LA RIFORMA DEI PICCOLI COMUNI CALABRI
LA FUSIONE POTREBBE ESSERE UN’OPZIONE

di FRANCESCO AIELLO – Nell’incontro del 23 settembre scorso a Catanzaro sull’ordinamento degli enti locali, il Presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, ha sottolineato l’urgenza di riformare l’assetto istituzionale e amministrativo dei comuni calabresi, evidenziando come la frammentazione degli enti locali limiti l’efficacia nell’offerta dei servizi pubblici (“in Calabria troppi Sindaci, serve una riforma sui Comuni con pochi abitanti”).

La presenza del Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha sottolineato ulteriormente l’importanza di affrontare queste problematiche, aprendo a discussioni su come promuovere il miglioramento della capacità amministrativa degli enti locali. Gli interventi di Occhiuto e del Ministro Piantedosi si inseriscono nell’ampio dibattito sull’efficacia e l’efficienza dei servizi pubblici offerti dai comuni.

Questi temi hanno ottenuto crescente attenzione tra i ricercatori e le istituzioni. Limitatamente al caso della Calabria, si è rilevato che ben 258 comuni, più del 60% del totale, sono classificabili come “sotto livello”, poiché registrano un’offerta di servizi e una spesa effettiva inferiori alle soglie standard. Questi comuni hanno una dimensione media di circa 39 km² e assorbono il 67% del territorio regionale. Inoltre, la popolazione media di questi comuni è inferiore a 5.000 residenti, il che significa che il 64% della popolazione calabrese vive in aree in cui gli enti locali spendono poco e offrono servizi al di sotto degli standard.

Pochissimi comuni calabresi mostrano un potenziale comportamento virtuoso, offrendo più servizi e spendendo meno dello standard. L’inefficienza sistemica nell’offerta di servizi riguarda tutti i territori della Calabria, sebbene sia relativamente più marcata nelle province di Reggio Calabria e Crotone.

All’interno di questo quadro generale, particolare attenzione meritano i comuni piccoli e di montagna, poiché affrontano difficoltà aggiuntive nella gestione delle risorse e nell’erogazione di servizi. La causa è l’impossibilità di sfruttare le economie di scala, che, insieme alle risorse umane e finanziarie insufficienti, incidono sul progressivo indebolimento del ruolo degli enti comunali.

È per tali ragioni che, per ottimizzare l’uso delle risorse e migliorare l’efficienza dei servizi, è essenziale promuovere fusioni tra comuni di ridotte dimensioni. Peraltro, l’analisi delle distanze tra i comuni calabresi indica che 131 coppie di comuni (232 unità amministrative!) sono distanti meno di 5 chilometri. Questa prossimità geografica offre un’opportunità unica per rivedere l’assetto amministrativo, facilitando la gestione dei servizi senza la necessità di investire in nuove infrastrutture di collegamento tra i centri urbani. In questo contesto, le fusioni potrebbero preservare le identità locali e le specificità culturali, contribuendo a costruire una governance più robusta. Un esempio emblematico è quello di Casali del Manco, un nuovo comune nato dalla fusione di cinque piccoli comuni vicini, che dimostra come, nel medio periodo, queste iniziative possano generare risultati positivi.

Sulla base di queste considerazioni, appare chiaro che non ci sono ragioni economiche che ostacolino le fusioni tra piccoli comuni. Infatti, la teoria economica e l’analisi dei dati suggeriscono che aggregare i comuni di dimensioni ridotte, creando nuovi enti con una popolazione di circa 12.000 abitanti, sarebbe molto vantaggioso.

Questa ristrutturazione è necessaria, poiché il territorio della Calabria non può più essere gestito da comuni con capacità amministrativa limitata. Tuttavia, gli ostacoli alle fusioni provengono spesso dalle popolazioni locali, che temono di perdere la propria identità, sebbene questo timore sia infondato, poiché si tratta solo di cambiare il modello organizzativo delle comunità. È, altresì, importante notare che le resistenze alle fusioni derivano anche da dinamiche politiche locali. L’esperienza dimostra che gli attori politici tendono di fatto a opporsi alle fusioni, temendo una perdita di potere dovuta alla riduzione delle cariche per sindaci e assessori.

In questo contesto, l’istituzione di un osservatorio permanente presso la Regione Calabria potrebbe offrire assistenza tecnica ai piccoli comuni, favorendo così la consapevolezza degli effetti potenziali delle fusioni. È, inoltre, fondamentale che la riforma degli enti locali sia facilitata dalla Regione Calabria con una chiara regolamentazione legislativa e con fondi regionali aggiuntivi rispetto a quelli nazionali, come già avviene in altre regioni italiane.

L’invito al Presidente Occhiuto è di fare proprie queste proposte, rendendo disponibili nel bilancio regionale risorse dedicate alle fusioni e promuovendo attivamente l’osservatorio permanente. Questi interventi sarebbero cruciali per garantire un’amministrazione efficace e reattiva alle esigenze delle comunità locali.

Riconsiderare gli assetti istituzionali è, quindi, cruciale. Il numero elevato di sindaci e comuni porta a una gestione inefficace delle risorse, evidenziando l’urgenza di ristrutturare il sistema di gestione e amministrazione del territorio.

In linea con le dichiarazioni di Occhiuto, è necessario affrontare la frammentazione amministrativa e migliorare la governance locale come passi necessari per adottare nuovi modelli organizzativi delle comunità e dei territori estremi della Calabria. Solo un impegno concertato e una visione a lungo termine possono contribuire a superare le attuali difficoltà dello spopolamento che impera in Calabria. (fa)

[Francesco Aiello è professore ordinario di Politica Economica all’Unical]

SPOPOLAMENTO E INVERNO DEMOGRAFICO
LA CALABRIA STA PERDENDO LA SUA GENTE

di FRANCESCO AIELLO – Nel periodo compreso tra il 2010 e il 2020, il tasso annuo di crescita composto della popolazione italiana è stato pari a -0,59%. Questo significa che, nei 7.908 comuni analizzati, la popolazione residente è diminuita complessivamente del 5,9%, passando da 60,58 milioni nel 2010 a 59,23 milioni di abitanti nel 2020. Lo spopolamento ha continuato a manifestarsi anche negli anni successivi: al 1° gennaio 2024, la popolazione italiana si è ulteriormente ridotta a 58,99 milioni di residenti.

