PASTICCIACCIO BRUTTO DELL’AUTONOMIA
BOCCIATO DA UE MA “PIACE” A CALDEROLI

di FILIPPO VELTRI – Gran pasticcio dentro la maggioranza di Governo e dentro il Governo della Meloni su DDL Calderoli. Fratelli d’Italia e Lega ai ferri corti dopo il parere della commissione d’esperti del Senato, prima pubblicato e poi scomparso, denso di critiche e di osservazioni ma anche dentro la Lega non si scherza!

Evidentemente infatti Calderoli e Giorgetti, entrambi ministri dello stesso Governo di centrodestra ed entrambi della Lega, non si parlano, né si scambiano le carte.

Calderoli infatti ha confezionato una proposta di legge sull’autonomia regionale differenziata che dice esattamente il contrario di quanto sostenuto da Giorgetti perché prevede che i nuovi poteri della regione siano stabiliti da un patto a due, tra il governo e la regione interessata e le altre verranno al massimo informate.

Tanto è vero che il Parlamento sul patto tra governo e singola regione potrà esprimere solo un parere, probabilmente delle commissioni, di cui il governo potrà tenere conto oppure no. Di più, Calderoli per forzare i tempi ha previsto che le osservazioni dei Ministeri sulle materie oggetto dell’intesa a due arrivino entro 30/45 giorni, pena le sue dimissioni addirittura dalla politica! Il ministro dell’Economia Giorgetti, forse per la prima volta nella storia dei governi, non solo non è il garante/controllore degli aspetti finanziari del procedimento ma ha solo 30 giorni, come gli altri ministri, per rispondere. In altre parole non gli è riconosciuto il potere di fermare o correggere le decisioni del patto a due per garantire i conti pubblici. Se i ministri non rispondono entro i 30 giorni previsti Calderoli pretende il mandato a procedere comunque: questo afferma la sua proposta di legge.
Calderoli è l’unico firmatario della proposta di legge del governo, non figurano né la Presidente Meloni, né tanto meno il Ministro dell’Economia come avviene di solito.

Sembra una presa di distanza ma segnala anche un atteggiamento remissivo verso le pretese di Calderoli e dei presidenti delle Regioni, forse per rinviare lo scontro a tempi migliori. Non si capisce come si possa imporre ai ministeri e soprattutto al MEF un tempo oltre il quale Calderoli procederebbe comunque. Basta pensare alla Ragioneria generale dello Stato che ha l’obbligo di garantire il rispetto dei conti pubblici, approvati dal Parlamento, e questo non c’è nella proposta Calderoli. Solo quando tutto sarà stato deciso da Calderoli e dalla regione interessata il parlamento sarà chiamato ad approvare la legge che deve dare valore al patto a due, tra Ministro e Regione.

Calderoli ha, dunque, forzato la mano decidendo tutto da solo, accentrando poteri, con una colpevole sottovalutazione degli altri ministri e soprattutto della Presidente del Consiglio. Certo la premier firmerà i Dpcm sui Lep, i livelli essenziali di prestazione, perché è già previsto dalla legge, per il resto tutto è nelle mani del ministro Calderoli. I Lep non possono essere affidati ad una commissione a due che poi passerà al governo le sue proposte, le quali verranno trasposte nei Dpcm. Questo è un altro passaggio che impedirà di controllare la qualità dei servizi garantiti ai cittadini e non è questione tecnica ma una scelta politica.

Prima o poi la bolla scoppierà. Giorgetti, che ripetiamo è leghista come Calderoli, afferma pubblicamente che un patto a due non può superare Costituzione e Parlamento e ha ragione, per questo bisogna cambiare la proposta Calderoli portando il Parlamento a decidere su tutti i passaggi di fondo sull’autonomia regionale differenziata, iniziando con l’eliminazione del patto a due, governo/regione, che è il vero motore di tutto il percorso.

La legge deve essere il motore, non un patto tra due esecutivi. Altrimenti Calderoli e il presidente della Regione interessata sceglieranno insieme i poteri da decentrare tenendo all’oscuro il Parlamento fino a quando sarà messo di fronte al fatto compiuto e verrà costretto a votare a favore con il voto di fiducia.

Il tentativo è di tenere tutto il percorso sull’autonomia differenziata sotto controllo leghista, imponendo alla stessa maggioranza le scelte. Calderoli ha preparato una sorta di “supermercato” con il compito di offrire alle regioni interessate fino a 500 funzioni, senza che il Governo precisi fin dall’inizio quali è disposto a decentrare e quali no, facendo intendere che lo possono essere tutte.

