PIL, LA CALABRIA STA CRESCENDO: +4,5%
MA PERSISTONO I RITARDI E LE DEBOLEZZE

La Calabria sta crescendo, ma molto più lentamente rispetto alle altre regioni. È quanto è emerso dall’ultimo report dell’Istat sui conti territoriali economici, che rileva una crescita del Pil della nostra regione del +4,5%. Un dato che, tuttavia, conferma la debolezza strutturale e i ritardi della Calabria.

La nostra regione, infatti, è posizionata ultima per il Pil per abitante, con 17,6 mila euro. Anche il Mezzogiorno, nella classifica generale, si posiziona ultima nel Pil per abitante, «19,7mila euro (18,3mila nel 2020), incrementando le distanze con il Centro-nord: la differenza, che si era ridotta da 15,8mila euro a 14,5mila euro tra il 2019 ed il 2020, risale infatti a 15,7mila euro per abitante nel 2021».

Inoltre, «nel 2021 – si legge nel rapporto – in Italia la spesa per consumi finali delle famiglie per abitante, valutata a prezzi correnti, è stata di 17,5mila euro. I valori più elevati di spesa pro-capite si registrano nel Nord-ovest (20,1mila euro) e nel Nord-est (19,6mila euro); segue il Centro con 18,3mila euro, mentre il Mezzogiorno si conferma l’area in cui il livello di spesa è più basso (13,7mila euro)».

Dati che, come suggerisce l’Istituto «aumentano il divario tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno».

L’Istat, infatti, ha rilevato che nel 2021 «il Pil in volume è aumentato del 7,5% nel Nord-ovest, del 7,1% nel Nord-est, del 6% nel Mezzogiorno e del 5,9% nel Centro», mentre il Nord-Ovest mantiene il primo posto nella graduatoria del Pil pro-capite, con un valore in termini nominali di circa 38mila euro, mentre nel Mezzogiorno il livello risulta leggermente inferiore a 20mila euro annui».

Sempre nel 2021, l’Istituto ha evidenziato come «il reddito disponibile pro-capite delle famiglie del Mezzogiorno (15,1mila euro) si conferma il più basso del Paese, sebbene si riduca la distanza con quello del Centro-nord (22,1mila euro)». Due, poi, i dati importanti: la crescita del reddito delle famiglie al Sud, sostenuto anche dalle prestazioni sociali, che segna un +4,1% e la crescita degli occupati nel Mezzogiorno, che è a +1,3%.

Rimanendo sul Pil, l’Istat ha rilevato un incremento «leggermente più accentuato rispetto al Centro (5,9%) si registra nel Mezzogiorno, dove il Pil è cresciuto del 6% rispetto al 2020, trainato prevalentemente dal settore delle Costruzioni (+26,1%), con un contributo positivo alla crescita fornito anche dall’agricoltura, settore che risulta invece in flessione in tutte le altre ripartizioni territoriali».

«All’espansione dell’attività produttiva – si legge – si è accompagnato, nel 2021, una crescita in volume dei consumi finali delle famiglie del 5,3% a livello nazionale. Anche in questo caso il Nord-ovest ha mostrato l’incremento più consistente (+5,6%), il Mezzogiorno quello più contenuto (+4,8%). Nel 2021, il reddito disponibile delle famiglie è cresciuto del 3,7% a livello nazionale, come sintesi di un aumento superiore alla media nazionale al Mezzogiorno (+4,1%) e al Centro (+3,9%), e inferiore al Nord (+3,6% nel Nord-ovest e +3,4% nel Nord-est)».

Per quanto riguarda l’occupazione, a livello nazionale, l’input di lavoro complessivo, misurato in termini di numero di occupati, nel 2021 è aumentato dello 0,6%. Andando più nel dettaglio, «la ripartizione più dinamica in termini di crescita occupazionale è il Mezzogiorno, dove il numero degli occupati è aumentato dell’1,3%, mentre il Nord-Ovest e Centro hanno mostrato incrementi più contenuti, pari rispettivamente allo 0,4% e allo 0,3%, mentre nel Nord-est il numero degli occupati è rimasto pressoché stabile (+0,1% rispetto al 2020)».

