire dal 1° aprile, nonostante il decreto “Cura Italia” fosse datato 17/03/2020, e dove nei comunicati e nelle conferenze televisive fosse stato data per certa la celerità di questi aiuti e che i fondi sarebbero stati sufficienti per tutti. Ebbene, questa “celerità” è stata riscontrata in ben 2 settimane più tardi solo per presentare la domanda!

Qui nasce una prima considerazione: perchè?

L’Inps ormai conosce tutti i dati delle aziende, situazione, indirizzo… così come quando pretende di essere pagata, anche per una mera tardività sa dove bussare.

Quindi, ci si chiede il perché è stata imposta una procedura complicata quando l’aiuto sarebbe potuto essere automatico?

Sarebbe bastato anche un banalissimo sconto alla prima rata utile, prevista per il prossimo 16 maggio.

Inoltre, la categoria dei commercialisti ha da sempre potuto gestire, tramite apposite deleghe telematiche, le procedure che riguardassero i propri clienti.

Ebbene, l’Inps ha negato che tali professionisti potessero agire tramite delegati!

Il risultato è stato che, sin dai primi minuti dopo la mezzanotte del 1° aprile il sito fosse inaccessibile.

È noto a tutti che il sistema, è andato immediatamente in tilt e si sono verificate incredibili violazioni della privacy, in quanto si sono registrati casi in cui i contribuenti entravano nel sito con le loro credenziali e visualizzavano i dati di altri!

Nei giorni successivi i contribuenti sono stati costretti ad effettuare tentativi per ore ed ore, anche in orari notturni …

Successivamente, l’Inps, resasi conto della gaffe, ha dichiarato che anche i commercialisti sarebbero stati delegati per tali procedure… ma, alla data di oggi, ciò non è avvenuto nonostante i primi accrediti avvenuti giorno 15 scorso (a distanza di 1 mese). E non è finita qui!

Il Presidente dell’Inps, più volte, nelle varie interviste, aveva garantito che i fondi sarebbero bastati per tutti.

Beh … fonte Sky24, con post del 17/04 (1 mese dopo il decreto) ha riscontrato che mancano 48 milioni di euro per poter accettare tutte le domande!!!

Sospensione versamenti di marzo

Situazione molto imbarazzante!

Ebbene, districandosi tra i vari commi dei decreti, che spesso rinviavano ad altri decreti, modificati da altre norme (una giungla di burocrazia!!!) si è scoperto che il rinvio non riguardava tutti i tributi e contributi…

Sospensione versamenti di aprile e maggio

Situazione ancora più drammatica!!!

Dopo una paziente analisi nella giungla burocratica già citata, è emerso che tale sospensione potesse riguardare solamente i contribuenti che avessero avuto un calo di fatturato di almeno 1 terzo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ossia la sospensione dei versamenti di aprile riguarderebbe coloro che hanno avuto un calo di fatturato nel mese di marzo 2020 di almeno il 33% rispetto a marzo 2019, per i versamenti di maggio a coloro che nel mese di aprile 2020 avessero avuto un calo di fatturato di almeno il 33% rispetto ad aprile 2019.

Ebbene, ci si chiede come sia possibile durante un’emergenza sanitaria così importante, con attività chiuse e spostamenti limitati, chiedere uno sforzo così abnorme per l’aggiornamento tempestivo delle contabilità al fine di verificare se i versamenti possano essere sospesi, perché solo di sospensione si parla, e solo per qualche mese!

Credito d’imposta sulle locazioni

Pari al 60% del canone di affitto pagato (quindi, riservato solo a quelli che hanno potuto pagare), ma solo se l’immobile sia di categoria catastale C1 (negozi).

Conseguentemente, non possono beneficiarne tutte le attività diverse, come i laboratori artigiani (C3), gli uffici (A10) i commercianti all’ingrosso (C2), ecc.

Ammortizzatori sociali

Cassa Integrazione in Deroga: Si lamenta una terribile burocrazia, fatta di PEC ai sindacati, modelli da compilare, scannerizzare, fogli Excel da redigere, PEC da trasmettere alle Regioni che dovranno analizzarle per poi inoltrare all’INPS, cui seguiranno i pagamenti diretti … lungaggini burocratiche inconcepibili … i lavoratori dipendenti, quelli più fortunati, vedranno accreditati i loro stipendi ridotti non prima di svariati mesi!!!

Assegno per i dipendenti delle aziende artigiane: verranno gestite dall’FSBA (Fondo di Solidarietà Bilaterale Artigiane).

Qui, siamo nell’assurdo! Per avere possibilità di accesso, i datori di lavoro artigiani dovrebbero corrispondere al fondo contributi aggiuntivi negli ultimi 36 mesi, nella misura dello 0,60% sulle retribuzioni, cui si aggiungono euro 7,65 per ogni lavoratore al mese, e ciò nonostante la Cassazione si sia espressa contro l’obbligatorietà (sentenza n. 6530 del 10 maggio 2001, n. 8476 del 28 maggio 2003, n. 24205/2004 e n. 1530/2005).

Inoltre, solo se il fondo non avrà risorse disponibili le imprese potranno richiedere alle Regioni, con la trafila illustrata poco sopra, l’accesso alla Cassa Integrazione in Deroga, con ulteriori lungaggini in termini di erogazione.

Finanziamenti banca

La norma (decreto liquidità) parla di garanzia dello Stato per un finanziamento ammontante al 25% dei ricavi dell’ultima dichiarazione fiscale, oppure del doppio del costo del personale dipendente, con garanzia pari al 100% fino a 25.000,00 euro ed erogazione con iter veloce senza valutazione di merito.

Ebbene, le considerazioni da fare sarebbero tante, ci limitiamo a riportare quelle più importanti.

Innanzitutto, le banche, ad oggi, sono, certamente, impreparate, tant’è che nessuna pratica sembra sia stata fattivamente avviata e definita.

Fino ad oggi, gli istituti di credito si limitano a dare una consulenza generica e rimandare a “prossima settimana, in attesa di circolari esplicative”… e giusto per dare l’impressione al richiedente che saranno operativi con efficacia, chiedono bilancio 2018, denuncia redditi, modulo compilato, annuale iva 2020, bozza bilancio 2019 e certificato CCIA…

Ma non doveva essere un’istruttoria semplificata?

No, non sarà così, e tale concetto è stato ampliamente confermato dagli esperti del settore nei vari webinar che si sono tenuti.

La concessione è subordinata alla valutazione del merito creditizio da parte delle banche basata “sulla situazione finanziaria pre-crisi e non sull’andamento degli ultimi mesi, segnati dal Covid-19”; una formula vaga che attribuisce un enorme potere discrezionale al sistema bancario che, secondo le regole di Basilea -quelle che disciplinano l’erogazione creditizia-, valuta “in base alla situazione finanziaria pre-crisi”.

Per l’appunto, nella situazione finanziaria pre-crisi le banche già non erogavano fidi: perché le nostre piccole imprese sono, nella maggior parte dei casi sottocapitalizzate e sovra indebitate: in media, le imprese italiane hanno un capitale proprio pari alla metà del capitale che chiedono in prestito ad altri.

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nella conferenza stampa di presentazione del provvedimento, ha dichiarato che i finanziamenti, benché garantiti al 100% dallo Stato, saranno messi a disposizione “subito e senza aspettare l’ok del Fondo”. Peccato che non abbia specificato però quanto previsto all’art. 14 e cioè, semplificando, che le garanzie statali non saranno rilasciate per quelle imprese che, anteriormente al 30 gennaio 2020, avevano una posizione classificata in uno dei seguenti modi:

– di sofferenza, cioè con crediti la cui totale riscossione non è certa poiché i soggetti debitori si trovano in stato d’insolvenza (anche non accertato giudizialmente) o in situazioni sostanzialmente equiparabili;

– di partite incagliate, cioè con esposizioni verso affidati in temporanea situazione di obiettiva difficoltà che, peraltro, possa essere prevedibilmente superata in un congruo periodo di tempo;

– di esposizioni scadute o sconfinanti, cioè esposizioni che sono scadute o eccedono i limiti di affidamento da oltre 90 giorni e oltre una predefinita soglia di rilevanza;

– di inadempienze probabili, cioè esposizioni per le quali la banca valuta improbabile, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, che il debitore adempia integralmente le sue obbligazioni creditizie, a prescindere dalla presenza di eventuali rate o importi scaduti e non pagati.

