L’OPINIONE / Pietro Massimo Busetta: Il discorso pieno di buone intenzioni e di dubbi della presidente Meloni

di PIETRO MASSIMO BUSETTAUnderdog: una perdente poteva essere la nostra Presidente del Consiglio, ma é riuscita a cambiare il suo destino. Possiamo dire che anche il Mezzogiorno è un underdog, per definizione, ma come il Presidente ha la voglia e l’orgoglio di essere  vincente, non solo per se stesso ma per tutto il Paese. 

Settanta minuti di intervento alla Camera per un progetto di Paese, quello di Giorgia Meloni, che guarda alle nuove generazioni, in un riequilibrio tra giovani  ed adulti. Il pensiero dominante, come afferma durante il suo intervento, è quello di stravolgere i pronostici ed in questo la Presidente é accomunata al destino che sembra avere questo Sud, in genere trascurato. 

Certo il limite che ogni Presidente del Consiglio ha sempre avuto rimane. Cioè quello di considerare il Paese come fosse uno. In realtà i Paesi sono due ed una ricetta unica per entrambi non funziona. Come sempre é stato, se guardiamo alla locomotiva 1 trascureremo quella che dovrebbe essere la locomotiva 2, che per partire ha bisogno di cose diverse rispetto alla prima. 

Ritorna il leitmotiv del Mezzogiorno batteria del Paese, “paradiso delle rinnovabili”  lo ha definito, sottovalutando il fatto che il servizio che la realtà meridionale dovrebbe rendere  sarebbe opportuno avesse un contraltare in investimenti produttivi, ad alta intensità di manodopera nel manifatturiero. In realtà, in linea con quello che è accaduto spesso nelle dichiarazioni dei Governi precedenti, in questo discorso iniziale di Meloni per la fiducia alla Camera, il Mezzogiorno è molto presente:

«Sono convinta che questa svolta sia anche l’occasione migliore per tornare a porre al centro dell’agenda Italia la questione meridionale. Il Sud non più visto come un problema ma come un’occasione di sviluppo per tutta la Nazione. Lavoreremo sodo per colmare un divario infrastrutturale inaccettabile, eliminare le disparità, creare occupazione, garantire la sicurezza sociale e migliorare la qualità della vita. Dobbiamo riuscire a porre fine a quella beffa per cui il Sud esporta manodopera, intelligenze e capitali». 

Cosa si poteva chiedere di più? Con la valorizzazione della sua posizione geografica, come piattaforma logistica per attrarre merci dai traffici internazionali che passano da Suez, e con l’esigenza  simmetrica di essere adeguatamente infrastrutturato per consentire che Augusta, Gioia Tauro e tutti i porti del Sud abbiano e completino la loro vocazione commerciale. Non cita il ponte sullo stretto di Messina. Evidentemente permangono ancora alcune timidezze malgrado il ponte é all’interno del programma di Governo 

 Timidezza che invece non ha avuto quando ha  parlato  delle autonomie differenziate, per le quali c’è stato un impegno a portarle avanti, non avendo forse completamente chiaro che tale attuazione non può che portare alla spaccatura del Paese, anche se parlando“ di un processo virtuoso in un quadro di coesione nazionale“, si trova in una contraddizione in termini. 

Come i due concetti di autonomia, quello di Meloni e di Zaia, possano essere compatibili è un mistero che presto saremo in condizioni di svelare, considerato che la Lega preme sull’acceleratore,  senza alcun possibilità di frenata e certamente non pensa ad un quadro di coesione nazionale. Anzi l’obiettivo è proprio quello di passare da i diritti individuali uguali per tutti a territori che trattengano la maggior parte delle risorse che producono.

Il riferimento poi  a “Sua Santità Papa Francesco“, che sostiene che la vera dignità si acquisisce non essendo assistiti dallo Stato ma con un lavoro, necessità di una chiosa sul fatto che  queste possibilità nel nostro Sud non esistono, e che il problema non è l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, considerato che non esiste offerta mentre la domanda riguarda circa 3 milioni di cittadini, che dovrebbero avere un’occupazione per raggiungere quel rapporto esistente nelle realtà a sviluppo compiuto di uno a due, tra occupati e popolazione.

Se poi avere un lavoro significa obbligare la gente a spostarsi verso le realtà dove ancora vi è un’offerta consistente e allora non si capisce come tutto è compatibile con le affermazioni circa l’esigenza che i cervelli e le professionalità rimangano nelle realtà meridionali. 

Purtroppo la sensazione netta è che questa insistenza di quasi tutte le forze politiche sull’esigenza dell’abolizione del reddito di cittadinanza  sia in realtà una pressione per far si che riprenda in modo consistente il flusso migratorio verso Nord. Infatti recentemente si è interrotto perché evidentemente, per salari ridotti  e periodi contenuti,  come quelli estivi, molti lavoratori avendo la possibilità  di un reddito di sopravvivenza non accettano di essere sradicati e di tagliare i legami familiari.

Ma se si parla di “scommettere sull’Italia perché sia occasione di investimento ma anche di buoni affari”  bisogna considerare che le politiche devono essere differenziate per le due parti. E che se il cuneo fiscale deve essere diminuito in tutto il Paese, come è giusto, deve rimanere una differenza rispetto al cuneo fiscale esistente nelle zone economiche speciali, altrimenti la localizzazione di imprese avverrà sempre nell’area settentrionale, come recentemente è  avvenuto con la Intel. Insomma un discorso con tante buone intenzioni ma anche tanti dubbi. Ma non é poco.

IL SUD NON PIÙ VISTO COME UN PROBLEMA
MA OCCASIONE DI SVILUPPO PER IL PAESE

di SANTO STRATI – La dichiarazione programmatica (per i prossimi cinque anni) del nuovo presidente del Consiglio Giorgia Meloni induce tendenzialmente all’ottimismo, anche se a prima vista sorge spontaneo dire “film già visto”. Ma non bisogna essere necessariamente scettici: occorre tenere a mente una regola che nella vita aiuta molto, mettere alla prova chi fa promesse. Se le mantiene avrà riconoscenza eterna, se restano dichiarazioni d’intenti non succede nulla: al Sud siamo abituati a impegni programmatici mai portati a termine, conosciamo i bei discorsi e la convinzione di cui sono pervasi, ma troppe volte le promesse (soprattutto prima delle elezioni) si sono perse nel vento. I meridionali conoscono la rassegnazione che non significa però rinuncia ai propri diritti, semmai prevale, amaramente, la consapevolezza di avere ancora una volta sbagliato col voto.

