Elezioni / Oliverio: le solite promesse elettorali dei partiti sulla sanità calabrese

L’ex governatore Mario Oliverio, in corsa con la sua lista Oliverio Presidente per la Calabria” ha stigmatizzato le ormai abituali (e inutili) promesse elettorali dei partiti di governo a proposito della sanità calabrese. «In questi giorni di campagna elettorale – ha dichiarato – stanno scendendo in massa in Calabria esponenti del Governo e dei partiti di centrodestra e centrosinistra per sostenere i rispettivi candidati alla Presidenza della Regione. Con sfacciataggine parlano del disastro della sanità come se loro non contasseró nulla e non fossero i principali responsabili della grave situazione in cui versa la sanità calabrese. 11 anni di commissariamento ad opera dei Governi di tutti i colori dovrebbero fare arrossire o quantomeno tacere questi signori».

Aggiunge Oliverio: «Una domanda viene spontanea: come mai, invece di continuare ipocritamente a nascondere le proprie responsabilità dietro paroloni di circostanza, il Governo di unità nazionale, sostenuto da tutti i partiti di centro, destra e sinistra, non assume subito provvedimenti concreti ed adeguati per cancellare la disastrosa gestione commissariale e per finanziare e sostenere un piano di ricostruzione del sistema sanitario calabrese, attraverso: lo sblocco delle assunzioni di medici e personale sanitario, il risanamento del debito, un robusto investimento in direzione di tecnologie e strumentazioni avanzate, per rafforzare i servizi sanitari pubblici sui territori e riqualificare e rafforzare la rete ospedaliera?»

«Basta con gli inganni e le promesse elettorali – ha concluso Oliverio –, i calabresi hanno diritto alla tutela e alla cura della salute alla pari degli altri cittadini italiani». (rp)

AMALIA BRUNI, È LA SFIDA DELLA SINISTRA
IL RITRATTO DI “UNA PRIMA DELLA CLASSE”

dalla REDAZIONE ROMANA – Amalia Bruni, Luigi De Magistris, Roberto Occhiuto e Mario Oliverio (in rigoroso ordine alfabetico) ovvero I Quattro dell’Ave Maria, i quattro candidati alla presidenza della Regione Calabria. Ma davvero li conosciamo bene? Calabria.Live, a pochi giorni dall’apertura delle urne (3-4 ottobre), propone ai suoi lettori le “biografie” inedite dei quattro protagonisti della scena politica calabrese, analizzandoli anche sotto l’aspetto psicologico e umano.

AMALIA BRUNI, LA “PRIMA DELLA CLASSE”

Prima della classe lo è sempre stata. Dai tempi del liceo “Francesco Fiorentino” di Lamezia Terme dove, nel 1972, si è maturata con il massimo dei voti, 60/60. Per poi replicare cinque anni dopo all’Università degli studi di Napoli, conseguendo a tempo di record – e manco a dirlo con 110 e lode – la laurea in medicina. Sempre la prima, sempre la più brava, sempre consapevole di saperne più degli altri. E così in ospedale a Catanzaro e Lamezia Terme e ancora nella gestione della sua creatura, il Centro Regionale di Neurogenetica.  E perfino tra gli scout, da ragazzina, era un “capo” e guidava una squadriglia.

Un abito mentale, quello di “prima della classe”, che non ha mai dismesso e che ostenta anche oggi che è scesa in politica, gareggiando per la presidenza della Regione Calabria.

Il piglio è quello della dirigente scolastica che, sia pure con il sorriso, ama comandare. Amalia Cecilia Bruni sa bene quello che vuole, incurante se il suo “abito” può suscitare risentimenti o invidie. È nata 66 anni fa a Girifalco sotto il segno dell’Ariete, segno di fuoco, e si può dire che abbia tutte le caratteristiche illustrate dai manuali di astrologia: coraggiosa, ambiziosa, volitiva, fa di tutto per primeggiare, anche spericolata. La sua smisurata fiducia in sé stessa la porta a sottovalutare i rischi.

«Sono quella delle missioni impossibili», ha detto di sé con grande enfasi nel giorno della sua candidatura alla presidenza della Regione. Il fatto di essere stata scelta dopo i “no “a Nicola Irto e Maria Antonietta Ventura – e quindi non in primissima battuta – non l’ha scalfita nemmeno un po’. Si è schermita, dicendo di avere inizialmente rifiutato la richiesta di candidatura, di essersi poi presa una notte di riflessione, ma tutti hanno capito che – da buona Ariete – si è immediatamente e istintivamente gettata nella mischia per un’occasione irripetibile. Credendoci, anche quando i sondaggi più impietosi e l’impressione generale di una vittoria del centrodestra potevano piegarne la fiducia e l’entusiasmo.

Il suo “feticcio” è Rita Levi Montalcini, il premio Nobel per la medicina che inaugurò il CRN di Lamezia Terme, di cui si dice “allieva prediletta” e che cita spesso nei suoi discorsi. Un’adorazione che ha contagiato anche Carlo Tansi, l’ex dirigente della Prociv regionale anch’egli sceso in politica, che non risparmia sui suoi social immagini e video della Levi Montalcini, divenuta inconsapevolmente “protagonista” di questa campagna elettorale calabrese.

La Bruni si è calata immediatamente nella sua nuova dimensione politica. Elegante, con gli inseparabili occhiali, grandi collane di perle, abiti preferibilmente rossi (il colore prediletto dagli Ariete), si è destreggiata senza alcun complesso di inferiorità accanto a leader nazionali come Enrico Letta, Luigi Di Maio, Giuseppe Conte, Nicola Zingaretti. Ha un linguaggio sicuro, asciutto, senza un filo di emozione davanti ai microfoni e alle telecamere.