Ricordiamo che tra le “sofferenze” possiamo trovare anche segnalazioni di imprese (tante) che, in questi ultimi anni, hanno portato come attori (e non convenuti) le banche in Tribunale per vedersi riconosciuti i loro diritti a fronte di abusi commessi (anatocismo, usura, ecc.), e che tra le “esposizioni scadute o sconfinanti” possiamo trovare anche imprese che da più di 90 giorni non sono riuscite ad onorare anche una sola rata del finanziamento ottenuto.

Ricordiamo, infine, che tra le “inadempienze probabili” possiamo trovare anche imprese che sono solo “sospettate” di attraversare un periodo di crisi finanziaria.

Infine, non c’è certezza dei tassi di interesse che saranno applicabili, così come i costi di istruttoria …?

Praticamente ed ancora una volta, l’ennesima norma a favore delle banche!!!

In conclusione…

Non c’è ombra di dubbio che gli aiuti si sono rilevati insufficienti e per nulla in linea da quanto si voleva lasciar intendere.

Tranne la misera somma dei 600 euro per come sopra evidenziato, null’altro si è fatto per dare un contributo a chi non ha potuto lavorare (imprese che devono pagare i dipendenti, i fornitori, le utenze, ecc.).

Nessuno sgravio fiscale, nessun fondo perduto, solo parziali sospensioni ed accesso al credito (i pochi fortunati) per pagare debiti di tasse e contributi!!!

E lo chiamavano il “bel paese”…

(Gaetano Condello e Giacomo Francesco Saccomanno)

Artisti calabresi uniti: una canzone contro il Covid-19

Uniti contro il Covid-19, con una canzone che fosse un inno alla vita alla ripresa collettiva e un aiuto alla ricerca, oltre che un omaggio al compianto cantautore crotonese Rino Gaetano.

È così che 48 artisti calabresi hanno dato vita al video Artisti calabresi uniti sotto un cielo sempre più blu, nato da una idea della giornalista Grazia Candido, l’attore e showman Gennaro Calabrese che ne cura anche la direzione e la preziosa collaborazione di Francesca Esposito per la regia e il montaggio del video la cui colonna sonora è suonata dal vivo dai musicisti Pasquale Campolo, Domenico Pizzimenti, Carmelo Coglitore e Vincenzo Commisso.

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La canzone è on line da alcuni giorni e il ricavato delle donazioni sarà interamente devoluto all’Associazione nazionale “Linfovita”, per sostenere i progetti a favore dei pazienti ematologici e la ricerca per i linfomi.

«Gli artisti calabresi in questo video – si legge in una nota – emanano una grande forza di dignità e una autenticità dei sentimenti reinterpretando una colonna sonora stilisticamente difficile ma “perla” indiscussa del panorama musicale. Prende forma un quadro di immagini simile ad una galleria di tipologie umane che, in questo testo, specialmente nel ritornello, si ritrovano tutti: il cielo guarda da lontano imperturbabilmente l’affannarsi di vincitori e vinti. E sotto lo stesso cielo blu, ricominceranno insieme una nuova vita illuminata dal cono di luce dell’arte che spargerà i semi autentici della rivoluzione di Rino, i semi del rispetto, dell’amore, della condivisione, dell’uguaglianza che ogni uomo ha il dovere di preservare e divulgare».

Al video, hanno partecipato: Pasquale Anselmo, Alfredo Auspici, Rocco Barbaro, Carlo Belmondo, Gennaro Calabrese, Pasquale Campolo, Rosario Canale , Pasquale Caprì, Vicky Catalano, Mimmo Cavallaro, Carmelo Coglitore, Vincenzo Commisso, Roberto D’Alessandro, Aldo Di Giuseppe (Aldo al Quadrato), Augusto Favarolo, Gianni Federico, Micaela Foti, Antonio Fulfaro, Ramona Gargano, Valentina Gemelli, Luigi Grandinetti, Elisabetta Gregoraci, Saverio Malara.

E ancora, Alma Manera, Paolo Marra, Giuseppe Mazzacuva (I non ti regoli), Domenico Milani, Gigi Miseferi , Santo Palumbo, Cosimo Papandrea, Samuela Piccolo, Peppe Piromalli, Antonio Pironaci, Alessia Pizzichemi, Domenico Pizzimenti, Chiara Ranieri, Marinella Rodà, Giovanna Scarfò, Giuseppe Scorza (I non ti regoli), Pasquale Sculco (Carboidrati), Tiziana Serraino, Paolo Sofia, Sabina Stilo, Antonio Tallura, Teresa Timpano, Valentina Tramontana, Giusy Versace, Aldo Zumbo (Aldo al Quadrato). (rrm)

«Vogliamo rientrare al più presto in Calabria»
Studenti e lavoratori lontani chiedono aiuto

di SANTO STRATI –

È un appello che rischia di diventare un urlo disperato quello che si leva da migliaia di studenti universitari fuorisede e lavoratori precari calabresi che sono rimasti, per scelta responsabile, lontano dalla Calabria.

Un sacrificio fatto con coerenza, per limitare il contagio e per preservare familiari, amici, conoscenti, data la provenienza da zone ad alto rischio. Solo che non ce la fanno più né loro né i loro familiari su cui pesano affitti, spese maggiorate, problemi di sopravvivenza quotidiana.

Da un lato sono svariate migliaia gli universitari fuori sede che ormai da due mesi si ritrovano “chiusi” in pochi metri quadrati a seguire lezioni online senza ricevere gli “indispensabili” pacchi della mamma o della nonna, con prelibatezze e viveri della propria terra. Spesso un grande, grandissimo, aiuto per ridurre al minimo la spesa quotidiana, oltre che un conforto per lo spirito (e la gola).

Ben più grave la situazione di quanti lavoratori calabresi con contratti precari e sistemazioni di fortuna si sono improvvisamente trovati senza lavoro e, qualche volta, persino senza alloggio (quando era fornito dai datori di lavoro). Una situazione insostenibile di cui deve farsi carico la Regione, pur con le opportune e necessarie cautele anticontagio: il rientro dovrà avvenire nel rispetto della quarantena obbligatoria per tutti, ma questo ulteriore sacrificio dovrà essere accompagnato da un aiuto economico che permetta di mantenere un livello dignitoso di vita.

Molti ricorderanno la grande fuga, impazzita, dalle città del Nord, dopo l’incauto annuncio del Governo della chiusura. Incoscienti e irresponsabili quanti sono scappati, portando il contagio (ed è cosa provata) in Calabria, mettendo a rischio la salute di nonni e genitori, i familiari più esposti alla pandemia. Tantissimi altri, studenti e lavoratori, hanno con grande senso di responsabilità accolto l’invito di fermarsi e aspettare, pur con tutte le problematiche che questa scelta avrebbe comportato. Adesso che s’intravede un piccolo spiraglio nell’emergenza sanitaria, è il momento di pensare a questi calabresi che meritano la dovuta attenzione, la giusta assistenza per rientrare in famiglia, nella propria terra.

Di questi disagi, ormai davvero non più sostenibili, si sono fatti portavoce in Consiglio regionale sia maggioranza che opposizione.

Una mozione di Giuseppe Aieta, capogruppo di Democratici e Progressisti ha chiesto alla Giunta e alla Presidente Santelli di voler «disporre misure necessarie e urgenti al fine di consentire, nel rispetto di tutti gli obblighi di sicurezza e di prevenzione, l’immediato rientro di tutti i cittadini calabresi rimasti bloccati nelle regioni del Nord». Aieta ricorda l’ordinanza del 22 marzo con cui si vietava ogni spostamento «al fine di evitare rientri “scellerati e non autorizzati”», e fa presente che sono almeno 30mila i calabresi che ad oggi non possono rientrare a causa della misura restrittriva vigente.

