Dalla Regione 35 milioni per aiutare le imprese e i lavoratori maggiormente in difficoltà

Sono 35 milioni di euro la somma che la Regione Calabria ha stanziato per aiutare le imprese e i lavoratori maggiormente in difficoltà.

«Si tratta di un’iniezione di liquidità per tirare su le aziende più in difficoltà, piegate soprattutto dagli effetti del Covid19 –ha spiegato Giusi Princi, vicepresidente con delega al Lavoro – Abbiamo quindi realizzato una misura concreta, destinata direttamente alle casse di coloro che costituiscono il nostro tessuto sociale. Il Presidente Roberto Occhiuto l’ha promesso a tutti i calabresi: non lasciamo indietro nessuno! E tutte le nostre iniziative sono mirate a questo».

Con questo spirito il Dipartimento Lavoro della Calabria, nell’ambito dell’Azione 8.6.1 dell’Asse VIII “Promozione dell’occupazione sostenibile e di qualità del Por Calabria Fesr-Fse 2014-2020”, ha pubblicato un Avviso a firma del Direttore generale Roberto Cosentino, con obiettivi specifici: favorire la permanenza al lavoro e la ricollocazione dei lavoratori coinvolti in situazioni di crisi, intervenendo a sostegno del sistema produttivo calabrese, attraverso aiuti alle imprese per la riqualificazione dei lavoratori ed il mantenimento dei livelli occupazionali, implementando azioni integrate di politiche attive e passive a seguito dell’emergenza Covid-19.

Si tratta di una duplice concessione: aiuti sotto forma di contributo in conto capitale (a fondo perduto) per le attività di riqualificazione e formazione del personale dell’impresa, sulla scorta del catalogo regionale della formazione continua già appositamente approvato; aiuti sui costi salariali lordi del personale. I costi della riqualificazione e della formazione sono totalmente a carico della Regione, rimborsati alle aziende al 100%.

Queste concessioni avvengono sulla base di una procedura valutativa a sportello ed in conformità a diverse disposizioni nell’ambito del “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza COVID-19”.

La dotazione finanziaria potrà essere integrata con eventuali dotazioni aggiuntive, al fine di aumentare l’efficacia dell’intervento finanziario. (rcz)

Lavoro, nasce “Attiva Calabria”: 5 mln per rafforzare le condizioni di occupabilità

È nato Calabria Attiva, l’avviso pubblico a sostegno di percorsi di inserimento e reinserimento lavorativo dei soggetti disoccupati e inoccupati adulti, finalizzato all’implementazione dell’Asse VIII – promozione dell’occupazione sostenibile e di qualità.

La Regione, infatti, ha stanziato oltre 5 milioni e mezzo per favorire l’inserimento lavorativo e l’occupazione dei disoccupati di lunga durata e dei soggetti con maggiori difficoltà di inserimento lavorativo, nonché il sostegno delle persone a rischio di disoccupazione di lunga durata.

Lo ha reso noto la vicepresidente della Regione, Giusy Princi, spiegando che «tramite ‘Attiva Calabria’ intendiamo sostenere percorsi di inserimento lavorativo ed al contempo di reinserimento dei soggetti disoccupati adulti. Questo avviso è esattamente la cartina di tornasole di quella che è la mission della Giunta Occhiuto,  ulteriore basilare tassello che si inquadra nel più generale piano di interventi che riguarda le politiche attive del lavoro, sulle quali insieme al personale del Dipartimento stiamo lavorando forsennatamente sin dall’inizio del nostro mandato».

Si tratta di misure di politica attiva del lavoro che prestano particolare attenzione ai settori che offrono nuove e maggiori prospettive di sviluppo (ad esempio in ambito di: green economy, blue economy, servizi alla persona, servizi socio-sanitari, valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale, Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione).

Scopo dell’intervento è il rafforzamento delle condizioni di occupabilità, agendo sulla dotazione di competenze tecnico-professionali, sull’attivazione e gestione di relazioni con il mercato del lavoro e tramite la realizzazione di esperienze formative on the job, attraverso iniziative a favore dell’occupazione per le persone in cerca di lavoro e inattive, compresi i disoccupati di lunga durata e le persone che si trovano ai margini del mercato del lavoro, in una logica di complementarità e rafforzamento degli interventi a favore di quel target di popolazione maggiormente in difficoltà.