L’analisi delle statistiche comunali permette di esaminare le dinamiche demografiche per specifici gruppi di comuni, aggregando i dati per localizzazione, dimensione e zona altimetrica. Questo approccio consente di verificare regolarità empiriche sullo spopolamento, offrendo una descrizione più chiara di come il fenomeno possa essere più pronunciato in determinate categorie di comuni o aree geografiche. Per esempio, se da un lato osserviamo che nel periodo 2010-2020 lo spopolamento è diffuso in tutta Italia, le variazioni dei residenti sono diverse a seconda dell’area geografica considerata. Il Sud e le Isole risultano le aree più colpite, con un calo medio annuo dello 0,88%, seguite dal Centro (-0,67%) e dal Nord (-0,42%). Nei dieci anni considerati, la popolazione residente nei comuni del Sud è diminuita complessivamente dell”8,8%, quella del Centro del 6.7% e quella del Nord del 4,2%.

Differenze molto marcate si osservano anche quando i comuni si raggruppano in due categorie, a seconda se ricadono o meno in un’area interna. In media, si ottiene che i comuni di aree interne registrano una riduzione demografica più elevata dei residenti (-0,85% all’anno) rispetto allo spopolamento delle aree urbane (-0,24% all’anno). Analoghe differenze dei valori medi nazionali si ottengono aggregando i comuni per zona altimetrica. In tale ambito, le zone montane registrano una contrazione della popolazione dello 0,83% annuo, mentre nelle zone collinari il calo è dello 0,63%. Per i comuni localizzati in pianura lo spopolamento esiste sì, ma è più contenuto, con una riduzione demografica dello 0,26% annuo. Un ultimo elemento che è utile considerare è la dimensione dei comuni. I comuni più piccoli sono quelli che soffrono maggiormente il fenomeno, registrando un tasso di spopolamento dell’1,35% annuo nel caso dei 998 nano comuni italiani (13% del totale), ossia quelli con una popolazione inferiore nel 2020 a 500 abitanti. In questi comuni, la popolazione è complessivamente diminuita del 13,5%. Man mano che cresce la dimensione dei comuni, il tasso di decrescita si attenua; i comuni con oltre 10.000 abitanti, infatti, presentano tassi di diminuzione molto più contenuti.

Questi dati mostrano chiaramente che il declino demografico è, in media, più accentuato nelle aree interne, montane e nei piccoli comuni, rispetto a quelli urbani, pianeggianti e di maggiori dimensioni. Tuttavia, nonostante questa analisi evidenzi importanti tendenze generali, non permette di distinguere le dinamiche demografiche tra diverse tipologie di comuni, come quelle delle aree interne del Sud rispetto al Centro-Nord. Classificazioni più granulari dei comuni consentirebbero di ottenere informazioni utile per verificare, per esempio, se i piccoli comuni delle aree interne del Sud si spopolano più rapidamente rispetto ai piccoli comuni del Centro-Nord. Oppure se le aree interne del Nord presentano andamenti diversi da quelle del Sud al variare della popolazione comunale. La figura 2 riporta alcuni risultati che aiutano a comprendere meglio la “geografia” dello spopolamento dei comuni italiani.  La figura mostra il tasso annuo di crescita composto della popolazione nei comuni italiani tra il 2010 e il 2020, suddiviso per area geografica (Centro, Nord, Sud-Isole), dimensione (classi di popolazione residente) e classificazione Snai (Poli e Comuni Cintura rispetto alle Aree Interne).

Emerge, chiaramente, che sia la collocazione geografica sia la dimensione dei comuni influenzano il fenomeno dello spopolamento. Tuttavia, l’effetto dimensione sembra prevalere. Infatti, in tutti i contesti geografici e territoriali, i comuni più piccoli subiscono le perdite demografiche più consistenti, con tassi di declino che superano l’1% annuo. È un fenomeno che è più accentuato nel Mezzogiorno d’Italia rispetto al resto del paese. Al contrario, i comuni più grandi (oltre 10.000 abitanti) registrano tassi di spopolamento molto più contenuti e, in alcuni casi, stabili, qualsiasi sia l’aggregazione territoriale che si considera. Le Aree Interne mostrano una maggiore vulnerabilità, con i piccoli comuni che soffrono le perdite più significative, mentre i poli urbani e i comuni cintura tendono a subire un calo più moderato (Figura 2). Tuttavia, anche all’interno delle Aree Interne, la dimensione del comune resta un fattore determinante: i piccoli centri sono i più colpiti, mentre i comuni più grandi riescono a mitigare gli effetti dello spopolamento.

L’analisi esplorativa dei dati sulla popolazione comunale evidenzia come la dimensione dei comuni sia un elemento cruciale per rappresentare meglio la distribuzione dello spopolamento. I maggiori tassi di riduzione della popolazione si registrano, infatti, nei comuni più piccoli, indipendentemente dalla loro posizione geografica, mentre quelli di maggiori dimensioni mostrano una maggiore resilienza. Una prima implicazione di questa analisi è la necessità di ripensare la tradizionale suddivisione tra aree interne e non interne come criterio per spiegare la distribuzione dello spopolamento in Italia.

L’approccio dicotomico “aree interne-aree non interne” potrebbe non essere del tutto adeguato per comprendere la complessità del fenomeno. Piuttosto, sembra che la dimensione del comune svolga un ruolo importante nel determinare la vulnerabilità allo spopolamento. Di conseguenza, la seconda implicazione è che l’attenzione dovrebbe essere rivolta ai vincoli e ai costi gestionali ed organizzativi che emergono nell’offerta di servizi pubblici nei piccoli comuni. Questi vincoli di inefficienza derivano proprio dalla loro ridotta dimensione e possono essere affrontati attraverso una riforma della governance territoriale, ridefinendo gli assetti istituzionali dei piccoli comuni. Indipendentemente se ricadono in aree interne. (fa)

[Francesco Aiello è professore ordinario di Politica Economica all’Unical]

(Courtesy OpenCalabria)

Francesco Aiello (ex candidato governatore) contro De Magistris, candidatura sbagliata

È estremamente critico sulla posizione di de Magistris a proposito delle prossime elezioni regionali in Calabria. Il prof. Francesco Aiello, docente dell’Unical, già candidato presidente alle passate elezioni regionali con la lista Calabria Civica con il sostegno del Movimento Cinque Stelle, in una dichiarazione all’agenzia Adnkronos, ha spiegato perché ritiene divisiva la candidatura del sindaco di Napoli che, sicuramente, finisce col favorire il centrodestra.

