DENATALITÀ, LA CALABRIA SEMPRE PRIMA
MENO NASCITE E CRESCE L’EMIGRAZIONE

di FRANCESCO AIELLO – I dati pubblicati dall’ISTAT sugli Indicatori Demografici del 2023 forniscono nuovi ed interessanti elementi di valutazione sulla dinamica della popolazione italiana che nel corso del 2023 ha abbattuto la soglia psicologica dei 59 milioni di residenti. Infatti, l’ISTAT stima che all’1 gennaio 2024 la popolazione si attesta a 58.990.000 residenti, registrando una diminuzione di 7.000 persone rispetto all’anno precedente. Questo dato conferma il persistente trend negativo iniziato nel 2014, con un tasso di decrescita annuale pari a -2.8 per mille.  Il report dell’ISTAT offre numerosi spunti di riflessione, il primo dei quali è rappresentato dalla dinamica delle iscrizioni nette dall’estero, che in Italia nel 2023 sono state pari a +274.000 individui, rappresentando un elemento di contenimento della riduzione complessiva della popolazione. Il saldo migratorio dall’estero è in crescita (+166.000 stranieri nel 2022) e continua a svolgere un ruolo cruciale nel mitigare la perdita di popolazione residente: nel 2023, con un tasso di mortalità dell’11.2 per mille superiore al tasso di natalità del 6.4 per mille, si è avuto un tasso di crescita naturale pari a -4.8 per mille che, per l’appunto, è stato quasi interamente compensato dal saldo migratorio dall’estero (+6.4 per mille).

I dati per regione. Nel 2023, l’Italia ha assistito a variazioni demografiche differenziate tra le sue regioni, riflettendo una complessa rete di fattori economici e sociali che alimenta tale differenziazione. Mentre alcune regioni, come la Lombardia (4.4 per mille) e l’Emilia-Romagna (4 per mille), hanno registrato una crescita della popolazione, tutte le regioni del Mezzogiorno d’Italia hanno sperimento una riduzione dei residenti, con tassi anche rilevanti: -2.1 per mille in Abruzzo, -3.5 per mille in Campania, -4-1 per mille in Sicilia, -4-2 per mille in Molise, -4.5 pe mille in Puglia, -4.6 per mille in Calabria, -5.3 per mille in Sardegna e -7.4 per mille in Basilicata.

Queste disparità sulla dinamica della popolazione dipendono da differenze riguardo alle migrazioni e alle dinamiche naturali.

La figura in basso riporta i valori della crescita naturale della popolazione, il tasso di crescita della migrazione interna e delle iscrizioni nette di stranieri. Ciò che emerge con chiarezza è che la crescita naturale è ovunque negativa, a segnalare il fatto che il tasso di natalità è stato sempre inferiore al tasso di mortalità. Nel Centro-Nord, questa riduzione “naturale” della popolazione regionale è compensata dai tassi migratori interni ed esteri positivi, mentre, nelle regioni meridionali, si è avuto un incremento delle iscrizioni nette di straniere, ma contestualmente i tassi di migrazione interna sono stati significativamente negativi.

I dati della Calabria. Nel 2023 le nascite in Calabria hanno registrato una diminuzione dell’1.5%, contribuendo al declino della popolazione regionale che si è attestata a 1.838.000 individui (-4.6 per mille abitanti rispetto al 2022). Questo risultato negativo è stato influenzato dai valori del tasso migratorio totale e del tasso di crescita naturale della popolazione.

l’aumento delle iscrizioni nette dall’estero, con un tasso migratorio estero pari a +5.31 per mille, non è stato possibile ottenere un saldo migratorio totale positivo (risultando negativo a -0.1 per mille), a causa del persistente tasso migratorio interno. Quest’ultimo, relativo ai cambi di residenza dalla Calabria verso altre regioni e viceversa, si è attestato nel 2023 a -5.39 per mille. Per quanto riguarda la dinamica naturale della popolazione calabrese, nel 2023 si è registrato un  tasso di crescita naturale negativo di -5,31 per mille, risultante da un tasso di natalità del 7,2 per mille e un tasso di mortalità del -11,7 per mille (Figura 2) .

Emerge con forza la conferma della tendenza di lungo periodo che, purtroppo, vede la Calabria perdere residenti, con il rischio concreto di diventare sempre più piccola, impoverita e dipendente dall’assistenza pubblica. D’altra parte i recenti dati pubblicati dalla SVIMEZ avvalorano questa previsione, evidenziando il deterioramento della nostra regione nella Classifica europea del PIL pro capite, il quale è principalmente legato alla nostra incapacità di implementare politiche di sviluppo capaci di valorizzare settori in cui abbiamo margini di competitività, anche sui mercati internazionali. Le responsabilità sono diffuse, ma un ruolo significativo è svolto dall’atteggiamento culturale dei Calabresi, i quali sembrano vivere in un’eterna attesa di azioni risolutive da parte di attori esterni. (fai)

(Courtesy OpenCalabria)

Francesco Aiello è Professore Ordinario di Politica Economica presso il Dipartimento di Economia, Statistica e Finanza “Giovanni Anania” dell’Università della Calabria. Attualmente insegna “Politica Economica” al corso di Laurea in Economia ed “Economia Internazionale” al corso di Laurea Magistrale in Economia e Commercio. La sua attività di ricerca è centrata sui temi della Ricerca e dell’Innovazione, twin transition, dei divari di sviluppo in Italia e in Europa, sull’analisi micro-econometrica dell’efficienza e della produttività e sulla valutazione dell’impatto delle politiche pubbliche. È autore di numerosi saggi scientifici pubblicati su riviste nazionali e internazionali. Accanto all’attività prettamente accademica, si interessa di economia locale e di attività di divulgazione economica. Nell’estate del 2015 ha fondato OpenCalabria.com, uno spazio dedicato ai temi di “Economia e Politica dello Sviluppo” della Calabria.

CALABRIA, DENATALITÀ E SPOPOLAMENTO
LA SFIDA FERMARE IL DECLINO ANNUNCIATO

di DANIELA DE BLASIOLa Calabria affronta una crisi demografica sempre più preoccupante. Il declino della popolazione ha conseguenze significative sull’economia, il benessere sociale e la sostenibilità della regione: per questo motivo è una sfida che richiede una seria attenzione e interventi urgenti da parte delle Istituzioni.

Sono vari i fattori che contribuiscono al declino demografico della Calabria, a partire dal tasso di natalità molto basso, come certifica l’Istat sulla base dei dati del Censimento permanente, infatti la popolazione residente nella regione al 31 dicembre 2021 era pari a 1.855.454 residenti, in discesa a -0,3% rispetto al 2020 (-5.147 individui) e -5,3% rispetto al 2011. 

Si tratta di dati sconfortanti, sicuramente da attribuire alle difficili condizioni economiche e sociali ed alle scarse politiche di sostegno alla maternità e alla famiglia che caratterizzano la regione e che possono influire sulla decisione delle famiglie di avere figli. Infatti, la mancanza di servizi adeguati per la cura dei bambini, carenza di scuole e strutture sanitarie di qualità, nonché la scarsità di opportunità per le donne di conciliare famiglia e lavoro sono fattori che rendono il contesto poco favorevole alla natalità.

