IL PARADOSSO DEL SUD CHE MIGLIORA IN
REPUTAZIONE MA LA CRESCITA È BLOCCATA

di ERCOLE INCALZA – Una serie di comunicati stampa ha fatto presente un dato senza dubbio noto ma che non immaginavamo così preoccupante, mi riferisco alla sostanziale crescita del nord rispetto ad una stasi del Sud. Riporto sinteticamente il dato: il Mezzogiorno tra il 2007 ed oggi ha cumulato un differenziale negativo di crescita rispetto al Nord di 9 punti e questo ha fatto sì che il Prodotto Interno Lordo del Sud è ancora 7 punti sotto rispetto ai livelli che precedono la crisi del debito pubblico scoperta nel 2008. E, cosa ancora più preoccupante, è da ricercarsi nel fatto che il recupero integrale dello shock subito dal Paese sempre nel 2008 avvenuto con un ritardo di oltre dieci anni nel nostro Paese rispetto alla Germania e alla Francia riguarda solo il Nord.

Eppure in questi ultimi anni gli indicatori sulla occupazione nel Sud, sulle eccellenze imprenditoriali del Sud, sulla serie di interventi infrastrutturali attivati proprio nell’ultimo biennio dopo dieci anni di stasi, sulla crescita rilevante del comparto turistico e sulla forte impennata della produzione agro alimentare, lasciavano ben sperare.

D’altra parte questa nuova narrazione positiva del Sud era emersa in occasione del Festival Euromediterraneo di Napoli sia del 2023 che del 2024 e, senza dubbio, era ed è una narrazione vera in quanto questa serie di fattori aveva prodotto un aumento sostanziale della occupazione ma non aveva, in nessun modo, incrementato la partecipazione alla formazione del PIL da parte delle singole Regioni. Infatti, come ho ricordato più volte:

Le otto Regioni del Sud sono tutte all’interno dell’Obiettivo Uno della Unione Europea, cioè tutte hanno un PIL pro capite inferiore al 75% della media europea

Nessuna delle otto Regioni supera la soglia del 5% nella formazione del Pil nazionale. Il Pil pro capite nelle otto Regioni non supera la soglia dei 22 mila euro e addirittura in alcune si attesta su un valore di 17 mila euro; al Centro Nord si parte da una soglia di 26 mila euro per arrivare addirittura ad 40 mila euro.

Ma allora sicuramente ci sono delle cause o delle condizioni che bloccano la crescita del Mezzogiorno, cause che da sempre abbiamo cercato di scoprire ma che in modo quasi paradossale sono rimaste sempre rimaste all’interno di interessanti ricerche, di interessanti approfondimenti ma mai siamo stati capaci di misurare e, soprattutto, di leggere in modo trasparente; come ho ribadito più volte, dopo una diagnosi superficiale, abbiamo fatto sempre ricorso ad una terapia ridicola: quella basata su una assegnazione percentuale elevata, almeno il 30%, delle risorse assegnate dallo Stato per interventi infrastrutturali. Invece stiamo solo oggi capendo che questo assurdo paradosso: si cresce su alcuni comparti ma non si implementa il Pil, è legato ad una serie di elementi che questo Governo, proprio perché ha tutte le caratteristiche di essere un Governo di Legislatura, deve necessariamente affrontare; mi riferisco in particolare a: I Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) all’interno delle otto Regioni sono indifendibili; per la offerta di servizi socio – assistenziali si passa da 22 euro pro capite in Calabria ai 540 euro nella Provincia di Bolzano. La spesa sociale del Sud è di 58 euro pro capite, mentre la media nazionale è di 124 euro.

Il livello di infrastrutturazione del Sud produce un danno annuale nella organizzazione dei processi logistici superiore a 58 miliardi di euro. Nelle otto Regioni esiste solo un interporto quello di Nola – Marcianise, nel Centro Nord ne esistono sette (interporti veri, vere eccellenze logistiche); Nelle otto Regioni esiste solo un porto transhipment, quello di Gioia Tauro, con una rilevante movimentazione di container; La distanza dell’intero Mezzogiorno dai mercati del Nord d’Italia e del centro Europa è un vincolo alla crescita per tutte le otto Regioni.

Di questi punti il primo, a mio avviso, rappresenta quello che sicuramente rappresenta la causa più incisiva di ciò che prima ho definito un folle paradosso perché, in realtà, i consumi delle famiglie del Sud e le attività legate anche a forme di risparmio sempre delle famiglie, sono sempre più limitati perché nelle varie attività i margini prodotti sono limitati ed inoltre questa crescita della produttività, non trovando adeguati Hub logistici, viene gestita da imprenditori del Nord veri attori chiave nella gestione delle attività logistiche ed in questo caso il Prodotto Interno Lordo (Pil) del Sud si trasforma in Prodotto Esterno Lordo (Pel), come ho ricordato spesso, del sistema imprenditoriale del Nord.