«La candidatura di De Magistris, e le altre che vanno a pescare nello stesso bacino elettorale del civismo e del centro sinistra – ha detto Aiello –, purtroppo sono candidature che impoveriscono la possibilità di poter vincere e di avere un’alternativa al centrodestra. L’elettorato del centrodestra è abbastanza compatto e l’alternativa è frazionata, quindi matematicamente si ripropone lo stesso schema del gennaio 2020, e a vincere sarà necessariamente il candidato che può contare su un’alleanza coesa, che in Calabria ha solo il centrodestra. La candidatura di De Magistris, infatti, può arrivare al 20%, massimo 25, e alla stessa percentuale può arrivare il secondo candidato che pesca nello stesso bacino elettorale. Numericamente, dunque, vince in maniera automatica il centrodestra. Il voto a De Magistris, dunque, sarebbe un voto inutile per lui e per il centrosinistra che ruota intorno al Pd. Certo, il 20% sarebbe un risultato straordinario dal punto di vista individuale, e anche per chi sta intorno a De Magistris e lavora per avere uno scranno a palazzo Campanella, ma sarebbe un successo personale e allo stesso tempo un fallimento e una sconfitta collettiva, perché si consegnerebbe la Calabria di nuovo alla destra, una destra che in questi ultimi mesi ha dimostrato di non avere una visione, e noi abbiamo bisogno di persone che sappiano guardare al di là dei tempi della prossima legislatura».

Il prof. Aiello ha detto di non credere «molto in questa operazione e in questi slogan di rinnovamento, cambiamento, rivoluzione, sono parole prive di contenuto. Ecco perché penso che de Magistris non potrà attirare in massa il voto dei calabresi. Sono un calabrese doc, conosco molte personalità calabresi in grado di poter fare il presidente della Regione Calabria. Quindi mi associo a tutti coloro che pensano che dovrebbe cessare la fase storica in cui la soluzione dei nostri problemi e la costruzione del nostro futuro debb essere delegata a forze esterne. Dovremmo essere capaci e assumerci la responsabilità politica e sociale di autodeterminarci, e credo che sapremmo farlo».
Secondo Aiello, infatti, «ci sono personalità di spicco che potrebbero tranquillamente svolgere un ruolo di questa natura in maniera altrettanto positiva rispetto a quella che si immagina possa fare De Magistris. Non si capisce perché dovremmo avere l’ennesimo commissari in Calabria, perché di questo si tratterebbe. Ma i prossimi anni saranno determinanti, saranno un’occasione storica per la Calabria e per chi vuole puntare al rinnovamento e al cambiamento. I soldi che arriveranno in Calabria saranno unici, e per questo ammontare di risorse nazionali e comunitarie occorre programmare bene, che significa non guardare solo alla prossima legislatura, perché ciò determinerà il cambiamento del modo di vivere e delle prospettive di crescita per i prossimi 30 o 40 anni. Ecco perché è importante avere una figura che abbia determinate caratteristiche ma anche una visione di insieme rispetto a quelle che sono le problematiche della Calabria». (rrm)

ELEZIONI REGIONALI / Il Patto Civico contro la data del 14 febbraio

Trova una forte opposizione da parte del Patto Civico (Francesco Aiello, Pino Aprile, Domenico Gattuso, Francesco Molinari e Pietro Tarasi) la scelta della data del 14 ottobre per le prossime elezioni regionali.

«La decisione del Presidente facente funzioni sig. Nino Spirlì – si legge in una nota – di indire le elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale e la elezione del Presidente della Giunta Regionale il 14 febbraio 2021 risulta essere frutto di una mera strategia elettorale e non tiene conto assolutamente del fatto che ancora siamo in piena pandemia e che, come abbiamo visto già nelle elezioni americane, ogni occasione di confronto democratico in presenza potrebbe essere causa di accelerazione dei contagi.

La necessità di rinnovare gli organi di governo regionale per superare la situazione di emergenza in assenza di una istituzione con pieni poteri, pur se apparentemente comprensibile, risulta davvero frettolosa anche in virtù del fatto che il governo aveva indicato una finestra ampia di 60 giorni entro i quali indire le elezioni. Riteniamo che in questa indicazione il governo si sia affidato, sbagliando, al buon senso di chi e preposto alla scelta della data che doveva tenere conto della situazione particolare in cui siamo costretti ad operare.

In una situazione analoga, per non dire meno pericolosa (è riscontrato che la diffusione del Virus COVID-19 è meno violenta nei mesi tardo-primaverili rispetto a quelli invernali) il Governo è intervenuto rinviando il turno amministrativo previsto per fine maggio a settembre 2020, con apposito Decreto Legge, nel quale le motivazioni erano:

evolversi della situazione epidemiologica, del carattere particolarmente diffusivo dell’epidemia e dell’incremento dei casi e dei decessi notificati all’OMS;

necessità di garantire lo svolgimento di consultazioni elettorali per l’anno 2020 in condizioni di sicurezza per i cittadini;

intervenire con urgenza, al fine di evitare, con riferimento all’espletamento delle suddette  procedure, fenomeni di assembramento di persone e condizioni di contiguità sociale al di sotto delle misure precauzionali adottate, ai fini del contenimento alla diffusione del virus.

Alla luce di tutto ciò, ribadiamo la necessità che il Governo intervenga tempestivamente per garantire l’esercizio di un processo di partecipazione democratica limpido e regolare in Calabria; pensiamo soprattutto a riunioni, incontri, comizi, iniziative politiche con possibilità di ampia partecipazione, che in queste condizioni non sarebbero affatto garantiti visto che le norme vietano gli spostamenti tra comuni e impediscono assembramenti.

Non intervenire significa svilire la democrazia in una Regione sofferente e che ha un bisogno estremo di sostegno e rispetto da parte delle Istituzioni nazionali e favorire quelle consorterie che basano il consenso su consolidate reti clientelari e con il pericolo dell’ingresso di organizzazioni criminose capaci di orientare il consenso soprattutto in situazioni di emergenza. Per questo motivo chiediamo di rinviare la data delle elezioni facendola coincidere con quella delle Amministrative di primavera, convinti che non  produrrà effetti più disastrosi di quelli che potrebbero derivare, invece, dalla più che probabile diffusione della pandemia per effetto del decreto di indizione delle elezioni per il 14 febbraio 2021. Inoltre invertirebbe una rotta ormai già fin troppo abusata: la strenua difesa di centri di potere attraverso l’impedimento dell’ esercizio della democrazia».