Secondo Aieta «L’impossibilità di rientrare sta causando gravissimi disagi e problemi, soprattutto agli studenti fuori sede che si trovano con entrate pari a zero nella situazione di non poter adempiere ai contratti di locazione e al sostentamento, e con gravi ripercussioni anche psicologiche derivanti dalla certezza di non farcela». Senza contare il disagio per tutte quelle famiglie che si trovano nell’impossibilità di poterli aiutare.

Per la maggioranza, Tilde Minasi della Lega afferma che la Regione sta già lavorando a questo proposito, ma al momento non risultano adottati provvedimenti di aiuto e sostegno per i fuori sede che vogliono (giustamente) rientrare.

«Non passano certo inosservati – ha dichiarato la Minasi – gli appelli di nostri numerosi corregionali che chiedono di poter rientrare in Calabria poiché, a causa di diversi motivi, si trovano a dover affrontare, in altre regioni, il periodo di quarantena imposto in tutta Italia senza poter avere, però, i mezzi per sostentarsi in questa fase di stallo particolarmente gravosa soprattutto per lavoratori precari, stagionali, o in attesa di ammortizzatori sociali. Un piano, tra l’altro, quello della gestione e del coordinamento dei cittadini calabresi domiciliati nelle regioni più colpite dal Covid, che la Lega – dice la Minasi – aveva già approntato quasi un mese addietro e pensato proprio per evitare l’esodo indiscriminato da un lato, e non abbandonare i calabresi dall’altro, gestendo in maniera ordinata i singoli casi. Il problema non è assolutamente sottovalutato dagli uffici regionali e dalla politica, dal momento che il dibattito sulla questione è vivo, così come il confronto, affinché si trovino soluzioni e si riesca a dare la giusta attenzione ai fuorisede».

Secondo l’esponente leghista «Il dramma dell’emergenza sanitaria ha avuto un iter veloce, inaspettato e ha riguardato persone ed attività, motivo per il quale si sono dovute approntare azioni mirate a tutto tondo, in modo da non tralasciare le esigenze di ampissime fette di popolazione. La Regione sta lavorando, quindi, anche nei confronti di chi chiede, legittimamente, di poter rientrare in Calabria perché ormai allo stremo, in particolare dal punto di vista economico.  La presidente Santelli, che ha gestito sino ad oggi con piglio deciso il contenimento del contagio da Covid, non è insensibile alle richieste di aiuto che si sono fatte più insistenti negli ultimi giorni, anche in considerazione del fatto che tanti di coloro che si stanno rivolgendo alle istituzioni regionali, hanno mantenuto saldo il principio di non allontanarsi dai luoghi dove si trovavano per non far viaggiare, insieme alle necessità espresse, il pericolo di una trasmissione verso i loro cari, come invece è accaduto con le ormai note fughe dei primi week end di marzo. Ma, anche a fronte di un comportamento irreprensibile e attento al bene comune, settimane senza lavoro o senza una remunerazione costante stanno minando ogni certezza».

Il capogruppo DP Aieta sottolinea che «è compito della politica intervenire, attraverso canali di soccorso» e che «occorre porre rimedio alla lacuna normativa, di fatto esistente, sia a livello nazionale che regionale, autorizzando rientri soprattutto in favore degli studenti fuori sede».

Il rientro – ha osservato la Minasi  – «dovrà essere gestito nella massima sicurezza, con direttive precise, sia per i diretti interessati sia per le comunità che li accoglieranno, e sono sicura che la governatrice non si sottrarrà (come ha fatto d’altronde negli ultimi mesi lavorando su tutti i fronti di questa imponente emergenza sanitaria) nel rispondere, in modo esaustivo, ai bisogni di chi necessita aiuto a migliaia di chilometri da casa, favorendo i ricongiungimenti familiari che, in questo caso, non si configurano solo come una questione affettiva, bensì di sopravvivenza».

Cosa e come fare dunque? Una ottimistica stima basata su opinabili proiezioni individua nel 1° maggio la data di zero contagi per la Calabria. Al di là delle valutazioni che spettano esclusivamente ha chi ha la responsabilità della salute pubblica (in questo caso la Presidente Santelli) sarebbe il caso di avviare immediatamente a Germaneto un tavolo di consultazione per studiare la soluzione più funzionale che consenta, nel più breve tempo possibile, di far rientrare in piena sicurezza, per loro e per i residenti, i calabresi sparsi in Italia (e parecchi anche all’estero). Non dimentichiamoci che con Erasmus sono centinaia gli universitari calabresi attualmente impegnati in studi all’estero. In questo caso, probabilmente, non si pone il problema del rientro – salvo specifiche richieste dei singoli studenti – quanto offrire loro un’assistenza e un conforto per superare la difficile e complicata situazione che il coronavirus ha creato ormai in tutto il mondo.

Il leader del Movimento Diritti Civili Franco Corbelli ha detto che continua a ricevere numerose richieste d’aiuto di parte di genitori, ragazzi e lavoratori rimasti al Nord: «Basta leggere alcuni di questi dignitosi messaggi per capire la loro sofferenza e, in alcuni casi, il loro dramma. È giusto e doveroso farli rientrare subito».

La prima cosa da fare sarebbe allestire un database per raccogliere le richieste di aiuto di studenti e lavoratori: un form, diffuso anche attraverso i social, che permetta in tempi rapidissimi di valutare l’ampiezza del problema. Un questionario semplice che sottintenda un intervento di sostegno e sia il primo passo per organizzare il viaggio di rientro. Non può, né deve essere, una fuga di massa: guai a provocare ulteriori focolai di contagio sui treni o aerei (anche se in atto funziona soltanto l’aeroporto di Lamezia), ma una ordinata e coordinata fila di partenze scaglionate che consentano un flusso controllato di partenze e arrivi. Italia Viva chiede di creare “un corridoio” programmando il rientro  previo test sierologici alla partenza: in un documento si fa presente che sono «tanti anche i giovani lavoratori rimasti senza lavoro e senza cassa integrazione, costretti a vivere con le poche risorse mandate da casa. Sono rimasti nelle loro piccole stanze, perché corretti e rispettosi delle regole che il Governo e la Regione hanno decretato, ma ora in troppi si trovano in grande difficoltà. Non stiamo parlando di “mammoni”, ma di lavoratori e studenti che si trovano da oltre 50 giorni fuori sede, senza poter svolgere la loro funzione naturale, per la maggior parte condividendo stanze con più persone ed adattandosi al meglio in un periodo dove gli spostamenti sono limitati allo stretto necessario. Molti di loro non hanno più risorse, figli di genitori che vivono con apprensione e con pochi mezzi questo distacco. L’appello lanciato in questi giorni da tanti, non può essere sottovalutato diamo una soluzione ai nostri conterranei. Diamo loro modo di tornare con buon senso, ma non aspettiamo che passi l’emergenza per ricordarci di questi ragazzi corretti, ragazzi che non hanno deciso di scappare al sud ma che vogliono sentirsi al sicuro in Calabria nelle loro case e con le loro famiglie».

È un diritto poter tornare a casa propria e ci sono troppe situazioni diventate davvero esplosive. Basti per tutte la storia dell’insegnante di sostegno calabrese, che vive a Milano col suo compagno musicista (ora disoccupato) in un monolocale di 40 mq che costa 900 euro al mese. Claudia, via social, ha lanciato il suo disperato appello alla Santelli: «Non abbiamo più la possibilità di mantenere un affitto qui e viviamo  da 54 giorni in una situazione di disagio, soprattutto a livello psicologico. Ci hanno detto espressamente che questo non è un motivo valido per rientrare a casa, in Calabria il 3 maggio. Qual è allora – chiede alla Presidente della Regione – la motivazione giusta per non incorrere in blocchi e sanzioni?».