«Nel Mezzogiorno – si legge – la crescita occupazionale è legata soprattutto all’andamento del settore delle Costruzioni che, in quest’area, ha registrato l’aumento più consistente (+10,7%). Da segnalare inoltre l’andamento del settore dei Servizi, che ha fatto registrare un aumento dello 0,7%, più elevato delle altre ripartizioni, mentre l’Industria è l’unico comparto a mostrare una leggera flessione (-0,1%)».

È stato rilevato, poi, come nel Mezzogiorno ci sia l’incidenza più elevata dell’economia non osservata (la somma della componente sommersa e di quella illegale), il cui peso è di 16,8% del complesso del valore aggiunto, seguito dal Centro (12%). Sensibilmente più limitata, e inferiore alla media nazionale, è l’incidenza nel Nord-est (9,8%) e nel Nord-ovest (9,2%).

La nostra regione, purtroppo, è quella che a livello regionale presenta il peso massimo, ossia il 18,8% del valore aggiunto complessivo. Primo posto, purtroppo, anche per il peso del sommerso dovuto all’impiego di input di lavoro irregolare è particolarmente elevato in Calabria (8,3% del valore aggiunto) e «l’economia illegale e le altre componenti dell’economia non osservata – scrive l’Istat – presentano infine un’incidenza che varia tra il 3,6% del valore aggiunto complessivo in Calabria e l’1,5% della Lombardia».

Per quanto riguarda il valore aggiunto pro-capite, nella nostra regione Cosenza e Vibo Valentia sono le città con i valori più bassi (rispettivamente 13,7 mila euro Cosenza e 13,9 mila euro Vibo Valentia), precedute solo da Agrigento con un valore di 13,5 mila euro.

Crotone presenta il valore più basso sul valore aggiunto per  per abitante nei segmenti produttivi: 3,3 mila euro; Reggio Calabria ha un valore aggiunto pro-capite nell’industria che arriva a poco più di 800 euro.

Nonostante questi dati sconfortanti, l’Istat ha rilevato, nel reddito disponibile delle famiglie, una crescita nel 2021 del +3,6%. Eppure, «la graduatoria del reddito disponibile per abitante – si legge – conferma sostanzialmente la situazione del 2020: in testa si pone la Provincia autonoma di Bolzano-Bozen, con 26,3mila euro correnti (25,7mila euro nel 2020), seguita da Lombardia (23,9mila euro) ed Emilia-Romagna (23,3mila euro). La Calabria chiude la graduatoria con 14,1mila euro (13,5 nel 2020), preceduta da Campania e Sicilia (rispettivamente 14,5mila euro e 14,8mila euro)». (rrm)

CROTONE ULTIMA PER QUALITÀ DELLA VITA
DATI IMPIETOSI, LA CALABRIA PENALIZZATA

di SERGIO DRAGONE Una Calabria immobile, ferma, stagnante, senza alcun segnale di ripresa. Il divario con le aree più dinamiche del Paese si accentua e i modelli di Regioni come l’Emilia Romagna e il Trentino-Alto Adige appaiono sempre più lontani e irraggiungibili. 

Il quadro che emerge dal rapporto 2022 sulla qualità della vita nelle province italiane (si faccia attenzione, i dati presi in esame sono del 2021 e si riferiscono alle province e non alle città), redatto dal quotidiano economico Italia Oggi in collaborazione con La Sapienza di Roma, è impietoso. 

Le cinque “sorelle” calabresi occupano stabilmente le ultime posizioni della graduatoria generale, ma quel che colpisce è appunto l’assenza di elementi che facciamo pensare alla ripresa. Quattro province continuano a galleggiare tra l’83esimo posto di Catanzaro e la 107esima casella di Crotone, mentre Reggio Calabria affonda di ben undici posizioni. Se non è stagnazione questa!

La narrazione di una Calabria che ha svoltato, che sta riducendo il gap con il centro-nord e che si sta lasciando alle spalle l’interminabile stagione del sottosviluppo, appare quanto meno ottimistica, un tantino azzardata e molto lontana dalla realtà. Siano più prudenti i nostri governanti prima di parlare di “svolte epocali” e semmai utilizzino questa indagine come strumento per intensificare la loro azione.

