ISTRUZIONE, C’È UN PAESE MA DUE SCUOLE
SVIMEZ: VA RAFFORZATO IL SISTEMA AL SUD

di ANTONIETTA MARIA STRATI – La Scuola, in Italia, viaggia a due velocità. Anzi, è il caso di dire che c’è un «Paese e due scuole», prendendo in prestito il titolo dell’incontro promosso dalla Svimez e L’Altra Napoli Onlus, a Napoli, in cui è emerso un divario allarmante tra le Scuole del Nord e del Sud.

Da una parte, c’è un bambino nel Nord che può beneficiare di formazione e servizi che, spesso, un bambino del Sud non ha. E questo per mancanza di infrastrutture e tempo pieno. Un gap sull’offerta formativa che desta preoccupazione. L’ultimo rapporto Svimez, infatti, ha rilevato come i servizi per l’infanzia sono caratterizzati dall’estrema frammentarietà dell’offerta e da profondi divari territoriali nella dotazione di strutture e nella spesa pubblica corrente delle Amministrazioni locali.

Nel Mezzogiorno, circa 650 mila alunni delle scuole primarie statali (79% del totale) non beneficiano di alcun servizio mensa. In Campania se ne contano 200 mila (87%), in Sicilia 184 mila (88%), in Puglia 100 mila (65%), in Calabria 60 mila (80%). Nel Centro-Nord, gli studenti senza mensa sono 700 mila, il 46% del totale.

Per effetto delle carenze infrastrutturali, solo il 18% degli alunni del Mezzogiorno accede al tempo pieno a scuola, rispetto al 48% del Centro-Nord. La Basilicata (48%) è l’unica regione del Sud con valori prossimi a quelli del Nord. Bassi i valori di Umbria (28%) e Marche (30%), molto bassi quelli di Molise (8%) e Sicilia (10%). Anche la Calabria non scherza: solo il 24% degli alunni, su un totale di 80.893, frequenta il tempo pieno.

Gli allievi della scuola primaria nel Mezzogiorno frequentano mediamente 4 ore di scuola in meno a settimana rispetto a quelli del Centro-Nord. La differenza tra le ultime due regioni (Molise e Sicilia) e le prime due (Lazio e Toscana) è, su base annua, di circa 200 ore.

Circa 550 mila allievi delle scuole primarie del Mezzogiorno (66% del totale) non frequentano inoltre scuole dotate di una palestra. Solo la Puglia presenta una buona dotazione di palestre, mentre registrano un netto ritardo la Campania (170 mila allievi privi del servizio, 73% del totale), la Sicilia (170 mila, 81%), la Calabria (65 mila, 83%).

Nel Centro-Nord, gli allievi della primaria senza palestra, invece, raggiungono il 54%. Analogamente, il 57% degli alunni meridionali della scuola secondaria di secondo grado non ha accesso a una palestra; la stessa percentuale che si registra nella scuola secondaria di primo grado.

«Questi divari nelle infrastrutture scolastiche – ha rilevato la Svimez – frenano anche la diffusione della pratica fisica e sportiva, con conseguenze negative per la salute, la spesa pubblica e lo stile di vita della popolazione, con particolare riferimento ai minori. Nel meridione quasi un minore su tre nella fascia tra i 6 e i 17 anni, infatti, è in sovrappeso, rispetto ad un ragazzo su cinque nel Centro Nord. Nel Centro Nord il 42% della popolazione adulta pratica sport regolarmente e il 26,8% saltuariamente. Nel Mezzogiorno invece le percentuali si invertono: la maggioranza pratica sport saltuariamente (33,2%) mentre la minoranza lo pratica abitualmente (27,2%). Il divario si riflette sulla percentuale di sedentari, con particolare riferimento per i minori: 15% nel Centro Nord e 22% nel Centro Sud. Ma ancor più allarmante è il dato sulle aspettative di vita: Nel Mezzogiorno sono inferiori di tre anni rispetto a quelle degli adulti centro-settentrionali».

Ma a cosa è dovuto tutto ciò? A un indebolimento delle politiche per la Scuola e la cristallizzazione del divario Nord-Sud, secondo la Svimez. L’Associazione, infati, ha analizzato la dinamica dell’intensità dell’intervento pubblico nell’istruzione – dalla scuola all’università – sulla base dei dati di spesa pubblica di fonte Conti Pubblici Territoriali. Dallo studio risulta un progressivo disinvestimento dalla filiera dell’istruzione che ha interessato soprattutto le regioni del Sud.

Tra il 2008 e il 2020, la spesa complessiva in termini reali si è ridotta del 19,5% al Sud, oltre 8 punti percentuali in più del Centro-Nord. Ancora più marcato il differenziale a svantaggio del Sud nel calo della spesa per investimenti, calati di quasi un terzo contro “solo” il 23% nel resto del Paese. In Calabria, dal 2008 al 2020 la spesa è scesa del -25,6%. È la più alta insieme alla Liguria (-20,3%), la Puglia (-20,2%) e la Sicilia (-21,9%).

Per l’ultimo anno per il quale sono disponibili i dati risulta un differenziale di spesa pubblica pro capite nell’intero comparto Istruzione, comprensivo dell’istruzione terziaria, favorevole al Mezzogiorno di circa 90 euro, ma il dato non fornisce una fotografia reale dell’effettivo impegno pubblico per l’istruzione. Più significativo è il rapporto tra spesa e studenti, dal quale risulta uno scarto sfavorevole al Sud, dove la spesa per studente è di circa 100 euro annui inferiore rispetto al resto del Paese (5.080 euro per studente contro 5.185). Lo scarto aumenta se si considera il solo comparto della scuola, con una spesa per studente di 6.025 euro al Sud contro un valore di 6.395 nel Centro-Nord. Lo scarto è ancora più significativo se si guarda alla sola spesa per investimenti: 34,6 contro 51 euro per studente.

«L’indebolimento dell’azione pubblica nella filiera dell’istruzione – ha rilevato la Svimez – incrocia un trend demografico avverso, un fenomeno che causa la riduzione degli studenti. I due fattori rischiano di autoalimentarsi in un circolo vizioso nazionale, ma particolarmente intenso al Sud. La debolezza dell’offerta scolastica e, più in generale, la limitata qualità dei servizi pubblici alimenta il processo di denatalità e i flussi di migrazione giovanile che, a loro volta, comprimono il numero di alunni, con il conseguente adeguamento al ribasso dell’“offerta” di istruzione. Tra il 2015 e il 2020 il numero di studenti del Mezzogiorno (dalla materna alle superiori) si è ridotto di quasi 250.000 unità (-75.000 nel Centro-Nord)».

Cosa fare, allora? Una soluzione la propone il direttore della Svimez, Luca Bianchi: «occorre invertire il trend di spesa e rafforzare le finalità di coesione delle politiche pubbliche nazionali in tema di istruzione. Il Pnrr è l’occasione per colmare i divari infrastrutturali, tuttavia l’allocazione delle risorse deve essere resa più coerente con l’analisi dei fabbisogni di investimento, superando i vincoli di capacità ammnistrativa».