Merita pure la massima attenzione la petizione, lanciata via web, dallo studente Antonio Iaconianni diretta al presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

«Sono ancora tanti  – si legge nella petizione che si può firmare on line – i giovani meridionali rimasti bloccati al centro nord a causa dei lockdown che si sono susseguiti per l’emergenza sanitaria tesa al contenimento del contagio del Covid-19. Chiediamo che vengano disposte misure urgenti ed indifferibili  per consentire il rientro immediato a casa di tutti gli studenti e di tutti i lavoratori, gli uni rimasti con le Università chiuse e gli altri rimasti senza lavoro, realizzando dei corridoi di sicurezza, con tutte le misure che le attuali norme prevedono, a salvaguardia della tutela di tutti. La richiesta ha carattere di urgenza ed indifferibilità in quanto la tenuta psicologia di questi ragazzi inizia a dare segnali di preoccupazione anche a causa di vere emergenze economiche».

Un altro appello è venuto, in questo senso, dal consigliere comunale di Catanzaro Giuseppe Pisano che fa un’annotazione decisamente interessante: «Un’analisi del Messaggero – ha detto Pisano – ha riflettuto sul fatto che, nel bene o nel male, il coronavirus è riuscito dove i numerosi provvedimenti sul rientro dei cervelli in fuga avevano fallito: riportare in Italia gran parte di quei 250mila giovani che negli ultimi dieci anni sono andati all’estero. Nel Paese più vecchio del mondo, questo straordinario esercito di giovani tornato a casa di fronte all’emergenza potrebbe dare un contributo fondamentale alla ripartenza. Presidente Santelli, valuti bene: questa analisi deve riguardare ancora di più i circa 30mila studenti calabresi fuori sede che non possiamo abbandonare e che devono rappresentare un patrimonio prezioso per la “fase 2”. L’auspicio è che questo impegno venga recepito quale atto di indirizzo in vista dell’approvazione del bilancio della Regione prevedendo uno stanziamento di risorse per le famiglie degli studenti e per chi ha perso il lavoro durante la permanenza lontano dalla Calabria»

Anche il sen. Ernesto Magorno (di Italia Viva), sindaco di Diamante, ha posto il problema: “Spero che la Presidente della Regione, Santelli, si attivi prontamente per organizzare il rientro dei tanti calabresi che si trovano fuori regione. Si tratta di persone che hanno compiuto un atto di amore e responsabilità – dichiara Magorno – rinunciando a passare la Pasqua vicino alle loro famiglie pur di proteggere il nostro territorio».

La parola adesso passa a Jole Santelli. La Presidente continua a sorprendere i calabresi con il efficace pragmatismo e la determinazione con cui affronta i problemi. Gli appelli ci sono, la realtà dei fuori sede è drammaticamente sotto gli occhi di tutti, Presidente li faccia tornare tutti a casa, subito e senza indecisioni.

(s)

Guariti i due pazienti del Nord ricoverati a Catanzaro. L’amarezza di Tallini per il Tg1

È una bellissima notizia la guarigione dei due pazienti del nord Italia che il 19 marzo scorso avevano trovato ricovero ospedaliero al Pugliese di Catanzaro: l’impegno costante dei medici e di tutto il personale sanitario li ha fatti uscire dalla terapia intensiva. Sono già tornati a casa e a suggello e conferma del grande cuore dei calabresi bastano le parole che hanno avuto nei confronti di chi li ha assistiti: «Siamo stati amati e curati da medici, infermieri e operatori socio sanitari. La Calabria è la nostra nuova patria». «Questi risultati – ha detto il dottor Antonio Talesa referente delle emergenze in Calabria – si possono raggiungere anche qui, l’importante è lavorare sodo e con umiltà: qui le professionalità non sono mai mancate». E il dottor Talesa non ha mancato di ringraziare i suoi collaboratori che hanno permesso di raggiungere un risultato che appariva molto difficile: il dottor Scozzafava della terapia intensiva e i dottori Cosco e Quintieri del reparto di malattie infettive. Una storia a lieto fine, dunque, se non fosse che il Tg1 ieri, dando notizia della guarigione di un paziente bergamasco ricoverato a Palermo abbia del tutto trascurato quella bella pagina di solidarietà calabrese..

A questo proposito, il presidente del Consiglio regionale Mimmo Tallini non ha potuto trattenere la propria amarezza: «È davvero imperdonabile – ha scritto in una nota indirizzata alla Rai – la mancanza di attenzione del Tg1 verso la Calabria. Nell’edizione di ieri sera, 19 aprile, è stato mandato in onda un servizio da Palermo per raccontare la storia di un paziente bergamasco ricoverato in quell’ospedale e guarito grazie alle cure dei sanitari siciliani. Non un cenno, né tantomeno un servizio per raccontare la bella pagina di sanità calabrese, con i due pazienti lombardi, uno di Bergamo e l’altro di Cremona, ricoverati nella terapia d’urgenza dell’ospedale “Pugliese” di Catanzaro e guariti grazie all’assistenza medica e al calore umano degli operatori sanitari calabresi. Nulla da togliere ovviamente alla bella storia di Palermo, ma come è possibile che il Tg1 abbia trascurato una storia ancora più bella, quella di Catanzaro. Le dimissioni dei due pazienti lombardi è stato un momento veramente commovente e intenso di questa battaglia che stiamo conducendo contro l’epidemia. Io credo che i medici, gli infermieri, gli operatori socio sanitari del “Pugliese” meritassero questo riconoscimento da parte del Telegiornale principale del servizio pubblico. È stata una pagina bellissima non solo perché l’ospedale di Catanzaro ha salvato due vite, ma anche perché ha trasmesso un’immagine di solidarietà nazionale, di un Sud spesso dimenticato che è però capace di grandi cose. Il ringraziamento dei due pazienti lombardi e il loro desiderio di tornare in Calabria per le vacanze resteranno scolpiti nella nostra memoria. La mia non è una protesta, ma solo un’amara considerazione che spero venga recepita dai vertici della RAI e dal direttore del Tg1 Giuseppe Carboni».

Covid19 / Come difendersi anche dal contagio delle notizie false

di ALDO MANTINEO – Fare sempre di più spazio a una nuova concezione “ecologica” del “fare” comunicazione, cioè prestare attenzione ai risultati che una corretta informazione contribuirà a produrre nella vita quotidiana di ciascuno di noi. Analizzando quelli che potrebbero essere i possibili scenari di lunga durata del post emergenza coronavirus (che, sia ben chiaro, andrà ben oltre la contingenza delle decisioni che verranno prese per regolamentare le tanto sollecitate fasi due e tre) Nicola Bruno, giornalista e digital producer, fact checker della prima ora e co-founder di effecinque.org, sito specializzato in formati innovativi di informazione digitale (che ha anche messo a punto il decalogo dell’esploratore di notizie digitali), prova a tracciare una possibile rotta da seguire già in questi momenti così complicati. Non a caso assieme a un gruppo di comunicatori, giornalisti e altri professionisti provenienti dal mondo dell’educazione sta mettendo a punto un programma, rivolto in special modo ai giovani, proprio per diffondere in maniera quanto più capillare possibile – anche con l’ausilio di ambassador sul territorio – questa nuova visione di un’informazione che sempre di più corre anche sui social.