I destinatari dell’avviso, per poter accedere alle misure, devono rivolgersi ai servizi per il lavoro accreditati che, prendendo in carico il soggetto, procedono a presentare la domanda di attivazione dei percorsi in favore del lavoratore elaborando un piano di intervento personalizzato, preceduto da una fase di orientamento. L’avviso mira a favorire l’allineamento tra le esigenze formative delle persone con difficoltà a entrare/rientrare nel mercato del lavoro ed il fabbisogno delle imprese di figure dotate di competenze in grado di sostenere la Ripresa e la Ripartenza. (rcz)

 

Lavoro, contrattualizzati 71 lavoratori di Azienda Calabria

Con l’approvazione della proposta di legge per la modifica e integrazione della legge regionale 25 giugno 2019 n. 29, storicizzazione delle risorse del precariato storico, sono stati contrattualizzati 71 lavoratori di Azienda Calabria.

Lo ha reso noto la vicepresidente della Regione Calabria, Giusy Princi, che ha sottolineato come «oggi salutiamo con soddisfazione un risultato di spessore, raggiunto in pochissimo tempo dal nostro insediamento: un piccolo grande regalo di Natale per 71 lavoratori calabresi».

I 71 lavoratori di Azienda Calabria sono stati contrattualizzati tramite un’attività che s’inquadra nell’ambito più ampio delle misure normative, previste non solo a livello regionale ma anche nazionale, «per consentire il superamento del gravoso problema del precariato, che si pone tra gli obiettivi primari del Programma di governo del presidente Occhiuto – ribadisce il vicepresidente – gestendo e via via smaltendo il precariato storico che si è determinato negli anni pregressi. L’obiettivo del nostro mandato è lavorare sulle politiche attive del lavoro».

Le modifiche introdotte hanno un duplice scopo: garantire eguale trattamento economico a tutti i bacini di lavoratori riconducibili al precariato storico, operando una parificazione rispetto ai contributi regionali previsti e accompagnando gli stessi lavoratori nel percorso di contrattualizzazione e di stabilizzazione, garantendo lo svolgimento di attività e l’indennità economica fino al collocamento in quiescenza; riconoscere ai precari contrattualizzati a tempo determinato con Azienda Calabria lavoro da più di 24 mesi il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Sempre nella prospettiva di un graduale assorbimento degli attuali bacini di precariato, d’intesa con le organizzazioni sindacali, è stata garantita la continuità lavorativa al personale contrattualizzato a tempo determinato con Azienda Calabria lavoro, impiegato nel “Piano regionale straordinario di potenziamento dei Centri per l’Impiego e delle Politiche attive del lavoro”, che è costituito da figure professionali con competenze specifiche ed esperienza maturata nelle materie dei servizi e delle politiche attive a supporto degli uffici territoriali e dei dipartimenti.

Ulteriore risultato positivo rispetto al tema in questione è stato conseguito con riferimento al personale a tempo indeterminato e parziale di Azienda Calabria Lavoro, prevedendo un incremento dell’attività lavorativa prestata a favore delle strutture amministrative della Giunta, così da rafforzare la capacità degli uffici.

«È stato possibile raggiungere questi primi ma significativi risultati con un grande lavoro di squadra – sottolinea Giusi Princi – grazie al confronto continuo e costruttivo con tutta la macchina amministrativa del Dipartimento regionale, su forte impulso del Presidente Occhiuto».

«Nonostante l’insediamento sia di poche settimane fa – ha proseguito – sono stati giorni di collaborazione molto intensa, in particolare con il direttore generale del Dipartimento con il quale abbiamo individuato soluzioni idonee e praticabili. La nostra mission è un concreto e definitivo superamento del problema del precariato calabrese». (rcz)

Lavoro, D’Ettore (CI): Concentrarsi su formazione e reinserimento

Il deputato di Coraggio ItaliaFelice Maurizio D’Ettore, ha ribadito la necessità di concentrarsi su formazione e reinserimento, in particolare al Sud per quanto riguarda il lavoro.

D’Ettore, infatti, ha replicato al ministro del Lavoro, Andrea Orlando, al question time su quali iniziative intenda assumere per potenziare, nel breve periodo, le politiche attive del lavoro e le politiche di formazione per chi il posto lo perde o deve trovare occupazione, dichiarando che «sono certo che, vista la sua risposta, ci saranno provvedimenti che saranno sempre più in linea con la missione 5 del Pnrr».

«Un ulteriore provvedimento – ha concluso – che abbia come obiettivo preciso la situazione lavorativa nelle regioni del Sud, in particolare la Calabria, anche con riguardo al precariato, la formazione e il reinserimento e la possibilità di percorsi di stabilizzazione». (rp)

LAVORO, NON C’È POSTO PER I NEOLAUREATI
IN CALABRIA LO TROVA SOLAMENTE IL 37,2%

Non c’è spazio per i neolaureati in Calabria. È quanto ha rilevato l‘Eurostat, che ha riportato dei dati desolanti per la nostra regione, in cui solo il 37,2% dei laureati ha trovato lavoro, a tre anni dal conseguimento del titolo.