«La priorità, oggi – ha evidenziato – è rafforzare il sistema di istruzione soprattutto nelle aree più marginali, sia del Sud che del Nord. Garantendo asili nido, tempo pieno, palestre, rafforzando l’offerta formativa dove più alto è il rischio di abbandono. Il quadro che emerge dai dati, e che rischia di rafforzarsi ancor più se passano le proposte di ’autonomia, è quello di adattare l’intensità dell’azione pubblica alla ricchezza dei territori, con maggiori investimenti e stipendi nelle aree che se li possono permettere, pregiudicando proprio la funzione principale della scuola che è quella di “fare uguaglianza”».

«Si parla di ‘due scuole’ perché il sistema scolastico nel Sud, rispetto al resto d’Italia, è carente sotto il profilo delle strutture, della capacità di attrarre i giovani, perché ha maglie larghe e troppo spesso non riesce a contrastarne l’abbandono degli studi, ed ancora perché la scuola non riesce a trovare sbocchi, una volta terminati i percorsi, nel mercato del lavoro», ha spiegato Antonio Lucidi, presidente della onlus L’Altra Napoli.

«C’è la necessità – ha dichiarato Clementina Cordero di Montezemolo, presidente dell’associazione Yolk – di creare e ricreare un patto condiviso tra la scuola e le famiglie, motivo per cui la scuola dovrebbe assumere un ruolo fondamentale nell’educazione alla vita. L’idea di tenere aperte le scuole nel pomeriggio con una collaborazione pubblico – privato, non solo ha una valenza sociale perché rappresenta un alleggerimento per le famiglie ma anche individuale, di crescita per il singolo, di sviluppo del sé, soprattutto nelle ragazze e ragazzi delle scuole medie».

Uno squilibrio che rischia di accentuarsi con l’autonomia differenziata. Guido Leone, già dirigente tecnico della Usr Calabria, ha evidenziato come sia lecita la preoccupazione «che una deriva regionalistica del sistema di istruzione possa accentuare gli squilibri già oggi esistenti fra le diverse aree territoriali del Paese, con esiti ancor più penalizzanti per quelle economicamente e socialmente più in sofferenza come la Calabria nei suoi vari servizi alla persona».

Con l’autonomia, i soldi «di cui ogni amministrazione scolastica potrà disporre verrebbero determinati in rapporto al reddito pro capite della regione di appartenenza  a tutto vantaggio delle Regioni del Nord che godono mediamente di una ricchezza doppia rispetto alle regioni meridionali come doppio è mediamente il Pil, tra il Nord e il  Sud», «con l’istruzione regionale sarebbe negato l’esercizio del diritto allo studio in maniera uguale su tutto il territorio nazionale e si realizzerebbe un doppio regime fra quello nazionale e quello regionale».

Fatto ancora più grave, le scuole si «differenzierebbero sempre più radicalmente, il divario Sud-Nord non potrebbe che aumentare, la diffusione uniforme di scuole dell’infanzia e tempo pieno sarebbe definitivamente negata, il valore legale del titolo di studio sarebbe compromesso e le regioni potrebbero decidere autonomamente su programmi, strumenti e risorse».

«La nostra comunità – ha concluso Leone – non può tollerare che un diritto fondamentale come quello dell’istruzione possa essere esposto a forme di razzismo territoriale». (rrm)

Lavoro, Occhiuto e Pietropaolo: Ok a graduatorie definitive per 258 assunzioni

Sono complessivamente 258 le unità di personale che verranno assunte dalla Regione Calabria nei primi giorni di gennaio nell’ambito del piano di potenziamento dei Centri per l’impiego. È quanto hanno annunciato il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, e l’assessore regionale all’Organizzazione e alle Risorse Umane, Filippo Pietropaolo.

Si tratta, in particolare, di 177 unità a tempo indeterminato di profilo C e 81 unità a tempo determinato del profilo D, di vari profili professionali, che dopo due anni passeranno a tempo indeterminato come già previsto dal piano di potenziamento.

Nei giorni scorsi sono stati anche pubblicati da parte del Dipartimento Personale, guidato da Marina Patrizia Petrolo, l’avviso di mobilità per 25 unità dalla altra pubblica amministrazione, l’avviso per 57 progressioni verticali per il passaggio da C a D per il personale dell’amministrazione regionale, e l’avviso per l’utilizzo di graduatorie di altre pubbliche amministrazioni per profili D per 24 unità.

Inoltre è stato espletato anche il concorso per 113 posti per funzionari di categoria D, per dare seguito a quanto previsto nel decreto del milleproproghe, che dà alla Regione la possibilità di inserire nuovo personale per sostenere le attività del Pnrr anche valorizzando le esperienze dei lavoratori precari di Azienda Calabria Lavoro.

«Si conclude così il piano del fabbisogno del 2022, che era molto ambizioso e complesso e che renderà più efficiente la macchina amministrativa regionale grazie ad una importante iniezione di nuove energie e competenze», ha spiegato il presidente Occhiuto.

Rimangono da ultimare solo le prove scritte gestite da Formez per le ulteriori 260 unità per il piano di potenziamento dei profili D e per le 31 unità nell’ambito della legge 68, che si svolgeranno nel corso del mese gennaio.

«Esprimo il mio ringraziamento a tutto il Dipartimento Personale – ha concluso l’assessore Pietropaolo – per l’intenso lavoro svolto nell’anno 2022, che ha prodotto risultati importanti, e che dimostra come anche in Calabria è possibile fare concorsi ed assumere utilizzando il solo criterio del merito e nella piena trasparenza. La scelta di affidare le attività di selezione a Formez e di non procedere con la prova orale, come consentito dai decreti di emergenza del governo, ha di fatto messo al sicuro le procedure concorsuali dal rischio di indebite interferenze». (rcz)

SCUOLA IN CALABRIA, SI DEVE FARE DI PIÙ
BASTA PROMESSE, SERVONO IMPEGNI SERI

di GUIDO LEONE – L’anno scolastico è ripartito in questi giorni e non c’è da stare allegri. 

La pandemia continua a condizionarci la vita e per la scuola nulla cambia. Tutto è rimasto come prima, gli stessi disagi, gli stessi problemi di prima. Niente impianti di aereazione, nessuna prospettiva di ridurre il numero di alunni per classe, inflazione alle stelle, situazione politica caotica, stipendi divorati dalle bollette senza prospettiva di adeguamento economico dignitoso. Intanto bisogna continuare ad assicurare il buon funzionamento della scuola, su uno scenario infuocato dalla guerra Ucraina- Russia dalle conseguenze devastanti per l’economia dei singoli e dello Stato.

Ma di quale scuola? 

Stanno provando a parlarne le forze politiche in questa deludente campagna elettorale in vista del rinnovo del Parlamento. Le promesse contenute nei programmi di partiti e movimenti sono numerose, molto impegnative tali da farle apparire un libro dei sogni. 

Se è vero come è vero che queste promesse evidenziano un peso finanziario non indifferente nell’ordine di  svariati miliardi di euro non compatibili con le note al  documento di economia e finanza presentato dal governo Draghi che prevede invece delle riduzioni nelle spese per l’istruzione.