  • Questa pandemia ha gettato definitivamente a gambe per aria un po’ tutto e nemmeno l’informazione ha fatto eccezione…

«Non c’è dubbio. Adesso non siamo più nel mondo in cui un messaggio di informazione partiva da realtà ben identificate come giornali e televisione per raggiungere una platea, indistinta nelle sue individualità ma ben definita, rappresentata da lettori e telespettatori.  Ora siamo tutti attivamente coinvolti nella grande rete dell’informazione, siamo parte di un sistema complesso nel quale la vera materia importante non è più l’informazione in sé stessa, le fonti dalle quali promana. La vera materia importante è l’attenzione, quella che gli americani chiamano engagement, cioè quanto le persone siano attive, quanti like metti, quanti “condividi” fai, con quanti “inoltra” alimenti questo flusso incessante di informazioni. Per non dire poi che oggi si fanno i conti anche con gli algoritmi capaci non solo di creare interfacce diversificate per ciascuno di noi ma anche di alimentare autentiche bolle informative per cui siamo sempre più in relazione con chi la pensa come noi. Con il risultato che tendiamo a essere meno aperti al pensiero “altro”. Ecco, tutte queste attività sono la vera benzina per far funzionare la grande macchina dell’informazione digitale e ciò riguarda sia i social network sia alcune testate più avanzate dal punto di vista tecnologico».

Nicola Bruno

  • Detta così sembrerebbe che l’uomo abbia ben poco spazio…

«E invece no. Anzi, proprio in uno scenario simile  ognuno di noi ha  una responsabilità ben precisa. Non sono per nulla un catastrofista, anzi sono un ottimista sul mondo dell’informazione digitale perché penso che adesso abbiamo molte più opportunità di sapere, molte più opportunità di indagare, molta più facoltà anche di scoprire se qualcosa sia autentico o meno rispetto a prima quando, invece, ci si doveva fermare davanti ai cancelli o ai muri invalicabili dell’informazione ufficiale. È chiaro però che con questa opportunità arrivano anche delle responsabilità che ci obbligano a non guardare più a questi temi come ad una questione personale – “mi informo bene, mi informo male” – ma con la consapevolezza di essere anelli di un’unica catena così che il mio agire avrà delle conseguenze anche sugli altri».

  • È questa la visione ecologica del “nuovo” modo di fare informazione?

«Ci sono alcuni studiosi che hanno fatto un bellissimo paragone tra ciò che si sta verificando nel sistema dell’informazione e la crisi ambientale e climatica determinata da una molteplicità di fattori, legati anche ai nostri singoli comportamenti quotidiani. Oggi la questione climatica è una rete che riguarda tutti i Paesi, riguarda i grandi centri così come le più piccole realtà che si trovano nella provincia sperduta: oggi una catastrofe locale in un piccolissimo paese potrebbe avere delle ripercussioni molto più grandi anche su scala internazionale. Basti guardare proprio a quanto accaduto con il coronavirus: l’iniziale crisi locale in un’area della Cina è diventata in poche settimane un evento globale.  Ecco, lo stesso dobbiamo pensarlo anche a livello di informazione:una piccola notizia falsa che condividiamo tutti pian piano cresce sino a creare un’onda. Poi quell’onda viene letta da un algoritmo e, a sua volta, viene diffusa da altre persone. Rendiamoci bene conto che un semplice “inoltra” che facciamo dà ad un algoritmo degli indizi e ciò avrà come conseguenza che quel contenuto inizierà a girare sempre di più… Ecco perché prima di condividere o “rimbalzare” un contenuto dobbiamo sempre chiederci: dove ci informiamo? E’ sostenibile andare su di un sito che, ad esempio, non ci dice chi c’è dietro, chi lo finanzia? Al tempo stesso dobbiamo anche cambiare un po’ i nostri consumi di informazione e le nostre stesse abitudini di condivisione compulsiva».

Il decalogo di Effecinque

  • Ma chi ci guadagna dalla disinformazione?

«Il sistema della disinformazione è qualcosa che trascende soltanto dall’estemporaneità. Chi ci guadagna da una cattiva informazione ? Certamente non l’utente… L’utente è quello che non ci guadagna proprio nulla. La produzione di disinformazione ha diverse motivazioni: quella più banale è economica, vale sui siti web ma vale anche su YouTube, dove appunto si viene pagati in base al numero di utenti che si riesce ad attirare. Poi c’è un altro livello dove la motivazione non è economica ma legata alla volontà di influenzare e orientare l’opinione pubblica. In questa arena ci sono dentro persone di diverso tipo: c’è il profilo del complottista ma c’è anche chi non crede alle cose per sua propria struttura mentale e quindi produce tanta disinformazione magari perché intimamente convinto che non bisogna mai fidarsi delle fonti ufficiali … Ma dentro questa sfera, però, soffiano sempre di più anche altri personaggi, altri attori come, ad esempio, i politici che lo fanno proprio per influenzare il dibattito. E poi c’è un ulteriore livello, ancora più su grande scala, di cui abbiamo oramai le prove con l’affaire Cambridge Analytica…»

  • Ma come possiamo regolarci se poi quella che viene etichettata come bufala buona solo ad uso di qualche chat, e cioè la “fabbricazione” in laboratorio in Cina del covid-19, viene invece “ripresa” e rilanciata anche dal sistema dell’informazione più strutturata, così come ha fatto nei giorni scorsi la Cnn?

«Non è roba da poco. Il caso specifico non ho ancora avuto modo di approfondirlo ma la prima cosa che mi vien da pensare è che non abbiamo più nemmeno le fonti mainstream – come appunto possiamo considerare la stessa CNN – delle quali poterci fidare. Questo però è un meccanismo che, purtroppo, negli ultimi anni abbiamo visto proporre sempre di più. È sufficiente che un politico dica qualsiasi cosa e i giornali, senza più nemmeno porsi il tema se quella dichiarazione sia attendibile o meno,  la riportino…. Oggi sui giornali, nei tg, si parla a volte di cose che non esistono ma se ne parla semplicemente perché c’è un esponente politico che sta soffiando su quel tema lì… ».

  • Non è comunque ipotizzabile nemmeno che tutti ci trasformiamo in fact checkers…

«Questo no, ma ciò non ci esime dal farci carico di  riflettere su come noi singoli utenti possiamo essere strumentalizzati con queste nuove forme di disinformazione. Ricordiamoci sempre che non siamo più in un mondo dove c’è chi manda la notizia e chi la riceve, viviamo in un mondo circolare dove c’è qualcuno che produce la notizia, qualcun altro che la riceve e un altro ancora che la diffonde sui propri canali personali… Ecco perché il nostro ruolo lo dobbiamo svolgere con responsabilità per evitare di diventare microfoni e amplificatori di chi vuol fare disinformazione utilizzando le nostre reti personali. È chiaro che un messaggio che inoltro io a una cerchia di miei conoscenti ha per loro un carico di fiducia considerevolmente più alto di altri analoghi contenuti. Ecco perché quando ci troviamo a diffondere notizie che fanno leva sulle nostre emozioni, sulle nostre paure, pensiamo sempre che potremmo fare disinformazione, facendo un torto a chi ci sta vicino e si fida di noi ma anche di essere strumento di campagne orchestrate in grande stile».

  • E comunque qualche strumento per difenderci e riconoscere le fake news lo abbiamo…

«Intanto impariamo a non condividere informazioni che non siano state adeguatamente verificate. E poi ci sono un paio di semplici accorgimenti.Ad esempio, quando ci imbattiamo sul web in titoloni tutti maiuscoli e con i puntini di sospensione molto spesso si tratta di click baiting. È come un amo al quale ci vogliono fare abboccare perché quando clicchiamo e andiamo su quella pagina quel sito con la pubblicità fa qualche centesimo in più… Occorre fare molta attenzione perché c’è sì chi, semplicemente, ci guadagna ma anche chi utilizza questi sistemi per attività più pericolose. Altri piccoli accorgimenti: su whatsapp c’è la spunta che ci avvisa se un messaggio sia stato inoltrato o meno e se la spunta è doppia vuol dire che si tratta di un contenuto del quale non si conosce la fonte originaria. O ancora sui social network, quando siamo ad esempio sulla pagina di un personaggio, assicuriamoci che ci sia l’ormai famosa “spunta blu” che in qualche misura garantisce che ci si trovi effettivamente sulla pagina di quel tale personaggio e non su una falsa pagina personale… Altra cosa, quando si va su un sito web, ad esempio di una testata giornalistica, verifichiamo sempre l’autenticità del dominio nella barra dell’indirizzo leggendo per bene quel che c’è scritto: non fidiamoci, insomma, della riproduzione, anche fedele, della grafica ufficiale di quella testata». (am)

[courtesy camminosiracusa.it]

Covid-19 / Innalzare la spesa sanitaria per produrre crescita di salute

  • La dott.ssa Mariateresa Fragomeni, già assessore regionale al Bilancio nella Giunta Oliverio, è una commercialista ed esperta contabile di chiara fama e collabora con la Luiss al Master di Risk Management in sanità. Questo il suo contributo in merito all’attuale scenario dell’emergenza sanitaria.

di MARIATERESA FRAGOMENI – L’emergenza Covid ha stravolto il nostro modo di vivere e, probabilmente, ci ha cambiato per sempre, come singoli e come comunità. In poche settimane, su tutto il pianeta, ci si è resi conto che non sono il libero mercato e l’economia, ma il senso di umanità e di solidarietà, che stanno tenendo il mondo insieme.