Ma il calo demografico in Calabria è anche un fenomeno aggravato dall’emigrazione giovanile e dalla mancanza di opportunità di lavoro per i giovani. Le statistiche Eurostat sul mercato del lavoro ci indicano il tasso di disoccupazione in Calabria come uno dei dati peggiori in Ue.

Mancano le occasioni di occupazione stabile e ben remunerata, mancano le possibilità di crescita e realizzazione personale e queste carenze hanno portato molti giovani calabresi a lasciare la loro terra per cercare opportunità di vita e di lavoro migliori.

Nonostante gli sforzi compiuti, volti a promuovere l’occupazione, la Calabria perde in maniera continua ed inarrestabile risorse umane preziose, nonché la possibilità di sviluppare nuove attività economiche e possibilità di attrarre capitali.

La presenza limitata di grandi imprese, la scarsa diversificazione economica e la mancanza di investimenti infrastrutturali rendono difficile la creazione di posti di lavoro stabili e ben retribuiti per le giovani generazioni. Settori strategici come l’innovazione tecnologica, la ricerca e lo sviluppo sostenibile sono praticamente inesistenti, con la conseguenza che le occasioni di crescita e sviluppo professionale, sono irrisorie.

Inoltre, la mancanza di meritocrazia e la corruzione dilagante sono problemi che esasperano i giovani calabresi che si sentono demotivati, frustrati e sfiduciati nei confronti di chi non ha pensato al loro futuro ed a quello del proprio territorio.

La mancanza di rispetto per il merito, infatti, demotiva ulteriormente i giovani a rimanere nella regione, in quanto le opportunità di carriera sono spesso basate su relazioni personali  piuttosto che sulle capacità e competenze. Questa situazione li spinge altrove in cerca di una meritocrazia più imparziale.

La diminuzione del numero di persone attive nel mercato del lavoro ha gravi conseguenze economiche e sociali, in quanto innesta un circolo vizioso che inevitabilmente porterà nel breve periodo ad una riduzione della forza lavoro, all’invecchiamento della popolazione con l’aumento delle fragilità sociali ed un conseguente incremento di spese sanitarie, all’impoverimento culturale, alla contrazione delle dinamiche sociali ed ad un allontanamento da parte della società civile alla partecipazione attiva per costruire una nuova cittadinanza, oggi sempre più ai margini delle scelte calate dall’alto.

Per questi motivi, rendere la Calabria un luogo più attraente invertendo questa tendenza è il terreno su cui le Istituzioni devo cimentarsi al fine di garantire un futuro per la Calabria adottando politiche mirate, interventi adeguati e sostenibili che affrontino le cause sottostanti al declino demografico.

Solo così sarà possibile superare questa crisi e promuovere lo sviluppo con la prospettiva di costruire per le generazioni future una Calabria migliore. (ddb)

IL 35% ARRIVA AL LICEO “IMPREPARATO”
LA GRAVE CRISI DELLA SCUOLA MEDIA

di GUIDO LEONECi siamo. Con la chiusura dell’anno  scolastico arrivano le vacanze lunghe per i 74.500 e più allievi delle  scuole di ogni ordine e grado della provincia di Reggio Calabria. L’ultima campanella  è suonata, però, non per i 9mila piccoli allievi della scuola dell’infanzia che termineranno le loro attività educative il prossimo venerdì 30 giugno. 

Sarà vacanza per i più fino al 14 settembre 2023, inizio del nuovo anno scolastico, tre mesi pieni lontani da compiti, interrogazioni e libri. Però, non per tutti sarà così. Per i ragazzi di terza media la fine delle lezioni di fatto è sinonimo di esami di Stato. Per i quattordicenni le vere vacanze scatteranno il 30 giugno, ultimo giorno utile fissato dal Ministero della P.I. per gli esami di Stato. I diciottenni, invece, saranno alle prese con gli esami almeno fino a metà luglio.

Intanto, ora è tempo di scrutini e i prossimi giorni saranno dedicati nelle scuole alle valutazioni finali:scrutini per le ammissioni alla classe successiva e agli esami di Stato.

L’anno scorso il totale degli alunni reggini ammessi a sostenere gli esami fu del 98,9%. È presumibile che anche per il corrente anno il dato sarà eguagliato.

A cominciare, dunque, per primi saranno i 575 mila gli alunni di terza della scuola secondaria di primo grado, di cui 59 esterni, che affronteranno la loro ultima fatica, il conseguimento della cosiddetta ‘minimaturità’. A seguire i quasi 5.543  maturandi circa delle scuole secondarie superiori che inizieranno i loro esami di stato mercoledì 21 giugno.

La minimaturità

La valutazione rappresenta da sempre un momento di particolare rilevanza, non solo perché conclude un ciclo scolastico, ma perché al tempo stesso dà l’avvio ad un nuovo percorso di formazione culturale e personale per ciascuno studente.

L’ammissione agli esami di terza media compete al Consiglio di classe con giudizio di idoneità (espresso in decimi) per gli alunni che hanno ottenuto, con decisione assunta a maggioranza dal consiglio di classe, un voto non inferiore a sei decimi in ogni disciplina, voto sul comportamento compreso.

I requisiti di ammissione all’esame finale di terza media sono i seguenti: avere frequentato almeno tre quarti del monte ore annuale personalizzato secondo regolare ordinamento della scuola. Fanno eccezione situazioni legate alle particolari condizioni epidemiologiche.

E poi non essere incorsi in sanzioni disciplinari molto pesanti. Infine, avere partecipato alle prove nazionali di italiano, matematica e inglese predisposte dal’Invalsi. La votazione tiene conto del percorso scolastico compiuto. L’eventuale non ammissione è deliberata a maggioranza. 

Il calendario  

Gli esami iniziano dopo gli scrutini e le date sono stabilite da ogni singola scuola. Tuttavia è presumibile che la riunione preliminare di insediamento delle commissioni avvenga subito dopo nei primi giorni di questa settimana. 

Le prove 

Per l’esame del primo ciclo sono previste tre prove scritte, una di italiano e una sulle competenze logico-matematiche; la terza di lingue articolata in due sezioni(una relativa all’inglese  e una alla seconda lingua straniera studiata). Le tracce delle prove verranno predisposte dalla commissione in sede di riunione preliminare.

La prova scritta di italiano dovrà accertare la padronanza della lingua, la capacità di espressione personale, il corretto uso della lingua e fa riferimento alle seguenti tipologie: testo narrativo o descrittivo, testo argomentativo, comprensione e sintesi di un testo.

Gli argomenti della prova di matematica sono quelli affrontati durante l’anno ,come geometria solida, probabilità e statistica, equazioni, scienze.

Infine, la prova di lingue comprende domande ed esercizi di inglese e dell’altra lingua straniera studiata durante l’ultimo anno.