La verità è che nessun partito punta sull’istruzione come motore dello sviluppo del paese ponendola al centro dell’agenda programmatica, però tutti li a far proposte per cui è molto probabile che queste resteranno soltanto delle enunciazioni.

Così come desta preoccupazione il fatto che tra i candidati dei vari schieramenti nella nostra regione nessuno si sofferma a considerare la condizione della scuola calabrese. Vai a sapere che cosa pensano i candidati della scuola, al di là delle parole d’ordine, della scuola viva, della storia della scuola e dei risultati che hanno prodotto trent’anni  e più di politiche scolastiche  condotte in modo bipartisan dai vari ministri.

La scuola di Reggio e della Calabria, intesa come strumento strategico di crescita del capitale umano in funzione dello sviluppo del territorio, non ha mai avuto complessivamente su di sé l’attenzione piena della rappresentanza politica. 

Il nostro sistema scolastico ci restituisce severi aspetti di criticità: una crisi nei risultati scolastici che si manifesta già nella scuola dell’obbligo e che fa prefigurare successivi scacchi formativi; il fenomeno dei debiti scolastici che indica un rapporto non positivo con gli apprendimenti scolastici; i dati più sconfortanti in materia di sicurezza e di adeguamento degli edifici scolastici; un forte turn-over nei comprensori decentrati:mobilità docente esasperata; la permanenza di squilibri territoriali con molti comuni tagliati fuori dall’offerta formativa extra-curricolari per mancanza di servizi, inadeguata integrazione tra sistema dell’istruzione e della formazione professionale; inesistente il dialogo tra mondo della scuola e delle imprese. 

E questo solo per citare alcuni aspetti senza pensare che la Calabria sta ancora pagando lo scotto di discutibili processi di dimensionamento che non hanno tenuto conto delle peculiarità territoriali, dei bisogni formativo/educativi di determinate aree a rischio della regione, non razionalizzando i processi di accorpamento delle singole scuole in termini di moderna consortilità intercomunale, come avviene per altro genere indispensabile di servizi alla comunità.

In conclusione, le prove invalsi del 2022 confermano l’arretramento ulteriore degli apprendimenti degli studenti calabresi a tutti i livelli rispetto al periodo pre-pandemia: è un problema grave, che rischia di compromettere il futuro di questa generazione. 

Alla preoccupazione suscitata dai test negli ultimi anni, però, non ha fatto seguito una seria azione di recupero a livello regionale. Si può solo sperare che questo ulteriore campanello di allarme sulla perdita degli apprendimenti causata dalla pandemia, che ha pesantemente aggravato una situazione già prima insoddisfacente, sia seriamente affrontata a livello di governo nazionale e regionale e dal mondo della scuola.

È sul territorio, dunque, che si misura la capacità della politica ad affrontare i nodi strutturali di un sistema scolastico come il nostro che manifesta altre criticità ormai consolidate che vanno dagli alti tassi di dispersione, all’analfabetismo primario e di ritorno, alla cultura della illegalità peraltro molto diffusa.

Ma, calandoci nel nostro territorio, quello che ci interessa sapere di più è cosa intendono fare i  candidati al Parlamento dei vari partiti per i prossimi cinque anni. Sapere cosa ne pensano del sistema scolastico e universitario ai fini dello sviluppo della nostra regione, quale scuola vogliono per le nuove generazioni.

E siccome abbiamo detto che su questo versante tutto tace suggeriamo noi alcune domande: quale scuola per le nuove generazioni? Come tornare a investire sulla scuola per renderla al passo con le sfide del XXI secolo e per il raggiungimento degli obiettivi comuni dell’Ue? 

Quale docente? Quali competenze, percorso di formazione, percorso di carriera? Quale stato giuridico? Quale riconoscimento economico? Quale rivalutazione sociale? Quali proposte per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche?

Esiste una questione meridionale sulla formazione? Esiste un ritardo nello sviluppo della nostra regione alimentato anche da inadeguate e lacunose  politiche educative?

Insomma, il futuro della nostra regione e del Paese passa per i banchi di scuola. È così difficile capirlo? (gl)

Istruzione e formazione professionale, Regione approva lo schema d’accordo con l’Usr

Su impulso del vicepresidente Giusi Princi, la Giunta ha approvato lo schema di Accordo con l’Ufficio Scolastico regionale della Calabria, per consentire agli istituti professionali della Calabria di attivare due diverse tipologie di Istituti di Istruzione e Formazione Professionale.

Nello specifico, si tratta di percorsi per il conseguimento della qualifica triennale (III livello EQF) che consentono l’assolvimento dell’obbligo di istruzione; percorsi per il conseguimento del diploma professionale quadriennale (IV livello EQF).

A partire dai 15 anni d’età viene data ai calabresi la possibilità di formarsi per il conseguimento dell’apprendistato di I e II livello finalizzato a favorire il loro inserimento nel mondo del lavoro. Questi infatti potranno essere assunti già minorenni come apprendisti nelle aziende. Al terzo o quarto anno, gli studenti che hanno optato per l’accesso alla qualifica o al diploma professionale di IeFP potranno sostenere gli esami per il conseguimento dei titoli di qualifica di diploma professionale.

L’accordo, nato in ambito di offerta sussidiaria, disciplina tra l’altro: i criteri per il riconoscimento dei crediti acquisiti dagli studenti attraverso le attività integrative (interventi che le istituzioni scolastiche possono prevedere per integrare i percorsi di Istruzione Professionale con attività idonee a far acquisire, nell’ambito del Piano Formativo Individuale di ciascuno studente, conoscenze, abilità e competenze riconoscibili in termini di crediti formativi); – il raccordo tra i sistemi attraverso i passaggi tra i percorsi di Istruzione Professionale ed i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (e viceversa).

Un apposito gruppo tecnico costituito da Regione e USR, con cui si è sinergicamente lavorato per la stesura dell’accordo, monitorerà la realizzazione dei percorsi IeFP per facilitare sempre più il successo formativo degli studenti e l’acquisizione di competenze da spendere nel mondo del lavoro.

«Aggiungiamo un tassello importante alle misure già promosse sin qui attraverso diversi strumenti – ha dichiarato il vicepresidente Giusi Princi – garantendo così un’offerta formativa ampia e plurale, orientata ai bisogni del sistema produttivo e che risponda alle esigenze personali degli studenti calabresi. Questo accordo consentirà, tra l’altro, di potenziare i numeri di formazione duale previsti nell’ambito delle misure di politiche per il lavoro fortemente volute dal Presidente Roberto Occhiuto». (rcz)

Formazione, è in funzione il Sistema informativo di supporto

È in funzione il Sisfo, il sistema informatico di supporto alla formazione, ossia una piattaforma informatica concepita per rendere più efficiente ed efficace la gestione dei macroprocessi formativi professionali non solo per la Regione ma di conseguenza anche per tutti gli Enti di formazione ad essa allacciati che erogano attività di formazione ed orientamento.

È un’iniziativa nata in armonica sinergia tra dipartimento Istruzione, Formazione e Pari opportunità ed Agenda digitale, che ne ha finanziato l’attuazione.