Fatta questa premessa, stendiamo un po’ di cenere sul capo, e ritiriamo ogni riserva che in fondo in fondo non eravamo riusciti a dissipare: è stato, quella della Meloni Presidente del Consiglio, un discorso tosto, a tutto tondo sulle fin troppo note criticità del Paese, sulle scelte che occorrerà fare, sulle strategie da adottare. Giorgia a capo dei suoi “fratelli” ha smesso gli abiti della pasionaria rimbalzate dal piccolo schermo (Yo soy Giorgia – gridava agli spagnoli di Vox, con repetita  – in italiano – all’ammirante popolo delle destra e del centro destra), e indossato l’abito buono delle istituzioni: «ci muoveremo secondo il mandato che ci è stato conferito su questo tema dagli italiani: dare all’Italia un sistema istituzionale nel quale chi vince governa per cinque anni e alla fine viene giudicato dagli elettori per quello che è riuscito a fare».

Parole non al vento, ma convincenti ma assolutorie verso chi ha gridato al lupo prim’ancora che del lupo s’intravedessero i peli (»non sono stata brava a spiegarmi, magari» e hanno mostrato determinazione e carattere. Anche per quanto riguarda il Mezzogiorno, pur ribadendo cose dette e stradette, il modo in cui le ha dette, però, permette di guardare con davvero poche perplessità ai suoi progetti: la Meloni ha preso una brutta gatta da pelare, per orgoglio e legittima aspirazione non poteva rinunciare, ma è solo all’inizio e dovrà mostrare di sapere gestire adeguatamente l’impossibile, continuando in quello che (anche i suoi) non hanno fatto completare a Draghi. Per ironia della sorte il suo “avversario” e oppositore politico è diventato un faro d’ispirazione. C’è la sensazione di voler cercare da parte della Meloni una velata trasversalità che si traduca in un’opposizione che non sia meramente di facciata: serve il contributo di tutti, pur avendo i numeri per governare. Occorre che ognuno faccia la sua parte, perché non è una questione di ideologie, ma di diligenza, nell’esclusivo interesse degli italiani.

Un suggerimento ci permettiamo, però,  di darglielo: trovi il tempo e si rilegga Il principe. Machiavelli spiega in maniera semplicissima la ricetta per fare in modo che il principe riesca nella sua impresa: si deve circondare di giusti e capaci consiglieri, non può fare tutto da solo e, soprattutto, si deve guardare dai mistificatori del potere. I quali, inevitabilmente, tenteranno di curare i propri interessi e non quelli del principe, che sono poi quelle del principato, ehm, scusate, del Paese. Le analogie con l’Italia di oggi sono molte: leggere la storia per capire e interpretare il futuro. Con umiltà e voglia di fare: saranno, perciò, tante le occasioni per capire come risponderà questo nuovo esecutivo alle mille problematiche che attanagliano il Paese. e tra le mille insidie. E il Presidente Giorgia dovrà guardarsi dal fuoco amico, perché sia Lega sia Forza Italia già mostrano insofferenza per il suo (fin qui indiscutibile) successo.

Torniamo ai propositi del Presidente Giorgia sul Mezzogiorno: «Sono convinta che questa svolta che abbiamo in mente sia anche l’occasione migliore per tornare a porre al centro dell’agenda Italia la questione meridionale. Il Sud non più visto come un problema, ma come un’occasione di sviluppo per tutta la Nazione. Lavoreremo sodo per colmare un divario infrastrutturale inaccettabile, eliminare le disparità, creare occupazione, garantire la sicurezza sociale e migliorare la qualità della vita. Dobbiamo riuscire a porre fine a quella beffa per cui il Sud esporta manodopera, intelligenze e capitali che sono invece fondamentali proprio in quelle regioni dalle quali vanno via. Non è un obiettivo facile, ovviamente, ma il nostro impegno su questo sarà totale».

Il Presidente Giorgia non ha trascurato di parlare anche dell’autonomia differenziata, un «progetto virtuoso già avviato da diverse regioni italiane». Non ha ragionato sui rischi di allargamento del divario Nord-Sud nel caso passi l’autonomia, ma ha rasserenato sull’idea di unità: «ogni campanile, ogni borgo è un pezzo della nostra identità da difendere. Penso in particolare a quelli che si trovano nelle aree interne, nelle zone montane e nelle terre alte, che hanno bisogno di uno Stato alleato per favorire la residenzialità e combattere lo spopolamento».

A proposito di Sud, la Meloni ha detto che «se le infrastrutture al Sud non sono più rinviabili, anche nel resto d’Italia è necessario realizzarne di nuove, per potenziare i collegamenti di persone e merci, ma anche di dati e comunicazioni. Con l’obiettivo di ricucire non solo il Nord al Sud, ma anche la costa tirrenica, la costa adriatica e le isole al resto della Penisola. Servono – ha sottolineato – investimenti strutturali per affrontare l’emergenza climatica, le sfide ambientali, il rischio idrogeologico e l’erosione costiera, e per accelerare i processi di ricostruzione dei territori colpiti in questi anni da terremoti e calamità naturali».

È l’economia del mare, grazie alla favorevole posizione dell’Italia nel Mediterraneo «che può e deve diventare un asset strategico per l’Italia intera e in particolare per lo sviluppo del Meridione. E penso alla bellezza. Sì, perché l’Italia è la Nazione che più di ogni altra al mondo racchiude l’idea di bellezza paesaggistica, artistica, narrativa, espressiva. Tutto il mondo lo sa, ci ama per questo e per questo vuole comprare italiano, conoscere la nostra storia e venire in vacanza da noi. È un orgoglio certo, ma soprattutto è una risorsa economica di valore inestimabile, che alimenta la nostra industria turistica e culturale. E aggiungo che tornare a puntare sul valore strategico dell’italianità vuol dire anche promuovere la lingua italiana all’estero e valorizzare il legame con le comunità italiane presenti in ogni parte del mondo che sono parte integrante della nostra».