La prova orale è quella più temuta dagli studenti che, davanti alla commissione, devono presentare la loro tesina multidisciplinare e rispondere alle domande degli stessi professori che potrebbero riguardare anche domande su Cittadinanza e Costituzione. Il colloquio ha l’obiettivo di valutare il livello di acquisizione delle conoscenze, abilità e competenze descritte nel profilo finale dello studente.

Per i percorsi a indirizzo musicale, nell’ambito del colloquio, è previsto anche lo svolgimento di una prova pratica di strumento.

La valutazione finale

Il voto finale espresso in decimi, sarà il risultato della media tra il voto di ammissione e i voti delle prove di esame. Supererà l’esame chi otterrà un voto pari o superiore ai sei/decimi. La commissione potrà, su proposta della sottocommissione e con deliberazione assunta all’unanimità, attribuire la lode ai candidati che hanno conseguito un voto di dieci/decimi.

Inoltre, a tutti gli studenti candidati interni che supereranno l’esame di Stato verrà rilasciata la certificazione delle competenze

Il gap della Scuola Media

Per l’Istat i ragazzi che frequentano l’ultimo anno delle scuole di primo grado il 35% di loro arriva alle superiori con gravi insufficienze. Infatti, non raggiunge la sufficienza nelle competenze alfabetiche, riportando gravi difficoltà nella comprensione dei testi, mentre il 40,1% ha seri problemi con la matematica.

Tutti i test, scientifici e oggettivi, nazionali e internazionali, lo certificano. Il rendimento degli alunni della scuola dell’obbligo crolla nel passaggio dalla primaria alla secondaria di I grado, con ripercussioni negative sul biennio delle scuole superiori.

Le due aree principali, perciò, su cui lavorare nell’immediato futuro sono gli apprendimenti in  italiano e matematica; è un gap territoriale che parte sin dalla e si accentua nella scuola media, il ventre molle o se vogliamo l’anello debole del nostro sistema educativo. 

La scuola media, una terra di mezzo, è da molti anni alla ricerca di una sua identità, attratta dalla scuola superiore (il piano alto della “secondaria”), scuola primaria ma poi richiamata alla comune appartenenza alla scuola di base (il c.d. “primo ciclo” dell’istruzione). L’alternarsi di diverse denominazioni (scuola – di volta in volta – media, secondaria I grado, del primo ciclo, di base) da l’imprinting a questa vera e propria sindrome pirandelliana, nella non risolta ambiguità della sua secondarietà – di accesso ai saperi formali e al pensare per modelli – o di completamento della formazione primaria, quindi di consolidamento dell’alfabetizzazione strumentale.

Occorre affrontare presto e con energia questa profonda crisi della scuola media, che da molti anni ha smarrito la propria identità e il senso della sua missione. Occorre ridarle una missione chiara aggiornando le sua offerta pedagogica e didattica, attraverso  un forte orientamento alla personalizzazione dell’insegnamento da realizzarsi attraverso un’estensione del tempo scuola con una vera “scuola del pomeriggio”. (gl)

[Guido Leone è già dirigente tecnico Usr Calabria]

Coldiretti Calabria: Crollati del 12,6% i consumi di frutta e verdura

In Calabria il consumo di frutta e verdura è crollato del 12,6%. È quanto ha denunciato Coldiretti Calabria, evidenziando come «le famiglie hanno ridotto del 18% le quantità di pere, del 8% le arance, dell’7% le pesche, le nettarine e i kiwi e del 4% le mele mentre crollano  gli ortaggi con punte del 26% degli asparagi. Il risultato è che il consumo di frutta e verdura si è notevolmente ridotto, con preoccupanti effetti sulla salute dei cittadini».

«Il frutteto Calabria – ha ricordato Coldiretti – secondo i dati Istat è cosi composto almeno per le principali varietà: melo 1074 aziende per 453 ettari, pero 731 con 168 ha, pesco 774 e 1571 ha, nettarina 243 con 1016 ha, albicocco 560 e 734 ha, ciliegio 738 con 382 ha, susino 373 e 87ha, fico 1246 con 777 ha, actinidia 959 con 2.562 ha, arancio 8.385 e 10.790 ha, clementina 3827  con 9.792 ha. Il caro prezzi taglia quindi  le quantità di prodotti alimentari acquistate dai consumatori nel 2023 che sono però costretti però a spendere comunque il 7,7% in più a causa dei rincari determinati dalla crisi energetica».

«La situazione di difficoltà è resa evidente dal fatto che – ha sottolineato la Coldiretti – volano gli acquisti di cibo low cost con i discount alimentari che fanno segnare un balzo del +9,1% nel trimestre nelle vendite in valore, il più elevato tra gli scaffali del dettaglio.  Una situazione che evidenzia la difficoltà in cui si trovano le famiglie che, spinte dai rincari, orientano le proprie spese su canali a basso prezzo rinunciando anche alla qualità e facendo slalom alla ricerca dei prezzi più bassi. Volano gli alimentari con un balzo del +13,4% del fatturato».

«A spingere gli alimentari – ha proseguito la Coldiretti – sono sia i consumi interni trainati dalla ristorazione ma anche le esportazioni che nel primo trimestre dell’anno mettono a segno con un buon aumento anche in Calabria  grazie ai prodotti simbolo della Dieta Mediterranea come vino, olio e ortofrutta fresca che salgono sul podio delle specialità più vendute all’estero. Un risultato che conferma il primato del nostro agroalimentare nella filiera allargata  che in Italia vede impegnati ben 4 milioni di lavoratori in 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio e 10mila agricoltori in vendita diretta con Campagna Amica».

«In Calabria – ha ricordato Coldiretti – ci sono oltre 15mila tra ristoranti, bar, pizzerie e agriturismi  con 32668 addetti e  i mercati coperti e all’aperto di Campagna Amica . La strada da seguire sono gli accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali e alle speculazioni nonché, aumentare le risorse destinate all’agroalimentare nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) sostenendo progetti di filiera per investimenti dalla pasta alla carne, dal latte all’olio, dalla frutta alla verdura che vedono più di 50 proposte che coinvolgono  migliaia di agricoltori, allevatori, imprese di trasformazione, università e centri di ricerca». (rcz)

TERRA DI CIVILTÀ MILLENARIE E CULTURA
MA IN CALABRIA SI LEGGE TROPPO POCO

di VITO SORRENTI – Di recente ho letto che la nostra Regione può vantare, fra gli altri, due non invidiabili primati nazionali, ossia il numero più alto di analfabeti e il numero più basso di lettori. Infatti, secondo i dati Istat, la Calabria vanta, insieme alla Basilicata, il numero più alto di analfabeti (di fatto e funzionali) e, in pari tempo, si piazza all’ultimo posto nella classifica delle Regioni col 23,9% di lettori che ha letto in un anno almeno un libro, laddove la media nazionale e del 41,4%. 