Lo ha reso noto la vicepresidente della Regione, Giusy Princi, che ha sottolineato come con questo prezioso strumento «supereremo le molte criticità registrate nel passato eliminando opacità e irregolarità; per la prima volta verranno censiti e monitorati in maniera informatizzata tutti gli enti che erogano formazione per conto della Regione Calabria».

«Avremo, dunque – ha aggiunto – contezza di tutte le agenzie accreditate, del numero totale delle ore, di come è gestita la formazione. Il nostro intento è cancellare le inefficienze di un sistema fino al 31 dicembre 2021 basato solo sul cartaceo e affidato esclusivamente alla buona fede degli enti di formazione sparsi sul territorio delle province».

«Ne deriveranno – ha spiegato – meno spese, meno personale impegnato, zero sperperi, semplificazione, maggiore trasparenza e legalità, migliore qualità dei servizi erogati. Stiamo gettando le basi per una Formazione che abbia una ricaduta vera sulla Calabria, in termini di occupazione e di qualità, come da obiettivi programmatici della Giunta Occhiuto».

Questa innovativa piattaforma segna una rivoluzione per la Calabria, permettendo di gestire i processi inerenti alle richieste di accreditamento, di riconoscimento, di mantenimento dei requisiti, modifica e rinuncia degli accreditamenti, autorizzazione all’erogazione dei corsi autofinanziati, di partecipazione ai bandi di finanziamento, di nomina commissari/presidenti d’esame, nonché il monitoraggio dei corsi finanziati e autofinanziati e la rendicontazione dei corsi liberi e finanziati, affidati al dipartimento Istruzione, Formazione e Pari opportunità della Regione Calabria.

Il Sisfo governa anche il flusso dei documenti, ed è direttamente collegato agli altri sistemi informatici regionali e nazionali del mercato del lavoro. Il nuovo sistema, già attivo per la componente dell’accreditamento, coesisterà col vecchio (prettamente cartaceo) per i prossimi 90 giorni, al termine dei quali resterà solo il telematico. In questo lasso di tempo il Sisfo verrà inoltre rafforzato con un altro rivoluzionario supporto, la tecnologia blockchain, ad oggi mai applicata in nessuna Regione a questo tipo di attività pubbliche.

Si tratta di un registro degli utenti condiviso e immutabile per la tracciabilità degli iscritti, dei relatori, dei contenuti e delle ore dei vari corsi di formazione. Accanto all’accreditamento, che è la precondizione per fare i corsi, sarà quindi resa telematica la gestione vera e propria dei corsi stessi, comprese le autorizzazioni per il rilascio di qualifiche ed attestati professionali. (rcz)

La vicepresidente Princi: Per formazione bandi rivoluzionari destinati a 585 giovani calabresi

La vicepresidente della Regione Calabria, Giusy Princi, ha reso noto che «stiamo investendo oltre 4 milioni di euro in un bando rivoluzionario, che prevede per la prima volta che ad essere finanziati saranno quegli enti di formazione che offriranno percorsi coerenti con i bisogni occupazionali reali del nostro Territorio».

Si tratta di un Avviso pubblico che, da oggi, darà attuazione al Sistema formativo regionale dell’Istruzione e Formazione professionale (IeFP) attraverso i percorsi duali, ovvero percorsi di apprendimento che consentano agli adolescenti di assolvere l’obbligo di istruzione tramite attività basate sull’alternanza formazione-lavoro.

È un modello formativo molto diffuso nel centro Europa, che riduce il divario tra conoscenze e competenze tecnico-pratiche; inoltre, a conclusione del percorso duale, consegna agli allievi una qualifica professionale di livello III EQF spendibile nel modo del lavoro.

In questa prima fase saranno 15 i percorsi attivati, per un totale massimo di 225 allievi ed una dotazione finanziaria pari a 4.108.851,00 euro.

L’intento è di favorire esperienze professionalizzanti finalizzate ad orientare i giovani calabresi nel mercato del lavoro, a ridurre i tempi di passaggio tra l’esperienza formativa e quella professionale, a migliorare le condizioni di accesso nel mondo del lavoro. Il Sistema Formativo Regionale è “bipolare”, concepito per dare priorità sia al giovane, alle sue abilità e aspettative, sia ai fabbisogni espressi dal mercato del lavoro sul Territorio di riferimento.

Il punto di equilibrio tra queste due necessità, spesso non convergenti tra loro, rappresenta il segno distintivo della nuova programmazione targata Occhiuto.

«Le connessioni tra queste due sfere di necessità devono essere immediate e non lasciate all’incertezza di un matching casuale. Per questi motivi, come Giunta regionale abbiamo ritenuto indispensabile orientare le prossime attività formative verso profili professionali coerenti rispetto alle richieste occupazionali espresse dalle imprese calabresi e censite negli studi condotti da UnionCamere e Anpal – ha spiegato il vicepresidente Princi –. A tal fine, nel bando è stata inserita una premialità a quegli enti che formano i profili richiesti».

Contestualmente, è stato pubblicato un altro Avviso, per l’individuazione e la gestione dell’offerta formativa pubblica di base e trasversale dell’apprendistato professionalizzante, ai sensi dell’art. 44 del d.lgs. n. 81 del 15/06/2015. Quest’ultima iniziativa sostiene i percorsi per la formazione esterna in apprendistato professionalizzante organizzati da agenzie formative accreditare sul territorio regionale e rivolti ai giovani inseriti nelle aziende locali con un contratto di apprendistato: 24 i percorsi che saranno finanziati, per un totale di circa 360 allievi ed uno stanziamento complessivo di 248.589,00 euro (che potrebbero essere incrementati nel prossimo futuro).

«I due Avvisi pubblicati sono il primo esempio di attività amministrativa orientata ad una sempre maggiore oggettività ed alla semplificazione metodologica. Redigerli in tempi così ristretti è stato possibile solo grazie all’abnegazione di tutto il personale e dei Dirigenti del Dipartimento Istruzione Formazione e Pari Opportunità», ha concluso Giusi Princi. (rcz)

LA SCUOLA E IL DIVARIO FORMATIVO A SUD
IL RILANCIO ITALIANO PASSERÀ DAI BANCHI

di FRANCESCO RAO – La scuola, intesa come sistema educativo e formativo della futura classe dirigente, dovrebbe rappresentare uno tra gli indiscussi punti di forza per qualsiasi nazione. Sulla scorta di tale affermazione, dovrebbero essere previsti una serie di azioni tese a verificare costantemente il posizionamento del punto di equilibrio posto lungo la curva dell’offerta formativa praticata dal sistema scolastico italiano.

In tal senso si potrà affrontare con lucidità il recepimento delle costanti sollecitazioni provenienti dal mercato del lavoro in stretta connessione al fabbisogno dei processi di produzione, garantendo così di volta in volta le necessarie rimodulazioni volte a garantire agli studenti di poter frequentare una scuola al passo con i tempi e di conseguire un titolo di studio immediatamente spendibile nel mondo del lavoro. Tutto ciò, oggi più che mai, rappresenta un validissimo modello predittivo finalizzato a conferire vita alla materializzazione delle sfide tecnologiche che costantemente domandano, al mondo della scuola e delle università, nuove competenze.