Aggressiva e istintiva, ha ingaggiato un duello non proprio elegante (ricambiata sullo stesso piano) con Luigi De Magistris, l’altro competitor dell’area anti-centrodestra, tacciato di essere “un ex sindaco in cerca di un posto di lavoro”. Non meno duro lo scontro con Jasmine Cristallo, la leader delle Sardine, che aveva osato mettere in discussione il metodo con cui si è giunti alla sua candidatura.

La Bruni sventola con fierezza la sua indipendenza dalla politica. Gli avversari le fanno notare che suo marito, il medico Tommaso Sonni, è stato candidato sindaco di Lamezia Terme per il centrosinistra nel 2015 e che sua cognata, la professoressa Aquila Villella, è in lista nel PD per un posto in Consiglio regionale e in precedenza nel 2018 è stata candidata al Senato sempre per il Partito Democratico.

Attaccatissima alla famiglia («considero i miei tre figli le mie migliori pubblicazioni scientifiche», scrive orgogliosamente sulla sua pagina facebook), la ricercatrice prestata alla politica affronta questa campagna elettorale con un piglio e una fierezza notevoli. Sembra quasi incurante del rischio di perdere davanti al competitor (e grande favorito) Roberto Occhiuto o, peggio, di essere scalfita dal risultato del “masaniello arancione” Luigi De Magistris. Che Ariete sarebbe se avesse paura? O se rinunciasse al piacere di essere adulata? (rrm)

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IDENTIK DELLA CANDIDATA AMALIA BRUNI

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LUOGO E DATA DI NASCITA: Girifalco 3 aprile 1955

SEGNO ZODIACALE: ariete

STATO CIVILE : coniugata, 3 figli

PROFESSIONE: dirigente medico, ricercatrice

PUNTI DI FORZA

Immagine di donna di scienza

Unica candidata donna

Indipendenza dai partiti

PUNTI DI DEBOLEZZA

Ingenuità politica

Liste sulla carta più deboli del centrodestra

Un filo di supponenza e tendenza all’autoesaltazione

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Diavolo d’un Sud, cambiare di può. Ma i calabresi sono studi delle tante promesse

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Cosa vuol dire SUD, mamma? – mi chiese mia figlia.

–È un punto cardinale – risposi io.

– Sì, ma che cosa significa esattamente questa sigla? – insistette.

– Non me lo sono mai domandato – risposi.

– Io invece lo so – ribatté lei.

– E allora dimmelo, che cosa aspetti?

– Sono Un Diavolo, ecco cosa vuol dire.

– Starai scherzando, non è vero?

– Niente affatto, mamma. Te lo spieghi perché dal SUD tutti partono? Fosse stato altro ci avrebbe trattenuti questo punto del mondo, invece no, ci lascia andare.

E poi, ricordi cosa scrisse Leonida Repaci ne Il giorno della Calabria? “Dio aveva dato forma alla sua più grande creatura, poi del suo riposo ne approfittò il diavolo. E della Calabria, incluse tutte le meraviglie che il Creatore le aveva attribuito, se ne impossessò”. Le diavolerie di questa terra, credimi, mamma, non hanno altre spiegazioni.

– E noi che cosa possiamo fare per salvarci?

– Possiamo cambiare, mamma. Trasformare questo inferno in paradiso.

Con il termine Sud, si identificano delle precise aree geografiche del mondo. Esso infatti interpreta uno dei quattro punti cardinali con cui l’uomo si orienta sulla faccia della terra. La parte bassa della bussola.

In Italia, il Sud, viene indicato con nomi precisi di regioni. Ed è Sud, Meridione o Mezzogiorno. Esse sono le micro aree del paese. Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna. Un agglomerato di montagne e intere distese di lidi e di mare. Campagne, pianure, colline e vulcani.

In una recente intervista, andata in onda sul secondo canale Rai, il ministro per il Sud e la coesione territoriale, Mara Carfagna, nell’elencare le regioni dell’area Meridionale, presa dal solito politichese italiano, ne dimentica giusto appunto una. E a subire il maltolto, indefinito dal tempo e definito dagli uomini, è proprio la Calabria. Sempre lei. Quella terra che volutamente sconfina davanti allo sguardo di un’Italia politica inconcludente, e che dopo Eboli, vira dritta verso l’Italia insulare. Ma la verità è che della Calabria se ne sono sempre lavati tutti le mani. E chi non ha coraggio non se lo può dare. Terre come questa hanno una tempra forte e sono prodigiose. E vanno sapute prendere e conquistare. Eppure l’Italia continua a scrivere il nome Calabria tra le penitenze di Dio, e la emargina, confinandola tra i suoi due mari. Poi però, all’occorrenza, come fosse un miraggio al più vicino orizzonte, la scova, e se l’accredita, come giusto che sia, tra le sue 20 italianissime regioni, e per far fronte alle sue più sfrontate conquiste. Perché in fondo tutti lo sanno, senza Calabria, nessuna Italia.

Quaggiù, nel profondo Sud, diavoli o no, passati gli uomini e le donne, i loro sacrifici e le dure fatiche, vi sono manciate importanti di voti, in grado riempiere, come le bucce dei mandarini a Natale, le caselle vuote di una tombola che altrimenti andrebbe persa. E ne svantaggerebbe tutto il paese. Ragion per cui, da Roma, e dalle altre somme regioni del potere d’Italia, si accede alla Calabria sfruttando l’antica e furba arte della manipolazione degli interni, pressando sul bisogno atavico dei luoghi, pur di arrivare alle sue succulenti risorse. Ché alla fine, riconosciuti i limiti, e tradotti abusivamente nell’incapacità del suo popolo, come fossimo nel giardino dei miracoli di Pinocchio, diventano sbrilluccicanti denari.