«Non è un Paese per i giovani – ha detto –. La nostra società nel tempo si è sempre più disinteressata del loro futuro, persino del diffuso fenomeno di quei giovani che si autoescludono dal circuito formativo e lavorativo, così come della crescente emergenza delle devianze, fatte di droga, alcolismo, criminalità. E la pandemia ha decisamente peggiorato questa condizione e, di fronte a questo scenario preoccupante, la proposta principe di certa politica in questi mesi è stata promettere a tutti la cannabis libera, perché era la risposta più facile. Ma noi, a differenza di altri, non siamo qui per fare la cosa più facile. Intendiamo: lavorare sulla crescita dei giovani a 360 gradi, promuovere le attività artistiche e culturali e, accanto a queste, lo sport, straordinario strumento di socialità, di formazione umana e di benessere; lavorare sulla formazione scolastica, per lo più affidata all’abnegazione e al talento dei nostri insegnanti, spesso lasciati soli a nuotare in un mare di carenze strutturali, tecnologiche e motivazionali; garantire salari e tutele decenti, borse di studio per i meritevoli; favorire la cultura di impresa e il prestito d’onore. Lo dobbiamo a questi ragazzi, ai quali abbiamo tolto tutto per lasciar loro solo debiti da ripagare. E lo dobbiamo all’Italia, che 161 anni fa è stata unificata dai giovani eroi del Risorgimento e che oggi, dall’entusiasmo e dal coraggio dei suoi giovani, può e deve essere ricostruita».

Ottimi intenti e applausi a scena aperta dalla maggioranza della coalizione: il presidente Giorgia deve convincere ora il resto del Paese che tornare a crescere è un obiettivo possibile. Citando Steve Jobs, ai giovani ha ribadito «siate affamati, siate folli e vorrei aggiungere anche siate liberi». Se si offrono le opportunità, in Calabria e nel Mezzogiorno, si scoprirà che i nostri ragazzi questi slogan li hanno assimilati già prima del discorso del fondatore della Apple: sono soprattutto “liberi”, ma vorrebbero anche la libertà di scegliere il proprio futuro a casa loro. Non partono più braccia, ma, più drammaticamente, cervelli a impoverire ulteriormente il territorio calabrese: dovrebbe essere questo il primo obiettivo dell’esecutivo Meloni, offrire lavoro e opportunità di crescita. Gli altri governi hanno contributo a rubare il futuro ai nostri giovani, bisogno cominciare a restituirgliene un bel po’. (s)

Corbelli (Diritti Civili) alla Meloni: «Sgarbi ministro della cultura»

di PINO NANOVittorio Sgarbi, Ministro dei Beni Culturali. Lo chiede, con un appello pubblico, a Giorgia Meloni, Premier indicata dal centro destra a guidare il prossimo Governo, il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, vecchio amico e compagno di innumerevoli battaglie civili e di giustizia del noto storico dell’arte, cofondatore, insieme allo stesso Corbelli, 27 anni fa, nel giugno del 1995, del Movimento Diritti Civili. 

In una nota affidata alle agenzie Franco Corbelli spiega «le ragioni per le quali è giusta e importante la nomina di Vittorio Sgarbi che –sottolinea Corbelli – può essere oltre che il miglior Ministro dei Beni Culturali, il miglior garante dei diritti civili nel Governo Meloni».

Il suo ruolo – precisa il leader del Movimento Diritti Civili – dovrà andare, infatti, anche oltre il suo stesso dicastero. «Vittorio Sgarbi dovrà essere il portavoce e la sentinella del popolo all’interno del Consiglio dei ministri per scongiurare nuove leggi liberticide e repressive, che hanno, in questi ultimi tre anni, segnato, purtroppo in modo drammatico e irrimediabile, la vita di milioni di italiani». 

Corbelli non va per il sottile, e con grande determinazione spiega che «Sgarbi fuori dal Parlamento è già un vulnus per la democrazia e il mondo della cultura del nostro Paese. Come lo è del resto l’assenza di un esponente del Movimento Diritti Civili. Anche per questo il noto critico d’arte va adesso coinvolto nel nuovo Esecutivo di centrodestra (sua area politica di riferimento per la quale si era candidato per una missione quasi impossibile: la sfida contro Casini nel collegio senatoriale blindato, per il centrosinistra, di Bologna) con un dicastero che nessuno più di lui è, per esperienza, competenza e cultura, in grado di guidare autorevolmente: quello dei Beni Culturali». 

Corbelli dice molto di più: «Sgarbi, ricordo, al di là della cultura e competenza, è un liberale e libertario, uno storico e convinto garantista, cofondatore, nel 1995, del Movimento Diritti Civili. Aspetto poi non certo irrilevante, negli ultimi tre anni, segnati dolorosamente e tragicamente dalla pandemia, ha combattuto insieme a Diritti Civili, La Verità e pochissimi altri, contro la persecuzione da parte del Governo, dei tecnici e tele virologi, dei partiti di maggioranza e di tutta la stampa mainstream (radio, tv, giornali, web, social)che hanno avallato la deriva autoritaria, nei confronti di milioni di italiani, pacifici e inermi, che sono stati ghettizzati e isolati brutalmente, solo perché avevano legittimamente detto no ad un siero sperimentale, per una comprensibile paura o per validi motivi di salute».

E la tragedia delle morti improvvise e delle gravi reazioni avverse, che continua, purtroppo, in modo sempre più impressionante, «dimostra – dice testualmente ancora Franco Corbelli – quanto fossero giuste e motivate quelle preoccupazioni e le paure di questa gente che Sgarbi ha, insieme a noi, sempre difeso. Anche per questo oggi Vittorio Sgarbi merita di sedere nel Consiglio dei Ministri. Con lui Ministro -conclude Corbelli- ci sentiamo, personalmente e come Movimento Diritti Civili, rappresentati, al di là del colore politico del Governo, che non ci interessa e non ci appartiene». (pn)

PARTE LA XIX LEGISLATURA, 24 I CALABRESI
E OCCHIO ALL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

di SANTO STRATI – Prende il via oggi la diciannovesima legislatura, si aprono Camera e Senato col primo, fondamentale, adempimento, quello di eleggere i presidenti dei due rami del Parlamento. Si tratta delle più rilevanti cariche dello Stato, dopo il Presidente della Repubblica, e ci si aspettava che il centro-destra, vincente nella coalizione che si è presentata alle urne il 25 settembre, avesse già da tempo individuato le figure (di prestigio) cui far convergere i voti delle due assemblee. A tarda sera, secondo voci abitualmente bene informate, c’era ancora maretta e nessuna intesa sui nomi e già questo la dice lunga sul tipo di governo che gli italiani dovranno aspettarsi.