Un numero esiguo, se si confronta con la media italiana, che si attesta al 59,5% e con quella europea, che è dell’81,5%. Ma, se per i neolaureati è difficile trovare lavoro, lo è ancora di più per le donne: Calabria (32,3%) e Sicilia (33,5%) hanno circa una laureata su tre al lavoro dopo tre anni dal titolo, contro il dato italiano che è del 57,1%. Un dato medio inferiore anche alla Grecia e lontano dalla media Ue (80,5%) di oltre 20 punti.

Un problema che, tuttavia, si estende anche ai diplomati calabresi: appena il 32,1% dei ragazzi che hanno completato l’istruzione superiore con un’occupazione tra uno e tre anni dal titolo. A presentare lo stesso problema, la Sterea Ellada in Grecia (32,2%) e la Sicilia (33,3%). La Campania è la quarta regione per difficoltà dei neo diplomati e neo laureati con appena il 37,6% con un impiego tra uno e tre anni dal titolo. E la difficoltà a trovare lavoro persiste nel Paese nonostante sia ancora molto bassa la percentuale delle persone in età lavorativa con un livello di istruzione universitario (il 20,1% in Italia a fronte del 32,8% medio nell’Ue a 27).

Di fronte a questi dati, che posiziona la Calabria ultima in Europa, come si può pretendere che i nostri giovani rimangano quando è un numero così esiguo a trovare lavoro? A che serve inaugurare nuovi corsi di Laurea, avere Università con master prestigiosi o qualsiasi altra cosa, se poi la prospettiva è quella di essere un disoccupato? A nulla, perché in Calabria non c’è spazio per i giovani laureati, per chi investe sulla propria formazione, sulla propria cultura e scommette su una terra che vuole riscattarsi, alzare la testa e far vedere all’Italia e all’Europa il proprio valore.

Come evidenziato dall’editore Florindo Rubbettino, in una intervista rilasciata a Il Mattino, «chi ha un livello elevato di formazione da spendere sul mercato, ha di fronte a sé due opzioni al Sud: o se ne va in cerca di dove valorizzare al meglio queste competenze, o resta ma, per farlo, deve cambiare le condizioni di contesto».

«In altre parole – ha proseguito – deve sottoporsi a un duplice sforzo: non solo laurearsi bene, ma anche cercare di modificare, insieme ad altre persone possibilmente le regole del gioco perché i suoi studi siano spendibili in loco. Purtroppo, la maggior parte delle persone di qualità sceglie la prima opzione».

Sul tema è intervenuto anche il consigliere regionale del Partito Democratico, Nicola Irto, che ha evidenziato come i numeri rilevati dall’Eurostat potrebbero mettere in crisi il sistema universitario regionale e fare aumentare ancora il numero dei giovani calabresi che lascerà il territorio non solo per lavorare fuori Regione, ma anche per avviare il proprio percorso di studi. 

«Se il dato sull’occupazione a breve termine sull’occupazione dei laureati calabresi – ha spiegato Irto – si incrocia con quello del calo delle iscrizioni nelle Università della nostra Regione, ci si trova davanti ad uno scenario per nulla confortante. Il rischio è che oltre al grande numero di giovani che lascia la Calabria per trovare lavoro dopo la laurea, ci si trovi a una nuova emigrazione di massa di chi, sapendo di non potere trovare sbocchi, decide già di avviare il percorso universitario in altri Atenei italiani o europei».

«Si tratta di una tendenza che deve essere subito invertita – ha spiegato ancora –. Il Consiglio regionale appena eletto e il nuovo governo regionale dovranno subito mettersi al lavoro per una seria riforma del rapporto tra Università e Regione e mettere in campo tutti gli strumenti necessari per avvicinare il mondo degli Atenei calabresi con quello del lavoro, coinvolgendo imprese e Pubbliche Amministrazioni.»

«Non possiamo permetterci – ha proseguito – di vedere ancora impoverito il nostro tessuto sociale e dobbiamo fare in modo che l’offerta formativa delle nostre Università, spesso anche di altissimo livello, offra sbocchi concreti e immediati agli studenti meritevoli che completano il percorso di laurea sul nostro territorio».