In ambito regionale la maglia nera se l’aggiudica la Sibaritide che risulta essere il comprensorio più povero di libri di tutta la penisola, infatti soltanto il 16,4% delle abitazioni insistenti sul suo territorio possiede da 1 a 10 libri.

Questi dati dovrebbero allarmarci e farci riflettere perché dalla loro lettura possiamo legittimamente supporre che i calabresi non sono interessati ad arricchire il loro bagaglio culturale e, di conseguenza, non sono interessati a conoscere il loro passato. Un passato, peraltro, non rintracciabile neanche nei testi usati per formare le nuove generazioni, data la parziale e, a volte, totale rimozione dai libri scolastici, della nostra storia, della nostra letteratura, della nostra arte e di tutto ciò che può rendere un cittadino orgoglioso della terra che gli ha dato i natali. Se a ciò aggiungiamo che le generazioni nate nell’immediato dopoguerra sono diventate vecchie leggendo o ascoltando le informazioni diffuse prevalentemente dai mass media, (radio, televisioni, giornali ecc.), i quali non hanno fatto altro che diffondere prevalentemente le notizie relative agli aspetti più retrivi, più negativi e più infamanti della nostra terra e delle nostre comunità, abbiamo il quadro completo della situazione in cui la maggioranza dei calabresi si forma, s’informa e, di conseguenza, si rapporta con i connazionali.

Un quadro, questo, che non mette mai in rilievo i dati positivi e storici e gli aspetti naturalistici affascinanti e unici  che la nostra terra possiede, col risultato che invece di ingenerare in ognuno di noi un fisiologico e misurato orgoglio per il fatto di  appartenere ad una terra che fu culla di civiltà e di pensiero, ci infonde un senso di vergogna per essere figli di una terra a cui vengono attribuiti tutti i primati negativi e che nell’immaginario collettivo, che gli stessi mass media hanno contribuito a formare, appare come una terra persa o, per usare le parole utilizzate qualche anno fa da Corrado Augias in una trasmissione televisiva, come «una terra perduta e irrecuperabile»; Peraltro, le parole di Augias, che hanno il sapore di una sentenza inappellabile, sono  condivise da molti calabresi, tant’è che siamo proprio noi i critici più feroci e più pronti a manifestare la nostra insoddisfazione per lo stato in cui versa e per le carenze o inefficienze dei servizi essenziali e delle cose necessarie per soddisfare i bisogni primari.

Da quanto fin qui detto, appare chiaro che questo stato di cose, oltre a danneggiare fortemente l’immagine della nostra terra, la penalizza ulteriormente sotto molti aspetti, in primis sotto l’aspetto economico, in quanto una terra ad alta vocazione turistica, che viene vista e percepita come un crogiuolo di negatività, non invoglia i potenziali turisti a venire da noi per trascorrere le loro vacanze nelle nostre località marine e montane e neanche a programmare dei soggiorni per godere dei nostri tesori artistici, storici, culturali ecc. ecc.

E quindi necessario, se si vuole dare un’immagine diversa e più veritiera della nostra terra, invertire la rotta. E per farlo urge il contributo di tutti e soprattutto di coloro che dispongono della capacità e dei mezzi per formare e informare le nuove generazioni, non solo per far conoscere loro i grandi personaggi che hanno lasciato impronte importanti nei campi del sapere e del fare, della filosofia e della religione, della medicina e della letteratura, dell’arte e dei miti ecc. ecc., ma anche per informarli sui tesori che la nostra terra possiede, ossia sui nostri luoghi incontaminati e lussureggianti che inebriano i sensi coi loro colori, i loro odori, i loro sapori e i loro panorami mozzafiato; sui nostri siti disseminati di miti, di riti e di ruderi antichi ove affondano le radici della civiltà magnogreca e ove sono ancora visibili i testimoni muti e i custodi sacri di antichi segreti; per non parlare poi dei nostri mari mitici e ricchi di fascino per via dei loro litorali pittoreschi, dei loro fondali cristallini, dei loro promontori vertiginosi, delle loro rive assolate e, con essi, i motivi per cui andare orgogliosi delle nostre radici, del nostro passato e del nostro presente.

In altri termini, servono azioni utili per sviluppare, rafforzare ed accrescere in ognuno di noi il senso di appartenenza. E il senso di appartenenza si rafforza se si ha coscienza di essere figli di una terra che ha alle spalle millenni di storia, se si ha consapevolezza che le proprie radici affondano in una civiltà remota  (la civiltà magnogreca) se si sa che la punta estrema della nostra penisola, ossia la Calabria, ha dato il nome all’Italia e che nel corso dei secoli ha dato alla luce giganti come Flavio Magno Aurelio Cassiodoro,  Bruno da Longobucco, San Francesco di Paola, Gioacchino da Fiore, Bernardino Telesio, Tommaso Campanella, Mattia Preti, Pasquale Galuppi, Guglielmo Pepe, Francesco Jerace, Renato Dulbecco, Corrado Alvaro, Francesco Cilea, Leonida Repaci, Gianni Versace e molti altri ancora. Uomini che hanno lasciato impronte importanti nei vari campi del fare e del sapere, uomini ricchi di umanità e di spiritualità che hanno contribuito a dissipare il buio che avvolgeva l’umanità del loro tempo, uomini che con le loro idee, il loro talento e la loro creatività hanno illuminato ed arricchito da ogni punto di vista il mondo occidentale. (vs)

 

EMIGRAZIONE: INARRESTABILE EMORRAGIA
IN DIECI ANNI PARTITI DAL SUD IN 525MILA

Emigrazione. In Calabria è emergenza. È quanto è emerso dal rapporto dell’Istat su Migrazioni interne e internazionali della popolazione residente 2021. La nostra regione, infatti, è quella che ha il tasso di emigratorietà più elevato: si parla di circa otto residenti ogni mille abitanti.

Nei dati provvisori riferiti al periodo «gennaio-ottobre 2022 – viene rilevato – rispetto allo stesso periodo del 2021, evidenziano un ulteriore moderato incremento dei flussi migratori interni (+4%) e dall’estero (+13%) e una forte riduzione dei flussi in uscita dal Paese (-20%)».

L’Istat ha rilevato, poi, che «nel 2021 è cresciuta (+6,7% sull’anno precedente) la mobilità interna (un milione 423mila trasferimenti). In aumento anche le immigrazioni (oltre 318mila; +28,6%) mentre diminuiscono le emigrazioni (poco più di 158mila; -1% sul 2020) soprattutto dei cittadini italiani (94mila; -22%)» e che «ha un età compresa tra i 25 e i 34 anni un emigrato italiano su tre: in totale 31mila di cui oltre 14mila hanno una laurea o un titolo superiore alla laurea».

Viene segnalato come ci sia una ripresa della mobilità tra Comuni: «nel 2021 – si legge nel rapporto – l volume dei trasferimenti di residenza interni al Paese, pari a 1 milione 423mila (+6,7% rispetto al 2020), è quasi in linea con il dato del 2019 quando si registrava circa 1 milione 485mila movimenti tra Comuni. L’aumento della mobilità residenziale si riflette sia tra i movimenti all’interno delle regioni (+7,4%) sia tra regioni diverse (+4,6%)».