E in Calabria, per far crescere l’albero dei denari, vi è terra in abbondanza, e terra buona. Perché qui accade di tutto. E tutto accade davvero. E grazie a tutti quei Pinocchio che ancora credono al ciuccio che vola. Perché qui ci sono famiglie intere di Pinocchi. Pinocchio la madre, Pinocchio il padre, e Pinocchietti tutti i bambini. E soprattutto ci sono il gatto e pure la volpe. Ma mentre a Geppetto, alla fine della storia, Collodi gli concede di ritrovare il suo burattino, con cui vivere felice e contento, alle famiglie calabresi non concede niente nessuno, e perdono per sempre i propri figli.

Ed è per questo che nascono calabresi in ogni parte del mondo. I giovani partono, vanno via. Sacrificano la propria identità per trovare nel mondo lo spazio che la Calabria gli nega. Essa non sogna più, non ha aspettative, toglie tempo, e più che lottare per la sua rinascita, collabora al suo disfacimento. La calabresità di cui, al primo piscio, tutti si fregiano, senza neppure conoscerne il senso, seguendo come le pecore chi pure illecitamente se la vanta, non è certo un atto di remunerata propaganda, né una scimunita idea del paese di Jofà, ma uno stato d’animo preciso che quando i giovani, poco poco cominciano a provare, i grandi (politici e dirigenti, massoni e mafiosi) lo soffocano.

Dal 1861, il Sud, perdendo la propria indipendenza, ha sempre subito passivamente le decisioni dell’Italia, del Nord, e delle industrie. E come allora, ancora oggi, con l’avvallo mai negato, dei calabresi nemici dei calabresi stessi. Eppure, cosa può conoscere la politica capitale o cittadina d’oltre regione, delle necessità della politica territoriale? Nulla, non può conoscere nulla. È solo questione di potere, che tanto lo sanno tutti che lo scecco sempre scecco resta, e raglia oggi e domani pure. Ma i calabresi sanno anche che, benedetta Italia, la propria terra ha il tempo contato, e o campa o muore. E le sorti si giocano sempre nella cabina elettorale. Ancor più da quando al voto sono state incluse le donne, perché per chi ancora fatica a comprenderlo, la Calabria lo è. È fimmina!

I futuri candidati alla presidenza della Regione Calabria, in vista del voto del prossimo 3 e 4 ottobre 2021, prendano impegni con i calabresi e non con i partiti nazionali. Impegni seri. Impegni con le palle. Senza balle. E con i quali dare a questa regione una definitiva connotazione italiana. Se essere inferno o paradiso. Essere o non essere. E se la distanza tra Shakespeare e la Calabria appare troppa, allora rifacciamoci tranquillamente pure a Dante, nel suo settecentenario, che ha certamente appreso e compreso più d’altri, il nostro essere, dall’ abate Gioacchino da Fiore.

Decidere dunque, o calabresi, e sulla base della nostra pelle, che è amor proprio e sana morale, se prolungare i patti fatti con l’inferno di Francesca, o scendere a patti nuovi ed eterni, con il decantato paradiso di Beatrice.

Io, mi perdonerete, ma chiederei, in aggiunta, l’ausilio di Nosside. Ma forse questa è un’altra storia.

È necessario che i calabresi, sulla base delle esperienze passate e dei torti subiti, delle malefatte a loro danno continuamente perpetrate, e delle quanto mai mancate aspettative recenti e future che tergiversano, rimandando tutto sempre alle generazioni che verranno, riconoscano in ognuno degli ipotetici futuri presidenti, i reali obiettivi, responsabilizzando il proprio voto, e non per concessioni spinte da familismo amorale, ma seguendo i dettami della propria aurea coscienza che, contrariamente alle patrie galere, non sconta colpe, né perdona .

“La Calabria che l’Italia non si aspetta”, è questo lo slogan che accompagna la campagna elettorale di Roberto Occhiuto. Parole che fanno un certo effetto, ma che soprattutto surclassano il concetto di morte, a cui tutti sembrano destinare la Calabria e i calabresi.

Ma lo sa Roberto da Cosenza che, per presentare all’Italia la Calabria che non si aspetta, c’è un percorso da fare che è piuttosto lungo, impervio e tutto decisamente in salita, e che se dall’Italia non ci è riuscito prima, a esporre alla gran Patria, la patrietta dei bruzi, dalla Calabria sarà un susseguirsi di gattopardiane notti, in cui tutto sarà pronto a cambiare per non cambiare nulla?

E lo sa Amalia da Lamezia, che intende donarsi alla Calabria, con tutta la sua scienza, e per curare, dopo i suoi più di 13000 pazienti, il resto dei calabresi, che i calabresi non sono tutti malati, e per fortuna, e che molti stanno benissimo perché di sani principi?

Lo sa Mario da San Giovanni in Fiore, che quello che gli è sfuggito prima, probabilmente gli sfuggirà ancora, perché chi è miope oggi, lo sarà anche domani?

Lo sa Luigi da Napoli, che aver lavorato in Calabria non è la stessa cosa che vivere la Calabria nei suoi rovesci e nei suoi contrari, nelle sue bellezze e nei suoi compiacimenti, come chi, ostinatamente, si dona a questa terra geneticamente testarda, e nella sua quotidianità, che è famiglia ed è impresa, e pure rivoluzione? E lo sa che quaggiù non si viene solo a sconfiggere la ‘ndrangheta, ma per costruire sogni e solide realtà?

E i calabresi, lo sanno i calabresi che le promesse fatte in campagna elettorale non garantiscono l’asciutto alle barche di nessuno, e tutti noi, finché non verranno mantenute anche solo quelle opportunamente fatte, spesso troppo tardi e spessissimo mai, continueremo ad avere tra le mani la solita beata minchia di sempre?