Giorgia Meloni ha vinto le elezioni e con la vagonata di voti popolari presi è legittimata a ricevere l’incarico di formare il nuovo esecutivo. Il problema non è la Meloni, ma sono gli alleati, rissosi e amareggiati (soprattutto Salvini) che non sembrano disposti a fare sconti ai Fratelli di Giorgia nella spartizione delle caselle del potere. Mentre Berlusconi si mostra tutto sommato aperto e disponibile per sostenere senza preclusioni di sorta un esecutivo guidato dalla Meloni, Salvini, in queste ore, si sta giocando la sua stessa sopravvivenza alla guida della Lega. Il suo braccio di ferro (già svantaggiato) con la Meloni riguarda la messa in discussione della sua leadership tra i padani e i nuovi elettori del Sud. I primi guardano con molto scetticismo alle aperture e ai sorrisi elargiti da Salvini al Mezzogiorno e agli “incauti” elettori meridionali che si sono lasciati incantare; gli altri, dal Sud, cominciano a subodorare che le lusinghe meridionaliste del segretario della Lega in realtà nascondevano un grande inganno. La parola magica si chiama autonomia differenziata, ovvero il federalismo fiscale basato sulla spesa storia delle regioni: chi più ha speso più prende, i “poveracci” del Sud poveri erano e poveri resteranno, con una feroce discriminazione negli investimenti e nella perequazione dei diritti dei bambini e delle donne, dei giovani e dei lavoratori che subiranno ancora di più i perversi risultati del divario nord-sud, destinato ad diventare sempre più ampio.

Il fatto è che il futuro governo a presumibile guida Meloni  (il presidente Mattarella non può ignorare l’evidente indicazione popolare) pare entrato in crisi prim’ancora di aver ricevuto l’incarico. La Meloni si è resa immediatamente conto in che guaio s’è cacciata (vista la drammatica condizione economica e sociale del Paese) ma ha fatto prevalere la voglia di rivalsa, l’ambizione di essere incoronata prima donna premier in Italia, sulla considerazione  che se ha avuto problemi Draghi a contenere il disagio sociale, non sarà una passeggiata per il futuro governo mettere mano contemporaneamente al caro bollette, alla guerra, all’inflazione, al lavoro che non c’è e a un debito pubblico ormai senza più freni. La prima verifica riguarda la composizione del nuovo governo: prevarrà il criterio delle competenza, della capacità e dell’esperienza o, disgraziatamente, prevarranno – come al solito – le ragioni dell’opportunismo politico, per “pagare” le solite “cambialette”  della campagna elettorale? Se la Meloni vuole governare adeguatamente non faccia l’errore di assegnare ministeri secondo il criterio di appartenenza, ma si imponga subito con scelte che potranno dare spessore all’esecutivo. La formula magica esiste ed è un composto di rigore morale misto a competenza e capacità: gli italiani non ci credono, ma ci sperano.

Certamente sarà un esecutivo da togliere il sonno al futuro premier: se ci fossero risorse finanziarie a sufficienza, beh, i problemi si potrebbero anche affrontare, ma la prima domanda che dovrà farsi il futuro presidente incaricato sarà: “dove troviamo il denaro necessario?”.

Per questo un’elezione (concordata) a primo colpo per i due presidenti di Camera e Senato sarebbe stato un buon segnale per il Paese, per rassicurare gli animi su un’intesa (di centro-destra) che potrebbe (e dovrebbe) garantire stabilità, soprattutto per superare la crisi. Invece, come già detto, ieri sera si parlava di un’auspicabile elezione entro la giornata di oggi del Presidente del Senato (La Russa?) mentre per la Camera ci sarà un po’ di maretta prima di trovare un accordo. Non è una buona partenza, pur con un’opposizione rassegnata già prima delle elezioni a contare sempre meno e obbligata a raccogliere i cocci di una fallimentare strategia di consenso.

Ricordiamoci che l’ex premier Conte ha vinto (perdendo per strada buona metà dei voti conquistati nel 2018) solamente facendo un uso spregiudicato del populismo più vieto: messa da parte la pochette da taschino e levata la giacca s’è improvvisato (con successo, bisogna dire) novello Masaniello tutto teso e proteso a difendere il reddito di Cittadinanza. “O votate noi o perdete la prebenda di fine mese”: più o meno questo è stato il  leit-motiv della campagna di un Movimento 5 Stelle che tutti davano pronto a scomparire. È stato abile Conte, ma il suo gioco – opposizione intransigente, promette – alla lunga si scontrerà non solo col malcontento popolare ma anche su i tanti ex parlamentari grillini “abbandonati” e illusi. 

Chi avrebbe scommesso che i grillini avrebbero preso quattro seggi in Calabria, facendo diventare la regione un formidabile e incredibile serbatoio di voti? Eppure è così. 

E allora questa nuova legislatura (XIX) avrà il suo daffare per rasserenare i tumultuosi affanni degli italiani e muoversi tra troppe contraddizioni che rischiano di separare in modo netto il Nord e il Sud. Il riferimento, è evidente, è il provvedimento più volte tentato dalle tre regioni del Nord (Emilia, Lombardia e Veneto) ma regolarmente (per fortuna!) stoppato in Parlamento: questa volta, però, l’autonomia differenziata la vogliono sul serio e Salvini – aizzato da un ritrovato (ripescato?) Umberto Bossi si trova a giocarsi il consenso delle ricche regioni settentrionali, di quelli che votavano la Lega Nord e rivogliono tale parola sul simbolo al posto del nome di Salvini. Ma si giocherà la credibilità del Sud e tutto il Parlamento dovrà fare salti mortali per impedire il varo di una legge-infame che interpreta a uso e consumo del Nord il titolo V della Costituzione.

Del resto la truppa dei parlamentari calabresi di 19 tra deputati e senatori, in realtà è composta da 17 “nativi” (il magistrato Scarpinato è stato paracadutato da Palermo e la Roccella da Bologna), ma è rimpolpata da tre deputati di origine calabrese eletti in altri seggi:  Antonino Iaria dei 5 Stelle, architetto eletto in Piemonte, Giusy Versace, ex deputata di Forza Italia, orgogliosamente reggina, eletta in Lombardia,  e lady B (Marta Fascina) attuale compagna di Berlusconi, originaria di Melito Porto Salvo, deputata uscente, rieletta a Marsala. In più ci sono Nicola Carè (eletto all’estero) che è di Guardavalle (CZ), e, al Senato l’ex presidente del Senato (che ha sangue calabrese per parte di padre), Mario Borghese (deputato uscente del Maie) e, soprattutto, il prof. Marco Lombardo (di Martone, RC), eletto al Senato con Azione, in Lombardia. Un drappello che, pur avendo la Calabria nel cuore (?) non avrà la forza di fare molto. Ma non è detto…