«E, a tal proposito – ha evidenziato – va espresso un ringraziamento sentito agli Atenei calabresi, ai professori e a tutti i dipendenti che vi operano, per lo sforzo profuso durante gli ultimi anni. Uno sforzo che ha consentito di elevare sia l’offerta formativa, che l’attività di ricerca».

«Serve adesso che le nostre Università – ha concluso – possano trovare un’adeguata risposta e un pari impegno da parte delle Istituzioni e della politica in modo da avviare un circolo virtuoso che ci metta in grado di affrontare le sfide del futuro». (rrm)

Saccomanno (Lega): Lavoro e sostegno ai giovani per contrastare l’emigrazione

Giacomo Saccomanno, commissario regionale della Lega, ha ribadito come sia necessario dare lavoro e sostegno ai giovani per contrastare l’emigrazione: «sono anni – ha spiegato – che i ragazzi non tornano più nella terra natia, ma sono costretti, per poter realizzare i propri sogni, ad andare in altre regioni ed anche all’estero».

«Una emorragia profonda, pesante – ha proseguito Saccomanno – continua, che ha privato la Calabria delle migliori risorse umane. Cosa è stato fatto finora di concreto e di strutturale? Quasi nulla! Ecco la necessità che vi siano reali politiche giovanili, che tendano a realizzare quelle occasioni che in altri territori esistono e che, invece, la Calabria nega alle nuove generazioni. Su questo, e su tanto altro, la classe politica deve interrogarsi e cercare di trovare soluzioni che consentano di porre un freno a questa tendenza derivante dal fallimento di coloro che hanno nel passato gestito la cosa pubblica e le relative iniziative».

«Ed ecco – ha aggiunto – la necessità indispensabile, per contrastare l’emigrazione, di incentivare il lavoro, di regolare seriamente i fondi per le aziende che assumono, di individuare misure finanziarie adeguate a sostenere le attività e le società giovanili. Non bandi clientelari, ma misure vere e concrete derivanti da uno studio serio sulle innumerevoli possibilità che la nostra terra offre».

«Si tratta – ha spiegato ancora – di individuare in modo oggettivo una politica sociale, economica ed imprenditoriale per contrastare l’esodo e ripopolare la Calabria con i nostri figli. La regione deve farsi carico di effettuare una ricerca di mercato reale e, conseguentemente, individuare quelle misure che possano dare sostegno e contrastare la fuga. Il reddito di cittadinanza va corretto non potendosi riconoscere indiscriminatamente delle somme e diminuire la forza lavoro necessaria per la crescita e lo sviluppo dei territori».

«È giusto aiutare e sostenere chi ha bisogno – ha concluso – ma è anche corretto che costoro possano lavorare e non continuare con un assistenzialismo che genera, spesso, situazioni di depressione e di mancanza di fiducia in sé stessi. Senza aggiungere che l’unico modo per contrastare puntualmente il sistema ‘ndranghetistico è quello di offrire alle nuove generazioni delle alternative e la possibilità di vivere nella normalità e non nella povertà economica e culturale». (rcz)

SBARRA: IL CORAGGIO DEL MEZZOGIORNO
PER RISCATTARE LO SVILUPPO CALABRESE

di LUIGI SBARRA – Unitariamente a Siderno, nel cuore della Locride, a rinnovare l’impegno coerente di Cgil, Cisl, Uil sulle tante criticità dell’estremo Sud della nostra penisola, a sostenere la voglia di riscatto della comunità calabrese che non vuole perdere le opportunità del Recovery Fund e dei piani di sviluppo e crescita previsti dal Governo.

È stato un segnale importante, fortemente sostenuto dalla Cisl, l’approvazione dell’emendamento al decreto Semplificazioni che ‘blinda’ il capitolo Mezzogiorno nel Pnrr prevedendo che il 40% delle risorse, anche nei bandi, sia indirizzato al Sud. Avviare il motore sociale e produttivo delle nostre zone deboli significa, infatti, far ripartire l’intero Paese: un obiettivo che riguarda tutti e che deve vedere ogni soggetto sociale e istituzionale coinvolto nel cantiere dello sviluppo. Quello che serve ora è una attivazione rapida ed efficace degli investimenti pubblici, con un controllo stringente su crono-programmi, trasparenza, legalità, qualità e stabilità del lavoro.

La ripartenza economica e sociale attraverso un vero governo della transizione digitale, ambientale, energetica va concertata, anche e soprattutto al Sud, per garantire il pieno utilizzo delle risorse senza la polverizzazione dei progetti, per assicurare tempi certi di realizzazione, buona qualità della spesa e condizioni chiare che leghino le dotazioni finanziarie a forti incrementi occupazionali.