Gli attuali componenti del Patto Civico per la Calabria promosso da Francesco Aiello, Pino Aprile, Domenico Gattuso, Francesco Molinari e Pietro Tarasi chiedono «quindi al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro dell’Interno, ai Ministri per gli Affari Regionali e le Autonomie, della Giustizia e dell’Economia e delle Finanze, di adottare apposito provvedimento di deroga alle normali disposizioni normative, affinché le elezioni di rinnovo del Consiglio Regionale calabrese e del Presidente della Giunta Regionale siano posticipate al turno “tardo primaverile” delle amministrative 2021». (rp)

ZES DI GIOIA TAURO ENNESIMA INCOMPIUTA
LA DENUNCIA DEL PROF AIELLO CHE LASCIA

di SANTO STRATI – Dimissioni, un’attività molto di moda in questi ultimi tempi, però quelle del prof. Francesco Aiello, già rappresentante del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nel Comitato di indirizzo della Zes di Gioia Tauro, assumono un valore particolare. Aiello che – come si ricorderà è stato candidato per i Cinque Stelle Governatore alle ultime elezioni regionali calabresi – non le manda a dire. È un apprezzato docente di Economia all’Unical e un profondo conoscitore della Zona Economica Speciale di Gioia Tauro.

«È stata – ha scritto Aiello nella sua lettera di dimissioni al Mise – una decisione lunga e sofferta, perché so che la sfida dello sviluppo si gioca soprattutto a Gioia Tauro. Ho sempre pensato di poter dare il mio contributo da economista per questa causa e, in tale direzione, è da anni che con il mio gruppo di ricerca analizziamo i vincoli e le opportunità di Gioia Tauro e (soprattutto) forniamo indicazioni di politica economica affinché quel luogo diventi il baricentro della crescita dell’intero paese. Sì, intero paese, perché le potenzialità inespresse di Gioia Tauro sono uniche e, laddove compiutamente sfruttate, sarebbero fonte di sviluppo per molte regioni italiane.

«Tuttavia, – continua Aiello – l’enfasi intermittente che dal Governo Gentiloni in poi si è data alle ZES non ha prodotto molto, tant’è che, nella sostanza delle cose, le ZES rappresentano ad oggi l’ennesima incompiuta del nostro paese. I motivi sono molteplici. Qui è d’uopo menzionare l’indefinita governance delle ZES: al momento, così com’è oggi strutturato, il Comitato di Indirizzo è inutile, in quanto non svolge alcun ruolo in grado di incidere a favore della modernizzazione industriale delle aree ZES».

Perché non funziona l’attuale meccanismo di incentivi della Zes? Facilmente intuibile: il credito d’imposta serve ai grandi gruppi industriali che fatturano svariate centinaia di miliobni di euro e hanno la possibilità di spostare sulle tasse dovute i costi degli investimenti.

La piccola e media impresa, quella che potrebbe rilanciare l’area di Gioia Tauro (dove languono decine di capannoni in disuso) ha bisogno di liquidità, di contibuti a fondo perduto, di quattrini reali, per intenderci, soprattutto adesso nell’era del post-covid, quando si comincia a capire l’entità dei danni subiti e che arriveranno dal blocco della produzione e dalla conseguente crisi economica che ha colpito tutti: produttori e consumatori. Va dunque modificata radicalmente l’incentivazione che l’area di Gioia Tauro (che si estende fino all’aeroporto di Reggio) è in grado di mettere sul tappeto per attrarre investimenti e nuove iniziative che, non dimentichiamolo, diventano opportunità per nuova occupazione e lavoro. A partire dalle necessità infrastrutturali di adeguare aree, locali, capannoni, fino all’occupazione diretta dei dipendenti necessari per mandare avanti l’intrapresa.

Comprensibile l’amarezza del prof. Aiello e importanti le sue valutazioni: «Credo – si legge nella sua lettera con cui annuncia al ministro Paola De Micheli il  suo addio – anche che la proposta del Governo di nominare un Commissario Straordinario a capo del Comitato sia di dubbia opportunità ed utilità. In assenza di una radicale rivisitazione del ruolo e delle funzioni del Comitato di Indirizzo, la figura del Commissario sarà destinata, a mio parere, al fallimento. Difatti, per valorizzare il retro-porto di Gioia Tauro le priorità sono significativamente diverse rispetto alla selezione di un Commissario Governativo. In altre parole, non si ravvedono i caratteri dell’eccezionalità che ne giustificherebbero la nomina. La prassi istituzionale è che si interviene con nomine straordinarie, quando le attività “normali” hanno manifestato per lunghi periodi di tempo la loro inefficacia. Nel caso in esame, molte attività “normali” – necessarie per le ZES – sono di competenza di vari ministeri  e, quindi, non è ben chiara la ragione del ricorso ad un’altra figura dipendente da Roma. Forse sarebbe stato più sensato capire perché è debole l’azione dei Comitati di Indirizzo e quali sono le vere ragioni del perché le ZES non decollano».

Secondo Aiello «A Gioia Tauro, per esempio, la priorità delle priorità è di mettere in sicurezza l’intera area ed è imbarazzante osservare che dopo anni dall’istituzione della ZES non si è fatto alcunché a riguardo. Così come si è fatto poco in tema di infrastrutturazione, in senso lato, dell’area. Inoltre, esiste un decreto per semplificare le procedure amministrative a chi richiede di insediarsi nelle aree ZES, ma non esiste lo Sportello Unico, con l’esito che di semplificato c’è ben poco. L’unico risultato conseguito è la stesura di un regolamento dei criteri per accedere al credito di imposta, ma il ricorso alla fiscalità di vantaggio è stato nullo, a dimostrazione che essa rappresenta una condizione (forse) necessaria, ma (certamente) non sufficiente per attrarre capitali e creare sviluppo.

«In tali circostanze, è verosimile pensare che senza una radicale modifica del ruolo e delle risorse a disposizione dei Comitati di Indirizzo, la presenza di un Commissario Straordinario sarà forse utile per far fare ai Ministeri (e alle Regioni) cose normali (le infrastrutture, la messa in sicurezza delle aree), ma non sarà sufficiente per fare definitivamente decollare le ZES».

Mancano effettivamente – come fa notare l’economista dell’Unical – le condizioni per una reale partenza della Zona Economica Speciale e, ancora una volta, occorre registrare che l’apparato burocratico anche regionale ci sta mettendo del suo per rendere ancora più complicato il percorso di utilizzo delle opportunità che la Zes va ad offrire. È necessario un radicale cambio di rotta e la Giunta regionale e, in primis, l’assessore alle Infrastrutture Domenica Catalfamo che, una volta tanto, ha le competenze giuste per individuare problemi e soluzioni, devono mettere in agenda come priorità assoluta il “fascicolo” Zes.