In ambito sanitario, l’emergenza Covid ha messo a nudo tutte le criticità ed i limiti di un sistema sempre più basato alle sole regole di mercato. Quanto, però, questo sistema sia in realtà fallimentare, lo si è visto in queste settimane. I modelli sanitari improntati al criterio della massima produttività, dove si privilegia la concentrazione ed il potenziamento dei settori a più alta redditività, mentre si abbandonano quelli a più alto rischio o basso rendimento (vedi le terapie intensive) sono collassati su se stessi. Al contrario, hanno retto, di più e meglio, quei modelli in cui il pubblico è più forte, dove si privilegia l’erogazione del servizio e la distribuzione sul territorio ed in cui il privato agisce ad integrazione del pubblico e non in sua sostituzione.

L’esperienza di questi giorni, ci ha insegnato, inoltre, che la salute non è solo un bene primario individuale, ma è un bene sociale da difendere e tutelare come interesse generale dell’intero paese.

E se la dimensione del problema è nazionale – anzi – sovranazionale – allora l’approccio allo stesso deve essere di ampio respiro, senza le tare ideologiche che caratterizzano il braccio di ferro tra l’apparato centrale e quelli locali. I principi di sussidiarietà e di decentramento vogliono che le amministrazioni locali si occupino di questioni di respiro locale, mentre quelle nazionali si occupino di questioni di ambito nazionale o internazionale.

La crisi di questi giorni ci ha ricordato (non si può dire insegnato, perché lo sapevamo già) che la cura della salute è una questione di carattere generale e nazionale, non certo regionale. Facendo un brevissimo excursus sulla disciplina del nostro sistema sanitario, va detto che questo è stato interessato, nel tempo, da una serie di interventi legislativi che lo hanno via via trasformato profondamente. Dal 1992, (con il D. L. n 502/92) al 1999 (con il d.lgs. n. 229/1999) si è passati da una concezione di assistenza pubblica illimitata, ad un sistema in cui la spesa sociale e sanitaria doveva essere proporzionata alla effettiva realizzazione delle entrate: le vecchie USL sono diventate ASL, ossia aziende pubbliche con a capo un “manager” e successivamente ASP (passando da un ambito territoriale locale ad uno provinciale).

Per contrappeso, è stato introdotto, sin dal ’92, il principio dei c. d. LEA, ossia dei livelli essenziali di assistenza, uniformi su tutto il territorio nazionale, ai quali, però, le singole regioni, con oneri a carico dei propri bilanci, avrebbero potuto aggiungere servizi ulteriori. Va detto però che la concreta attuazione delle riforme è sempre stata asimmetrica: se da un lato, infatti, si è data da subito attuazione ai principi “aziendali”, dall’altro è mancato, dall’inizio, un piano sanitario nazionale e la stessa definizione dei LEA, è arrivata molto più tardi (solo nel 2001).

Sul piano attuativo, poi, i livelli minimi non sono mai stati raggiunti ed applicati su tutto il territorio. Con la (a voler essere generosi) opinabile riforma del titolo V del 2001, infine, è stato costituzionalizzato il passaggio dal servizio sanitario nazionale a quello regionale.

Tuttavia, come accennato in precedenza, si è trattato di una riforma progettata male ed attuata ancora peggio. L’asimmetria tra il criterio dell’efficienza contabile e quello del livello adeguato del servizio, ha creato un vero e proprio circolo vizioso: da un lato, infatti, la mancanza dei servizi essenziali crea inefficienza e migrazione sanitaria, che si risolve in un disavanzo di gestione e nella risposta statale dei commissariamenti e dei tagli lineari, dall’altro non si può riuscire a garantire i livelli essenziali, senza effettuare investimenti ed assumere personale sanitario, cosa che però è resa impossibile dal regime dei piani di rientro che prevedono il blocco del turn over.

In realtà, se si guarda al servizio sanitario nel suo complesso, la sua regionalizzazione non ha portato dei miglioramenti al sistema globalmente inteso, ma ha solo trasferito servizi e risorse da alcune zone già povere e depresse, ad altre realtà c. d. (per autodefinizione) virtuose.

Il sistema, però, nel suo complesso, non ci ha affatto guadagnato:

– c’è stata maggiore confusione e sovrapposizione di competenze tra Stato e Regioni;

– il contenzioso è cresciuto a dismisura ed è cresciuta altrettanto esponenzialmente la spesa complessiva che, dal 2000 ad oggi, è aumentata del 69% in termini nominali e del 22% in termini reali.

Dunque la sanità, oggi, non solo costa complessivamente di più, ma funziona anche peggio, perché drena molte risorse che non finanziano il servizio in sé, ma la mobilità passiva.

Vi è poi un altro dato che merita di essere preso in seria considerazione, ossia quello che riguarda l’asimmetria nella ripartizione della spesa pro capite, che è molto più alta nelle regioni del Nord (mediamente del 50%) rispetto a quelle del Sud. E si tratta di un divario che è inevitabilmente destinato ad aumentare, soprattutto se si darà attuazione alle richieste di autonomia differenziata di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Eppure, soprattutto in tema di bisogni anelastici (o di domanda caratterizzata prevalentemente da componenti anelastiche) l’investimento in termini di spesa pubblica smette di essere produttivo oltre una certa soglia.

Secondo molti studi (ad esempio il modello Dea dell’Oecd, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) nei territori a bassa spesa sanitaria, un suo innalzamento può produrre una notevole crescita di salute, mentre nei territori che già spendono oltre una certa soglia – quelli evidentemente più ricchi , o che comunque, come in Italia, attraggono una quota maggiore di risorse pubbliche – un aumento ulteriore di spesa non garantisce un corrispondente aumento della salute generale.

Va dunque ripensato il ruolo delle regioni, che non possono essere le titolari di un settore così importante per i cittadini, dando vita ad un sistema frammentatissimo, con 20 sottosistemi diversi ed in concorrenza tra loro. Va però ripensato anche il ruolo del Governo: anch’esso frammentario e soprattutto improntato ad una logica ragionieristico-sanzionatoria.

Il Governo è infatti (o dovrebbe essere) responsabile della concreta attuazione dei LEA (la salute è prima di ogni altra cosa un diritto) ma, mentre è vigile e solerte quando si tratta di intervenire sul disavanzo, rimane di fatto inerte quando si tratta di agire sul disservizio.

Il punto è, però, che i due aspetti sono quasi sempre correlati, per cui, se c’è un disservizio, il cittadino andrà a curarsi altrove e la regione subirà una perdita economica. Per rendersene conto, basta prendere ad esempio quello che sta accadendo nella realtà calabrese dove, nonostante la sanità sia commissariata da oltre un decennio e la gestione sia stata caratterizzata da una politica di continui tagli lineari, il disavanzo, anche a causa della mobilità passiva, è sempre cresciuto. Va dunque rivisto, con una organica riforma legislativa, sia il ruolo del Governo che delle regioni, a queste ultime può ben restare la gestione – in termini rigorosamente esecutivo amministrativi – ma il sistema va pianificato e normato a livello nazionale.