Più che un divario con le prime (Parma, punteggio 1000; Trento, punteggio 987; Bolzano, punteggio 976 e Bologna, punteggio 928) si può parlare di un baratro assolutamente incolmabile. In poche parole, la qualità della vita delle prima in classifica è più di tre volte più alta di quella delle province calabresi.

Avvilente anche la rappresentazione grafica che vede la Calabria quasi tutta in blu (qualità della vita insufficiente) con la sola provincia di Catanzaro in rosso (scarsa qualità della vita).

L’indagine condotta dai ricercatori della Sapienza ha tenuto conto di 9 “dimensioni”, 9 elementi di valutazione che, analizzati uno per uno, dimostrano la quasi inesistente dinamicità della Calabria.

Ne tenga conto la classe politica calabrese che, se da un lato fa bene a spargere ottimismo, dall’altro non può fingere di ignorare una realtà che appare davvero dura.

Ma andiamo ad analizzare, sia pure a grandi linee, i numeri che emergono dall’indagine di Italia Oggi.

Abbiamo detto delle 9 “dimensioni” prese in esame. La “dimensione” più significativa è quella denominata “Affari e lavoro” che vede in testa province ricche come Bolzano, Trento, Bologna con l’incursione di distretti più piccoli come Fermo nelle Marche e Cuneo in Piemonte. Le calabresi, ovviamente, arrancano nelle ultime posizioni, con particolari punti di crisi nelle tabelle “tasso di occupazione” e “tasso di disoccupazione”.

Meno drammatica la situazione nella “dimensione” dedicata all’Ambiente. Qui due province calabresi, Cosenza e Catanzaro, mantengono posizioni minimamente accettabili, rispettivamente la 59esima e la 65esima, mentre Reggio Calabria ha registrare un tonfo di quasi 30 posizioni.  

Più articolata la situazione nella “dimensione” dedicata ai Reati e alla Sicurezza, dove la provincia di Cosenza occupa una posizione piuttosto tranquilla (35) e preoccupano invece la provincia di Catanzaro che perde 6 posizioni, quella di Reggio Calabria che ne perde 11 e soprattutto quella di Crotone che ne perde addirittura 30.

Nella “dimensione” dedicata alla Sicurezza Sociale, la Calabria va decisamente meglio, anche perché uno degli elementi tenuti in considerazione dai ricercatori è l’incidenza dei morti per Covid. Qui Crotone è addirittura sesta, seguita da Catanzaro all’8° posto. Notevole il balzo di posizioni di Cosenza che passa dall’88 al 23 posto.

Molto male invece nella “dimensione” dedicata all’Istruzione e alla formazione, dove tutte e cinque le calabresi sono collocate in fondo alla classifica. È un dato che non sorprende anche perché trova autorevole conferma in tutte le statistiche dell’Istat e del Ministero dell’istruzione. È un terreno su cui bisogna recuperare molto in Calabria.

Nella “dimensione “dedicata alla popolazione si registra, come prevedibile, una crescita in graduatoria delle province calabresi, stante la crisi demografica delle regioni del Centro-Nord.

Spicca nella “dimensione” dedicata al Sistema Salute la performance di Catanzaro che si piazza sul podio, ottenendo la terza posizione assoluta, migliorando di un posto rispetto al 2021. Un caso che si spiega con la concentrazione nel Capoluogo di molti posti/letto e una dotazione tecnologica importante. Significativa la crescita della provincia di Reggio Calabria che scala ben 17 posizioni rispetto al 2021.

Molto dietro, nella “dimensione” dedicata al turismo e al tempo libero, tutte le province calabresi, ad eccezione di Catanzaro che galleggia a metà classifica. Stupisce l’ultimo posto di Crotone se si tiene conto delle enormi potenzialità turistiche di quell’area della Calabria.

Infine la “dimensione” dedicata a Reddito e Ricchezza che vede tutte le province calabresi sotto l’80° posizione. È l’indice più preoccupante sotto l’aspetto economico e il divario con le prime della classe è imbarazzante.