Sarà che io di politica, forse, non ci capisco nulla, ma di Calabria sì. Di Calabria ci capisco eccome! Durante questo periodo di seconda estate calabrese, tra il sapore del mosto e l’odore del vino, per certi versi storico per la vita presente dei calabresi (giovani e meno giovani) e il futuro della Calabria, nessun sermone di esponenti di partito nazionale, dovrebbe essere permesso. Una scelta che all’unanimità mi sarei aspettata dai futuri presidenti. Serve indipendenza e concentrazione. E servono adesso. La Calabria non è una sede politica dove chi prima spara, prima piglia, ma una precisa scelta di vita ancora prima che politica. È al suo interno dunque che vanno fatte le discussioni sui programmi e discussi i problemi. Solo i calabresi possono risollevare la propria terra e mantenersi in equilibrio nella storia. È una sfida a cui non può partecipare nessun altro. E affinché avvenga tutto ciò, è necessario si parlino tra di loro, e senza le benché minime interferenze esterne. In intimità. A quattr’occhi. I padri con figli e la società civile con quella politica e istituzionale. Insomma un preciso rendez-vous aperto, tra l’Aspromonte e il Pollino, il Tirreno e o Ionio. Perché vedete, i guai da pignata, i sapi sulu a cucchjara chi riminija.

E se, detto fatto tutto ciò, allora sì che saremo pronti a sfoggiare e con orgoglio “La Calabria che l’Italia non si aspetta” . E poco importerà il nome di battesimo del presidente. Chiunque vincerà questa sfida, che a partire da subito diverrà immediatamente atto di coraggio, avrà il dovere di presentarsi e orgogliosamente all’Italia e al mondo, con il nome dei “suoi” calabresi. Riconoscendo a sè stesso e agli altri, che il bene della propria terra viene prima di tutte le inutili vanità politiche.

Nessuno dimentichi mai che Penelope non cercava marito, ma voleva Ulisse… (gsc)

[La fotografia della copertina è di Carmine Verduci]

L’OPINIONE / Giuseppe Aieta: questa politica è sempre più imbarazzante

di GIUSEPPE AIETA – Dicono di voler distruggere il PD e sono alleati del PD; dicono di voler distruggere alcuni dirigenti del PD e si alleano con quei dirigenti del PD; apostrofano il commissario regionale del PD e poi si alleano col commissario regionale del PD; per il consiglio regionale ci si accorda con il PD e a Cosenza il PD diventa il partito della casta. Detto questo, e premesso che ogni posizione è legittima, mi chiedo: ma il PD dov’è? Perché ci si nasconde e non si assume una posizione chiara? Non si può sempre aspettare che le posizioni le assuma solo ed esclusivamente il commissario regionale del PD. No, un partito all’interno del quale non si è l’un contro l’altro armato, non può rimanere in silenzio. Significherebbe confermare che questo è un partito in cui si bada solo ai destini personali.
Mi sono candidato nel PD, con tutto il travaglio interiore che questo ha comportato, per azzerare questa mentalità e riunire tutta la comunità democratica, non solo gli amici dei singoli. Perché quando i partiti sono formati solo da truppe accade quel che sta accadendo in questi giorni e in queste ore: un imbarazzante silenzio assordante nonostante la quotidiana opera di demolizione contro il PD e la sua comunità.  (ga)

Elezioni / Tesoro Calabria condivide il messaggio dei vescovi calabresi sul voto

Il movimento di Carlo Tansi Tesoro di Calabria ha fatto sapere di condividere in pieno l’appello dei vescovi calabresi per il cambiamento rivolto ai fedeli e ai candidati. «La necessità di moralizzare l’attività politica ed istituzionale in Calabria, sollecitata dalla commissione episcopale calabrese, – si legge in una nota – trova piena ed incondizionata adesione da parte dei candidati del movimento civile “Tesoro Calabria”. La Calabria può diventare la “California d’Italia” se i suoi rappresentanti istituzionali saranno “liberi, forti e trasparenti” oltre che proiettati verso un solidarismo sociale.
«L’appello dei vescovi calabresi, è un vero e proprio atto d’amore verso la nostra terra, da sottoscrivere senza se e senza ma.
​ «“L’appello corale al Cambiamento” che rappresenta non solo l’esordio ma anche la sintesi dell’importante messaggio intitolato “Per la vita buona della Regione “ che la Conferenza Episcopale Calabra ha inteso divulgare in relazione alle prossime elezioni regionali, è una autorevole conferma che il Codice Etico, fortemente voluto dal Movimento Civico Tesoro Calabria e accolto, nelle sue linee guida, da Amalia Bruni e dalla coalizione progressista che la sostiene – ha dichiarato Carlo Tansi – rappresenta lo strumento necessario per indicare ai Calabresi la possibilità di effettuare la scelta giusta, per cambiare il destino della Regione più bella ma anche più povera d’Italia.
«I Calabresi che, insieme a me, – ha affermato Carlo Tansi – sono candidati nelle liste di Tesoro Calabria, conclude Tansi, hanno condiviso ed apprezzato, anche dal profilo laico che deve mantenere la Politica, la lucida e lungimirante analisi delle contingenze in cui versa la Regione, che, come coraggiosamente sostenuto dai Vescovi , “va liberata da mali antichi, e curata in modo nuovo”.
«Tutti i candidati di Tesoro Calabria, eserciteranno il loro diritto di chiedere il voto all’insegna dell’impegno di libertà e solidarietà, sollecitato dai Vescovi calabresi, ed attueranno la loro azione istituzionale tenendo conto principalmente dei bisogni e dei diritti dei più deboli e dei meno fortunati». (rp)

Polemiche elettorali / Conia: non si utilizza Rita Levi Montalcini per fare propaganda

Michele Conia, sindaco di Cinquefrondi e responsabile Mezzogiorno del Movimento DemA Calabria stigmatizza l’utilizzo dell’immagine di Rita Levi Montalcini da parte della coalizione che fa capo ad Amalia Bruni.