A seconda di come sarà composto il futuro Governo di Giorgia Meloni, ci sono due caselle di sottogoverno che fanno gola ai calabresi: alla Sanità punta Giuseppe Mangialavori (senatore uscente e aspirante viceministro), ma soprattutto medico senologo che ne capisce di scienza, mentre il posto lasciato vacante da Dalila Nesci (non rieletta) di sottosegretario per il Sud e la coesione territoriale sembra fatto su misura per la vulcanica Wanda Ferro. Sarebbe una bella rivincita per i calabresi. E a suggello servirebbe alle infrastrutture un visionario che pensi a realizzare il Ponte… (s)  

A GIORGIA LA LEGA PRESENTERÀ IL CONTO
CON LA “CAMBIALETTA” DELL’AUTONOMIA

di SANTO STRATI – C‘è una “cambialetta” elettorale che Salvini presenterà a breve a Giorgia Meloni: l’autonomia differenziata che il Nord (Lombardia, Veneto ed Emilia) reclama da tempo, facendo valere l’ingiusto e crudele criterio della spesa storica. Sarà il modo di recuperare l’elettorato settentrionale che non sorride più tanto a Salvini, come faceva prima, quando la Lega aveva accanto l’appellativo Nord. Questo ovviamente significherà che il leader leghista dovrà farsi bifronte per non scontentare il Nord e non perdere completamente (già un primo salasso l’ha subito) l’elettorato del Mezzogiorno. Un’operazione difficile, di acrobazia politica che ha decisamente poche possibilità di successo.

La domanda, allora, è cosa farà Giorgia Meloni che nelle regioni meridionali (ma non solo) ha raccolto a piene mani senza, abilmente, sbilanciarsi nei rapporti Nord-Sud. L’unica concessione è stata al Ponte sullo Stretto: siccome fa trend, da buona frequentatrice di Twitter, la Meloni ha seguito l’onda senza esporsi più di tanto. 

La grana vera, in realtà, sarà la richiesta leghista di approvare in tempi rapidi il federalismo fiscale basato sulla spesa storia, meglio conosciuto come autonomia differenziata. Sarà “merce di scambio” per dire sì ai progetti di presidenzialismo che i Fratelli di Giorgia covano nonostante non abbiano i numeri costituzionalmente necessari per le modiche alla Carta. Ma dopo le elezioni – dovrebbero saperlo entrambi –, le cambiali generalmente non si pagano mai… 

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TRA INTOLLERANZA E DISEGUAGLIANZE, TORNA LA LEGA DI BOSSI?

di ORLANDINO GRECOPer chi ha realmente a cuore le sorti del Sud ed è impegnato quotidianamente nel rilancio di una prospettiva di unità concreta del Paese, non saranno passate inosservate le ultime mosse politiche del “senatùr”, Umberto Bossi, miranti la riorganizzazione della Lega. 

Più che di Lega, infatti, si torna a parlare di Lega Nord, con quella che a tutti gli effetti diventa la prima corrente del partito nato in Veneto nei primi anni ‘90. “Per il Nord riparte la battaglia” è il titolo dell’iniziativa scritto nel manifesto, su sfondo verde. Un chiaro ed inequivocabile messaggio evocativo delle storiche battaglie leghiste per il primato e l’indipendenza del Nord sul resto del Paese.

Una manifestazione rispetto alla quale non si sono fatte attendere le svariate adesioni di militanti ed amministratori locali del Nord stanchi, a loro dire, di una gestione salviniana poco attenta agli interessi dei territori storicamente rappresentanti la roccaforte del partito. Dunque un Nord autonomista, in pieno fermento, sarebbe pronto a ripartire e a riorganizzarsi sui principi della “Roma ladrona” e del Sud parassitario, alla luce anche del mal digerito sorpasso di Fratelli d’Italia sulla Lega.

Il silenzio che in queste ore caratterizza la neo deputazione meridionale, e non per ultimo Salvini, è imbarazzante e desta preoccupazione. Il Paese è sofferente a causa degli ulteriori danni economici inflitti dalla pandemia e dalla crisi energetica, non abbiamo bisogno di ulteriori elementi di divisione in un dibattito pubblico che già stenta di suo a trovare risoluzioni alle tante emergenze. 

I parlamentari leghisti eletti al Sud conoscono il divario economico ormai insostenibile tra le due Italie? 

Lo sanno che il reddito medio pro capite di Milano ammonta a 29.980€ è quello di Vibo a 10.080€? Hanno contezza lor signori di come la Spesa Storica penalizzi i Comuni del Meridione? Si sono mai imbattuti nei servizi minimali offerti a queste latitudini nell’ambito socio-sanitario, pur pagando le Regioni del Sud cifre che superano il miliardo per finanziare la sanità lombarda? È giusto che il denaro a un giovane che vuole aprire qualsiasi attività arrivi a costare il doppio che al Nord?

La smettano una volta per tutte di utilizzare la maschera salviniana per raggiungere solo e soltanto mere postazioni personali e lo stesso Salvini rompa gli indugi e sgomberi il campo dalle ambiguità. Ci dica Salvini se Bossi parla a nome personale o ancora rappresenta la voce del più obsoleto leghismo. Stiamo parlando di colui il quale, prima del verdetto dei riconteggi elettorali, era nell’immaginario di Salvini un candidato in pectore per il ruolo di Senatore a vita. Sostenere il manifesto di Bossi sarebbe l’ennesima beffa verso un Sud che non solo subisce da tempo l’iniqua redistribuzione di risorse per asili, scuole e infrastrutture ma anche verso quei tanti elettori che genuinamente hanno fornito supporto elettorale ad un partito che non può permettersi simili prese per i fondelli.

Oggi è tempo che i tanti cittadini meridionali, i molti sindaci e amministratori che come me sono in trincea diventino movimento, facciano de L’Italia del Meridione, per le nostre ragioni fondative, lo strumento politico pronto alle barricate contro ogni forma di diseguaglianza ed intolleranza verso il Sud. Il mancato rispetto verso le vocazioni territoriali rappresenta una miope visione ormai sconfitta dalla storia e dunque non avalleremo nuove forme di oscurantismo. 

PNRR, ZES, PONTE, PNRR, TURISMO, LAVORO
PRIORITÀ IN AGENDA DEL FUTURO GOVERNO

di PIETRO MASSIMO BUSETTAAlla sofferenza si addice il silenzio. E certamente il compito che spetta al Presidente del Consiglio che, con quasi certezza, sarà incaricato da Sergio Mattarella, dopo i brillanti risultati elettorali ottenuti, sarà Giorgia Meloni, non sarà di quelli facili, né per gli italiani senza dolore. 