In conclusione, pur presentando questa ricerca molti aspetti quanto meno opinabili, ci troviamo di fronte ad un panorama piuttosto fosco della realtà socio-economica della Calabria che si inserisce a sua volta in una più complessa articolazione del benessere nel nostro Paese. Non c’è solo il divario nord/sud, ma emergono nuovi divari tra le aree metropolitane e quelle più piccole, a vantaggio delle prime. Resta comunque un interessante elemento di riflessione per la classe dirigente calabrese costituita non solo dal Governo regionale, ma anche dal sistema delle Istituzioni pubbliche, dai rappresentanti parlamentari, dal mondo delle imprese e del sindacato. (sd)

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LA VALUTAZIONE DEL SOCIOLOGO TONINO PERNA

Il prof. Tonino Perna, già vicesindaco di Reggio, ma soprattutto sociologo, ha analizzato sul Quotidiano del Sud i dati emersi dall’indagine di Italia Oggi.

«Certamente – ha scritto il prof. Perna – la “qualità della vita” non è misurabile come non lo è la felicità. I testi sulla felicità percepita dia popoli mi hanno fatto sempre sorridere per l’assoluta ingenuità e presunzione di poter misurare ciò che non lo è, di voler comparare ciò che non è comparabile. Comunque, con tutti questi limiti, questa ricerca è preziosa, soprattutto se andiamo ad analizzare alcuni dati incontrovertibili. Entrando nel merito diciamo subito che il quadro complessivo che ci viene presentato è l’immagine di un Paese in cui le diseguaglianze sociali e territoriali crescono ancora. Su 107 province italiane 35 appartengono al Mezzogiorno e rappresentano circa il 34% della popolazione residente a livello nazionale, e circa il 30 % della popolazione presente. La distanza tra questa parte del nostro Paese e il Centro-Nord si è accentuata. Nella graduatoria finale nei primi 63 posti ci sono solo province del Centro-Nord! Nelle ultime venti province ci sono solo quelle del Mezzogiorno ad esclusione della province dell’Abruzzo, Molise, Basilicata e parzialmente della Sardegna. Quindi registriamo anche una divaricazione all’interno del Mezzogiorno, con alcune aree che tendono  stabilirsi su parametri più vicini al Centro Italia. Crotone, come ormai è noto, compare ancora una volta all’ultimo posto, mentre la provincia 

catanzarese si conferma la migliore della Calabria. Al di là delle divaricazioni nel reddito pro-capite quello che più colpisce è lo scarto in altri settori. Colpisce in particolare lo scarto esistente per quanto riguarda la voce “istruzione e formazione”». 

Secondo quando scrive il prof. Perna «L’Italia, come emerge da questa ricerca, è un Paese complesso, articolato, dove non sempre la linea di demarcazione è quella Centro-Nord/Mezzogiorno». (rrm)

(Nella foto il prof. Tonino Perna)

CENSIMENTO CALABRIA, POCO INTERESSE
SU 404 COMUNI, SOLO 220 PARTECIPANO

di GIUSEPPE DE BARTOLO – Il primo ottobre scorso ha avuto inizio su tutto il territorio nazionale la rilevazione del Censimento permanente della popolazione e delle abitazione, realizzato, come per il passato, dall’Istat – Istituto Nazionale di Statistica. Questa fase di raccolta di dati sui tratti sociali, economici e demografici della popolazione, benché faccia riferimento al 3 ottobre scorso, si concluderà il 23 dicembre prossimo.

Com’è noto, l’Italia ha una lunga tradizione censuaria: il primo censimento della popolazione risale infatti al 1861, anno dell’unificazione del Paese nel Regno d’Italia, quando gli italiani erano appena 26 milioni e trecentomila. Dopo il 1861 i censimenti si sono succeduti sempre a cadenza decennale fino al 2011, ad eccezione del 1891 anno in cui il censimento non venne effettuato per le difficoltà finanziarie in cui versava il Paese e nel 1941 a causa della guerra. Un’altra eccezione è stato il censimento del 1936, realizzato a soli cinque anni dal precedente, a seguito di una riforma legislativa che ne modificava la periodicità a fini di controllo politico.