«All’orizzonte – conclude nella sua lettera di dimissioni alla ministra il prof. Aiello – non intravedo alcun segnale da parte del Governo di aggredire i veri vincoli che frenano l’effettivo avvio della ZES e di rendere utili le attività dei membri del Comitato di Indirizzo. Sono certo, quindi, che Lei converrà con me che col tempo diventa insostenibile prendere coscienza del fatto che si offrono reputazione e professionalità a servizio di un organismo che è privo sia di obiettivi strategici sia di strumenti per conseguirli. Da qui le mie dimissioni».

Non c’è, evidentemente, più tempo da perdere: non sono urgenti, bensì urgentissimi provvedimenti regionali per far partire da Zes, destinata negli auspici a diventare il volano di sviluppo non solo dell’area della Piana, ma di tutta la Regione. Il Porto di Gioia che sembrava destinato a un inarrestabile declino con gli investimenti dell’armatore Aponte ha ripreso il cammino della crescita e della produttività. Un esempio di come e cosa fare a Gioia, per il bene della Calabria.  (s)

«Partirà dal Porto di Gioia Tauro la rinascita». Aiello (M5S) punta sul territorio e le sue risorse

di SANTO STRATI – Curiosamente, da indipendente “prescelto” attraverso la piattaforma Rousseau, il prof. Francesco Aiello, candidato per i Cinque Stelle alla presidenza della Regione Calabria, è l’unico pentastellato a chiamare partito il Movimento. Sarà un riflesso condizionato, ma l’attribuzione di partito, in realtà, tradisce una competenza politica che si addice a questo candidato spuntato quasi dal nulla, se non fosse per la chiara fama derivante dalla sua cattedra di Politiche Economiche all’Unical. Il prof. Aiello è un candidato molto alla mano, senza boria e senza timore di sbagliare in una dichiarazione televisiva, nato a Settimo Torinese, vive da molti anni in Calabria e guida un blog politico molto apprezzato (Open Calabria). Troppo breve il tempo a disposizione per preparare una candidatura in modo adeguato, ma sono decisamente cambiate le regole del gioco elettorale: non servono campagne lunghe, come si usava un tempo, perché si dialoga attraverso i social, ma sicuramente viene a mancare il contatto a 360 gradi col territorio. Ciononostante, il prof. Aiello ostenta sicurezza e un invidiabile ottimismo, convinto di poter recuperare sul territorio.

Quando lo incontriamo per l’intervista, ancora Mario Oliverio non ha deciso di non presentarsi e Jole Santelli non ha fatto la sua prima uscita da candidata del centrodestra, né Giuseppe Nucera ha annunciato che ritira la candidatura affiancando la deputata cosentina col suo La Calabria che vogliamo. Lo scenario politico è frastagliato e dispersivo, è certamente una bella sfida, con tantissime incognite, soprattutto per quel che riguarda il temuto astensionismo che rischia di continuare ad essere il primo partito. I Cinque Stelle hanno osteggiato il governatore uscente Mario Oliverio in ogni modo e, ugualmente, mostrano qualche perplessità sull’operazione Callipo. Sulla Santelli il prof. Aiello con molto fair play dice che è il giusto compromesso per tenere in piedi una coalizione “traballante”, ma il vero antagonista, anche per lui è il partito che raccoglie le maggiori adesioni: quello degli assenteisti. La vera scommessa è convincere i delusi, gli arrabbiati, gli sconfortati della politica a recarsi alle urne.

https://youtu.be/FiFvFp6_0BI

– Prof. Aiello, il tempo sembra giocare a sfavore di queste elezioni, per tutti quanti, nessuno escluso. Non pensa che si sia perso troppo tempo per creare le condizioni per percorrere il territorio, ascoltare la base?

«Sì, apparentemente. Probabilmente si potrebbe avere questa idea, però da quello che stiamo facendo noi, ossia da quando io ho ricevuto la prima investitura ufficiosa da parte dei Cinque Stelle, stiamo avendo un percorso di attività strutturato sul territorio. Per quello che ci riguarda stiamo di mettere sul territorio tutte le nostre energie per portare avanti il progetto di un’alleanza civica, trainata dal Movimento Cinque Stelle, che cerca proprio di valorizzare quelle che sono le opportunità del territorio calabrese».

– La votazione su Rousseau che le ha attribuito il 53% di preferenze sicuramente le avrà dato modo di pensare: non è una bocciatura ma non è neanche una promozione a pieno titolo. Per quale motivo è successo questo, secondo lei?

«Provenendo io da un altro mondo, che è il mondo dell’accademia, io sono un economista, essere valutato su una piattaforma in cui io non ho avuto motivo finora di mostrare la mia disponibilità e la mia appartenenza, è ovvio che era abbastanza scontato un risultato del genere. Per questo motivo, perché io sono un po’ estraneo rispetto a un insieme di riferimento politico che è quello del Movimento Cinque Stelle. Però, io ho avuto anche modo di ascoltare il territorio e in particolare gli attivisti dei Cinque Stelle e quando li ascolto e quando ho modo di spiegare quelle che potrebbero essere, dal mio punto di vista, priorità da aggredire del declino della nostra regione Calabria i giudizi cambiano in maniera molto repentina. E poiché io non ho avuto molto tempo per ascoltare i meet-up quel risultato era abbastanza prevedibile. Così come ho detto a Catanzaro in occasione della visita di Di Maio, se io avessi avuto modo di ascoltare più meet-up, avessi avuto modo di ragionare così come sto facendo in questi giorni con tutti gli attivisti del Movimento Cinque Stelle probabilmente quel 53% si tradurrebbe in un numero molto più elevato che potrebbe essere tranquillamente anche l’80-85%».

– Parliamo del suo progetto. Evidentemente, a livello di Cinque Stelle ci sono stati degli errori di valutazione, nel complesso. Originariamente era stato indicato Callipo, poi, improvvisamente, non si è trovata più alcuna indicazione se non la proposta di autocandidatura della deputata Dalila Nesci. Quali sono stati, secondo lei, gli errori più rilevanti del Movimento Cinque Stelle?

«Non ho idea. Non sta a me giudicare gli errori altrui. Posso dire in maniera molto più semplice e immediata che dal giorno in cui io sono stato contattato non c’è stato alcun tentennamento da parte della rappresentanza parlamentare dei Cinque Stelle sul mio profilo, nonostante i rumours diversi e provenienti da più parti. Perché c’era una stragrande maggioranza dei deputati del Movimento Cinque Stelle che sosteneva, sostiene e sosterrà la candidatura di Francesco Aiello».

– Per risollevare la Calabria ci vogliono idee, ci vuole anche qualcosa che induca a fare finalmente delle operazioni. Quali sono le necessità, le priorità?