Ma, insisto, quei dati relativi alla offerta di servizi socio – assistenziali che in Calabria non supera pro capite la soglia di 22 euro pro capite e che nella Provincia di Bolzano si attesta su un valore di 540 euro o il dato relativo alla spesa sociale del Sud di 58 euro pro capite contro una media nazionale di 124 euro, producono un dato che rimane quasi fisso dal dopo guerra ad oggi (sì da oltre settanta anni): il reddito pro capite medio del Sud si attesta su un valore medio di 21.000 euro (negli anni sessanta era di17.000 euro) mentre nel Nord si attesta su un valore medio di 39.000 euro con soglie superiori ai 42.000 euro.

Di fronte a queste banali considerazioni ho più volte proposto che le otto Regioni del Sud utilizzino il comma 8 dell’articolo 117 della Costituzione che consente il ricorso a forme federative e chiedano, in modo coeso ed unitario, con la massima urgenza al Governo di affrontare e risolvere questa assurda discrasia che, da sempre, penalizza la crescita del Sud e, cosa ancor più strana, offre una immagine falsa dello stato socio economico del Mezzogiorno: di un Mezzogiorno che da settanta anni assicura una crescita di altre realtà del Paese. Con questo non voglio assolutamente denunciare il settentrione del Paese di “parassitismo”, voglio solo però fare presente che le azioni del Governo devono essere capillari e devono essere caratterizzate da un vero Action Plan, cioè da uno strumento che affronti contestualmente sia le carenze legate ai servizi offerti, sia la costruzione organica di reti e nodi capaci di ridimensionare la distanza dell’intero Mezzogiorno dai mercati del Nord e del centro Europa.

Lavorando in tal modo molti, in modo critico, diranno che si ricreano le condizioni definite da Gabriele Pescatore e da Pasquale Saraceno attraverso la istituzione della Cassa del Mezzogiorno, io ritengo che aver spento un simile strumento è stato a tutti gli effetti un atto incomprensibile ed irresponsabile che, a mio avviso, ha danneggiato molto di più lo stesso sistema economico ed imprenditoriale del settentrione del Paese. (ei)

BASTA CON LA FALSA NARRAZIONE DEL SUD
LO SCENARIO DELLA CALABRIA È UN ALTRO

di MIMMO NUNNARI – Sin dall’inizio della vicenda storica italiana il racconto del Sud da parte dei giornali ha prodotto frutti avvelenati e contribuito a rinchiudere il Mezzogiorno dentro recinti in cui più facilmente si è sviluppato il male che, in alcuni ben determinati territori, ha impedito lo sviluppo e il prevalere del bene. In pochi altri paesi europei oltre che l’Italia il pregiudizio ha avuto la deleteria  funzione di rimozione della questione della divisione di un Paese in due territori, vizio d’origine causa della nascita  malcerta della  nazione: “Se lo stivale è spezzato, e soprattutto se è rimasto spezzato, non è un caso, ma frutto di scelte miopi, di interessi, di approssimazione e velleitarismo”, ha scritto il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei, nella prefazione al mio recente libro Lo Stivale spezzato (San Paolo edizioni).

Il pregiudizio (cit. diz. Oxford: “Opinione preconcetta, capace di fare assumere atteggiamenti ingiusti specialmente nell’ambito del giudizio o dei rapporti sociali”) è un fenomeno insopportabile, in quanto ha l’effetto perverso di generare avversione contro chi si ritiene sia diverso da noi. Lo hanno sperimentato sulla loro pelle i meridionali emigrati nel Nord Italia e all’estero, esclusi maltrattati, spesso costretti a vivere in condizioni disumane, animalesche. Nell’appendice a un’edizione speciale destinata alle scuole del famoso libro Se questo è un uomo, Primo Levi scriveva che “perché il fenomeno del pregiudizio insorga occorre che esistano differenze fisiche percettibili, come ad esempio tra i neri e i bianchi, i bruni e i biondi, ma – aggiungeva con amarezza – la nostra complicata civiltà ci ha resi sensibili a differenze più sottili, quali la lingua o il dialetto o addirittura l’accento. Lo sanno bene i meridionali costretti a lavorare al Nord”. Quello in particolare dei giornali, che ha alla base il pregiudizio, ma anche l’ignoranza, è una specie di antimeridionalismo che appare e scompare va e viene morde e fugge secondo le convenienze del momento.