«Sarebbe interessante sapere – ha dichiarato Conia – se la Fondazione Levi Montalcini sia informata del vergognoso sfruttamento a fini elettorali della figura del nostro grande premio Nobel per la medicina. Un uso spregiudicato da parte di Carlo Tansi che utilizza foto e filmati di Rita Levi Montalcini per sponsorizzare la candidata Bruni. Levi Montalcini appartiene a tutti gli italiani e la sua figura non può essere immiserita da un così squallido uso elettorale. La scorrettezza di Tansi va segnalata alla Fondazione Levi Montalcini e ci auguriamo che ci sia una presa di distanze anche da parte della dottoressa Bruni». (rp)

L’OPINIONE/ Lello Malito: Intellettuali e politica: sinistra smarrita

di RAFFAELE MALITO –  Sergio Dragone, compagno di chi scrive, dell’avventura-sogno, nei primi anni’70, de Il Giornale di Calabria, il primo quotidiano  stampato nella nostra regione, ha posto  su Calabria.Live la grande questione del ruolo e delle scelte degli intellettuali calabresi in questi giorni di stucchevole, poco edificante campagna elettorale per la Regione.  E pone una cruciale domanda, dolorosa per chi è appartenuto o fa ancora parte, della sinistra:  perché gli intellettuali, veri e no, hanno scelto di sostenere un personaggio fantasmagorico, alla ricerca del Santo Graal della palingenesi politica, sociale, economica e, soprattutto  etica, come si conviene per un rivoluzionario giudiziario come Luigi De Magistris, autore, come magistrato, di  clamorosi flop accusatori e già fallimentare sindaco di Napoli? Che cosa ha rotto il legame che un tempo univa il ceto degli intellettuali- pensatori ai partiti della sinistra, che, poi era, per chi non è stato comunista, e successive variazioni (Pds, Ds, Pd) una inconfessata, reciproca utilizzazione e scambio di vantaggi: lustro per le liste elettorali, carte di credito per il futuro nei diversi centri del potere dei saperi,( università, editoria, pensatoi veri o no, gestione di grandi gruppi economici e finanziari)?

Lo ha spiegato, con durissimi accenti, uno dei più autorevoli – sic! – intellettuali che hanno scelto di sostenere la rivoluzione  di De Magistris: “il Pd e le destre, sono, indistintamente (evviva le scelte!) non più partiti, ma aggregati di potere, gruppi,  clientelari  portatori di pacchetti di voti, la cui azione si traduce, di legislatura in legislatura, nella continua  mediazione per soddisfare le richieste  eterogenee e particolari di tali raggruppamenti. Con i risultati, sulle condizioni della regione storicamente constatabili da tutti.”

Una sentenza definitiva, questa del professor Bevilacqua, che sarebbe una condanna a morte, senza alcuna via di uscita  per la Calabria se,  lo si deduce dalle scelte conseguenti, non ci fosse la palingenetica rivoluzione proposta dal Masaniello napoletano. Rivoluzione, dunque: e noi?  È come se fossimo, in definitiva,  gli schiavi descritti dal filosofo Martin Heidegger: “immersi nell’immediata dipendenza di qualsiasi opposizione e qualsiasi combattimento e di chi se ne fa condottiero. L’anno della ribellione delle masse ma non si sa più contro chi ci si ribella e tutti sono massa”. Condividono  questa grande opzione altri intellettuali o sedicenti tali, alcuni sorprendenti per il loro disinvolto  salto e la leggerezza della rottura con un passato di dignitoso impegno culturale e politico ( ne cito solo due, per diretta conoscenza: Domenico Cersosimo e Vito Teti).

Chi scrive non condivide nulla della scelte dell’unico partito di sinistra, il Pd, che, nelle  oscure, pasticciate, miopi trattative   che, nella velleitaria rincorsa verso un accordo con le magmatiche 5Stelle, hanno messo da parte  con assoluto cinismo, l’unica candidatura di  partito e di bandiera ( come si diceva una volta!),  emersa con il giovane Nicola Irto, già presidente del Consiglio regionale, plurieletto con un gran numero preferenze.

Sarebbe estremamente difficile non condividere le  critiche sulle responsabilità della perdita di credibilità e di appeal della classe dirigente del Pd calabrese: un’infinita, grigia gestione commissariale sulla quale, di recente sono piombate, per il colpo finale, l’assoluta inconcludenza di Francesco Boccia e l’apatica, grigia vocazione a non decidere di Enrico Letta.  Il panorama della sinistra in Calabria è triste e nebuloso per le  responsabilità della classe dirigente regionale e l’assenza di un progetto e di una chiara proposta  di azione di quella nazionale.

Il circolo pluricomposito dei cosiddetti intellettuali, giornalisti, cantastorie, musicisti, attori, docenti, editori , non tutti identificati, mi richiamano il ricordo di una cattivissima frase di Bettino Craxi, quando, infastidito dai protervi suggerimenti che gli arrivavano sulle cose da fare, se ne uscì così: “intellettuali dei miei stivali!”.  Ma io penso che a rappresentare al meglio la compagnia che gira e s’identifica nella fantomatica rivoluzione di De Magistris, sia la scena finale del grande film di Federico Fellini, 8 e mezzo: in un girotondo circense roteano attorno al regista che non riusciva a dare una direzione al suo progetto cinematografico, confuso, che non ha idea di cosa vuole raccontare nel suo film, un centinaio di persone le più diverse, assistenti, attori, un intellettuale messogli alle calcagna dal produttore, la moglie, l’amante, la protagonista  del film. E il regista, che ha riconquistato l’innocenza e la gioia di vivere, si rivede, sorprendentemente, bambino. Ma non si sa quale progetto di film riuscirà a realizzare.