Le procedure devono essere uniformi e più snelle ed a tal fine bisogna certamente agire sulla burocrazia, senza decentrare i processi decisionali, altrimenti si rischia solo di sostituire la burocrazia statale con quella regionale. Il Governo centrale, inoltre, ogni qualvolta si verifica un disservizio, deve intervenire non solo, in chiave squisitamente ragionieristica, sul relativo capitolo di spesa, ma piuttosto deve agire (e rimuovere) la causa concreta del problema.

La sanità, deve tornare ad essere un diritto, e come tale, deve essere garantita, per tutti i cittadini e su tutto il territorio nazionale. (mf)

 

Mariateresa Fragomeni, ex assessore al Bilancio alla Regione Calabria, è dottore commercialista
Gestore del rischio in sanità, collaboratrice direzione Master di Risk Management in sanità di Luiss Business School

CROTONE – Movimento Forense: proposto il reddito di quarantena

Un reddito di quarantena: è questa la proposta avanzata dall’avv. Salvatore Rocca di Crotone alla Presidente Jole Santelli. Il presidente del Movimento Forense di Cotone sollecita la governatrice della Regione Calabria a istituire da subito il “reddito di quarantena” per le famiglie calabresi più povere ed in grandissima difficoltà, comunicando altresì, la programmazione per consentire a tutti i settori produttivi e del turismo calabresi di ripartire, tutte le imprese sono al collasso: «Servono liquidità e soldi subito» – ammonisce preoccupato per i troppi vincoli burocratici. Non basta comunicare l’aver stanziato dei fondi, se poi la palude burocratica vanifica una eventuale programmazione emergenziale che, per questo, deve essere tempestiva. Ma quello della burocrazia non è l’unico problema.
Secondo il Movimento Forense «i sussidi e i trasferimenti annunciati dalla Regione Calabria e dal Governo prevedono ancora tempi troppo lunghi per poter concretamente aiutare le imprese, mentre il debito pubblico non fa altro che appesantire la pressione fiscale. Di questo passo si potrebbe prevedere la battuta d’arresto definitiva per le piccole e medie imprese», mentre alcune soluzioni individuate in Europa, per esempio in Germania, potrebbero garantire una ripresa immediata della capacità produttiva».
L’Avv. Rocca cita comeesempio la Federazione Svizzera che ha erogato un prestito a tasso zero per 60 mesi di 500mila franchi ad un’azienda in sole due settimane, relegando la burocrazia ad una sola pagina del modulo. «I provvedimenti annunciati dalla Regione Calabria e dal Governo non saranno fruibili subito, in particolare l’Italia è già indebolita dal debito pubblico ed è agganciata all’Europa: quando ripartiremo avremo il piombo alle gambe. Oggi le piccole imprese hanno una condizione di debito di partenza: devono sanarlo per non rischiare di indebitarsi ulteriormente». Per questo, occorre garantire soldi alle imprese subito per ripartire in maniera competitiva, superando i problemi che l’emergenza sanitaria ha creato». (rkr)

Disinformazione e fake news: l’altro contagio.
Il ruolo dell’Agcom, l’Autorità Comunicazioni

di ALDO MANTINEO – Un sistema dell’informazione “strutturata” decisamente più maturo, che ha imparato – e sta continuando a farlo – “come rapportarsi al ruolo della conoscenza scientifica e come la ricerca di sensazionalismi danneggi la società nel suo complesso”. È la fotografia della complessa “industria” delle news così come, verosimilmente, verrà fuori dal tunnel di questa pandemia che ha letteralmente stravolto consolidate certezze, a ogni livello, e creato pericolosi vuoti che troppi provano a colmare non senza approssimazione. È un’analisi che si muove tra le poche (provvisorie e mutevoli) certezze che oggi la conoscenza scientifica riesce ad offrire sul coronavirus e la straordinaria abbondanza di informazioni che vengono riversate, attraverso ogni canale – più o meno codificato –   nella nostra quotidianità quella di Antonio Nicita, siracusano, docente di politica economica alla Lumsa e, da gennaio 2014 commissario dell’Agcom, l’Autorità per le Garanzia nelle Comunicazioni, occupandosi in maniera più specifica di infrastrutture e reti. Autore di numerosi saggi, Antonio Nicita aveva lasciato il suo incarico all’Agcom al quale era stato chiamato dal Parlamento a novembre del 2013 in quanto il mandato era già scaduto ed era stato prorogato una prima volta. L’esplodere dell’emergenza coronavirus ha indotto il presidente dell’Agcom a chiedere a Nicita di congelare le proprie dimissioni per continuare a dare il proprio contributo di idee, progetti, analisi e proposte in un momento nel quale anche l’intero sistema dell’informazione è chiamato a svolgere con – se possibile – ancora maggior senso di responsabilità, il proprio ruolo.

– Professore, sull’emergenza coronavirus (in tutti i diversi aspetti nei quali viene declinato) in giro c’è tanta buona e puntuale informazione così come se ne trova anche molta altra quanto meno discutibile. Non direi, invece, che ce ne sia troppa come si argomenta da qualche parte. Il problema non è, semmai, che c’è una diffusa scarsa capacità di valutare e “pesare” le diverse notizie (non sempre tali…) che scorrono incessantemente sotto i nostri occhi sugli schermi di tutti i device dei quali non sappiamo più fare a meno? La corsa alla condivisione, che sembra essere l’unica “regola” alla quale attenersi nel mondo dei social, ha acuito questa diffusa difficoltà di analisi dei singoli contenuti?

«Distinguiamo innanzitutto l’evoluzione della conoscenza su questo nuovo virus e l’informazione sulla conoscenza disponibile. Dalla metà del mese di gennaio le notizie hanno ‘inseguito’ le conoscenze scientifiche del fenomeno e queste sono state, inevitabilmente, provvisorie e talvolta contraddittorie. I dati su cui è stata costruita la nostra conoscenza scientifica del fenomeno, cosi come comunicata dall’Oms, si sono basati soprattutto sul caso cinese. Sapremo, con il tempo, se quei dati hanno fotografato solo una parte di un fenomeno più ampio, in termini numerici. Il punto è che, basandosi su quei dati, il Governo italiano ha attuato misure di prevenzione nella convinzione che non ci fossero stati i tempi per una epidemia in loco. Ciò ha fatto si che l’informazione ci abbia raccontato un virus d’importazione, l’attenzione ai rapporti con persone che provenivano dalla Cina, circostanza che in alcuni casi ha anche generato pregiudizi e sospetti nei confronti della comunità cinese in Italia. Ciò ha comportato che non fossero indagate molte persone con sintomi ricoverate negli ospedali. Poi abbiamo drammaticamente scoperto che il virus stava già in Italia da molto tempo e vi sono stati approcci contraddittori tra il virus come influenza e il virus come epidemia ad alta letalità. L’informazione è stata corretta ma ha dovuto seguire conoscenze incomplete e in continuo aggiornamento. L’informazione sul virus è stata tanta, le emittenti televisive hanno dedicato oltre il 50% delle notizie al tema. Ma ovviamente su questa incertezza ha anche proliferato la disinformazione, inclusa quella organizzata”.

– Nodo fake news. Di recente anche l’Unione Europea si è mobilitata e nei suoi rapporti parla anche di una massiccia immissione di notizie false – create in ambienti politici precisi e in contesti geografici ben individuati – che nelle prime settimane del dilagare in Europa dalla pandemia hanno avuto come bersaglio specifico Paesi come l’Italia. Una dimensione Internazionale del fenomeno che fa il paio con quella più domestica che si concretizza in un flusso quotidiano, incessante, di false notizie che si inseguono di chat in chat… come giudica questo fenomeno dal suo osservatorio dell’Agcom?