L’OCSE, con i puntuali rapporti annuali, tesi a monitorare l’apprendimento scolastico, svolge uno straordinario servizio. Purtroppo tale attività non è stata debitamente resa sufficiente e l’azione svolta dal noto istituto francese, volendo essere un tantino critico, ogni anno ha consegnato ai nostri competitor Europei tutte le criticità dei nostri studenti e di conseguenza abbiamo puntualmente fornito al mondo la mappa delle debolezze strutturali presenti e future. Al contempo è mancata una approfondita analisi di natura politica, volta ad avviare nuovi scenari finalizzati a superare definitivamente i trend che hanno iniziato a lanciare segnali di allarme sin dagli anni 90 dello scorso secolo.

Basti pensare che il protrarsi del gap tra studenti del Sud e studenti del Nord nel mancato raggiungimento di lodevoli obiettivi nelle discipline scientifiche e linguistiche ha conferito una rinnovata valenza al concetto antropologico consegnato alla storia da Cesare Lombroso, sotteso ad etichettare il Meridione ed i Meridionali principalmente come soggetti inferiori e criminali. Non è la prima volta che mi occupo di tali problemi. Da molto tempo continuo ad affermare che il Meridione avrà una seconda vita ed offrirà migliori opportunità ai propri giovani quando ci sarà una scuola capace di essere attuale e propensa ad interpretare prontamente i tempi senza doverli inseguire. In tal senso, qualche domanda sorge spontanea: a fronte dell’insufficiente profitto in ambito scientifico e linguistico che nel tempo ha interessato altissime percentuali di studenti Meridionali, richiamando nello specifico un mancato raggiungimento degli obiettivi previsti per la matematica, la chimica, la fisica e le lingue straniere, i vari governi come hanno risposto ai dati forniti annualmente dall’OCSE? Ed inoltre, quale azione è stata attuata per mitigare il crescente rischio della dispersione qualitativa e quantitativa che affligge il Meridione e le aree interne in particolare? Sono stati attuati corsi di aggiornamento obbligatori per i docenti? Sono state attuate azioni di monitoraggio per comprendere in quale preciso segmento formativo ha origine la negatività dei dati? Con buona probabilità, quando la forbice qualitativa si chiudeva si pensava a rincorrere il raggiungimento delle famose percentuali europee nelle quali l’Italia, ieri come oggi, ancora non ha livellato il rapporto con molti degli altri stati per quanto riguarda il numero di diplomati e laureati, trascurando l’idea della meritocrazia per scegliere la strada della quantità. Detto ciò, per quanto mi riguarda, continuo ad intravedere la scuola come l’ascensore sociale per eccellenza che le famiglie e gli studenti dovranno guardare con maggiore interesse e fiducia. Il rilancio dell’Italia passerà dai banchi di scuola e dalla straordinaria capacità messa in atto dalla stragrande percentuale di docenti, innamorati del loro lavoro e perfettamente coscienti del ruolo che lo Stato riconosce loro.

Vi sono però delle criticità che vorrei proporre all’attenzione dei nostri lettori e, puntualizzo sin da subito, che non è mia intenzione dubitare della professionalità dei docenti nell’effettuare la lettura dei recentissimi dati che non promuovono il nostro modello scolastico, credo sia giunto il momento di assumere in merito  una decisa presa di posizione puntualizzando che non basta aver conseguito una laurea ed aver vinto un concorso per poter essere docenti c’è bisogno di tanta passione.  Basta sentirsi con la coscienza pulita dopo aver ripetuto ai propri discenti il capitolo di storia o l’esercizio di matematica, reiterando l’identico modello appreso più di 30 anni addietro. Con buona probabilità quel metodo va rivisitato ed attualizzato in quanto bisogna saper affascinare gli studenti ed incuriosirli continuamente. Occorre rivedere le disposizioni dei banchi in classe introducendo sempre e di più la circolarità; sarebbe opportuno rivedere i modelli formativi nell’insieme, immaginando la programmazione del breve, medio e lungo periodo  soffermandosi spesso sull’idea della coprogettazione delle lezioni e rivedendo dove necessario la sostituzione della tipica lezione frontale con altri modelli formativi tesi a stimolare il lavoro di gruppo e la partecipazione, elemento di indispensabile necessità in quanto siamo proiettati ad essere una società di solisti e non una comunità di persone capaci di confrontarsi e trovare soluzioni condivise. Oggi, seppur l’istruzione sia un diritto garantito a tutti, le sacche di analfabetismo funzionale ed informatico rappresentano l’identica problematica affrontata dai governi nell’immediato secondo dopoguerra, con l’aggravante che oggi ad essere analfabeta funzionale è un laureato e non una persona completamente analfabeta.

Da oltre 30 anni a questa parte, mentre si registrava un crescente impulso innovativo dettato da una galoppante ascesa dell’informatica e della tecnologia, la modernità alimentava la disattenzione sociale rimanendo inglobato nella bolla speculativa materializzatasi nell’ultimo decennio del Secolo scorso. Tale periodo appariva come una fase di benessere destinata a non doversi esaurire mai. L’onda lunga del ’68 aveva ormai generato un’idea tesa a vedere superati i modelli verticistici ed i processi educativi si trasformavano da modelli normativi a modelli affettivi, spingendo i genitori a scegliere la scuola dove non esisteva la bocciatura alla scuola dove la bocciatura era una delle due variabili posta in funzione al profitto del discente. Questa breve premessa, si pone al centro tra la galoppante affermazione della postmodernità ed una delle pochissime ed intuitive azioni compiute dall’allora Ministro Mariastella Gelmini con l’istituzione degli Istituti Tecnici Superiori. Tale scelta, oltre ad interpretare correttamente i tempi, uniformava i cicli formativi italiani ai modelli europei. Tant’è vero che il super diploma, titolo conseguito dopo aver frequentato un percorso biennale a scelta tra uno dei 6 indirizzi, rappresentava il punto di partenza per risolvere la crescente richiesta di tecnici, proveniente dal mercato del lavoro paralizzato anche a causa della crescente  penuria di Risorse Umane altamente qualificate.

L’importazione di questo modello formativo, assunto dal sistema duale tedesco, supera qualitativamente tanti altri processi processi formativi anche afferenti al mondo universitario perché sono state introdotte due azioni innovative: la prima è l’inserimento di una percentuale di docenti provenienti dal mondo delle professioni; la seconda consiste nell’aver previsto durante il processo formativo una fase di Stage da svolgere in azienda, coinvolgendo il discente nei processi lavorativi dopo aver espletato una breve fase di affiancamento. Quest’ultimo elemento, in buona parte è l’elemento che consente all’azienda di formare una o più Risorse Umane su specifiche necessità ed alla fine del percorso poter procedere con l’assunzione.

Tutto ciò rispondeva ai complessi indicatori di cambiamento, provenienti principalmente dagli Stati Uniti d’America, nei quali oltre ad intravedere la necessità di rivedere il modo di fare scuola si avvertiva l’avvio di un divario formativo posto tra le principali cause della disoccupazione giovanile Italiana e soprattutto Meridionale. Questa affermazione, già nel 1995 e con una straordinaria lungimiranza, era stata consegnata al mondo da Jeremy Rifkin con la pubblicazione del suo best seller “la fine del lavoro”.