Molti non sanno, però, che il Governo fascista fece anche un censimento degli ebrei italiani. E a questo proposito ricordiamo che nel corso del 1938 il regime, avendo deciso di introdurre una legislazione antiebraica, si servì della appena costituita Direzione generale per la demografia e la razza (la cosiddetta Demorazza) per gestire il censimento degli ebrei italiani dell’agosto del 1938, i cui dati sensibili, in dispregio delle norme sul segreto statistico, furono successivamente utilizzati al momento dell’occupazione nazista per la deportazione nei campi di sterminio in Germania tra il 1943 e il 1945 di oltre 7 mila ebrei italiani.

A partire dal 2018, il censimento è organizzato con cadenza annuale e rileverà, mediante un campione statisticamente rappresentativo le principali caratteristiche demografiche e le condizioni socio-economiche dei territori, con l’intento di soddisfare l’esigenza d‘informazioni tempestive, utili sia ai cittadini sia alle imprese e alle associazioni per progettare e fare scelte, ma soprattutto per fornire le informazioni necessarie ai decisori pubblici ai vari livelli territoriali; tempestività e freschezza di dati che invece i censimenti generali decennali del passato non potevano più assicurare.

Quest’anno il censimento interesserà un campione di 2 milioni 472.400 famiglie sparse il 4.531 Comuni italiani che forniranno informazioni che, coniugate con quelle provenienti da fonti amministrative, permetteranno di fotografare l’intera popolazione italiana con costi molto più ridotti rispetto ai censimenti generali. Questo censimento si articola in due tipi di rilevazione. La prima, di tipo Areale, terminerà il 18 novembre prossimo e prevede la compilazione del questionario online tramite un rilevatore incaricato dal Comune che si recherà presso il nucleo familiare per assistere il capofamiglia nella compilazione del questionario. Nel secondo tipo, chiamato a Lista, la compilazione del questionario è fatta autonomamente online dal capo famiglia medesimo. 

Senza andare molto indietro nel tempo, ricordiamo che in Italia prima del XVII secolo le notizie riguardanti la popolazione erano molto lacunose e consentivano solo valutazioni indirette dei fenomeni socio-demografici. Successivamente, una fonte importante è stata quella dei registri parrocchiali la cui tenuta, resa obbligatoria dal Concilio di Trento del 1563, era demandata al parroco il quale aveva il compito di annotare gli atti di sepoltura, battesimo e matrimonio ed effettuare una volta l’anno, in occasione della Pasqua, la conta delle anime dei parrocchiani (status animarum). Accanto alle registrazioni religiose esistevano anche altre rilevazioni che però avevano carattere fiscale o igienico-sanitario: ricordiamo i catasti onciari voluti nel ‘700 da Carlo III di Borbone i quali sono stati un vero e proprio censimento non solo delle persone, ma anche dei beni mobili e immobili. Con il XIX secolo, con la costituzione dei servizi ufficiali di statistica, termina l’era delle enumerazioni e inizia quella dei censimenti moderni.

Ritornando al Censimento di quest’anno, ricordiamo che in Calabria su 404 Comuni quelli interessati saranno poco più della metà (220), di cui 83 su 150 in provincia di Cosenza, 54 su 97 in provincia di Reggio Calabria, 42 su 80 in provincia di Catanzaro, 14 su 27 in provincia di Crotone e 27 su 50 in provincia di Vibo Valentia.

Ma, nonostante che questa operazione interessi un campione abbastanza ampio di famiglie calabresi, la circolazione delle informazioni sull’importanza di questo mezzo statistico di conoscenza purtroppo sta avendo, almeno in Calabria, una scarsa eco non solo nei media ma anche da parte degli stessi Comuni interessati i quali – salvo poche eccezioni – spesso si sono limitati a fornire attraverso i loro siti scarne notizie dalle quali i cittadini non colgono appieno l’importanza di questo strumento per conoscere meglio il nostro Paese e la nostra regione. (gdb)

[Giuseppe De Bartolo è già ordinario di Demografia all’Università per la Calabria]

Istat, in Calabria nel 2020 – 30% per prestazioni ambulatoriali e specialistiche

Nel 2020, in Calabria, si è registrata una diminuzione del 30%  per le prestazioni ambulatoriali e specialistiche erogate. È quanto è emerso dal rapporto dell’Istat sulla situazione del Paese, che indica una diminuzione del 20,3% rispetto all’1% del 2019.