«La mobilità interna – si legge – interessa soprattutto i cittadini italiani (in termini percentuali, quattro su cinque tra le persone che hanno cambiato residenza). Nel 2021 gli italiani che si sono trasferiti all’interno del Paese sono circa 1 milione 167mila, mentre i movimenti tra comuni degli stranieri sono 256mila. In termini relativi, invece, rispetto alla popolazione residente, il tasso di mobilità interna degli stranieri è più del doppio di quello degli italiani: si spostano oltre 50 stranieri per 1.000 residenti, contro 22 italiani per 1.000».

Ma, mentre il Centro Nord guadagna popolazione, il Mezzogiorno, invece, è in perdita: «In termini relativi i saldi migratori per 1.000 residenti più elevati si hanno in Emilia-Romagna (+3‰) e nella provincia autonoma di Trento (+2,3‰), quelli più bassi in Basilicata (-4,7‰), Calabria (-4,3‰), e Molise (-3,7‰). In generale, le regioni del Centro-Nord mostrano saldi netti positivi (in media, +1,3‰); viceversa, quelle del Mezzogiorno riscontrano tutte perdite nette di popolazione (-2,5‰)».

A livello regionale, in Calabria sono Reggio Calabria, Vibo Valentia e Crotone a registrare la perdita di più residenti. A Crotone si parla del -6,6%, per Reggio del -5,2% e Vibo Valentia -5,7%.

L’Istat, poi, ha rilevato come le migrazioni dal Mezzogiorno al Centro-Nord siano in leggero aumento: «Nei 10 anni 2012-2021 sono stati pari a circa 1 milione 138mila i movimenti in uscita dal Sud e dalle Isole verso il Centro-nord e a circa 613mila quelli sulla rotta inversa. Il bilancio tra uscite ed entrate si è tradotto in una perdita netta di 525mila residenti per il Mezzogiorno».

Nel 2021 la ripresa della mobilità interna ha interessato anche gli spostamenti lungo questa direttrice. Ammontano a circa 112mila i trasferimenti dai comuni meridionali verso quelli settentrionali, in lieve aumento (+3%) rispetto al 2020, ma in deciso calo (-17%) rispetto al periodo pre-pandemico.

La regione verso cui si dirigono prevalentemente questi flussi è, in termini assoluti, la Lombardia (28%) ma, in termini relativi, l’Emilia-Romagna è quella che li attrae di più (quattro trasferimenti dal Mezzogiorno per 1.000 residenti). La provincia del Mezzogiorno da cui si registrano più partenze verso il Centro-nord è Napoli in termini assoluti (17mila partenze), mentre Crotone ha il tasso di emigratorietà più elevato: 11 residenti su 1.000 che si spostano al Centro-Nord. Viceversa, la provincia Centro Settentrionale che riceve più emigrati dal meridione è Milano (14mila arrivi), ma, in termini relativi, l’area metropolitana di Bologna è più attrattiva (6%).

Un fatto curioso, invece, è che nel 2021 oltre la metà degli espatri ha origine nelle regioni nel Nord Italia: in particolare partono dal Nord-ovest del Paese circa 29mila italiani (30,6% degli espatri) e dal Nord-est oltre 21mila (22,5%), mentre dal Sud si parla di 18mila partenze. Non poche, ma sicuramente minori rispetto al Nord che deve fare i conti con una emorragia di popolazione che sceglie di andare in Europa.

Nel 2021 gli italiani espatriati sono soprattutto uomini (55%), ma fino ai 25 anni non si rilevano forti differenze di genere (16mila per entrambi i sessi) e la distribuzione per età è perfettamente sovrapponibile. A partire dai 26 anni fino alle età anziane, invece, gli emigrati iniziano a essere costantemente più numerosi delle emigrate: dai 75 anni in poi le due distribuzioni tornano a sovrapporsi. L’età media degli emigrati è di 33 anni per gli uomini e 30 per le donne. Un emigrato su cinque ha meno di 20 anni, due su tre hanno un’età compresa tra i 20 e i 49 anni mentre la quota di ultracinquantenni è pari al 14%.

Un dato non trascurabile, poi, è che un italiano su quattro emigrato ha almeno una laurea. L’Istat, poi, ha rilevato come «negli ultimi dieci anni i giovani italiani che hanno trasferito all’estero la residenza sono costantemente aumentati, mentre molto meno numerosi sono i rientri in patria».

Ma non sono solo i giovani laureati a spostarsi all’estero. Tantissimi sono, infatti, i giovani laureati nel Mezzogiorno che decidono di spostarsi a Nord o al Centro. Una emigrazione che favorisce il Nord che, “orfano” dei suoi giovani che partono, riesce a recuperare popolazione grazie al movimento migratorio dei giovani del Sud.

«Il Nord guadagna oltre 116mila giovani risorse provenienti dal Sud e dalle Isole – viene rilevato – il Centro quasi 13mila. Ne deriva che il beneficio complessivo per le regioni settentrionali è pari a circa 77mila unità; il Centro recupera parzialmente e limita la perdita a circa 265 unità; le uscite dal Mezzogiorno verso l’estero e verso le altre regioni d’Italia, invece, determinano una perdita complessiva di poco meno di 157mila giovani residenti laureati. Le giovani risorse qualificate provenienti dal Mezzogiorno costituiscono dunque una fonte di capitale umano per le aree maggiormente produttive del Nord e del Centro del Paese e per i paesi esteri».

Quello che emerge dal Rapporto Istat è un quadro preoccupante, che fotografa un problema atavico del Sud e a cui non sembra trovare soluzione. Quanti talenti e menti brillante, dalla Calabria, sono partiti per un futuro migliore? Tanti, forse troppi. Alcuni sono tornati, altri hanno deciso di rimanere, altri sono partiti e non sono più tornati nella loro terra d’origine.

È ora che si prenda in mano la situazione e Regione, sindaci, sindacati, parlamentari, associazioni lavorino in sinergia per creare le condizioni per permettere ai giovani – ma a tutti – di restare in Calabria. (rrm)

PIL, LA CALABRIA STA CRESCENDO: +4,5%
MA PERSISTONO I RITARDI E LE DEBOLEZZE

La Calabria sta crescendo, ma molto più lentamente rispetto alle altre regioni. È quanto è emerso dall’ultimo report dell’Istat sui conti territoriali economici, che rileva una crescita del Pil della nostra regione del +4,5%. Un dato che, tuttavia, conferma la debolezza strutturale e i ritardi della Calabria.

La nostra regione, infatti, è posizionata ultima per il Pil per abitante, con 17,6 mila euro. Anche il Mezzogiorno, nella classifica generale, si posiziona ultima nel Pil per abitante, «19,7mila euro (18,3mila nel 2020), incrementando le distanze con il Centro-nord: la differenza, che si era ridotta da 15,8mila euro a 14,5mila euro tra il 2019 ed il 2020, risale infatti a 15,7mila euro per abitante nel 2021».