Oggi, a consolidare la bontà dell’analisi svolta dal noto economista americano vi sono una serie di circostanze. In prima battuta è individuabile la persistente volontà messa in atto dal mondo politico italiano nel protrarre un modello di scuola imbastita sulle abilità e trascurando di fatto le competenze. Questa scelta, in buona parte non ha tenuto in considerazione la dinamicità evolutiva dell’industria decretando nel lungo periodo un notevole ritardo strutturale, tanto nella preparazione dei nostri giovani quanto nell’ambito della ricerca, dell’innovazione tecnologica e della crescita economica dell’Italia.

Ad oggi possiamo vantare il primato di una scuola primaria d’eccellenza ma bisogna urgentemente rivedere l’accesso dei docenti nel più delicato segmento della scuola italiana, ossia la scuola secondaria di primo grado. I tre anni di questo segmento formativo richiedono una fortissima azione pedagogica,  pertanto i docenti impegnati in tale fase, seppur preparatissimi e dotati di buona volontà, dovranno annualmente essere formati per poter essere sempre pronti ad accogliere le nuove sfide educative, offrendo agli studenti l’opportunità di potersi proiettare al segmento di studi successi con una maggiore consapevolezza ed una preparazione più salda, soprattutto in ambito scientifico, linguistico ed informatico. Per le aree Meridionali, sempre più esposte a fenomeni di povertà educativa, deprivazione culturale e dispersione scolastica, per questo segmento formativo, sarebbe opportuno che il Ministero dell’Istruzione valutasse l’idea di istituire il tempo prolungato obbligatorio e la mensa. La delicatezza di questa fase, vissuta dagli studenti in coincidenza con la loro età evolutiva dovrebbe trasformarsi  in una vera e propria opportunità.

Infine, nel ringraziare tutti quei docenti che riescono a mettersi in gioco ogni giorno, superando ogni difficoltà e limite, finanche  dovendo qualche volta acquistare di tasca propria la carta per le fotocopie, mi sento di rivolgere un appello affinchè il governo riveda lo stipendio di quanti sono chiamati a formare la classe dirigente del futuro riconoscendo maggiori opportunità per quanti desiderano studiare, migliorarsi e far migliorare la scuola. Per una volta, proviamo ad immaginare l’asta della cultura come fonte di un benessere diffuso, intravedendo nella qualità il riconoscimento dei meriti. Tutto ciò, non farà bene soltanto ai docenti, farà bene ai nostri studenti ed all’Italia.

Oggi dobbiamo riflettere sulla pagella che in questi giorni ha fatto saltare dalla sedia quanti hanno intravisto da vicino la dimensione del nodo “scuola”, fin troppo grande al prospetto del pettine utilizzato per governare  il futuro di 8 milioni di studenti e la trasversalità complessiva che la scuola potrà arrecare alla crescita ed allo sviluppo della nazione, con un rinnovato e positivo impatto sociale che potrà caratterizzare il Terzo Millennio. (fr)

[Francesco Rao è un sociologo, vive a Cittanova]

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CONTRO IL FALLIMENTO POLITICO-SOCIALE
RIPARTIRE CON LA CULTURA TRA I GIOVANI

di FRANCESCO RAO – È vero, per mille motivi, tanto come Calabria quanto come calabresi, siamo messi proprio male. Ultimamente, tale circostanza sta diventando sempre più il pretesto per alimentare approfondimenti televisivi, per colmare pagine di giornali e far rimbalzare nella rete del villaggio globale un misto di incredulità, indignazione e scoramento. Attenzione: purtroppo, c’è anche molta indifferenza. Tutto ciò non dovrà significare arrendersi per dover, poi, scrivere la parola fine. Pur avendo sotto i nostri occhi la sommatoria di una serie infinita di fallimenti culturali, politici e sociali dobbiamo andare avanti. Oggi, per poter ripartire e costruire il futuro, il  primo passo da compiere dovrà chiamarsi discontinuità rispetto al passato.

Prima di entrare nel merito della mia riflessione, vorrei ben chiarire alcuni concetti. Quando si parla di cultura, non intendo riferirmi al concetto di sapere ma indico quel complesso ambito delle istituzioni sociali, politiche ed economiche, delle attività artistiche e scientifiche, delle manifestazioni spirituali e religiose che caratterizzano la vita di una determinata società in un dato momento storico.

Pertanto, avendo chiarito il concetto basilare sul quale lavorare, si comprenderà bene la causa del fallimento politico e sociale di questa terra. Non vorrei essere eccessivamente puntiglioso, ma più tempo passa più mi accorgo che le passate generazioni, in alcune circostanze, hanno agito con una certa superficialità. Tutto ciò non vuole essere un colpevolizzare qualcuno. In una fase di espansione economica e di apparente benessere, votare una capra o sostenere un genio non fa la differenza.

Purtroppo, spesso, in Calabria oltre ad essere state elette persone poco avvezze a leggere le esigenze sociali e poi realizzarle, sono stati eletti ottimi politici ma hanno trovato spazio anche molti personaggi che Leonardo Sciascia, nel suo romanzo “Il giorno della civetta, avrebbe chiamato quaquaraquà.

Contrariamente al passato, la modernità e tutta la sua tecnologia, contribuiranno a far correre il tempo in modo sempre più veloce. Tale dinamica, unitamente ad i crescenti litigi, ai veti incrociati, agli inciuci ed all’attendismo tecnico dettato da partiti, movimenti e armate Brancaleone, determineranno l’acuirsi di una crisi molto più profonda di quanto si possa immaginare. Oltre alla desertificazione economica, i risvolti incideranno sul piano demografico paralizzando il futuro della Calabria.

I primi a pagare il prezzo più alto, secondo recenti ricerche econometriche, saranno le aree interne ed seguire i piccoli centri urbani. Si stima una certa resistenza  a favore degli aggregati urbani e per le città, ma in esse cercheranno rifugio segmenti sociali sempre più poveri e con minore capacità di reazione a quella che potrebbe essere una vera e propria riaffermazione della divisione sociale. Forse, quanti oggi sono individuabili come decisori politici non hanno compreso o non vogliono comprendere la differenza tra i tempi passati e l’attualità. Proviamo a ribadirlo: in passato le scelte politiche generavano onde lunghe destinate ad essere percepite nel medio-lungo periodo; oggi, non è più così. Inoltre, proprio in questa fase storica stiamo pagando le crisi di altri momenti storici e, come già detto prima, il peso insopportabile riposto sulle nostre spalle è una sommatoria di crisi destinata ad asfissiare il Meridione.

Per molti versi, staremmo vivendo una Calabria apparentemente uscita dal racconto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e la “questione sanitaria” si presta a perpetuare l’assunto divenuto celebre nel Gattopardo «affinché tutto cambi tutto deve rimanere com’è».

Inoltre, il male più grave che ci stiamo arrecando consiste nel continuare a diffondere l’insolito culto dell’auto “ingiuria”, praticato all’infinito e con una certa propensione a non voler tenere in considerazione le conseguenze di tale comportamento. Pietire attenzioni, sperando di risolvere i problemi, credo sia una strada da abbandonare.