I cali riguardano, in particolare, la riabilitazione e le visite specialistiche, che hanno registrato un -31% nel 2020, mentre tac, risonanze magnetiche, biopsie, dialisi e radioterapia, hanno subito un calo del 7%.

A livello territoriale, sono la Basilicata (-50%) e la Provincia autonoma di Bolzano (-42%) ad essere le più colpite, mentre in Valle d’Aosta, in Liguria e in Sardegna si è registrato il -30%. Compresa tra l’11 e il 15% quella “in Campania, Sicilia e Toscana.

Non ci sono differenze “tra uomini e donne”, mentre si segnalano «differenze per fasce di età»: quella pediatrica è la più coinvolta (-33%), seguita dagli adulti tra i 35 e i 54 anni (-22%); per le altre fasce d’età “la riduzione è compresa tra il 18 e il 22%.

Dal rapporto, è emerso che, comunque, il calo delle prestazioni è stato più sentito al Nord (9,4%), mentre è più contenuta al Centro e nel Mezzogiorno (9,4%). (rrm)

 

 

 

L’OPINIONE/ Filippo Veltri: L’ascensore sociale e il lavoro che non c’è

di FILIPPO VELTRI –  “Lavorare meno, lavorare tutti” è un famoso slogan che diventa il titolo di copertina del giornale Lotta Continua nell’edizione del 5 dicembre 1977. Poi, più o meno, lo stesso titolo anni dopo lo fece Avvenire, il giornale della Conferenza Episcopale Italiana.

Due punti di vista convergenti provenienti da mondi politici, culturali, sociali diversi. Soprattutto ai quei tempi.

La valorizzazione del lavoro è un’idea costituzionale della Resistenza, impiantata nel nostro sistema. Nelle settimane passate, però, l’Istituto Nazionale di Statistica ha pubblicato una ricerca che testimonia come il virus abbia bruciato quasi un milione di posti di lavoro, per l’esattezza 945.000, aumentando il tasso della disoccupazione fino al 10,2%. Le aziende a rischio rappresentano il 45% del panorama nazionale mentre, già a marzo, la direttrice generale della stessa Istat, Linda Laura Sabbadini, aveva denunciato un livello di povertà che raggiunge la soglia delle 5 milioni e 600.000 persone.

Sono dati allarmanti, se non addirittura catastrofici, che mostrano le pesanti ingiustizie del mondo del lavoro nostrano, specialmente se si riflette sulla dimensione giovanile e femminile. Dentro quel 10,2 % di disoccupati, infatti, il 31, 6% è costituito dai giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni, la stessa fascia che ha incrementato il proprio tasso di povertà del 23,1% rispetto al 2020. Le donne occupate, in Italia, sono solo il 49%, mentre i livelli richiesti dalla Commissione.

Non sono solo numeri, ma storie di vita reale che raccontano le difficoltà di un paese incapace di sostenere il peso del lavoro, il principale problema da mettere al centro dell’agenda politica. 

È insomma la storia di una società bloccata. I figli non sanno se riusciranno a garantire alla propria prole le stesse opportunità che i loro padri sono stati in grado di assicurare. Uomini e donne che non possono programmare il proprio futuro, perché non conoscono le loro prospettive e spesso non ne hanno. È tutto frutto di scelte politiche, quindi storiche, che cambiano profondamente la realtà e che hanno condotto alla situazione contemporanea.

L’idea che sull’altare della competitività si debbano sacrificare i diritti, puntare sulla frantumazione del lavoro, sulla sua precarietà, sullo sfruttamento e sul sotto-salariato, ha aumentato povertà e disoccupazione. Le rivolte dei rider degli ultimi mesi simboleggiano una presa di coscienza di questo tema, che non può e non deve rimanere un grido inascoltato. Ma di questo reinserimento sociale è doveroso che se ne occupi la politica.

Quell’ascensore sociale bloccato indica inoltre tante cose ma una più di tutte deve preoccupare: senza scatto in avanti muore tutta intera una società, anche chi magari in questo momento e’ ai piani più alti del palazzo. Se l’ascensore, infatti, non sale più non scende nemmeno più e le ragnatele soffocheranno alla fine anche chi più ha. Ci pensino tutti in questo avvio d’estate, la seconda in era Covid, con una ripresa che appare ancora molto lontana,  e soprattutto difficile, e che nel Sud e in Calabria appare, come al solito, più complicata che altrove. (fb)

Cassano allo Ionio coinvolto nel censimento permanente della popolazione e abitazioni dell’Istat 2021

Cassano allo Ionio partecipa all’edizione annuale del Censimento permanente della popolazione e delle abitazioni dell’Istat, che si terrà nel quarto trimestre dell’anno 2021.