Inoltre, «nel 2021 – si legge nel rapporto – in Italia la spesa per consumi finali delle famiglie per abitante, valutata a prezzi correnti, è stata di 17,5mila euro. I valori più elevati di spesa pro-capite si registrano nel Nord-ovest (20,1mila euro) e nel Nord-est (19,6mila euro); segue il Centro con 18,3mila euro, mentre il Mezzogiorno si conferma l’area in cui il livello di spesa è più basso (13,7mila euro)».

Dati che, come suggerisce l’Istituto «aumentano il divario tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno».

L’Istat, infatti, ha rilevato che nel 2021 «il Pil in volume è aumentato del 7,5% nel Nord-ovest, del 7,1% nel Nord-est, del 6% nel Mezzogiorno e del 5,9% nel Centro», mentre il Nord-Ovest mantiene il primo posto nella graduatoria del Pil pro-capite, con un valore in termini nominali di circa 38mila euro, mentre nel Mezzogiorno il livello risulta leggermente inferiore a 20mila euro annui».

Sempre nel 2021, l’Istituto ha evidenziato come «il reddito disponibile pro-capite delle famiglie del Mezzogiorno (15,1mila euro) si conferma il più basso del Paese, sebbene si riduca la distanza con quello del Centro-nord (22,1mila euro)». Due, poi, i dati importanti: la crescita del reddito delle famiglie al Sud, sostenuto anche dalle prestazioni sociali, che segna un +4,1% e la crescita degli occupati nel Mezzogiorno, che è a +1,3%.

Rimanendo sul Pil, l’Istat ha rilevato un incremento «leggermente più accentuato rispetto al Centro (5,9%) si registra nel Mezzogiorno, dove il Pil è cresciuto del 6% rispetto al 2020, trainato prevalentemente dal settore delle Costruzioni (+26,1%), con un contributo positivo alla crescita fornito anche dall’agricoltura, settore che risulta invece in flessione in tutte le altre ripartizioni territoriali».

«All’espansione dell’attività produttiva – si legge – si è accompagnato, nel 2021, una crescita in volume dei consumi finali delle famiglie del 5,3% a livello nazionale. Anche in questo caso il Nord-ovest ha mostrato l’incremento più consistente (+5,6%), il Mezzogiorno quello più contenuto (+4,8%). Nel 2021, il reddito disponibile delle famiglie è cresciuto del 3,7% a livello nazionale, come sintesi di un aumento superiore alla media nazionale al Mezzogiorno (+4,1%) e al Centro (+3,9%), e inferiore al Nord (+3,6% nel Nord-ovest e +3,4% nel Nord-est)».

Per quanto riguarda l’occupazione, a livello nazionale, l’input di lavoro complessivo, misurato in termini di numero di occupati, nel 2021 è aumentato dello 0,6%. Andando più nel dettaglio, «la ripartizione più dinamica in termini di crescita occupazionale è il Mezzogiorno, dove il numero degli occupati è aumentato dell’1,3%, mentre il Nord-Ovest e Centro hanno mostrato incrementi più contenuti, pari rispettivamente allo 0,4% e allo 0,3%, mentre nel Nord-est il numero degli occupati è rimasto pressoché stabile (+0,1% rispetto al 2020)».

«Nel Mezzogiorno – si legge – la crescita occupazionale è legata soprattutto all’andamento del settore delle Costruzioni che, in quest’area, ha registrato l’aumento più consistente (+10,7%). Da segnalare inoltre l’andamento del settore dei Servizi, che ha fatto registrare un aumento dello 0,7%, più elevato delle altre ripartizioni, mentre l’Industria è l’unico comparto a mostrare una leggera flessione (-0,1%)».

È stato rilevato, poi, come nel Mezzogiorno ci sia l’incidenza più elevata dell’economia non osservata (la somma della componente sommersa e di quella illegale), il cui peso è di 16,8% del complesso del valore aggiunto, seguito dal Centro (12%). Sensibilmente più limitata, e inferiore alla media nazionale, è l’incidenza nel Nord-est (9,8%) e nel Nord-ovest (9,2%).

La nostra regione, purtroppo, è quella che a livello regionale presenta il peso massimo, ossia il 18,8% del valore aggiunto complessivo. Primo posto, purtroppo, anche per il peso del sommerso dovuto all’impiego di input di lavoro irregolare è particolarmente elevato in Calabria (8,3% del valore aggiunto) e «l’economia illegale e le altre componenti dell’economia non osservata – scrive l’Istat – presentano infine un’incidenza che varia tra il 3,6% del valore aggiunto complessivo in Calabria e l’1,5% della Lombardia».

Per quanto riguarda il valore aggiunto pro-capite, nella nostra regione Cosenza e Vibo Valentia sono le città con i valori più bassi (rispettivamente 13,7 mila euro Cosenza e 13,9 mila euro Vibo Valentia), precedute solo da Agrigento con un valore di 13,5 mila euro.

Crotone presenta il valore più basso sul valore aggiunto per  per abitante nei segmenti produttivi: 3,3 mila euro; Reggio Calabria ha un valore aggiunto pro-capite nell’industria che arriva a poco più di 800 euro.

Nonostante questi dati sconfortanti, l’Istat ha rilevato, nel reddito disponibile delle famiglie, una crescita nel 2021 del +3,6%. Eppure, «la graduatoria del reddito disponibile per abitante – si legge – conferma sostanzialmente la situazione del 2020: in testa si pone la Provincia autonoma di Bolzano-Bozen, con 26,3mila euro correnti (25,7mila euro nel 2020), seguita da Lombardia (23,9mila euro) ed Emilia-Romagna (23,3mila euro). La Calabria chiude la graduatoria con 14,1mila euro (13,5 nel 2020), preceduta da Campania e Sicilia (rispettivamente 14,5mila euro e 14,8mila euro)». (rrm)

CROTONE ULTIMA PER QUALITÀ DELLA VITA
DATI IMPIETOSI, LA CALABRIA PENALIZZATA

di SERGIO DRAGONE Una Calabria immobile, ferma, stagnante, senza alcun segnale di ripresa. Il divario con le aree più dinamiche del Paese si accentua e i modelli di Regioni come l’Emilia Romagna e il Trentino-Alto Adige appaiono sempre più lontani e irraggiungibili. 

Il quadro che emerge dal rapporto 2022 sulla qualità della vita nelle province italiane (si faccia attenzione, i dati presi in esame sono del 2021 e si riferiscono alle province e non alle città), redatto dal quotidiano economico Italia Oggi in collaborazione con La Sapienza di Roma, è impietoso. 

Le cinque “sorelle” calabresi occupano stabilmente le ultime posizioni della graduatoria generale, ma quel che colpisce è appunto l’assenza di elementi che facciamo pensare alla ripresa. Quattro province continuano a galleggiare tra l’83esimo posto di Catanzaro e la 107esima casella di Crotone, mentre Reggio Calabria affonda di ben undici posizioni. Se non è stagnazione questa!