C’è un tipo di giornalismo molto diffuso (che prevale) che ha creato artificiosamente l’immagine del Sud paradiso abitato da diavoli, di inferno da evitare e dal quale non si esce.  Questo regno di dannati meridionali lo ha raccontato decenni fa Giorgio Bocca nel molto discusso libro L’inferno, profondo Sud, male oscuro. Bocca è stato un grande cronista, ha scritto da tante periferie del mondo, e molto anche del Sud dell’Italia, tanto che poi ci ha fatto un libro. Voleva capire il giornalista, ma non c’è riuscito e tuttavia nel suo caso l’onestà professionale è sempre stata fuori discussione. Concludeva i suoi reportage, chiedendosi “per chissà mai quale peccato originale, quali orgogli, quale maledizione della storia, quale fatalità geografica, non si è mai riusciti a fare dell’Italia un paese veramente unito”.

La questione e non riguarda solo Giorgio Bocca, è che qualunque racconto del Sud non accompagnato da un’analisi attenta dei fattori degenerativi che si sono innestati nel tessuto sociale del Sud rischia di diventare se non proprio falso quantomeno qualcosa di non credibile. Generalmente – anche oggi –  dal bizzarro montaggio di parole e immagini dei giornali e delle televisioni emerge un paesaggio umano meridionale degradato e scomposto e affiora per automatismo  uno scenario falso, che oscura le qualità della gente, la natura e la bellezza dei luoghi. La tecnica di questo metodo mediatico odioso e discriminante l’ha spiegata Umberto Eco nel romanzo Numero Zero, libro nel quale fa dire ad uno dei personaggi, un giornalista:  “Lo so che si è sdottorato sul fatto che i giornali scrivono sempre operaio calabrese assale il compagno di lavoro, e che si tratta di razzismo, ma immaginate una pagina in cui si dicesse operaio cuneese eccetera eccetera, pensionato di Mestre uccide la moglie, edicolante di Bologna si uccide, muratore genovese firma un assegno a vuoto; che cosa gliene importa al lettore dove sono nati questi tizi? Mentre, se stiamo parlando di un operaio calabrese, di un pensionato di Matera, di un edicolante di Foggia, o di un muratore palermitano, allora si crea preoccupazione intorno alla malavita meridionale e questo fa notizia”. Anche in questo Eco ha dimostrato di essere maestro, spiegando a quali perversi metodi la stampa ricorre nella narrazione del Sud. (mn)

L’OPINIONE / Giusy Staropoli Calafati: che miseria parlare di cuore della mafia

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – È forse la clonazione forzata e abusiva del vitale muscolo umano, con effetto del medesimo formidabile battito? È un progetto ‘mpacchiuso di asini mezzi pazzi che si impappinano nel naturale verso del raglio? È una irreversibile febbre da parrasìa che slenta e sclera il cervello umano? È forse il piglio feroce dei diavoli contro il sentimento dei resistenti? Cos’è?

“Il cuore della mafia” è l’accusa più infamante e schifosa che si insiste nel far pesare sulla storia della Calabria, e su tutto il suo popolo. La mafia è un dramma universale che, forse, anzi certamente attecchisce con maggiore forza nelle terre più depresse, disagiate e sole, ma non per questo è necessario geolocalizzarla a Sud, tra i fuochi del Mezzogiorno, le diaspore del Meridione, facendo rapporto a una banale leggenda figurativa (Osso Mastrosso e Carcagnosso) in grado di uccidere la dignità di una terra con tutti i suoi uomini a bordo. La mafia è un viaggio di precario equilibrio che fa sosta dove più le aggrada. E gira il mondo intero anche in meno di 80 giorni. La Calabria è certamente una meta, ma il relativo non può sempre passare a tutti i costi per assoluto. Costa vite, come nelle guerre di mafia.

La Calabria è malata di questo cancro, è vero, ma non è il solo manicomio in cui la mafia folle sbarella. E se c’è un dolore che fa tremare il cuore dei calabresi, è l’offesa insistente di chi invece di guarirla, aiutarla a stare meglio, darle speranza, la sotterra. La confina al cuore della mafia. 

Il vero hub della mafia, non è in Calabria che sta, (non solo) la bussola orienta di precisione, e indica oltre che i punti cardinali, il petto della più varia e svariata antimafia che la Calabria la tiene nel principio del suo mirino, e che alla signora (mafia), nei bordelli comunitari di detenzione del titolo, tiene il filo del potere, e favorisce la logica della superbia. Scribi e farisei, maestri del nulla.

Ma che tipo di cuore avete voi che pur di mettere in croce una regione intera, arrivate a definirla il cuore della mafia? E fate gravare sul cuore dei figli l’errore dei padri, il disappunto degli occhi del mondo?
Un cuore di pietra forse, uno schifosissimo cuore di ferro. Un cuore arrugginito di latta.
Venite a viverla e a soffrirla, la Calabria, invece di crocifiggerla. Sentirete batterle in petto il cuore di carne che ha. E Piuttosto che infliggerle ulteriore dolore, le darete conforto. È questione di umanità.
Il Times è crudele, non pensa a nulla se non all’effetto. Nei giorni scorsi, con un titolo assai bastardo e irregolare consegna la Calabria al massacro. Altro che morzello di Catanzaro!