Proprio per questo, «considerato che le fasi delle rilevazioni censuarie vengono organizzate a livello locale attraverso la costituzione degli Uffici Comunali e che l’atto costitutivo dovrà essere trasmesso all’Istat entro il 25 giugno prossimo – si legge in una nota del Comune – si è provveduto, con apposita determinazione, alla costituzione dell’Ufficio Comunale di Censimento, in forma autonoma presso l’Area Affari Generali, Servizi Demografici della delegazione comunale di Lauropoli e alla nomina del responsabile, nella persona di Maria Ciliberti, responsabile dei Servizi Statistici, allo scopo di assicurare tempestivamente la relativa organizzazione, in modo da essere in grado di far fronte, con la dovuta puntualità, ai molteplici adempimenti che ne derivano».

«Incaricati ad espletare le funzioni di rilevatore per il Censimento permanente della popolazione 2021, per conto dell’Istat – prosegue la nota – sono stati indicati i dipendenti: Ciliberti Maria, quale responsabile dell’Ucc e per le rilevazioni Azzolino Ornella, Calò Cosima e Milano Carmela. L’attività dovrà essere resa al di fuori del normale orario di lavoro. L’atto di determina è stato trasmesso sia all’Istat che al Segretario Generale, per quanto di competenza. Quale Responsabile del procedimento è stata indicata Monica Fazzitta». (rcs)

Lucia Anita Nucera: Dati Eurostat su disoccupazione mortificanti per la Calabria

Lucia Anita Nucera, presidente Commissione Pari Opportunità del Comune di Reggio Calabria, ha dichiarato che «la situazione che l’Eurostat ha fotografato sullo stato di disoccupazione e su come esso emerga nelle singole regioni italiane, è davvero avvilente e mortificante per la Calabria».

«I dati emersi – ha spiegato – indicano che una persona su cinque era senza lavoro nel 2020 in Calabria che, insieme ai territori del Mezzogiorno, si trova negli ultimi 15 posti della classifica europea. Sicuramente, la pandemia ha aumentato il gap e le difficoltà nel nostro territorio, ma questo non può giustificare una situazione atavica di ritardi e di inefficienze nelle politiche del lavoro che non ha saputo creare opportunità in Calabria anche e soprattutto attingendo ai fondi europei, risorsa importantissima, che come ho già dichiarato non è stata impegnata  per come doveva e poteva essere fatto».
«Una situazione desolante – ha proseguito – che spinge, ormai, i giovani ma anche famiglie ad abbandonare la  nostra terra in cerca di una maggiore sicurezza economia. A questo, si aggiunge il calo delle nascite, come indicato dai dati Istat, che vede il nostro Paese fanalino di coda insieme a Spagna, Francia e Belgio. La crisi economica e l’incertezza d futuro sono tra le cause che hanno pesato sulla decisione di mettere al mondo dei figli. Dai dati emerge soprattutto che la difficoltà per le famiglie è legata alla mancanza di  lavoro o, comunque, di uno stabile. È necessario, quindi, incentivare e sostenere le famiglia con politiche e interventi mirati, ma soprattutto creare occupazione, affinché questa condizione legata alla pandemia non abbia un’inversione di rotta».
«Non si può continuare – ha detto ancora – a navigare a vista, serve una  programmazione delle risorse, soprattutto dei fondi europei, una progettualità che ne consenta l’uso e non la dispersione ma, soprattutto, servono competenza,  preparazione e onestà da parte di chi amministra la cosa pubblica e  non improvvisazione e pochezza culturale, perché altrimenti si rischia sempre di rimanere allo stesso punto, e questo è ancora più importante quando si devono rappresentare i bisogni e le istanze del territorio a cui è necessario dare risposte e non vane illusioni».
«È necessaria una presa di coscienza collettiva – ha concluso Nucera – per un reale cambiamento rispetto a una tendenza che vede, spesso, l’immagine, la superficialità,  l’impreparazione come modus operandi della politica e questo deve partire da tutta la comunità calabrese che deve indignarsi e pretendere che chi rappresenta i loro diritti e bisogni lo faccia appieno. Una comunità che ha il diritto di rimanere nella propria terra e di vedere riconosciuti meriti e competenze». (rrc)