La narrazione di una Calabria che ha svoltato, che sta riducendo il gap con il centro-nord e che si sta lasciando alle spalle l’interminabile stagione del sottosviluppo, appare quanto meno ottimistica, un tantino azzardata e molto lontana dalla realtà. Siano più prudenti i nostri governanti prima di parlare di “svolte epocali” e semmai utilizzino questa indagine come strumento per intensificare la loro azione.

Più che un divario con le prime (Parma, punteggio 1000; Trento, punteggio 987; Bolzano, punteggio 976 e Bologna, punteggio 928) si può parlare di un baratro assolutamente incolmabile. In poche parole, la qualità della vita delle prima in classifica è più di tre volte più alta di quella delle province calabresi.

Avvilente anche la rappresentazione grafica che vede la Calabria quasi tutta in blu (qualità della vita insufficiente) con la sola provincia di Catanzaro in rosso (scarsa qualità della vita).

L’indagine condotta dai ricercatori della Sapienza ha tenuto conto di 9 “dimensioni”, 9 elementi di valutazione che, analizzati uno per uno, dimostrano la quasi inesistente dinamicità della Calabria.

Ne tenga conto la classe politica calabrese che, se da un lato fa bene a spargere ottimismo, dall’altro non può fingere di ignorare una realtà che appare davvero dura.

Ma andiamo ad analizzare, sia pure a grandi linee, i numeri che emergono dall’indagine di Italia Oggi.

Abbiamo detto delle 9 “dimensioni” prese in esame. La “dimensione” più significativa è quella denominata “Affari e lavoro” che vede in testa province ricche come Bolzano, Trento, Bologna con l’incursione di distretti più piccoli come Fermo nelle Marche e Cuneo in Piemonte. Le calabresi, ovviamente, arrancano nelle ultime posizioni, con particolari punti di crisi nelle tabelle “tasso di occupazione” e “tasso di disoccupazione”.

Meno drammatica la situazione nella “dimensione” dedicata all’Ambiente. Qui due province calabresi, Cosenza e Catanzaro, mantengono posizioni minimamente accettabili, rispettivamente la 59esima e la 65esima, mentre Reggio Calabria ha registrare un tonfo di quasi 30 posizioni.  

Più articolata la situazione nella “dimensione” dedicata ai Reati e alla Sicurezza, dove la provincia di Cosenza occupa una posizione piuttosto tranquilla (35) e preoccupano invece la provincia di Catanzaro che perde 6 posizioni, quella di Reggio Calabria che ne perde 11 e soprattutto quella di Crotone che ne perde addirittura 30.

Nella “dimensione” dedicata alla Sicurezza Sociale, la Calabria va decisamente meglio, anche perché uno degli elementi tenuti in considerazione dai ricercatori è l’incidenza dei morti per Covid. Qui Crotone è addirittura sesta, seguita da Catanzaro all’8° posto. Notevole il balzo di posizioni di Cosenza che passa dall’88 al 23 posto.

Molto male invece nella “dimensione” dedicata all’Istruzione e alla formazione, dove tutte e cinque le calabresi sono collocate in fondo alla classifica. È un dato che non sorprende anche perché trova autorevole conferma in tutte le statistiche dell’Istat e del Ministero dell’istruzione. È un terreno su cui bisogna recuperare molto in Calabria.

Nella “dimensione “dedicata alla popolazione si registra, come prevedibile, una crescita in graduatoria delle province calabresi, stante la crisi demografica delle regioni del Centro-Nord.

Spicca nella “dimensione” dedicata al Sistema Salute la performance di Catanzaro che si piazza sul podio, ottenendo la terza posizione assoluta, migliorando di un posto rispetto al 2021. Un caso che si spiega con la concentrazione nel Capoluogo di molti posti/letto e una dotazione tecnologica importante. Significativa la crescita della provincia di Reggio Calabria che scala ben 17 posizioni rispetto al 2021.

Molto dietro, nella “dimensione” dedicata al turismo e al tempo libero, tutte le province calabresi, ad eccezione di Catanzaro che galleggia a metà classifica. Stupisce l’ultimo posto di Crotone se si tiene conto delle enormi potenzialità turistiche di quell’area della Calabria.

Infine la “dimensione” dedicata a Reddito e Ricchezza che vede tutte le province calabresi sotto l’80° posizione. È l’indice più preoccupante sotto l’aspetto economico e il divario con le prime della classe è imbarazzante.

In conclusione, pur presentando questa ricerca molti aspetti quanto meno opinabili, ci troviamo di fronte ad un panorama piuttosto fosco della realtà socio-economica della Calabria che si inserisce a sua volta in una più complessa articolazione del benessere nel nostro Paese. Non c’è solo il divario nord/sud, ma emergono nuovi divari tra le aree metropolitane e quelle più piccole, a vantaggio delle prime. Resta comunque un interessante elemento di riflessione per la classe dirigente calabrese costituita non solo dal Governo regionale, ma anche dal sistema delle Istituzioni pubbliche, dai rappresentanti parlamentari, dal mondo delle imprese e del sindacato. (sd)

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LA VALUTAZIONE DEL SOCIOLOGO TONINO PERNA

Il prof. Tonino Perna, già vicesindaco di Reggio, ma soprattutto sociologo, ha analizzato sul Quotidiano del Sud i dati emersi dall’indagine di Italia Oggi.

«Certamente – ha scritto il prof. Perna – la “qualità della vita” non è misurabile come non lo è la felicità. I testi sulla felicità percepita dia popoli mi hanno fatto sempre sorridere per l’assoluta ingenuità e presunzione di poter misurare ciò che non lo è, di voler comparare ciò che non è comparabile. Comunque, con tutti questi limiti, questa ricerca è preziosa, soprattutto se andiamo ad analizzare alcuni dati incontrovertibili. Entrando nel merito diciamo subito che il quadro complessivo che ci viene presentato è l’immagine di un Paese in cui le diseguaglianze sociali e territoriali crescono ancora. Su 107 province italiane 35 appartengono al Mezzogiorno e rappresentano circa il 34% della popolazione residente a livello nazionale, e circa il 30 % della popolazione presente. La distanza tra questa parte del nostro Paese e il Centro-Nord si è accentuata. Nella graduatoria finale nei primi 63 posti ci sono solo province del Centro-Nord! Nelle ultime venti province ci sono solo quelle del Mezzogiorno ad esclusione della province dell’Abruzzo, Molise, Basilicata e parzialmente della Sardegna. Quindi registriamo anche una divaricazione all’interno del Mezzogiorno, con alcune aree che tendono  stabilirsi su parametri più vicini al Centro Italia. Crotone, come ormai è noto, compare ancora una volta all’ultimo posto, mentre la provincia 

catanzarese si conferma la migliore della Calabria. Al di là delle divaricazioni nel reddito pro-capite quello che più colpisce è lo scarto in altri settori. Colpisce in particolare lo scarto esistente per quanto riguarda la voce “istruzione e formazione”». 