Questo è per la Cisl un punto centrale. È ora di smetterla con gli incentivi a pioggia per imprese che non si impegnano a investire nel Sud, ad assumere a tempo pieno giovani, donne, disoccupati meridionali. Basta con le multinazionali che una volta incassati benefici fiscali e benefit, scappano via, come sta facendo in maniera inaccettabile la Whirpool a Napoli che, senza vergogna, rompe i patti e si defila in cerca di paradisi fiscali e di purgatori contrattuali, dove applicare il peggior dumping salariale, senza alcun rispetto per la dignità delle persone.

Il Mezzogiorno, con i sui gap infrastrutturali, con l’aumento della povertà, con le tante famiglie monoreddito, intercetta e amplifica tutte le criticità economiche, sanitarie e sociali. Riscattare il Sud alla crescita, alla coesione significa da sempre, e in questo momento più che mai, realizzare la migliore politica di sviluppo per tutto il Paese. Ma, questo processo di ricostruzione, ha bisogno di riforme concrete per cambiare la pubblica amministrazione, velocizzare i tempi della giustizia, tagliare le tasse a chi investe stabilmente nel sud, puntare ad un grande piano per la formazione delle nuove competenze. Solo agendo con determinazione su questi fronti, solo facendo vera convergenza, potremo raggiungere i livelli di crescita auspicati dal Governo nei prossimi anni.

Dalla nostra abbiamo due opportunità straordinarie. La prima: un’Europa che finalmente parla il linguaggio della solidarietà e della coesione. Il Recovery Plan guarda al Sud del continente ed il nostro meridione è la punta di lancia di questa sfida comunitaria. La seconda occasione è la “pax politica”, che assicura al Parlamento e al Governo Draghi una stabilità essenziale per le riforme. L’auspicio è che questa coesione duri e sappia agganciarsi stabilmente alla progettualità sociale, attraverso un nuovo patto ed una vera politica di concertazione che metta in priorità la ripartenza delle realtà deboli. 

In quest’ottica, la Calabria è la quintessenza della questione meridionale, e dunque il distillato di tutte le problematiche nazionali. Lavoro, sanità, infrastrutture, politiche industriali, povertà, legalità: non c’è voce che non trovi in questi territori le ferite più profonde. Sono nodi da sciogliere insieme, all’interno di un Patto per la Calabria che muova un pezzo importante del Next Generation Italia sul territorio, per sbloccare infrastrutture e investimenti produttivi, politiche sociali e occupazionali, fiscalità di sviluppo e strategie industriali.

Vanno riscattate le aree interne, rilanciata la portualità e le reti viarie, avviato un grande piano per il risanamento idrogeologico. E, poi, bisogna sbloccare le assunzioni pubbliche, stabilizzare il precariato storico, ammodernare le scuole, gli ospedali ed i servizi pubblici, con una guerra ad ogni forma di criminalità e malaffare. Questo serve alla Calabria e al Sud. Bisogna estendere il perimetro delle responsabilità e pretendere dalle amministrazioni regionali e locali il massimo della trasparenza, della rapidità decisionale, della competenza.

Lo diremo con forza a Siderno: il Mezzogiorno è il terreno dove si combatte una battaglia morale ed economica che non possiamo perdere. Il costo sarebbe altissimo, da ogni punto di vista. Fallire significherebbe marginalizzare un terzo della popolazione, cristallizzare un’economia perpetua della sopravvivenza e “meridionalizzare” l’intero Paese, condannandolo a bassi tassi di crescita e sviluppo. Tutto questo il sindacato non può permetterlo. Per questo siamo mobilitati, in Calabria e nel resto del Paese. Va aperta una stagione di riforme e di investimenti che non lasci indietro nessuno e punti ad unire il Paese con il protagonismo dei lavoratori. 

Luigi Sbarra è Segretario Generale Cisl.

Il testo è la lettera che il segretario della Cisl ha inviato al Direttore del Quotidiano Del Sud / L’Altravoce dell’Italia Roberto Napoletano, in occasione della manifestazione di Siderno.

[Courtesy Il Quotidiano del Sud]

EMIGRAZIONE E GIOVANI, SERVE IL LAVORO
PER FAR RESTARE I NOSTRI RAGAZZI AL SUD

di FRANCESCO RAO – Hanno lavorato senza sosta, dividendo la giornata in mille rivoli per mantenere unita la famiglia e, talvolta, il loro apporto è stato il cuscinetto per superare la disperazione della fame e le umiliazioni patite a causa di una mancata considerazione della loro dignità.