«Beh, io l’ho detto in tanti modi. Credo che la priorità di questa giunta regionale che dovrà costituirsi dopo il 26 di gennaio, la prima priorità dovrà essere quella di ricucire un po’ anche il clima di fiducia che esiste tra le istituzioni e i cittadini. Ci sono state forti fratture proprio dal punto di vista della fiducia che le persone ripongono sul ruolo delle istituzioni. Questo, a mio parere, dovrebbe essere il tema generale da affrontare e risolvere. Nei termini proprio di costruire un’alternativa a un progetto politico cui anche i cittadini si sentano parte attiva. Poi ci sono le classiche emergenze, ovviamente. Ci sono le emergenze che contraddistinguono un po’ il dibattito tradizionale in Calabria, parlo di sanità, di trasporti, di acqua pubblica, che sono poi anche i temi classici del Movimento Cinque Stelle. Se io dovessi in questo momento dare una priorità, è quella del lavoro, della produzione. Quindi finalizzerei la prossima legislatura per rendere più attrattiva in termini di investimenti regionali ed extra-regionali la nostra terra, al fine di promuovere sviluppo e crescita. E a tal proposito, il territorio simbolo per verificare l’efficacia di un progetto politico di questo genere qua credo che sia e debba essere l’area intorno al porto di Gioia Tauro, dove è stata istituita la Zona economica speciale che ancora non è finalizzata. In quel luogo la Regione Calabria dovrebbe catalizzare tutte le proprie energie e quindi anche l’utilizzo di fondi strutturali per dare speranza sia a quel territorio che ha una grande importanza anche dal punto di vista strategico, data la localizzazione geografica non banale sia per la Calabria sia per il Mediterraneo. E tentare di radicalizzare la modernizzazione della produzione esattamente in quel luogo che, nell’immaginario collettivo, è il luogo del disagio, del declino, del malaffare, della corruzione. Pertanto, se noi potessimo nell’arco di quattro-cinque anni avviare attività di produzione ad alto contenuto tecnologico, competitive sui mercati internazionali, esattamente nel luogo che è appunto il luogo del declino, noi daremmo grande speranza a tutti i territori della Calabria, perché se si fa lì si può fare altrove».

– Lei nella Zes è componente del comitato di attuazione. Ma nella Zes c’è un peccato originale che ancora non è stato risolto: manca l’intermodalità.

«Esattamente. Infatti, una delle priorità del prossimo governo regionale dovrà essere di stringere le interlocuzioni con il governo nazionale per tentare di rendere concreto il progetto iniziale che è quello di aumentare l’intermodalità dell’intera area di Gioia Tauro, il che significa, molto banalmente, tentare di chiudere e di collegare l’area Zes con la rete ferroviaria. E quindi incanalare le produzioni da e per il porto di Gioia Tauro sui mercati internazionali. Questa è la strategia: da un punto di vista economico, assolutamente molto conveniente; da un punto di vista tecnico, facile da attuare. Evidentemente se non si è fatta finora c’è qualche problema, a mio parere, sui contrasti, perché non c’è nessun motivo  che si sono potuti verificare tra la Giunta regionale, la Regione Calabria e il Governo nazionale. L’intermodalità su quel luogo è esattamente quello che noi dovremmo avere come obiettivo prioritario nei prossimi anni, perché non c’è nessun motivo economico né di natura commerciale per togliere Gioia Tauro dai traffici marittimi che giungono dall’Estremo Oriente per raggiungere il cuore dell’Europa, i mercati che contano. Se noi ci troviamo al centro del Mediterraneo con una nave di grandissime dimensioni e vogliamo raggiungere i mercati europei, per giungere a Rotterdam, per esempio, ci vogliono circa tre giorni, tre giorni e mezzo di navigazione. Invece, se noi sfruttassimo la centralità nel Mediterraneo di Gioia Tauro utilizzando l’intermodalità e una rete ferroviaria efficiente, anche magari con binari dedicati, potremmo raggiungere i mercati internazionali da Gioia Tauro in 18 ore. E, in termini di tempo, la differenza tra andare a Rotterdam e l’alternativa di utilizzare Gioia Tauro in prima istanza e poi la rete ferroviaria riduce i costi di trasporto, con fortissimi vantaggi competitivi per chi ovviamente utilizza quei canali».

– Restiamo un attimo su Gioia Tauro. I Cinque Stelle hanno votato per l’Authority dello Stretto che sottrae a Gioia Tauro i porti di Reggio Calabria e Villa San Giovanni attribuendoli all’Authority di Messina-Milazzo. Questo, per certi versi, è un controsenso per la presenza della Zes. Come è possibile amministrare dei porti che fanno parte di una Zes se poi in realtà dipendono da un’authority esterna?

«Se noi ragioniamo in termini di elementi puntuali del trasporto marittimo, la lettura che lei dà è corretta. Io invece parlerei di sistemi di portualità all’interno del bacino del Mediterraneo, in particolare dello Stretto di Messina, e non credo che esistano grossi costi tra lo scenario attuale e lo scenario preesistente. Anzi, probabilmente possono esserci dei vantaggi. La seconda precisazione è che, per quanto riguarda la Zes di Gioia Tauro, l’elemento centrale non è tanto la governance intesa in sé delle autorità portuali, ma la priorità principale su sui, secondo me, dovrebbe essere cambiata la narrativa, è che il livello di attrattività dei luoghi del retroporto di Gioia Tauro ancora non è molto elevato. La contraddizione è che noi abbiamo tutte le condizioni normative per accedere al credito d’imposta, abbiamo un decreto legislativo che sburocratizza un po’ le procedure amministrative per accedere agli investimenti, per fare investimenti nell’area industriale di Gioia Tauro, esistono al 90 per cento le condizioni di facile accessibilità all’area, – l’altro 10 per cento era il tema di cui parlavamo prima sulla finalizzazione dell’ultimo miglio cosiddetto – però quei luoghi non sono ancora attrattivi nonostante la presenza di incentivi fiscali. Quindi, la domanda su cui noi dovremmo porre l’attenzione, sia come analisi sia come politiche sia come strumenti di comunicazione, è perché, anche in presenza di incentivi fiscali, la Zes di Gioia Tauro non è ancora decollata. Probabilmente le ragioni dipendono dal fatto che la presenza del credito d’imposta sia una condizione necessaria ma non sufficiente per rendere attrattivo un territorio, quindi bisogna lavorare su altro. Su che cosa? Beh, innanzitutto bisogna, in maniera molto operativa, con un impatto anche immediato, rendere quei luoghi sicuri e quindi liberarli dalle contaminazioni ambientali di cui soffrono e di cui è ben nota la provenienza. Ci vorrebbe un grande piano di sicurezza da mettere a punto sia su base regionale – e ci sono già delle attività in tale direzione – sia in coordinamento con il ministero dell’Interno, per esempio».