Per questo fa bene il prossimo Presidente,  probabile, a parlare poco. I dossier  che si troverà ad affrontare sono di quelli che farebbero tremare i polsi a chiunque. La situazione del Covid, che ancora morde, quello della guerra in Ucraina che uccide e destabilizza,  il caro energia già presente prima del conflitto,  che però quest’ultimo ha aggravato, fanno prevedere una navigazione non facile e piena di pericoli. 

Ma a fianco ad un’agenda internazionale e nazionale  non bisogna dimenticare che ve ne é  una che riguarda il Mezzogiorno. Non si può incentrare una campagna elettorale sui cosiddetti sprechi del reddito di cittadinanza  e subito dopo, quando c’è da agire, dimenticare la problematica ampia che attanaglia quest’area del Paese. 

Per cui ci permettiamo di ricordare al Presidente le cose da fare, ma anche quelle da evitare assolutamente. Come molti sanno il vero problema del Sud è la mancanza di lavoro. Su 21 milioni di abitanti il nostro Istituto di statistica  ci dice che hanno un lavoro, tra gente messa in regola e sommersi,  poco più di 6 milioni di persone. Il che vuol dire che per arrivare al rapporto occupati popolazione delle realtà a sviluppo compiuto sono necessari tre milioni  di posti di lavoro di saldo occupazionale.  Per questo l’insistenza con cui si parla delle politiche attive del lavoro, dei centri per l’impiego, fa capire come non sia assolutamente  chiaro a molti  che il problema non è quello di far incontrare domanda ed  offerta di lavoro quanto creare tale domanda.

Ed è questo il tema sul quale bisogna che si concentri il futuro Presidente. Ma per evitare che si rimanga sul generico vediamo come. Dovrebbe intanto monitorare la situazione delle Zes manifatturiere, che hanno come scopo quello di attrarre investimenti dall’esterno dell’area, e che invece sono state piegate a strumento di consenso politico.

Riportarle al loro originario obiettivo significa dare budget da raggiungere in termini di nuovi occupati, di importi di investimenti da attrarre. Le otto Zes manifatturiere ormai hanno i commissari al lavoro, ma non si sa niente di quello che sta accadendo nelle singole realtà.

Bisogna riprendere in mano questa situazione per cercare di fare in modo che finalmente esse raggiungano lo scopo per cui sono state create.

Il secondo dossier che va ripreso in mano immediatamente, nel primo Consiglio dei Ministri, é quello del Ponte sullo stretto di Messina.

Bisogna abbandonare gli studi sulle tre campate, che avevano il solo scopo di non decidere nulla, e, visto che il progetto era già cantierabile, aggiornarlo in modo da far partire i lavori nel più breve tempo possibile. 

Probabilmente i 50 milioni, che sono stati destinati alla Rfi per studi ulteriori, si possono dirottare per aggiornare il progetto esistente. Salini, AD di We Build, la società che dovrebbe costruirlo e che ha vinto l’appalto, ha sostenuto che nei cinque anni della sua costruzione saranno impiegati 100.000 persone e mi pare una cifra interessante. 

Un altro capitolo che dovrebbe essere aperto riguarda la branca del turismo nel Sud. Finora è stata trattata come un’attività che ha molta dell’improvvisazione e poco della pianificazione. Passare da un’attività spontanea a un industria turistica significa fare passi da gigante.

Non è pensabile che il Mezzogiorno abbia un numero di presenze così limitate, equivalenti a quelle del solo Veneto, o, per capire meglio,  a quelle della sola Ibiza. Allora si studi un modo per attrarre investimenti dall’esterno dell’area anche nel settore dell’impresa turistica, in maniera da aumentare il numero di posti letto disponibili, e da far insediare i maggiori players internazionali che sarebbero felici, se le condizioni lo rendessero possibile, di  localizzarsi nel Sud. 

L’istituzione delle Zes turistiche potrebbe essere un modo per accelerare tale processo, soprattutto se lotta alla criminalità, infrastrutturazione, cuneo fiscale differenziato, e vantaggi sulla tassazione degli utili di impresa rendessero gli investimenti molto favorevoli. Questi i tre driver sui quali concentrarsi: manifatturiero, logistica, e turismo. 

Ma ci sono tre altri dossier importanti da non sottovalutare. Che potrebbero far molto male al Mezzogiorno. Il primo dei quali riguarda l’autonomia differenziata che sarà portata al primo Consiglio dei Ministri,  come è stato annunciato da Salvini e che trova consenso non solo nei Governatori della Lega Nord, ma anche in alcuni Presidenti di Regioni  del Centro Sinistra come Stefano Bonaccini.

Il tema è di quelli scottanti perché la sua adozione significherebbe  confermare che le risorse saranno distribuite nel Paese sulla base della spesa storica e che quindi la spesa pro capite, per la gente che vive nel Sud, sarà sempre di gran lunga inferiore a quella di chi ha la “fortuna” di nascere nel Centro Nord. 

Né si fa più riferimento all’adozione dei livelli essenziali di prestazione (Lep), prima di pensare a qualunque forma di autonomia. La Presidente deve stare molto attenta perché un tale provvedimento potrebbe portare a una secessione di fatto. 

Ma l’altro pericolo che corre il Mezzogiorno é quello di vedersi sottrarre le risorse del Pnrr. Gì si sente parlare di rinegoziarlo che significa limitare le risorse per il Sud. 

Un altro tema che non dovrebbe farsi sfuggire è quella  della localizzazione dell’Intel, che sembra essere destinata al Veneto. Tale indicazione porterebbe a nuovi posti di lavoro in una realtà che già adesso non riesce ad avere risorse umane sufficienti per le attività che lì si svolgono. Una tale localizzazione avrebbe l’effetto di far spostare un numero considerevole di giovani dal Sud verso Nord, con una logica perversa che prevede che siano le persone ad inseguire il posto di lavoro e non   le aziende a localizzarsi laddove il capitale umano è disponibile. 

Trattasi di quelle contraddizioni molto diffuse nel nostro Paese, per cui si abbaia continuamente alla centralità della problematica del Mezzogiorno, si inveisce contro gli oltre due  milioni di reddito cittadinanza che vengono erogati al Sud, e poi si creano i posti di lavoro la dove non servono. Non sarà un percorso facile per questo concentrarsi e parlare poco é certamente un modo di affrontarlo seriamente. (pmb)

ELEZIONI / È la volta di Giorgia: Palazzo Chigi si tingerà di rosa

di MARIO NANNI – A differenza del 2013, quando i sondaggisti avevano dato per probabile vincitore il centrosinistra e Bersani segretario Pd già si vedeva a Palazzo Chigi (poi si scoprì all’alba che si erano sbagliati), stavolta le previsioni, confermate via via negli ultimi mesi, sono state confermate.