Hanno pianto il loro silenzioso dolore, senza turbare i figli e, quando il pochissimo pane a disposizione non bastava, erano loro le prime a dire non ho fame. Hanno  governato la famiglia con zelo e determinazione quando i loro mariti, chiamati in Guerra, partivano al fronte e non era scontato il loro ritorno a casa. Quelle donne sono state straordinarie e uniche, e il loro silenzioso vivere ha fornito all’Italia i soldati per le due Guerre Mondiali, e nel dopoguerra la manodopera a costi bassissimi per le imprese e per le industrie Nord Italia e, a seguire, sono stati i figli di quelle generazioni a lavorare per lo Stato arruolandosi nelle Forze Armate, scegliendo la scuola per studiare e per poi raggiungere i più elevati riconoscimenti accademici e cattedratici.

Sono figli di quelle mamme i numerosissimi medici ed infermieri che hanno trovato occupazione nei più importanti e prestigiosi Ospedali del Centro-Nord. Lasciando la Calabria, oltre alla propria terra c’era il distacco dalla propria famiglia. Ieri come oggi, il Meridione è povero, arretrato e moltissimi non avranno futuro. Il dolore vissuto da quelle donne, ossia dalle mamme di quei figli che avevano imparato a sognare velocemente per disperazione, spesso viene sottaciuto mentre a mio avviso dovrebbe ricevere il più alto riconoscimento da parte delle Istituzioni. Quelle donne erano tristi, anche quando giovanissime si sposavano e poi diventavano mamme: sapevano benissimo che i loro figli, se maschi erano destinati all’emigrazione o alla povertà; se donne avrebbero vissuto con molta probabilità una vita di stenti e sacrifici. Il tempo ci ha consentito di gustare il benessere, e il sistema post-industriale a ridotto ogni distanza ma, tante donne di Calabria, ancora oggi come ieri, hanno il cuore a pezzi perché i loro figli non hanno un lavoro e di conseguenza non potranno avere un futuro.

Molti anni addietro ho avuto la fortuna di poter osservare il sorriso di una anziana signora, comprendendo sino in fondo l’eccezione dettata dalla circostanza. Dovevo ancora concludere gli studi universitari e, per qualche mese, ho lavorato presso l’Ufficio postale di Mammola, piccolo paese vicino casa mia, con la mansione di portalettere. Ogni giorno vedevo l’anziana signora seduta su una vecchia sedia posta davanti alla propria abitazione. Quando consegnavo bollette e posta ordinaria, quella signora, oltre a ringraziarmi, mi augurava buon lavoro.

Un giorno consegnai una lettera che aveva i bordi blu e rossi, arrivava dal Canada. Alla visione di quella lettera, guardandomi fisso negli occhi, l’anziana signora improvvisamente ha accennato un timido sorriso e ringraziandomi, con le sue piccole mani mi strinse la mano. A distanza di qualche giorno apprendevo che suo figlio rientrava in Italia dopo oltre 30 anni di permanenza in Canada. Quella donna, la sua umiltà e quel sorriso, disegnato su un viso nel quale le rughe avevano tracciato ogni sofferenza e le difficoltà di una vita, mi hanno fatto comprendere il peso del dispiacere vissuto in silenzio da una mamma che come tante altre mamme calabresi hanno visto partire i loro figli talune volte per necessità ed altre per disperazione.

In questi giorni si sta registrando l’avvio della campagna elettorale per l’elezione dei Consiglieri e del presidente chiamato a governare la Regione Calabria per i prossimi cinque anni. L’entusiasmo ci sta, come ci sta anche l’accelerazione della propaganda.

La mia domanda al mondo della politica è una: oltre alla propaganda ed messaggi mediatici, si riuscirà ad anteporre a sondaggi, selfie, dirette, foto e like un semplicissimo desiderio nutrito dalla gente di Calabria, sino ad ora mai intrapreso seriamente e compiuto sino in fondo? Mi riferisco alla possibilità di restituire alle donne di Calabria, ed a tutte le mamme italiane, quel piccolo sorriso di serenità che potrà esserci soltanto quando i nostri  giovani  potranno contare sulla grandezza di un’Italia che, oltre ad agire, pensa ai propri figli rendendo attuabile un futuro migliore.

Oggi il nostro futuro viene interamente poggiato sulle spalle dei nostri giovani, ma per loro non c’è una visione complessiva del futuro, e non si intravedono le opportunità per generare lavoro. Tutto ciò, mi dispiace doverlo pensare, ma potrà essere l’ennesima causa che alimenterà l’emigrazione dei nostri Giovani con numeri molto più elevati rispetto al passato.