Ecco: dove va, questa  compagnia circense che ha scelto il Masaniello napoletano come condottiero e guida extraterrestre di un’indefinita fase storica della Calabria?  (lm)

INTELLETTUALI E LA CRISI DELLA SINISTRA
IL NO AL PD, AMMALIATI DA DE MAGISTRIS

di SERGIO DRAGONEUno degli aspetti più controversi di queste elezioni regionali è la posizione di numerosi intellettuali calabresi, tradizionalmente collocati nella sinistra, che hanno voltato le spalle al PD, sostenendo apertamente la battaglia anti-sistema di Luigi De Magistris

Cade un altro mito, quello del legame stretto e quasi ombelicale tra il principale partito della sinistra (PCI, poi PDS, poi DS, infine PD) e la schiera di pensatori presenti nelle Università e nel mondo della cultura e dello spettacolo. Una spaccatura che ha del clamoroso, ma forse meno imprevedibile di quanto non sembri a prima vista.

Una lettura brutale l’ha data uno dei più autorevoli intellettuali che si sono schierati apertamente con l’ex pm di Catanzaro, il prof. Piero Bevilacqua, che non ha esitato a definire il PD e le destre, indistintamente, «non più partiti, ma aggregati di potere, gruppi clientelari portatori di pacchetti di voti, la cui azione di governo si traduce, di legislatura in legislatura, nella continua mediazione per soddisfare le richieste eterogenee e particolari di tali raggruppamenti. Con i risultati, sulle condizioni della regione, storicamente constatabili da tutti».

Il professor Bevilacqua è in buona compagnia. A condividerne l’analisi sono fior di intellettuali come Domenico Cersosimo, Vito Teti, Dino Vitale, Maria Adele Teti e tanti altri. All’appello pro DeMa hanno risposto giornalisti, editori, docenti, perfino due raffinati musicisti come Brunori Sas e Salvatore De Siena del Parto delle Nuvole Pesanti. E poi i cantastorie Otello Profazio e Francesca Prestia, l’attore e regista Marcello Fonte.

Un dato che dovrebbe fare riflettere la sinistra nel suo complesso e in particolare il Partito Democratico. Perché si è spezzato in Calabria lo storico feeling tra il mondo della cultura e la sinistra ? Cosa spinge un tale numero di intelligenze a sposare una battaglia anti-sistema e “fondamentalista/meridionalista” impersonata dal “masaniello” arancione?

Il Pci faceva di questo rapporto una questione vitale. Basti ricordare l’esperienza degli “indipendenti di sinistra” a cui Botteghe Oscure riservava il 10% dei seggi, permettendo anche la costituzione di gruppi parlamentari autonomi. 

Anche in Calabria – mi sembra in particolare durante la segreteria di Pino Soriero dall’87 al ’92 – le liste di Camera e Senato erano arricchite da personalità indipendenti come Stefano Rodotà, Sergio De Julio, Simona Dalla Chiesa, Enzo Ciconte, Luigi Lombardi Satriani, Luigi Saraceni, Aldo Corasaniti. L’elaborazione politico-programmatica della sinistra, in quell’epoca, era affidata a questo brain trust, considerato molto più importante dei portatori di voti. Oggi tale rapporto si è completamente ribaltato.

Anche il PSI di Giacomo Mancini ha sempre tenuto un forte rapporto con il mondo della cultura, in particolare attraverso il Premio letterario “Sila” e varie iniziative editoriali.

L’attuale grigia gestione commissariale del PD calabro sembra avere prodotto più che altro divisioni e lotte intestine feroci, tutte imperniate sulla mediazione tra correnti, che hanno definitivamente allontanato un ceto politico-intellettuale più portato all’elaborazione e alla programmazione che non alla guerriglia per l’accaparramento di poltrone.

Ma c’è anche qualcosa di più profondo, anche questo messo crudamente in rilievo dal prof. Bevilacqua nel suo impietoso post. Il Pd è accusato, sostanzialmente, di avere accettato la narrazione di un Sud “palla al piede del Paese” e di avere assecondato il disegno secessionista della Lega. 

La sinistra che si presenta rassegnata e spezzata a queste elezioni regionali dovrebbe riflettere più sul perché ha perso il collegamento con questo mondo piuttosto che sugli scontri tribali per trovare un posto in lista. (sd)

OCCHIUTO DISTACCA DI 20 PUNTI LA BRUNI
LA VERA INCOGNITA È SUL SECONDO POSTO

ESCLUSIVO – Partita sostanzialmente chiusa per la presidenza della Regione Calabria. Si allarga, dopo la presentazione delle liste, la forbice tra il probabilissimo vincitore della contesa, il forzista Roberto Occhiuto, e la principale competitor, la ricercatrice Amalia Bruni, del centrosinistra. Che però deve guardarsi alle spalle dall’incalzare impetuoso di Luigi De Magistris, l’ex Pm di Catanzaro e sindaco uscente di Napoli, che ormai ha il fiato sul collo della coalizione PD-Cinquestelle: meno di 5 punti. Sfida estremamente importante perché solo il migliore perdente ha diritto ad un seggio in Consiglio Regionale.