Eppure dei ministri hanno già fatto presente che non sono disposti a concedere poteri, ad esempio nella scuola e nei beni culturali. Perfino Confindustria è preoccupata che si creino nuove barriere all’attività delle imprese, creando differenze tra le regioni che renderebbero più difficile l’attività economica.
Per ora Calderoli continua imperterrito sulla sua strada, ma il ministro Giorgetti e la presidente del Consiglio, e con loro la maggioranza, prima o poi dovranno pronunciarsi sul merito delle scelte. Finora hanno finto di non vedere e hanno lasciato fare, fino a quando potrà andare avanti senza compromettere l’unità di diritti fondamentali e dell’attività economica del nostro paese?

Intanto una buona notizia. Le firme raccolte in calce alla legge di iniziativa popolare promossa dal Coordinamento per la Democrazia costituzionale e dai sindacati della scuola per cambiare gli attuali articoli 116.3 e 117 della Costituzione, che Calderoli usa strumentalmente per le sue scelte per aiutare la “secessione dei ricchi”, sono oltre il traguardo delle 50.000 firme, il risultato finale sarà tra 60 e 70.00. La proposta di legge arriverà al Senato mentre ancora si discuterà la proposta del governo sull’Autonomia regionale differenziata e grazie al consenso che ha avuto potrà influenzare una discussione fin troppo sottovalutata. Esistono dunque le condizioni per una ferma battaglia parlamentare per bloccare chi vuole oggi dividere quello che prima il Risorgimento e poi la Resistenza hanno unito: l’Italia. (fv)

CI PENSI IL MINISTERO DELL’ECONOMIA
A RILANCIARE DAVVERO IL MEZZOGIORNO

di ERCOLE INCALZASta cominciando una stagione nuova; è l’inizio di una nuova Legislatura ed è anche l’inizio di una esperienza che da molti anni il Paese non viveva: un politico alla gestione del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Con questo non intendo criticare l’operato dei Ministri tecnici che si sono succeduti nella gestione di tale Dicastero, anzi ritengo che Daniele Franco sia stato un grande Ministro, sia stato un membro del Governo che ha davvero reso il Pnrr un riferimento strategico difendibile e per rendersene conto del lavoro encomiabile fatto dal Ministro Franco è sufficiente leggere cosa era il Pnrr prodotto dal Governo Conte 2.

Ma affrontiamo il ritorno, dopo oltre venti anni di un Ministro politico al Dicastero di Via XX Settembre (ricordo in proposito che il Ministro Tremonti era stato eletto nelle fila di Forza Italia ma era e rimane senza dubbio un Ministro tecnico). Ed allora questo ritorno di un politico pone, a mio avviso, un problema non facile: come sarà affrontata la emergenza Mezzogiorno? Forse sarà bene che al Mezzogiorno pensi essenzialmente il Ministero dell’Economia e delle Finanze d’intesa con la Presidenza del Consiglio.

Non ha senso nominare un Ministro senza portafoglio per affrontare una emergenza che, soprattutto, nella passata Legislatura, in particolare con i Governi Conte 1 e Conte 2, ha prodotto solo annunci, ha sottoscritto solo impegni, ha garantito solo percentuali e che, nel campo delle infrastrutture, in particolare di quelle strategiche, ha però prodotto Stati Avanzamento Lavori (Sal) solo per circa 6 miliardi di euro in quasi cinque anni. 

Quindi primo atto da prendere subito dovrebbe essere quello di trasferire al Ministero dell’Economia e delle Finanze ed alla Presidenza del Consiglio la gestione delle scelte da varare per il rilancio di una realtà che, come da me più volte ricordato, da 70 anni mantiene inalterate tante distanze con il Centro Nord e tra queste una riveste una patologia incredibile per un Paese come il nostro “industrialmente avanzato”, mi riferisco alla distanza nel “reddito pro capite”. Sono diventato noioso ma chi non è noioso come me che ripete sistematicamente questo dato vuol dire che gode constatando che nel terzo millennio esista una dicotomia così folle.

La distanza è nota da sempre a tutti, alla Sinistra, al Centro ed alla Destra e, purtroppo, è rimasta solo nota e basta per la Sinistra, per il Centro e per la Destra. Anche perché non era e non è facile porre fine a questa drammatica ed offensiva discriminazione.