Per onorare i debiti che l’Italia sta sottoscrivendo per superare la crisi pandemica, sarà indispensabile creare opportunità di lavoro. Il Meridione, anche in questa sfida si trova ai nastri di partenza in maniera nettamente svantaggiato: oltre alle competenze mancano i progetti, le strutture ed una nuova capacità di guardare al futuro con l’intento di non reiterare gli errori del passato. (fr)

L’OPINIONE/ Filippo Veltri: L’ascensore sociale e il lavoro che non c’è

di FILIPPO VELTRI –  “Lavorare meno, lavorare tutti” è un famoso slogan che diventa il titolo di copertina del giornale Lotta Continua nell’edizione del 5 dicembre 1977. Poi, più o meno, lo stesso titolo anni dopo lo fece Avvenire, il giornale della Conferenza Episcopale Italiana.

Due punti di vista convergenti provenienti da mondi politici, culturali, sociali diversi. Soprattutto ai quei tempi.

La valorizzazione del lavoro è un’idea costituzionale della Resistenza, impiantata nel nostro sistema. Nelle settimane passate, però, l’Istituto Nazionale di Statistica ha pubblicato una ricerca che testimonia come il virus abbia bruciato quasi un milione di posti di lavoro, per l’esattezza 945.000, aumentando il tasso della disoccupazione fino al 10,2%. Le aziende a rischio rappresentano il 45% del panorama nazionale mentre, già a marzo, la direttrice generale della stessa Istat, Linda Laura Sabbadini, aveva denunciato un livello di povertà che raggiunge la soglia delle 5 milioni e 600.000 persone.

Sono dati allarmanti, se non addirittura catastrofici, che mostrano le pesanti ingiustizie del mondo del lavoro nostrano, specialmente se si riflette sulla dimensione giovanile e femminile. Dentro quel 10,2 % di disoccupati, infatti, il 31, 6% è costituito dai giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni, la stessa fascia che ha incrementato il proprio tasso di povertà del 23,1% rispetto al 2020. Le donne occupate, in Italia, sono solo il 49%, mentre i livelli richiesti dalla Commissione.

Non sono solo numeri, ma storie di vita reale che raccontano le difficoltà di un paese incapace di sostenere il peso del lavoro, il principale problema da mettere al centro dell’agenda politica. 

È insomma la storia di una società bloccata. I figli non sanno se riusciranno a garantire alla propria prole le stesse opportunità che i loro padri sono stati in grado di assicurare. Uomini e donne che non possono programmare il proprio futuro, perché non conoscono le loro prospettive e spesso non ne hanno. È tutto frutto di scelte politiche, quindi storiche, che cambiano profondamente la realtà e che hanno condotto alla situazione contemporanea.

L’idea che sull’altare della competitività si debbano sacrificare i diritti, puntare sulla frantumazione del lavoro, sulla sua precarietà, sullo sfruttamento e sul sotto-salariato, ha aumentato povertà e disoccupazione. Le rivolte dei rider degli ultimi mesi simboleggiano una presa di coscienza di questo tema, che non può e non deve rimanere un grido inascoltato. Ma di questo reinserimento sociale è doveroso che se ne occupi la politica.

Quell’ascensore sociale bloccato indica inoltre tante cose ma una più di tutte deve preoccupare: senza scatto in avanti muore tutta intera una società, anche chi magari in questo momento e’ ai piani più alti del palazzo. Se l’ascensore, infatti, non sale più non scende nemmeno più e le ragnatele soffocheranno alla fine anche chi più ha. Ci pensino tutti in questo avvio d’estate, la seconda in era Covid, con una ripresa che appare ancora molto lontana,  e soprattutto difficile, e che nel Sud e in Calabria appare, come al solito, più complicata che altrove. (fb)

CALABRIA: LAVORO, RECOVERY E LE DONNE
SI RIPARTE SOLO SE SI INVESTE SU DI ESSE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – «Da 20 anni, in Calabria, manca un vero welfare e questo aspetto danneggia prima di tutto le donne». È la denuncia di Amalia Talarico, della segreteria Fp Cgil Area Vasta, fatta nel corso di un webinar dal titolo Donne, Lavoro e Sud promosso dalla Cgil Area Vasta Catanzaro, Crotone, Vibo Valentia.