Il vantaggio di Occhiuto sulla Bruni tocca i 20 punti grazie alla corazzata messa in campo dal centrodestra con liste molte competitive, tra cui spiccano quelle di Forza Italia che si giocano con quelle di Fratelli d’Italia il primato nel centrodestra. Nel centrosinistra, il PD si confermerebbe primo partito calabrese, discreta performance dei grillini, praticamente ininfluenti le altre liste. Nella coalizione, DeMa è probabile una buona affermazione della lista “ammiraglia” che godrebbe dell’effetto di trascinamento del candidato presidente.

Sono questi i risultati dell’ultimo e definitivo aggiornamento dello studio elettorale elaborato in esclusiva per Calabria.Live sulla base dei flussi storici e di altri elementi, tra cui – determinante per il sistema elettorale calabrese – la quantità e la qualità delle liste. Quest’ultimo studio è stato elaborato dopo la presentazione delle liste sabato scorso e ha preso, ovviamente, in considerazione anche le poche novità nelle candidature proposte.

Ribadiamo che si tratta di uno studio elettorale e non di un sondaggio, anche se bisogna sottolineare lo straordinario allineamento dei dati da noi forniti a giugno con i più recenti sondaggi condotti da SWG e EMG. Anche i dati del sondaggio commissionato dalla Rai all’Istituto Piepoli sulle intenzioni di voto in Calabria e diffuso nel pomeriggio, confermano le proiezioni indicate sin dalla prima ora (21 giugno) dal nostro quotidiano.

Questi, in sintesi, i risultati dello studio che “cristallizza” la situazione al momento di presentazione delle liste:

Tabella proiezioni voto regionale al 7 settembre 2021

Torta proiezioni di voto al 7 settembre 2021

ROBERTO OCCHIUTO   (centrodestra)            46-48%

AMALIA BRUNI (centrosinistra/5Stelle)         26-28%

LUIGI DE MAGISTRIS (Centro Civico)              22-24%

MARIO OLIVERIO (indipendente)                     3%

 

Le tendenze delle principali liste:

 

proiezioni voto principali liste

PD                                                  12,6%

FORZA ITALIA                         11,4%

FRATELLI D’ITALIA                   9,6%

DE MAGISTRIS PRESIDENTE  8%

 5STELLE                                     7%

LEGA                                          6,8%

FORZA AZZURRI                   6,3%

UDC   6,2%

BRUNI PRESIDENTE                4%

 

 

Prima simulazione attribuzione seggi

CDX (Occhiuto)       20 seggi (5 Forza Italia, 4 Fratelli d’Italia, 3 Lega, 3 Udc, 3 Forza Azzurri, 2 Cambiamo)

CSX (Bruni)               7 seggi ( 4 PD, 3 5Stelle)

DE MAGISTRIS                          3 seggi

 Considerazioni finali.

Il risultato di Occhiuto è perfettamente allineato alle liste, più o meno come la Bruni che potrebbe comunque avere un piccolo “tesoretto” personale.

Decisamente anomala, rispetto alle consultazioni del passato, è la probabile performance di Luigi De Magistris che – flussi elettorali alla mano – potrebbe intercettare una quota notevole di indecisi e di astensionisti, valutabile in diverse decine di migliaia di voti. L’ex pm potrebbe registrare un risultato nettamente superiore alle sue liste.

Ininfluente la presenza del quarto candidato, l’ex governatore Mario Oliverio, che difficilmente si schioderà dal 3%, erodendo solo superficialmente il consenso del PD che resterebbe il primo partito calabrese.

I votanti potrebbero aumentare leggermente rispetto al 2020, toccando gli 870.000 voti validi. Occorrerà capire se il recupero dell’astensionismo, ora valutato in appena 30.000 votanti, sarà più consistente. Solo in questo caso, i dati dello studio potrebbero avere degli scostamenti importanti e probabilmente più vantaggiosi per la coalizione più alternativa. (rrm)

ELEZIONI DEJA-VU: FAMILIARI & PARENTI
PREVALE LA REGOLA «TENGO FAMIGLIA»

di SANTO STRATI – Potevamo stupirvi con effetti speciali, recitava il claim pubblicitario di una fortunata campagna pubblicitaria: non aspettatevi fuochi d’artificio e clamorose esclusioni o presenze nelle liste appena presentate per le prossime elezioni regionali del 3 e 4 ottobre. In maniera gattopardesca, tutto deve cambiare perché nulla cambi: ovvero a scorrere le liste si ha una sensazione di deja-vu, con nomi ricorrenti, con passaggi familiari come se fosse un incarico dinastico quello del politico (regionale e non solo). Non ci sono eclatanti novità, ma se vogliamo essere un po’ cattivo sembra prevalere il vecchio detto popolare che funziona sempre: “tengo famiglia”. E così ci sono mogli, nuore, figlie, nipoti etc a perpetuare la presenza a Palazzo Campanella (o almeno ci sperano), senza il briciolo d’un programma o una visione di futuro che possa far pensare che qualcosa cambierà. 

È un’occasione mancata anche se a difesa dei candidati governatori occorre pensare che la politica è l’arte del compromesso e quindi, malgrado le buone intenzioni, è facile cadere nella tentazione di accontentare la corrente o il “portatore sano” di voti, anche se chiacchierato o se non ha brillato nella passata minimale legislatura. Poco importa, il compromesso sta alla base degli accordi politici, sia a destra come a sinistra, e certi di far incavolare più di un candidato governatore, ripetiamo che i calabresi, giustamente, si aspettano qualcosa di più, di meglio dalle liste.

Intendiamoci, tutte persone perbene, con buone intenzioni, ma la sensazione che sia prevalsa la logica partitica rispetto al merito è fin troppo evidente. 