Piaccia o non piaccia, e a molti milioni di italiani non piace, il centrodestra ha vinto le elezioni. È la democrazia. E le regole della democrazia, se siamo una democrazia, impongono di rispettare il risultato.

Ci sarà modo e tempo, quando i risultati saranno completi, per fare analisi particolareggiate. Per ora, a caldo, si possono fare queste notazioni e azzardare alcune modeste previsioni.

Primati

Per la prima volta un partito guidato da una donna arriva primo. E per la prima volta, secondo le previsioni, una donna sarà la prima presidente del Consiglio della storia d’Italia.

Per la prima volta il meccanismo incrociato tra l’amputazione del Parlamento e una legge elettorale sciagurata ha prodotto risultati inattesi e imprevisti, e anche esclusioni eccellenti. Un nome su tutti: Luigi di Maio, ministro degli Esteri, non tornerà in Parlamento.

Per la prima volta l’affluenza segna un livello tra i più bassi del Dopoguerra. Un chiaro segnale di disaffezione dei cittadini verso la politica. Che poi molti di questi “disertori delle urne” saranno i primi a lamentarsi di come andranno le cose, anche questo è un segno di malcostume civico.

“Cannibalismo politico” 

Nel centrodestra, Fdi si è mangiata la Lega, ma anche FI l’ha rosicchiata.

Con il suo strepitoso bottino elettorale Fdi surclassa i principali alleati: Lega e Forza Italia. Ora sarà interessante vedere se Berlusconi e Salvini collaboreranno lealmente con quella che a tutti gli effetti si pone e s’impone come la guida politica della coalizione o cominceranno con i dispetti, le frecciate, le gelosie, il rifiuto di svolgere un ruolo ancillare.

Non sono illazioni gratuite ma legittime domande, e dalla risposta che sarà data ad esse dipenderà il grado di compattezza della futura maggioranza.

Giorgia Meloni comunque da oggi ha davanti a sé il compito di esercitare il ruolo di guida della coalizione e adoperarsi per trovare un equilibrio tra i tre partiti che la compongono per garantirsi le migliori condizioni per governare.

Débacle

La Lega in pochissimi anni è precipitata, nei sondaggi,  dal 34 per cento dei tempi del papeete (governo giallo verde guidato da Conte 1) a risultati a una cifra. Per Salvini scoppierà in casa il terremoto.

Il Pd ha sfiorato il peggior risultato della sua storia (il 18,7% di Renzi del 2018). Ora il partito si prepara a una lunga autoanalisi, e per Letta saranno tempi duri.

Forza Italia nonostante le perdite non è crollata, anzi ha avuto un piazzamento più che soddisfacente.

Terzo Polo

Il tentativo di Calenda e Renzi non ha preso il volo. Se il progetto dei due forzati gemelli era quello di fare l’ago della bilancia tra due schieramenti, i voti presi (non pochi non molti) dicono che è fallito. Ma può diventare la base per costruire un partito riformista, secondo quanto hanno più volte annunciato.

Giuseppe Conte 

come Lazzaro

I 5 stelle sembravano votati allo squagliamento elettorale o quasi, additati come gli affossatori di Draghi. ((in realtà Conte si era esposto contro Draghi e Berlusconi e Salvini ne hanno approfittato per sfilarsi). Ma poi l’ex presidente del Consiglio di due governi ha vestito i panni di un Masaniello pugnace.

E mentre il segretario Pd consumava molte delle sue energie a gridare alla democrazia in pericolo, Conte ha battuto paese per paese nel Mezzogiorno, e come fece Pietro Longo, segretario Psdi negli anni Ottanta ( che prese voti facendo campagna elettorale solo sulle pensioni), ha impostato la sua campagna elettorale su pochi punti semplici e chiari: il reddito di cittadinanza, il super bonus, la crisi energetica, le bollette da pagare. Conte è, obiettivamente, a parte il centrodestra vittorioso, l’unico leader che può dire, risultati alla mano, di essere tra i vincitori morali di queste elezioni. E si è costruito una immagine di leader del Movimento, mandando di fatto Grillo in pensione.  Il movimento 5 stelle è il primo partito nel Sud, e la Lega nel Mezzogiorno sembra evaporata.

Presto vedremo i banchi di prova

E arriveranno ancor prima che si insedi formalmente il nuovo Parlamento, il prossimo 13 ottobre.

Primo scoglio: la elezione dei presidenti delle due Camere.Il centrodestra farà lo spoil system, l’assopigliatutto? O adotterà un fair play istituzionale affidando la presidenza della Camera alla opposizione?  Ma poi, a quale partito delle opposizioni?

Secondo banco di prova: distribuzione dei ministri. La Lega aveva già prenotato il ministero della Giustizia ( per l’avv. Giulia Bongiorno); lo stesso Salvini, chiudendo la campagna elettorale a Roma, ha detto papale papale: non vedo l’ora di tornare al ministero dell’Interno per completare l’opera ( sic!). Con questo calo vertiginoso, quale sarà la sua forza di contrattazione? Per farsi accettare le richieste o pretese, sarà costretto a minacciare di non entrare in maggioranza?

Terzo banco di prova

Berlusconi chiederà la presidenza del Senato che gli era stata promessa (si disse a suo tempo che Salvini gli aveva prospettato questo approdo, chiedendogli in cambio di affossare il governo Draghi.  C’è un proverbio pugliese che recita: a santi e carose (ragazze) non promettere cose ( nel senso di :non prometterle invano). Ora come andrà a finire?  Berlusconi non è un santo né ‘’nu carusu’’ ( il 29 settembre saranno 86 anni) e quindi quella promessa potrebbe assare in cavalleria. Ma per Berlusconi la presidenza del Senato sarebbe una tale rivalsa che il Conte di Montecristo al paragone sembrerebbe un dilettante. Intanto è ritornato al Senato, da dove era dovuto uscire perché decaduto secondo la legge Severino. (mn)

(Mario Nanni, giornalista parlamentare e già Caporedattore Cenytrale dell’Ansa, è oggi  – Direttore editoriale del periodico online BeeMagazine)

[Courtesy BeeMagazine)