Un tema, quello delle donne e del lavoro, che oggi, più che mai, è un tema che dovrebbe essere affrontato più seriamente, sopratutto se, a causa di questa pandemia mondiale, sono state le donne, a livello lavorativo, ad averci rimesso: secondo i dati Istat, infatti, su 101 mila nuovi disoccupati, 99mila sono donne, allargando, così, la disparità di genere. Un quadro davvero sconfortante, se si pensa che, in realtà, le donne hanno un ruolo chiave nella ripartenza del paese e, quindi, si rende necessario il dover «investire sul valore delle donne» perché «investire sulle donne significa far ripartire il lavoro e spingere sulla rivoluzione culturale necessaria a far fronte al cambiamento, a tutti i livelli».

«Alle donne non può bastare la parola quota, o un capitolo in fondo ad un programma elettorale» ha dichiarato Filly Pollinzi, assessore Pari Opportunità del Comune di Crotone, perché «c’è la necessità di affrontare il tema della cittadinanza delle donne e del ruolo che devono avere nella società che stiamo costruendo» ha detto Serena Sorrentino, segretaria nazionale Fp Cgil.

A illustrare un quadro desolante, sul tema lavoro e Mezzogiorno, è Simona Maggiorelli, direttrice del settimanale Left: «solo il 32,2 per cento delle donne lavora, e una donna su cinque che avuto un figlio non lavora. Questi dati sono 2018, e sono inferiori al dato peggiore che è quello del 1977. Le donne sono quelle che vengono mandate a casa quando si tagliano i posti di lavoro, sono quelle che vengono pagate meno e che subiscono violenza sul lavoro» ha rilevato aggiungendo che si tratta di una situazione che «durante il periodo della pandemia è peggiorata».

«Rispetto a tutto questo – ha aggiunto – la questione centrale è culturale. Parlare di prevenzione vuol dire anche che non bastano le leggi, che sono sicuramente importantissime, ma non ci possiamo fermare a sanzionare comportamenti quando il ‘fatto’ è già avvenuto. Per questo dobbiamo partire dalle scuole: le donne devono imparare a riconoscere la violenza, la rivoluzione è nel paradigma culturale totale. Le donne non sono soggetti fragili da tutelare, ma sono una risorsa che deve contare nei luoghi di poter per poter cambiare le cose».

«La difficoltà nel conciliare i tempi di vita e lavoro – ha dichiarato Enzo Scalese, segretario generale della Cgil Area Vasta – l’aumento del lavoro di cura, che ricade quasi esclusivamente sulle donne, la crisi economica legata alle politiche di contenimento del virus che ha aumentato notevolmente il tasso di disoccupazione femminile, ha portato le donne a pagare il prezzo più alto della crisi, soprattutto nelle nostre realtà, dove i ruoli ricoperti sono spesso più gravosi e precari».

Per Scalese, «dobbiamo afferrare le opportunità alimentate dal programma del Next Generation Eu e contenute nel piano nazionale di Resilienza e Resistenza, per ripensare e riprogettare il futuro in ottica di opportunità per l’occupazione giovanile e femminile, proprio per come proposto nel nostro piano straordinario per il lavoro. Dobbiamo puntare a politiche strutturali e integrate per risolvere il problema della diseguaglianza di genere a partire dal tema della “disparità salariale” che non è solo una questione femminile, ma che riguarda l’utilizzo efficace delle risorse con le quali si crea benessere per tutti. L’Italia ha bisogno del potenziale produttivo delle donne».

Un concetto che viene ribadito nella campagna Donne per la salvezza, nato da «un lungo confronto fra numerose associazioni, economiste, statistiche, accademiche, manager, esperte di politiche di genere, politiche e politici» «per dare forza e ulteriore sostanza alla campagna europea Half of it, per destinare almeno la metà delle risorse europee del Next generation Eu a misure che includano le donne nella vita sociale ed economica del Paese».

Nel manifesto, infatti, viene ribadito che «l’occupazione femminile genera ricchezza, economia del lavoro di cura e riduce sensibilmente il rischio povertà, specie nelle famiglie monoreddito. Puntare sulla crescita sostenuta dell’occupazione femminile significa anche creare le condizioni per un aumento del numero dei nati, dei figli desiderati, a cui tanti giovani rinunciano in un Paese afflitto da decenni dalla decrescita demografica. Siamo convinte che 3 l’obiettivo di portare l’occupazione femminile dal 48,5% al 62,4% debba costituire una priorità del Piano, e su questo chiediamo la convergenza di tutti i decisori».

Per la segretaria generale Sorrentino, «in questa fase di svolta nel Paese, davanti ad una crisi economica mondiale che si affronta per la prima volta con la scelta di investire, piuttosto che tagliare, uno dei temi da affrontare è proprio il lavoro delle donne, la ricostruzione della rete dei servizi e del welfare che guardino alla maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. È questa, la sfida che abbiamo davanti». (ams)