Resta fuori, per esempio, l’ex “orfano” di Callipo, Francesco Pitaro (subito passato al Gruppo Misto dopo le elezioni) che ha scritto un post di fuoco su facebook. Rinuncia Parente (che non era stato candidato neanche alle passate consultazioni, pur avendo avuto un ruolo di rilievo nella campagna della Santelli) ma a favore della figlia Silvia. Resta fuori Morrone (per evidenti ragioni di inchieste giudiziarie aperte) ma manda avanti la moglie; si ricandida Flora Sculco (ma passando dall’altra parte della barricata, dai democratici e progressisti all’Udc); e riappaiono con Oliverio il suo ex assessore Maria Francesca Corigliano e i fedelissimi Brunello Censore e Francesco D’Agostino, mentre De Magistris punta molto sull’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano a far da traino sulla jonica e sulla doppia candidatura dell’avv. Anna Falcone che ha saputo condurre una convincente campagna elettorale.

Insomma, nel segno della tradizionale dynasty politico-partitica non ci sono, all’evidenza, particolari candidati che facciano pensare a politiche di rinnovamento e, perché no?, di innovazione, per dirla in chiave tecnologica. Abbiamo davanti una consiliatura complicata che, da un lato, avrà una montagna di soldi da spendere, dall’altro si troverà a combattere con una pandemia che non è ancora del tutto sconfitta. Anzi, da questo punto di vista il futuro governatore avrà il suo bel da fare per studiare e predisporre strategie di contenimento della pandemia, se dovesse apparire una nuova variante non meno pericolosa delle precedenti.

È bene, peraltro, precisare, che la montagna di denaro che l’Europa ci “regala” e ci presta non arriva così come un dono di Babbo Natale: l’Europa chiede progetti e realizzazioni, altrimenti non sgancia il becco d’un quattrino. E l’amministrazione uscente, pur coi limiti della provvisorietà del mandato, non ci risulta abbia – al contrario di Puglia e Sicilia, tanto per fare un esempio, predisposto piani e progetti per il PNRR. Tempo perso che il futuro governatore (uomo o donna che sarà) dovrà recuperare in tempi record.

Per ora di certo c’è che dalle ore 12,01 di ieri siamo entrati in piena campagna elettorale, con grande utilizzo dei social e delle tradizionali paccate di santini da distribuire a simpatizzanti e probabili elettori. La domanda che tutti si fanno non è chi vincerà le elezioni, è fin troppo ovvio che la coalizione di centrodestra guidata da Roberto Occhiuto raccoglierà un successo fin troppo lusinghiero, ma perché la sinistra calabrese (intesa nel suo atipico “insieme”) ha deciso di buttare la palla in tribuna e rinunciare a giocare la partita. Sui social appaiono, di continuo, post avvelenati di elettori delusi e avviliti di una sinistra che non c’è più. Le accuse spaziano dall’attuale segretario dem Enrico Letta (troppo marziano rispetto alle cose di Calabria) ai suoi consiglieri più fidati, Stefano Graziano e Francesco Boccia, ritenuti dai più i veri responsabili di questa  incredibile débacle.

E dire che ancora qualche giorno fa circolava la voce di un possibile riavvicinamento delle tre compagini della sinistra che si sono presentate separate e, quindi, con l’indubbia certezza della sconfitta. Ma chi avrebbe potuto tentare di riavvicinare le tante anime della sinistra calabrese, litigiosa, divisiva e, in alcuni casi, fin troppo tronfia di un successo troppo lontano? Chi avrebbe dovuto essere il deus ex-machina della situazione, se dal Nazareno sono venute solo fin troppo evidenti manifestazioni di inconfessabile fastidio per il caso Calabria? Chi poteva imporre  la pax politica col solo obiettivo di fermare l’inarrestabile corsa del centro destra verso Germaneto? La risposta è facile: Enrico Letta se soltanto anziché dare ascolto ai suoi consiglieri fidati avesse ascoltato i sentimenti della piazza. La sua toccata e fuga in Calabria è stata quanto meno imbarazzante, visto che ha evitato di incontrare la base e il territorio, né tanto meno ha cercato di individuare un comune sentire per fare barriera a una vittoria scontata.

Bastino le dichiarazioni di Francesco Pitaro su FB quando spiega perché non è candidato• «Avrei voluto farlo nella lista del Pd, per mettere a valore il mio  impegno istituzionale e politico… tuttavia la gestione chiusa, settaria, direi per alcuni versi miserabile e culturalmente miope di un partito privo di visione e di intelligenza politica, l’ha impedito… Il Pd calabrese si è rivelato, almeno per quanto mi riguarda,  un contenitore chiuso, stritolato dalle brame  correntizie  e del tutto disinteressato a includere energie nuove, progettualità innovative, competenze, professionalità.  Cosi com’è, non recupererà mai la fiducia della società civile!».

L’amarezza di Pitaro è condivisa da molti, troppi, elettori della sinistra, non solo dem, che con buona probabilità allargheranno le schiere di quanti non si recheranno alle urne.

Il vero vincitore di queste elezioni rischi di essere ancora una volta il partito del non voto: gli astenuti. Il Consiglio regionale, pur avendone la possibilità, si è guardato bene dal correggere una legge elettorale sbagliata (e per fortuna è entrato il voto di genere uomo-donna) dove l’impossibilità del voto disgiunto (il voto per il governatore separato da quella di una lista magari di altro colore politico) provoca guasti che i calabresi continuano a subire. 

Si tratterà di vedere, giusto da qui a un mese, chi arriverà secondo e se, come pare scontato, Fratelli d’Italia sorpasserà la Lega nei consensi. A quel punto il vicepresidente designato potrebbe essere rimesso in discussione. (s)