IO BALLO DA SOLA: LA FUTURA PRESIDENTE
DOVRÀ FARE I CONTI CON LA COSTITUZIONE

di SANTO STRATI – La clamorosa affermazione del centrodestra, in realtà, è il successo personale di Giorgia Meloni. Con oltre il 44% dei consensi la leader di Fratelli d’Italia è destinata a vedersi assegnare l’incarico di formare il nuovo Governo da parte del Presidente Mattarella che non potrà non tenere conto delle indicazioni del popolo italiano. Sarà, dopo anni di governi “tecnici”, il ritorno di un presidente del Consiglio espressione del voto popolare. La Meloni sarà la prima donna presidente del Consiglio, ma si rassegni a subire l’attenzione minuziosa dell’opposizione che non le renderà la vita semplice. Ma, del resto, non sono semplici i problemi che da subito il futuro capo di governo dovrà affrontare: inflazione, caro bollette, crisi economia, il rischio sanitario, la guerra. E tenga conto Giorgia Meloni che da subito dovrà onorare col giuramento la Costituzione (rinnegando il fascismo, ai sensi della XII delle disposizioni transitorie e finali:  «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista»). Nonché chiarire la sua posizione sull’Europa. E, per quanto riguarda il Sud e la Calabria, spiegare senza indugi cosa pensa a proposito dell’autonomia differenziata che i partner leghisti voglio imporre a favore delle regioni ricche del Nord. 

In Calabria il suo partito non ha brillato com’è avvenuto nel resto d’Italia, superata dal partito di Conte (possiamo parlare già di Ex Movimento 5 Stelle?), ma i suoi rappresentanti che andranno in Parlamento dovranno, con coraggio, anche dissentendo da decisioni dell’alto, difendere e tutelare il futuro dei giovani calabresi. Auguri. (s)

Quirinale: altra fumata nera. L’ultima chance di Draghi e l’exit-strategy da manuale

di SANTO STRATI – Dopo una seconda, infruttuosa giornata di voto per il Quirinale, caratterizzata da frenetici incontri, resta solo oggi alla nostra classe politica per salvare la faccia e onorare adeguatamente Draghi. Il premier non ha mai fatto mistero di una (legittima) aspirazione di andare al Colle, ma ugualmente non ne ha fatto una ragione di vita. Adesso si trova davanti a una drammatica realtà: se viene eletto oggi con i numeri della sua maggioranza, le due fumate nere verranno classificate come prove generali per trovare l’intesa, e il trasloco al Colle gli consentirebbe di indicare agevolmente il suo successore per portare il governo fino al termine della legislatura. Se, invece – come purtroppo sembra – non ci sono margini di manovra e – vergognosamente – una maggioranza all’apparenza coesa non riesce a trovare un punto di incontro che travalichi i nomi e dia serenità agli italiani (di cui hanno tanto bisogno), il premier Draghi dovrà superare se stesso adottando una exit strategy da manuale: si tira fuori dalla competizione e si prende, senza che alcuno possa contestarglielo, il ruolo di king maker, suggerendo lui alla “sua” maggioranza chi votare. In questa maniera darebbe scacco matto a tutti, portando a termine la legislatura con un presidente (da lui indicato) e potrebbe con tutta tranquillità preparare il suo arrivo al Quirinale dopo le elezioni della prossima primavera.

Il rischio più grande, in questo momento, è che l’inesistenza della maggioranza (di fatto acclarata, giorno dopo giorno e confermata dalla mancanza di qualsiasi intesa per il voto al Quirinale) determini la brusca e repentina fine del Governo con tutte le conseguenze nefaste che potrebbero arrivare. Al di là della drammatica situazione della pandemia e della crisi economica che sconsiglierebbero qualsiasi avventurismo politico in questo momento, l’unica soluzione all’orizzonte sarebbe lo scioglimento anticipato delle Camere e nuove elezioni. Il nuovo presidente della Repubblica (malvotato da una maggioranza inesistente) avrebbe da subito una brutta gatta da pelare.

Secondo il nostro modesto parere, Draghi ha ben chiara la situazione che si sta delineando. L’alibi di Berlusconi con lo spauracchio della destabilizzazione non ha retto neanche un istante dopo il ritiro della candidatura dell’ex premier, rivelando non solo la debolezza di una sinistra succube di un evaporato (forse meglio dire inesistente) Movimento 5 Stelle alla disperata ricerca di un’identità, ma anche le lacerazioni che esistono nell’area di centro-destra. L’unica che effettivamente vuole Draghi al Quirinale è Giorgia Meloni perché rientra nella sua logica di primazia rispetto alla Lega: secondo la leader di Fratelli d’Italia, con Draghi al Colle il Governo cade subito e si va a votare. In questo momento di vento favorevole ai danni di Salvini e dei resti in dissoluzione di Forza Italia, la Giorgia non rischierebbe di non guadagnare voti e posizioni da primo partito. In fondo, il suo obiettivo è fare la Presidente del Consiglio, ma la sua visione del mondo è troppo ristretta e confusa (come la mettiamo con le sue posizioni antieuropeiste?) per poter anche minimamente immaginare di conquistare gli italiani schifati da questo modo di fare politica? Senza contare la disperazione dei tantissimi onorevoli “disoccupati” che il nuovo Parlamento lascerà fuori del Palazzo.

A fronte di una situazione che sta facendo venire il voltastomaco a mezza Italia, ci sono dunque due soluzioni immaginabili. La prima vede Draghi eletto oggi a pieni voti, con la conferma di una maggioranza (apparentemente) coesa che ha voglia di mantenere in piedi il governo, con un sostituto del premier capace di traghettare fino al voto questa legislatura; l’altra, richiede il polso fermo del premier che si tira fuori e fa il king maker. Qualcuno storcerebbe il naso perché secondo la Costituzione non è il capo del Governo che sceglie il Capo dello Stato (bensì il contrario), ma la situazione è talmente drammatica che diviene difficile far prevalere presunti maldipancia costituzionali. Draghi in questo modo fotte tutti (scusate l’anglicismo): quelli che aspirano a fare i franchi tiratori e impallinarlo, delegittimandolo persino nel ruolo di capo del Governo (quale governo se non c’è una maggioranza?) e quelli che lo spingono a forzare la mano e accettare il minimo sindacale di un voto raccogliticcio quando sulla carta ci dovrebbero essere (escludendo Fratelli d’Italia e altri “dissidenti”) 900 voti della maggioranza che tiene in vita il governo. È una scelta difficile, ma chi è leader, per davvero, non ha mai cose facili a cui trovare soluzione. (s)