Sarebbe meglio ricorrere a percorsi diversi, utilizzando  maggiore intelligenza. Il nostro modello potrebbe essere paragonato ad  un sistema di circolazione autostradale: in un senso bisognerebbe  far transitare le proteste e nell’altro dovranno trovare la carreggiata libera le proposte. Insomma, avendo noi Calabresi ereditato l’agire della popolazione Greca, potremmo iniziare ad amare la polis con maggiore responsabilità e soprattutto praticando una gelosia costruttiva?

Vivendo immersi nella disinformazione, non può esserci spazio per la virtù perché il sistema utilizzato per disinnescare l’entusiasmo di quanti vorrebbero veramente impegnarsi in tal senso continua a chiamarsi delegittimazione. Quindi, in assenza di una cultura solida e diffusa ed in presenza di una dirompente delegittimazione, praticata prevalentemente da mediocri, quanti hanno capacità e volontà, desisteranno dall’impegno civico lasciando spazio ad una classe politiche incapace e priva di una visione futura.

Ebbene, la gravità della crisi di cui ho dato cenno, secondo i recenti dati Istat, riserveranno al Mezzogiorno un lento e pesante declino demografico. Basti pensare che dal 2019 al 2065 è stata stimata una riduzione della popolazione italiana di 6,9 milioni di abitanti, di cui 5,1 milioni in meno  appartenenti al Sud, mentre solo 1,8 milioni afferiscono al Nord. Già da questo dato credo sia comprensibile la diffusa preoccupazione di quanti, responsabilmente, non possono essere lasciati a giocare con il nostro futuro.

I vezzi infantili degli aspiranti politici, rinati dalla fantasia dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia andrebbero letteralmente fermati. Venendo meno un così alto numero di abitanti, il tessuto economico apparirà irrecuperabile. Vi sono molte responsabilità pregresse perché l’onda lunga di tale declino è partita con la crisi del 2007.Il grafico di cui alla fig. 1 rappresenta chiaramente tale dinamica. Seppur nella fase successiva alla crisi del 2007, a livello strutturale ci sia stata una certa ripresa, il Mezzogiorno non è riuscito a mantenere un trend di crescita tale da rendere possibile la ripresa. Le motivazioni sono molteplici. Intanto, teniamo a mente che dal 2008 al 2011 al Governo c’era Silvio Berlusconi. Un governo di ispirazione liberale aveva il dovere di considerata l’onda lunga generata dalla caduta del muro di Berlino. Nei  20 anni intercorsi, era cambiata la struttura e velocità del mondo. Con la stipula a Marrakesh, Marocco, del Trattato World Trade Organization (Wto) si disegnava ciò che diverrà una nuova logica mercantile e geopolitica, destinata a rivoluzionare il comparto mondiale dei trasporti via mare ed all’avvio dei processi di globalizzazione che non potevano essere governati con le classiche misure Keynesiane, finalizzate ad avviare interventi pubblici per arginare la crisi.

Era quello il momento di avviare un cambio di rotta a livello strutturale per poter prima assorbire la spinta del cambiamento e poi cogliere l’occasione per galoppare la tigre della crescita. Sappiamo benissimo come è andata. Visionando i grafici, in particolare la figura 3, sempre frutto di elaborazioni Svimez, è possibile leggere la reazione del sistema occupazionale sviluppatosi nel Mezzogiorno d’Italia a partire dal 2008. La decrescita Meridionale viene quasi travasata nella crescita  registrata nel Centro-Nord dell’Italia, luoghi dove vi erano maggiori opportunità occupazionali e segmenti di mercato capaci a mettere in atto la riforma Biagi consentendo a quel mondo produttivo di pigiare l’acceleratore tanto sull’occupazione quanto sulla produzione.

In questa fase, il Meridione segnava il passo, eleggeva deputati e senatori catapultati dalle segreterie politiche in Calabria per garantire loro un collegio sicuro e il nostro futuro veniva ipotecato.
Quanto asserito in merito alle dinamiche occupazionali, viene abbondantemente illustrato nel grafico sottostante. Anche in questo caso, va tenuto in considerazione il mutamento offerto dalla politica. Fu proprio il governo Renzi a conferire un’ulteriore spallata alla nostra possibilità di rialzarci e marciare. Mandando in pensione la riforma Biagi e attuando il Job Act il dado era tratto ed il risultato non era a noi favorevole. Come si potrà osservare dalla lettura del grafico, mentre per il Centro Nord, i segnali del Job Act furono in parte positivi, per le aree del Meridione, tale azione fornì soltanto timidi segnali che non diedero il riscontro atteso e in buona parte contribuirono a incidere sulle scelte di moltissimi Giovani visti partire dal Meridione alla volta del Centro-Nord Italia ed anche verso l’estero.
Come già anticipato, nel Mezzogiorno, lo scorso anno sono nati 150,4 mila bambini. Questo dato fornisce chiaramente un saldo negativo rispetto al passato e il valore è pari a 6,4 mila bambini in meno. A ciò si aggiunga che nel  2018,  oltre 138 mila residenti hanno lasciato la propria terra. Circa 20 mila hanno scelto un paese estero come residenza e tra essi, la quota più ampia era composta da un 30% di laureati ed un 38% di Diplomati, ossia quelle risorse umane che avrebbero potuto apportare a questa terra oltre al loro entusiasmo la loro preparazione per avviare lo sviluppo. Purtroppo, vi è anche un’ulteriore punto di debolezza ed afferisce all’universo femminile.

Nel Mezzogiorno, circa un quinto delle donne ancora non riesce ad avere un proporzionato inserimento professionale. Al significativo ampliamento dell’offerta di lavoro non sono corrisposte opportunità con elevati livelli di istruzione non vi sono ancora adeguate risposte nell’ambito occupazionale. Questo mancato allineamento del Mismath occupazionale alimenta segmenti di lavoro sottopagati e non in linea con i titoli posseduti. Intanto, la quotidianità per quanti scelgono di rimanere nel Meridione non è semplice. Seppur ancora la famiglia svolga un ruolo importantissimo, in molti casi tale combinazione potrebbe essere una condizione di povertà educativa. Il grafico sottostante rappresenta la spesa pro-capite dei comuni per i servizi socio educativi destinati all’infanzia.

Come si potrà notare, tra 2013 e 2018, la variazione è stata minima ma il divario sociale rimane una forbice in costante fase di apertura.Sin da marzo scorso, a seguito del primo lockdown, uno dei grossi punti di debolezza avvertito a livello strutturale è stato riconducibile alla qualità della connettività mezzo internet. A ciò si aggiungano anche tutti quei problemi afferenti alle mancate competenze informatiche, connessioni qualitativamente basse, computer e tablet poco potenti.

Insomma, improvvisamente, oltre ad aver incontrato in terra di Calabria il Covid-19, abbiamo dovuto fare i conti con reti internet inadeguate e con tutte le altre circostanze già richiamate. Anche in questo caso, ricorrendo al grafico, sarà possibile notare che proprio il Mezzogiorno d’Italia ha il valore più alto di giovani tra 6 e 17 non hanno a loro disposizione dispositivi informatici.