«La Commissione Europea ha avviato subito un atto di indirizzo, ma l’Agcom ha anticipato con un proprio richiamo a tutte le emittenti radio-tv, la Commissione Europea. Il tema non ha riguardato soltanto il web ma anche talune trasmissioni televisive nazionali e alcuni programmi di televendita di prodotti para-farmaceutici anche su emittenti private. Agcom ha fatto uno studio sulle principali dieci notizie false riguardanti il coronavirus e ha misurato, con un proprio algoritmo, l’esplosione nei mesi di febbraio e marzo, della disinformazione online. I siti che da molti fact-checker vengono indicati i come produttori di disinformazione hanno dedicato quasi il 40% della propria disinformazione al coronavirus. Alcuni studi stranieri mostrano come la bufala che mostrerebbe correlazioni tra il 5G e il coronavirus proviene da siti ben organizzati stranieri, con le stesse modalità che in passato hanno riguardato meccanismi di disinformazione durante le elezioni in alcuni Paesi. Segno che c’è chi elabora strategie id disinformazione, puntando sulla paura e sulla preoccupazione delle persone, per fini di destabilizzazione, alimentando la sfiducia nelle istituzioni».

– L’Agcom è intervenuta in più occasioni anche sanzionando comportamenti irregolari… 

«L’Autorità ha richiamato alcune emittenti nazionali per la superficialità con la quale hanno contribuito a rilanciare alcune notizie false, ad esempio quella circolata su Facebook in relazione agli effetti “miracolosi” di un farmaco utilizzato in Giappone che poi si è scoperto non essere ancora oggetto di sperimentazione in quel Paese, in quanto, come ha dimostrato un report del Corriere della Sera, quel tipo di farmaco sarebbe ancora in una fase di definizione di protocolli. L’Autorità ha anche deciso di sospendere per sei mesi, ai sensi della normativa vigente, l’attività di talune trasmissioni di sedicente informazione scientifica in realtà aventi natura di televendita di prodotti parafarmaceutici. Infine l’Autorità ha rivolto un atto di indirizzo anche alle piattaforme online, finché, con la loro autoregolamentazione, possa no contrastare questo tipo di fenomeni».

– Nella battaglia per affermare il primato di un’informazione ancorata a dati oggettivi, verificati, che aiuto può venire dal mondo dell’intelligenza artificiale? Che ruolo stanno già avendo oggi i big data nel modo di produrre informazione? Adesso si punta, tra l’altro, su un progetto che utilizza proprio whatsapp  per verificare l’attendibilità di una notizia: che risultati stanno maturando? Qual è lo scenario che si profila?

«Sicuramente, gli algoritmi cosi come svolgono un ruolo nel proporre determinati tipi di contenuti e di disinformazione proprio a quei soggetti che mostrano più attenzione e interesse a questo tipo di contenuti, cosi possono evitare fenomeni di polarizzazione. Sono allo studio diversi meccanismi, da parte delle piattaforme, per identificare questo tipo di strategie e contrastarle. Agcom non ha al momento alcun potere sulle piattaforme online, ma ha aperto tavoli di confronto rispetto all’autoregolamentazione che le piattaforme online si sono date. All’interno di questo tavolo è partito un progetto molto interessante con WhatsApp per il quale l’utente può rivolgere a un numero di WhatsApp che corrisponde ad un fact-checker scelto dalla piattaforma, i contenuti che ha ricevuto sul coronavirus per sapere se gli stessi sono stati oggetto di factchecking. È un esperimento importante perché si fonda sulla consapevolezza e la capacità critica dell’utente anziché sulla eliminazione della notizia, facendo quindi salva la libertà di espressione, anche quando essa di fatto è solo lo strumento privilegiato degli strateghi della disinformazione”.

– Spingiamoci avanti con lo sguardo, al momento in cui la pandemia sarà alle nostre spalle. Come immagina che sarà, in quel momento, il sistema dell’informazione? Il fruitore medio dei contenuti di informazione, indipendentemente dallo strumento che utilizzerà, lo immagina più avvertito è consapevole di quanto non sembra lo sia oggi? Che ne sarà dell’editoria tradizionale (giornali, tv generalista e radio)?

«Dipende da noi. Questa vicenda drammatica del coronavirus deve farci capire che la conoscenza scientifica non ha la verità in tasca ma procede, con umiltà, alla verifica di ipotesi ed è quindi lo spazio più protetto e sicuro nel quale avviare il dibattito e il progresso delle provvisorie verità scientifiche. Le fake news invece ci offrono certezza e sicurezza, ma proprio per questo dobbiamo dubitarne. Chi ci offre complotti e sospetti sta parlando alla nostra pancia affinché la nostra testa smetta di pensare. Credo che tutta l’informazione abbia imparato come rapportarsi al ruolo della conoscenza scientifica e come la ricerca di sensazionalismi danneggi la società nel suo complesso. C’è una domanda di informazione di qualità e occorrono politiche di sostegno al lavoro e alla missione del giornalismo autentico che non cerca facili risposte e che aiuta il cittadino a ragionare con la propria testa senza cercare il conforto dei complottisti o dei facili profeti». (am)

[courtesy camminosiracusa.it]

«La Calabria destinazione anticovid-19»: la proposta di Riviera e Borghi degli Angeli

La Calabria una destinazione antiCovid-19. È questa l’idea lanciata da Franco Leto, presidente dell’Associazione Riviera dei Borghi e degli Angeli, anche lui fortemente preoccupato dalla crisi del settore turistico-commerciale a causa del Coronavirus.

Per il presidente Leto, infatti, «bisogna fin da ora pianificare la ripartenza, il rilancio del settore turistico, a partire dalla riprogrammazione della prossima stagione estiva balneare, senza dar retta a trovate commerciali e idee balzane».

E l’idea di proporre la Calabria come destinazione anticovid nasce dal fatto che «abbiamo 800 km di costa, spazi importanti ed enormi sulla costa da vivere in tranquillità e con le giuste distanze, spiagge lunghe ed un mare straordinario, dove senza “artifizi” alcuni si possono veramente trascorrere delle vacanze salutari, coccolati dal sole e respirando a polmoni pieni lo iodio del mare».

Tuttavia, «i rischi del tracollo e del fallimento – ha proseguito il presidente Leto – sono però dietro l’angolo se non si interviene subito e concretamente con l’Unità di Crisi Regionale, ora convocata dall’assessore regionale al Turismo on. Fausto Orsomarso».

«Devono ascoltare le proposte degli Operatori e dei vari territori – ha proseguito il presidente Leto – a partire da quelli che hanno fatto uno sforzo per costituirsi in Distretti Turistici. Serve però anche un piano pubblico strategico straordinario che sappia immettere liquidità nel sistema – subito e senza tanti fronzoli burocratici e tecnocratici, senza indebitamenti delle aziende – a reale e diretto sostegno delle famiglie, dei lavoratori, delle aziende».

Per il presidente Leto – sempre che questa emergenza si chiuda per il mese di maggio – bisognerà «far partire delle campagne di contro-informazione e di “marketing sulla salubrità” di respiro nazionale e la Calabria può e deve diventare destinazione salutare post-Covid per tanti viaggiatori e turisti anche e soprattutto in estate (da sempre le vacanze al mare e col sole, immersi nel natura e con l’aria pulita e con la possibilità di avere vicino montagne o colline, hanno rappresentato “cure naturali” per diverse problematiche di salute anche e soprattutto respiratorie)».

«Aggiornarsi, formarsi e prepararsi – ha proseguito il presidente Leto – al rispetto delle disposizioni sanitarie e di sicurezza in materi di ricettività e servizi turistici; sbloccare riconoscimento dei Distretti Turistici Regionali con relativi fondi strutturali loro supporto e sviluppo, già previsti e programmati; sbloccare subito fondi dei bandi regionali sui “borghi” sia per Comuni che per i privati (bloccati da oltre due anni) con la concessione dei contributi previsti secondo graduatorie; facilitare la vita degli operatori con agevolazioni fiscali, bancarie, con piani di detassazione possibili e con sostegni diretti alle casse delle imprese». (rcz)