– Il Governo precedente, composto da Lega e Cinque Stelle ha anche escluso Gioia Tauro dalla “Via della Seta”, quando in realtà in termini di praticità e di trasporti sarebbe stato il porto più funzionale essendo al centro del Mediterraneo. Le chiedo, Lei domani, da presidente della Regione, accetterebbe di mettere in discussione entrambe le cose? Sia il problema della Via della seta sia il problema dell’Authority dello Stretto?

«Sull’Authority non credo sia un problema da un punto di vista del sistematico impatto che può avere il trasporto marittimo all’interno dell’area dello Stretto…

– Mi scusi qualcuno dovrebbe poter decidere se il porto di Villa deve avere quelle attrattive di cui lei parlava giustamente e poi sfruttare i vantaggi di stare in area Zes, però non può dipendere da un’authority che è al di fuori dell’area Zes.

«È un problema di governance che si risolve tranquillamente. Invece sulla Via della Seta, sicuramente io metterei in discussione il memorandum ma non in termini informali ma in termini sostanziali. Stiamo vedendo i risultati grazie all’attività anche di coordinamento del ministro del Governi precedente, Toninelli, che ha impegnato molte risorse e molte energie per consentire a quel porto di riprendere la sua attività principale che è il transhipment e che a regime, col nuovo concessionario, dovrebbe superare i quattro milioni di teu di movimentazione all’anno, con un impatto occupazionale diretto e indiretto di circa quattromila persone. Però la Via della Seta è un’altra storia: è la capacità – in maniera molto sintetica – di intercettare i flussi che dall’Estremo Oriente arrivano in Europa e di intercettarli facendo leva sulle convenienze economiche del porto su cui dovrebbe arrivare il maggiore flusso di navi dall’estremo Oriente».

– Uno dei problemi più grandi dell’Italia e quindi anche della Calabria si chiama burocrazia. Nella sua agenda di lavoro immagino abbia già previsto delle iniziative. Come si può combattere questa piaga che deprime e avvilisce qualsiasi imprenditore che abbia voglia di investire in Calabria?

«Sicuramente, questo è un tema importante, non per la Calabria ma per il Paese. Difatti, per esempio, ritornando alla Zona Economica Speciale, il decreto semplificazione riduce moltissimo i tempi della burocrazia. I tempi della burocrazia dipendono non solo dalle normative ma anche dalle persone che interpretano ed attuano quelle normative. E, se faccio riferimento alla burocrazia regionale, quindi all’apparato che guida i processi di attuazione delle politiche alla Cittadella di Germaneto, sicuramente l’elemento su cui io farei leva nei primi sei mesi di attività della prossima giunta sarebbe quello di tentare di capire dove sono i punti in cui si bloccano le procedure amministrative nella Regione Calabria. Perché noto che in quei luoghi, in quegli uffici qualcosa non funziona nel mondo più efficiente possibile e quindi, prima di iniziare a fare degli slogan distruttivi sulla burocrazia regionale “usiamo le ruspe per abbattere Germaneto” che mi sembra una cosa assolutamente impraticabile e a parte fuori luogo, un approccio più costruttivo dovrebbe essere quello di capire le ragioni della lentezza della burocrazia regionale e poi tentare di attuare dei modelli organizzativi, in una organizzazione complessa com’è quella regionale, in cui si ragioni sempre in termini di ottimizzazione delle procedure e delle tempistiche. Quindi mi approccerei al tema, dato il vincolo esogeno del fatto che non possiamo cambiare le regole, molte regole nazionali ed europee, cercherei di lavorare al proprio interno, tentando di risolvere il problema che molta della lentezza dipende da una cattiva organizzazione dei processi lavorativi e gestionali all’interno degli uffici. Credo che quello sia l’elemento centrale su cui un buon governatore dovrebbe in maniera partecipativa e collaborativa con i dirigenti e i funzionari prendere a cuore e risolvere immediatamente. Assegnando delle funzioni, monitorando degli obiettivi e tentando anche di dare un calendario sulla tempistica della realizzazione di tutte le fasi amministrative della vita della Regione Calabria».

– Torniamo al progetto. Lei diventa presidente della Regione: i suoi primi cento giorni.

«I primi cento giorni sono innanzitutto da condividere con la macchina amministrativa della Regione Calabria, proprio con le persone che poi rappresentano l’anima di un possibile cambiamento, di poter condividere con loro la possibilità di renderli partecipi di un processo di cambiamento proprio nella funzione sociale della vita amministrativa di una nuova legislatura. Quindi, renderli consapevoli che fanno parte di un progetto in cui loro sono, possono essere gli artefici del cambiamento. Il secondo elemento su cui lavorerei in maniera serrata è tentare di capire, con le risorse che abbiamo, quindi nei primi cento giorni, senza voler fare cambiamenti radicali, dove sono gli elementi essenziali che penalizzano i cittadini di questa regione, non consentendo di avere una sanità che funziona bene. L’elemento su cui io, nei primi cento giorni, farei leva è rivedere la rete territoriale di offerta dei servizi sanitari di base, di cui ovviamente questa regione risente. Soprattutto perché questa regione, per la sua composizione orografica, ha delle aree assolutamente molto marginali, molto lontane dai servizi di base, in cui la territorialità del servizio dovrebbe essere la mission principale: avere una sanità pubblica che funziona in maniera efficiente. Nei primi cento giorni potrei fare altre cose. Potrei, per esempio iniziare a rivedere per la stagione turistica 2020 quali sono gli elementi che impediscono a questa regione di avere stagionalità lunghe quanto le condizioni climatiche consentirebbero, cioè da maggio a ottobre. Nell’ottica della stagione estiva 2020 percorrere tutti i territori della Calabria che sono ad alta vocazione turistica per tentare di rimuovere tutti gli ostacoli principali che caratterizzano lo sviluppo di quel settore che sono rappresentati dal fatto di avere una rete di offerta di servizi turistici assolutamente di bassa qualità, in cui gli operatori sono di ridotta dimensione. E queste due condizioni rendono l’offerta turistica calabrese invisibile nei mercati internazionali del turismo che conta».

– Il cav. Callipo, qualche giorno fa, diceva che ha aspettato inutilmente una telefonata da Di Maio quando è sceso per la sua investitura, pensando di poter ancora ricucire. Cosa c’è dietro questo strappo tra Di Maio, Callipo e lei?