Riporto quindi un dato che, spesso, la stessa Unione Europea stenta a credere: in otto Regioni del paese il reddito pro capite si attesta su un valore medio pari a 17.400 euro, nel resto del Paese tale valore varia tra 32.000 e 40.000 euro. 

Allora l’agenda del nuovo Governo deve porre nella fascia temporale dei primi 100 giorni oltre alla esplosione delle bollette e quindi della crisi energetica, oltre alla crescita pericolosa della inflazione, la “emergenza del Mezzogiorno”. Non ha senso, ripeto ancora una volta, parlare di percentuali, non ha senso annunciare interventi inesistenti come le Zone Economiche Speciali (Zes) (decise con apposite norme cinque anni fa e rimaste solo tali), non ha senso nominare commissari per affrontare e risolvere problematiche che non saranno mai risolte.

Non voglio proporre soluzioni, o meglio, non voglio anticipare possibili soluzioni che competeranno al futuro Governo ma voglio solo ricordare un dato: la infrastrutturazione del Paese, sia quella relativa alle grandi reti di trasporto urbane ed extraurbane, sia quella legata alla funzionalità dei nodi urbani e logistici, sia quella legata al riassetto idrogeologico, sia quella legata al riassetto funzionale dell’offerta sanitaria e scolastica, sia quella legata all’articolata e complessa attività manutentiva, cioè tutti gli interventi che rendono vivibile e funzionale la griglia strutturale ed infrastrutturale su cui viviamo, se realizzata in modo organico e contestuale (per contestuale intendo avvio contemporaneo di tutti gli interventi e non per fasi disgiunte dell’intero processo), consente ad un sistema territoriale, già nella fase di avvio degli interventi, di crescere come Prodotto Interno Lordo per un valore superiore al 25 – 30% ed una volta completate le infrastrutture tale soglia si attesta su un valore stabile superiore al 15 – 20%.

Sappiamo, sulla base di una serie di studi ed approfondimenti fatti da diverse Società, che la sola infrastrutturazione organica e contestuale del Mezzogiorno ha un costo di circa 140 miliardi di euro. Il Pnrr ne assegna globalmente circa 55 miliardi e la cosa davvero non positiva e che questo volano di risorse presenti nel Pnrr è relativo a tessere infrastrutturali di un mosaico che non esiste; cioè segmenti di ferrovie, segmenti di interventi in aree urbane, segmenti in comparti logistici privi di un contesto pianificato, sono cioè tessere di un mosaico che volutamente non è stato neppure immaginato. Solo se il nuovo Governo accettasse da subito un approccio basato su almeno 4 condizioni chiave:

 

  • Il quadro globale delle iniziative infrastrutturali da avviare tutte contestualmente
  • Le esigenze finanziarie globali
  • Gli strumenti capaci di coinvolgere capitali privati ricorrendo a forme di Partenariato Pubblico Privato
  • La rivisitazione integrale dell’utilizzo del Fondo di Sviluppo e Coesione 


allora verrebbe meno questa prorogata atarassia che ha caratterizzato, specialmente durante i Governi Conte 1 e Conte 2, la politica del Governo nei confronti del Sud. 

Un simile approccio, in realtà, rappresenterebbe, finalmente un cambiamento sostanziale nei confronti di quell’area che geograficamente chiamiamo Sud ma che economicamente dovremmo definire “area del sottosviluppo”.

Devo però aggiungere una ulteriore condizione: il rispetto del “fattore tempo”, cioè la capacità che questo rivoluzionario processo accada a partire già nel primo semestre del 2023. 

Se lo si vuole è possibile realizzare un simile progetto e, sembra davvero strano ed inconcepibile ma questo approccio da sempre è seguito nelle aree settentrionali del Paese. (ei)

(Courtesy Il Quotidiano del Sud / L’altravoce dell’Italia)

ELEZIONI / Gaffe di Giorgetti (Lega) sulla Calabria: «Non interessa a nessuno»

Imperdonabile gaffe per il n. 2 della Lega, Giancarlo Giorgetti, che intervistato da Lilli Gruber, in contraddittorio con Marco Travaglio direttore de Il Fatto Quotidiano, nella trasmissione Otto e mezzo si è lasciato scappare che i risultati della Calabria non interessano a nessuno. Conta solo il risultato dell’Emilia, in poche parole, pare lecito pensare che il “profondo Sud” rimane l’ultimo dei pensieri di Matteo Salvini e leghisti. Si attende di capire quanti calabresi daranno fiducia a questi improbabili neo-colonizzatori del Mezzogiorno. (rp)