Secondo quando scrive il prof. Perna «L’Italia, come emerge da questa ricerca, è un Paese complesso, articolato, dove non sempre la linea di demarcazione è quella Centro-Nord/Mezzogiorno». (rrm)

(Nella foto il prof. Tonino Perna)

CENSIMENTO CALABRIA, POCO INTERESSE
SU 404 COMUNI, SOLO 220 PARTECIPANO

di GIUSEPPE DE BARTOLO – Il primo ottobre scorso ha avuto inizio su tutto il territorio nazionale la rilevazione del Censimento permanente della popolazione e delle abitazione, realizzato, come per il passato, dall’Istat – Istituto Nazionale di Statistica. Questa fase di raccolta di dati sui tratti sociali, economici e demografici della popolazione, benché faccia riferimento al 3 ottobre scorso, si concluderà il 23 dicembre prossimo.

Com’è noto, l’Italia ha una lunga tradizione censuaria: il primo censimento della popolazione risale infatti al 1861, anno dell’unificazione del Paese nel Regno d’Italia, quando gli italiani erano appena 26 milioni e trecentomila. Dopo il 1861 i censimenti si sono succeduti sempre a cadenza decennale fino al 2011, ad eccezione del 1891 anno in cui il censimento non venne effettuato per le difficoltà finanziarie in cui versava il Paese e nel 1941 a causa della guerra. Un’altra eccezione è stato il censimento del 1936, realizzato a soli cinque anni dal precedente, a seguito di una riforma legislativa che ne modificava la periodicità a fini di controllo politico.

Molti non sanno, però, che il Governo fascista fece anche un censimento degli ebrei italiani. E a questo proposito ricordiamo che nel corso del 1938 il regime, avendo deciso di introdurre una legislazione antiebraica, si servì della appena costituita Direzione generale per la demografia e la razza (la cosiddetta Demorazza) per gestire il censimento degli ebrei italiani dell’agosto del 1938, i cui dati sensibili, in dispregio delle norme sul segreto statistico, furono successivamente utilizzati al momento dell’occupazione nazista per la deportazione nei campi di sterminio in Germania tra il 1943 e il 1945 di oltre 7 mila ebrei italiani.

A partire dal 2018, il censimento è organizzato con cadenza annuale e rileverà, mediante un campione statisticamente rappresentativo le principali caratteristiche demografiche e le condizioni socio-economiche dei territori, con l’intento di soddisfare l’esigenza d‘informazioni tempestive, utili sia ai cittadini sia alle imprese e alle associazioni per progettare e fare scelte, ma soprattutto per fornire le informazioni necessarie ai decisori pubblici ai vari livelli territoriali; tempestività e freschezza di dati che invece i censimenti generali decennali del passato non potevano più assicurare.

Quest’anno il censimento interesserà un campione di 2 milioni 472.400 famiglie sparse il 4.531 Comuni italiani che forniranno informazioni che, coniugate con quelle provenienti da fonti amministrative, permetteranno di fotografare l’intera popolazione italiana con costi molto più ridotti rispetto ai censimenti generali. Questo censimento si articola in due tipi di rilevazione. La prima, di tipo Areale, terminerà il 18 novembre prossimo e prevede la compilazione del questionario online tramite un rilevatore incaricato dal Comune che si recherà presso il nucleo familiare per assistere il capofamiglia nella compilazione del questionario. Nel secondo tipo, chiamato a Lista, la compilazione del questionario è fatta autonomamente online dal capo famiglia medesimo. 

Senza andare molto indietro nel tempo, ricordiamo che in Italia prima del XVII secolo le notizie riguardanti la popolazione erano molto lacunose e consentivano solo valutazioni indirette dei fenomeni socio-demografici. Successivamente, una fonte importante è stata quella dei registri parrocchiali la cui tenuta, resa obbligatoria dal Concilio di Trento del 1563, era demandata al parroco il quale aveva il compito di annotare gli atti di sepoltura, battesimo e matrimonio ed effettuare una volta l’anno, in occasione della Pasqua, la conta delle anime dei parrocchiani (status animarum). Accanto alle registrazioni religiose esistevano anche altre rilevazioni che però avevano carattere fiscale o igienico-sanitario: ricordiamo i catasti onciari voluti nel ‘700 da Carlo III di Borbone i quali sono stati un vero e proprio censimento non solo delle persone, ma anche dei beni mobili e immobili. Con il XIX secolo, con la costituzione dei servizi ufficiali di statistica, termina l’era delle enumerazioni e inizia quella dei censimenti moderni.

Ritornando al Censimento di quest’anno, ricordiamo che in Calabria su 404 Comuni quelli interessati saranno poco più della metà (220), di cui 83 su 150 in provincia di Cosenza, 54 su 97 in provincia di Reggio Calabria, 42 su 80 in provincia di Catanzaro, 14 su 27 in provincia di Crotone e 27 su 50 in provincia di Vibo Valentia.

Ma, nonostante che questa operazione interessi un campione abbastanza ampio di famiglie calabresi, la circolazione delle informazioni sull’importanza di questo mezzo statistico di conoscenza purtroppo sta avendo, almeno in Calabria, una scarsa eco non solo nei media ma anche da parte degli stessi Comuni interessati i quali – salvo poche eccezioni – spesso si sono limitati a fornire attraverso i loro siti scarne notizie dalle quali i cittadini non colgono appieno l’importanza di questo strumento per conoscere meglio il nostro Paese e la nostra regione. (gdb)

[Giuseppe De Bartolo è già ordinario di Demografia all’Università per la Calabria]

Istat, in Calabria nel 2020 – 30% per prestazioni ambulatoriali e specialistiche

Nel 2020, in Calabria, si è registrata una diminuzione del 30%  per le prestazioni ambulatoriali e specialistiche erogate. È quanto è emerso dal rapporto dell’Istat sulla situazione del Paese, che indica una diminuzione del 20,3% rispetto all’1% del 2019.

I cali riguardano, in particolare, la riabilitazione e le visite specialistiche, che hanno registrato un -31% nel 2020, mentre tac, risonanze magnetiche, biopsie, dialisi e radioterapia, hanno subito un calo del 7%.

A livello territoriale, sono la Basilicata (-50%) e la Provincia autonoma di Bolzano (-42%) ad essere le più colpite, mentre in Valle d’Aosta, in Liguria e in Sardegna si è registrato il -30%. Compresa tra l’11 e il 15% quella “in Campania, Sicilia e Toscana.

Non ci sono differenze “tra uomini e donne”, mentre si segnalano «differenze per fasce di età»: quella pediatrica è la più coinvolta (-33%), seguita dagli adulti tra i 35 e i 54 anni (-22%); per le altre fasce d’età “la riduzione è compresa tra il 18 e il 22%.

Dal rapporto, è emerso che, comunque, il calo delle prestazioni è stato più sentito al Nord (9,4%), mentre è più contenuta al Centro e nel Mezzogiorno (9,4%). (rrm)