Camera di Commercio di Reggio: Emergenza sanitaria rallenta export delle imprese reggine

L’emergenza sanitaria rallenta l’export delle imprese reggine. È quanto ha rilevato la Camera di Commercio di Reggio Calabria a seguito dei dati annuali Istat sul Commercio estero, sottolineando che le «esportazioni annuali della Città metropolitana reggina, sceso al di sotto dei 200 milioni di euro, ovvero il 14,6% in meno rispetto a quanto registrato l’anno precedente, quando l’analogo valore si attestò a quota 233 milioni. Una performance negativa che, tuttavia, è stata parzialmente mitigata dal buon risultato del quarto trimestre (+14,9% rispetto al III trimestre 2020)».

«Anche l’import – si legge in una nota – ha subìto una riduzione, ma su ritmi decisamente più lenti (-7,6%).  Ne consegue un saldo negativo che supera i 36 milioni per il 2020 e che, solo per il quarto trimestre, si attesta sulla cifra record di 25 milioni di euro. Numeri che fanno riflettere ma che, tuttavia, devono essere trattati anche alla luce della debolezza strutturale che caratterizza l’interscambio reggino con l’estero».

«Se da un lato – ha spiegato il presidente della Camera di Commercio di Reggio Calabria, Antonino Tramontana – il moderato grado di internazionalizzazione della nostra economia ha, finora, attutito l’impatto negativo della crisi generalizzata, dall’altro è necessario intervenire affinché il nostro territorio possa cogliere appieno le opportunità che si presenteranno quando l’economia globale riprenderà il suo ritmo di espansione».

«È proprio per questo – ha proseguito il presidente Tramontana – che come Camera stiamo orientando le iniziative di internazionalizzazione delle imprese reggine su due direttrici complementari: la digitalizzazione e l’apertura verso mercati esteri accessibili e di interesse per le nostre imprese. È già stata avviata l’organizzazione di incontri d’affari B2B da remoto con 4 buyers svizzeri interessati alla nostra offerta agroalimentare, che si terranno nel prossimo mese di maggio, cui farà seguito l’organizzazione di incontri d’affari con buyers di altri mercati europei ed extra europei. Si tratta di azioni concrete finalizzate ad offrire alle imprese opportunità di sbocco su nuovi mercati, da consolidare nel tempo; inoltre, sempre nell’ottica di aumentare la visibilità all’estero delle nostri produzioni, di tutti i settori economici, è operativa già dallo scorso anno la Vetrina delle imprese esportatrici della Città Metropolitana di Reggio Calabria, ideata dall’Ente camerale, che ha ottenuto un riconoscimento nazionale da parte di Unioncamere Italiana». 

«Partirà, infine – ha concluso – a breve l’edizione 2021 del Bando Internazionalizzazione, che prevede voucher per l’acquisizione di servizi per l’avvio o lo sviluppo del commercio internazionale, anche attraverso l’utilizzo delle tecnologie digitali».

Guardando al complesso delle esportazioni durante il 2020, il principale paese di sbocco è quello statunitense, cui sono destinati beni e servizi per un valore pari a 32,6 milioni di euro (il 16,4% del valore complessivamente esportato). A seguire troviamo le quote export relative al mercato francese (21,1 milioni di euro, pari al 10,6% del totale), tedesco (17,0 milioni di euro, l’8,5%) e inglese (14,6 milioni di euro, il 7,3%). Il mercato cinese assorbe appena il 3,3% del totale delle vendite reggine oltre confine, con un valore pari a meno di 7 milioni di euro. 

I settori che presentano un maggior grado di internazionalizzazione sono: la chimica (pari al 41,9% dell’export locale), il settore alimentare (31,7%), il settore agricolo (9,7%), i mezzi di trasporto (7,4%) e il comparto della metallurgia (2,9%). (rrc)