Personalmente, già in passato, precisamente prima di metà marzo 2020 avevo scritto alla Ministra della Pubblica Istruzione, Lucia Azzolina, per sottoporre tali dinamiche e soprattutto lanciare la proposta tesa a voler rendere possibile la connessione alle piattaforme informatiche a costo calmierato. In tale contesto, ancor prima della pandemia, in Calabria è stata la dispersione scolastica a generare disastri, soprattutto tra i giovani. Questo è uno di quegli ambiti che andrebbe assolutamente ricondotto a percorsi specifici finanziabili con il Recovery Fund, senza perdere tempo e senza tergiversare come invece stiamo notando ultimamente dai comportamenti di una parte politica di governo.

Per poter ripartire, giungendo al 2030 con una generazione ben formata e provvedendo a fare sempre meglio, si potranno azionare sistemi di contenimento tesi a rallentare la spoliazione demografica sopra esposta e continuando a formare bene i giovani e potendo disporre di un nuovo sistema sociale, generato da una rivisitazione del modello culturale, si potrà avviare una vera e propria inversione di tendenza, restituendo alla Calabria ed ai calabresi, non soltanto le opportunità di una rinascita ma la rottura con l’ignoranza di quanti in passato volevano governare senza avere una visione ben chiara del mondo ed accontentandosi di conoscere la strada principale del loro paese con arroganza sono riusciti a fare danni, svilendo il senso nobile della politica intesa come servizio della polis ed imbarcando tra le fila del potere i segmenti criminali, prima propensi ad aiutare e poi affascinati dal potere.

La dispersione scolastica, nel medio-lungo periodo, vedrà sempre più arretrare la propensione alla legalità ed allo sviluppo mantenendo elevato il rischio di devianza sociale ed instabilità delle Amministrazioni locali. Infine, essendo quotidianamente sottoposti alle platee mondiali di telespettatori che vedono la nostra terra come l’ultimo Paese del mondo, per una volta, accettiamo lo stato di cose in quanto la verità sul nostro conto, come ci è stata comunicata in questi ultimi mesi, mai prima d’ora era avvenuto.

Questo ultimo grafico, risalente al 2018, rappresenta la base dei nostri Livelli Essenziali di Assistenza che i vari Commissari alla Sanità avrebbero dovuto innalzare sotto la costante osservazione di deputati, senatori, amministratori regionali e locali per evitare i viaggi della speranza, le lunghe attese ed oggi l’incertezza che regna nel nostro sistema sanitario. 

Sino a quando non verrà attentamente rivalutata la questione culturale calabrese, non dovrà nemmeno esserci spazio per l’indignazione che in tanti hanno avuto quando all’arresto di un latitante, effettuato per mano dei carabinieri, decine di persone applaudivano l’arrestato incitandolo a stare tranquillo perché quel popolo continuava ad avere fiducia in lui. Quest’ultimo esempio, scritto con molta amarezza, rappresenta un sistema plastico dove lo Stato, in alcuni territori, non è riuscito a manifestare tutta la propria consistenza lasciando spazi liberi a quanti nella mala vita hanno individuato la loro naturale collocazione, dimenticando che l’avventura del bandito Giuliano è ormai conclusa ed oggi lo Stato, come la natura, riprende tutti i propri spazi perché così è giusto che sia.

Non me ne vogliate. Sarò pur ripetitivo, ma anche quest’ultima parte è una questione culturale, come è una questione culturale la rieducazione del detenuto e la volontà di chiudere con il passato. Il lavoro da compiere è davvero arduo, perciò necessitano competenze ed entusiasmo. (fr)

IN CALABRIA STOP AI TIROCINI REGIONALI
SONO OLTRE 6MILA ORMAI SENZA REDDITO

L’intenzione era buona, ma alla fine di questa lunga agonia – durata anni – che ha visto protagonisti i tirocinanti calabresi, l’unica cosa ottenuta è una porta sbattuta in faccia: la Regione ha deciso che nessun tirocinio sarà più attivato e che i tirocinanti già formati andranno a lavorare nel privato grazie a manifestazioni rivolte alle aziende private per incentivare ad assumere chi ha svolto i percorsi formativi con la Regione.

Chi sono i tirocinanti? È una forza lavoro a basso costo che rende al massimo mentre “apprende”, ovvero fa tirocinio, per formarsi e prepararsi a un potenziale contratto di lavoro a tempo indeterminato. Il problema è che per questa larga categoria di lavoratori che spesso copre i “vuoti” che l’assenza di concorsi lascia in ampi settori della cultura, della giustizia, degli enti locali, dell’università. Spesso non ci sono garanzie previdenziali né coperture contributive, è lavoro nero quasi legalizzato, comunque precario e privo di reali prospettive.

Adesso, la notizia – non ancora confermata – che la Regione non attiverà più tirocini: praticamente uno schiaffo a uomini, donne, madri e padri di famiglia, disoccupati e lavoratori in mobilità in deroga, giovani e meno giovani che, per anni, hanno visto solo promesse, ma nulla di concreto. E, dopo tanto, si ritrovano con un escamotage da parte di una Regione che, se in un primo momento si era esposta per provvedere a questa situazione – a quanto sembra – se ne è lavata le mani, dirottandoli nel privato.

Decisioni che odorano di beffa, sopratutto se si pensa che il 23 marzo scorso, l’assessore regionale al Lavoro, Fausto Orsomarso, aveva annunciato un intervento presso il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo e la Conferenza Stato-Regioni per individuare una soluzione per «garantire un reddito ai circa 6 mila tirocinanti calabresi» almeno fino a quando «non sarà finita l’emergenza sanitaria e ci saranno le condizioni per far ripartire i percorsi formativi». Un intervento che era stato applaudito perfino da Cisl Calabria, e che invitava «l’assessore al Bilancio, Franco Talarico e l’assessore alle Politiche di Welfare, Gianluca Gallo, entrambi senza dubbio sensibili alle problematiche sociali, a uno specifico impegno, finalizzato a individuare anche nelle pieghe del bilancio della Regione le risorse necessarie a interventi in favore della categoria in questione». Un invito poi caduto nell’oblio.

I tirocinanti, dunque, sono tornati a farsi sentire, con questo nuovo allarme che, tuttavia, non trova riscontro istituzionale da nessuna parte. L’unica nuova comunicazione risale al 2 luglio, e riguarda il cumulo delle ore Tirocinio “Giustizia” e “Mibact area 3″, in cui viene annunciata che è stata erogata «l’anticipazione di una mensilità che le ore effettuate nel mese di marzo 2020 verranno cumulate con quelle del mese di effettiva ripresa del percorso formativo».

Quindi, e forse, per Giustizia e Mibact si parla di ripresa, ma per gli altri, di quale futuro si parla? I tirocinanti calabresi prospettano un futuro che «avrà l’odore di beffa per queste persone anche per l’ingente entità di risorse investite in questi anni per qualificarle nei settori in cui operano».

«E le sigle sindacali (Cgil, Cisl e Uil) – proseguono i tirocinanti – saranno compiacenti con questo misfatto a danno dei tirocinanti calabresi? I quali, oltre all’abbandono da parte dell’attuale giunta regionale calabrese, non hanno mai trovato gradimento da parte dell’attuale governo». (rrm)