«Innanzitutto, io non soffro di isolamento. Accanto a questo progetto di alleanza civica c’è una parte di elettorato che è estremamente motivato e sta rispondendo in maniera molto attiva al progetto che stiamo tentando di portare avanti, che non è un progetto di sola contrapposizione, è un progetto di proposte politiche serie e di tentare di ricostruire quelli che sono, a nostro modo di vedere, i fili essenziali della rinascita di questa regione. Da un punto di vista delle relazioni che esistono tra partiti e il ruolo del civismo, io credo che la scelta del Movimento Cinque Stelle di puntare su una persona che è di estrazione accademica, che ha un vissuto particolare, un vissuto anche di conoscenza dei territori, sia stata una scelta assolutamente, dalla mia prospettiva, rischiosa, ovvero contiene dei rischi di identificazione, di contaminazione, rischi che stiamo annullando semplicemente perché stiamo percorrendo in lungo e largo la regione Calabria, cercando di contaminarci, come si suol dire. Però, come tutte le attività rischiose è un’attività ad alto potenziale di rendimento, perché è una proposta innovativa e di solito gli elettori, anche in questa regione, scelgono le proposte innovative, uomini innovativi, i volti nuovi e certamente chi sta parlando è un volto nuovo. La mia è una proposta nuova e innovativa. Callipo ha deciso di fare una scelta autonoma, in prima istanza. Quindi la differenza fondamentale tra la proposta civica del Movimento Cinque Stelle è che il candidato della Regione Calabria è stato prescelto dal partito politico, il Movimento Cinque Stelle, dall’altro lato abbiamo una figura notevole dell’industria calabrese, Pippo Callipo che ha deciso di scendere in campo e, a valle di questa sua decisione, il Partito Democratico ha deciso di aderire. È vero che dall’esterno sembra quasi la stessa cosa, due civici che sono a capo di un’alleanza con i due partiti del governo nazionale, però il processo di creazione dell’alleanza è assolutamente diverso: io sono stato scelto e prescelto dal Movimento Cinque Stelle, mentre Callipo ha prima deciso di scendere in campo da solo e a valle il Partito Democratico si è unito».

– Un’ultima domanda. Ha fatto una previsione?

«Sì, è ovvio, io sono un economista, tutti gli economisti sono abituati a fare delle previsioni. La previsione che noi facciamo è assolutamente ottimistica e l’ottimismo ci nasce da una proposta seria e innovativa: i calabresi dovranno scegliere tra le varie opzioni e io credo che sceglieranno per l’opzione nuova, volto nuovo, processi nuovi, metodi nuovi. E noi rappresentiamo esattamente questo, ma spiegheremo anche durante la campagna elettorale perché questo è l’elemento di novità. L’aspettativa positiva sul successo di questa campagna elettorale è il risultato di una valutazione sulle nostre capacità e sulle nostre potenzialità. E giova anche dire, però, che facciamo anche leva sul fatto che la proposta politica – che stiamo cercando di mettere in campo con tempistiche nuove, linguaggi nuovi e modo di relazionarci rispetto ai problemi – tenterà di dare fiducia a quella parte importante dell’elettorato calabrese che è determinata all’astensionismo. Qual è l’obiettivo? L’operazione è quella di far riavvicinare la gente che tradizionalmente sta lontana dall’urna, riavvicinarla con interesse e vigore alla campagna elettorale». (s)

P.S: Repetita iuvant. Questa intervista (quella a Mario Occhiuto pubblicata il 22 settembre, quella a Mario Oliverio del 29, quella a Giuseppe Nucera del 6 ottobre, quella a Carlo Tansi il 13 ottobre, a Dalila Nesci il  21 ottobre, a Pippo Callipo il 19 dicembre) non sono spot elettorali: Calabria.Live non parteggia per alcuno, se non per i calabresi e la Calabria tutta. Chiunque ha idee da presentare, argomenti su cui ragionare, troverà qui una piazza aperta e disponibile a diffondere, nella dialettica del confronto, opinioni e proposte. La Calabria ha bisogno di concretezza, non di parole vuote che, ormai, per fortuna, non riescono ad incantare più nessuno. La sfida alle prossime regionale non va giocata sui nomi, ma sulle idee e su propositi realizzativi per far crescere la nostra terra, per dare finalmente un futuro (in casa) ai nostri ragazzi, per trasformare la Cenerentola del Mezzogiorno nella California d’Europa.

Elezioni regionali: Francesco Aiello (M5S) esclude qualsiasi apertura ai partiti

Con una nota stampa, il prof. Francesco Aiello, candidato governatore per il Movimento 5 Stelle alle prossime elezioni regionali calabresi, esclude ipotesi di apertura ai partiti invocando «liste senza i dinosauri del palazzo». La sua candidatura non ancora ufficializzata dal Movimento, dovrebbe ricevere la conferma il 13 dicembre prossimo nel corso dell’annunciata visita di Luigi Di Maio in Calabria.

«Auspico con tutto il cuore – ha dichiarato il prof. Aiello – unità civica per battere la destra, sempre più autoritaria e pericolosa, che in Calabria riconfermerebbe gli uomini, i metodi e le pratiche del passato. Per questo escludo categoricamente ogni tipo di apertura ai partiti. Va ascoltata la società civile calabrese, che chiede servizi, occupazione, accoglienza, legalità e pulizia. Bisogna presentare delle liste senza i dinosauri di palazzo, che hanno beneficiato a lungo di favori e abusi del sistema e perciò devono scomparire dalla scena politica in quanto artefici o complici dei disastri della Calabria, piegata dal familismo, dall’affarismo e dall’allergia cronica alle regole nell’amministrazione pubblica».

«Un progetto per essere credibile – sottolinea Aiello – deve rompere in maniera netta con la vecchia politica, che in Calabria si è caratterizzata per i troppi silenzi e le implicite connivenze, per la sistematica esclusione dei giovani, la gestione fallimentare dei rifiuti e delle aziende del Servizio sanitario regionale, l’umiliazione delle intelligenze, degli imprenditori, dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati e l’abbandono dei più deboli».

«I calabresi hanno bisogno di nette discontinuità – conclude Aiello – e di proposte precise e innovative che garantiscano libertà e competenza dei candidati consiglieri regionali, progetti concreti per fermare l’emigrazione e far ritornare in Calabria menti e talenti, sviluppo economico reale, tutela concreta dei beni comuni a partire dall’acqua e dall’ambiente, imparzialità ed efficienza degli uffici regionali, buona sanità pubblica, riuso e riciclo dei rifiuti e un significativo recupero della produttività delle imprese regionali. Diversamente si rischia la demagogia, e chi la farà dovrà assumersene le responsabilità». (rp)