“Mafia hub hires cuban doctors as Italy’s medics shun region”

Nel cuore della Calabria, batte incessante il mio cuore, batte eccitato il cuore dei miei figli, batte forte quello di famiglie intere di gente per bene. Battono i sacrifici di molti, il lavoro di tanti, i lutti e le feste di tutti. E batte anche il cuore di giornali come il Times, quando per osservare la Calabria, responsabilmente, anche solo per dare vita a un titolo di giornale, rigettano stereotipi e pregiudizi. Era solo giugno quando con sana e reale riconoscenza, la Calabria, proprio sul Times, veniva eletta meta ambita dopo le Maldive. 

Saremo pure un lembo di terra un po’ malandato e forse anche un tantino maledetto, ma il cuore di chi vive quaggiù, batte più forte di quello della mafia. Batte da rubare tanti altri cuori. (gsc)

NON C’È TURISMO SE MANCA REPUTAZIONE
IN CALABRIA IL FUTURO RICOMINCIA DA QUI

di MAURO ALVISI – La mia discesa qui in Calabria ha inizio quasi sei anni fa a Catanzaro, quando chiamato dalla municipalità e dai maggiorenti calabresi tenni, quale massimo esperto internazionale, una riuscita conferenza sul marketing e la valorizzazione del territorio, tutta incentrata sul Critical Success Factor della reputazione, questa misconosciuta. 

Ci ero passato prima di sguincio in due differenti occasioni. Nell’estate del 1990 per una vacanza estiva a Scalea, ospite onoratissimo di una famiglia di luminari della medicina veneta, originari del luogo (che poi realizzai essere quasi un’enclave napoletana nelle prime propaggini calabresi). Per la verità non felicemente percepita. Poi nel 2004, quando nell’allora governo Berlusconi collaboravo, quale esperto per la valorizzazione del territorio, con la Presidenza del Consiglio dei Ministri. In carico al Ministero Affari Generali (che reggeva il siciliano Enrico La Loggia) e a quello degli Esteri, condotto da Franco Frattini. Furono però due straordinari personaggi locali, che per ragioni di privacy ribattezzo qui Madonna dei Girasoli, straordinario esempio dell’accoglienza e della concuranza calabrese e il Superdon, un generoso Paperone e a pieno diritto un accademico della strada (come gli piace definirsi) a convincermi che avrei dovuto piantare tende qui. 

Oggi nel Decisions Lab (il Laboratorio della Scienza delle Decisioni, all’Università Mediterranea di Reggio Calabria), insieme a tanti eccelsi talenti della ricerca, mi occupo di performetrica (metrica delle performance dei sistemi complessi), e in particolare della misurazione e certificazione della reputazione. Dei territori, delle istituzioni, delle organizzazioni, delle imprese, dei manager e di ogni identità individuale e collettiva.

Napoleone parlando dell’attacco alla reputazione affermava fosse come una batteria di cannoni al tiro, quando ne senti il rumore sei già sotto bombardamento. Oggi l’intero ecosistema e sociosistema delle relazioni e delle interconnessioni a valore aggiunto, o se preferite l’economia della fiducia, o come la chiama il Pontefice Francesco L’economia del Noi, si basa essenzialmente sul patrimonio reputazionale di cui si gode e di cui si può dar prova inconfutabile, certificandolo. Gli economisti e gli analisti finanziari più accreditati sostengono addirittura che ad ogni incremento parziale del ranking e/o del sentiment reputazionale percepito corrisponda, in modo direttamente proporzionale, un incremento sensibile del volume quanti-qualitativo delle performance sociali ed economiche di un territorio, di un brand, di ognuno di noi. Esiste oramai un’ampia letteratura di casi a suffragio universale di questo postulato, non più teorico. 

Abracalabria. Chiamai così il mio intervento nel giugno del 2016 a Catanzaro, seguito più tardi da un riuscitissimo convegno di Confindustria Reggio, presieduta allora dal vero pioniere dell’incoming turistico calabrese, Giuseppe Nucera, replicato poi anche al Senato della Repubblica. Già il turismo. Risorsa ipertrofica di questa terra, una miniera d’oro di proporzioni inestimabili e per larga parte ancora tutto da estrarre. 

A Falerna Marina (CZ) ieri, nella splendida cornice del resort di Villa Ventura, si è tenuta la giornata di chiusura della partecipata tre giorni sugli Stati Generali del Turismo in Calabria. A tracciare le linee generali e programmatiche finali del Piano di Sviluppo Turistico Sostenibile della Regione, si sono alternati sul palco Fausto Orsomarso, Assessore Al Turismo e al Marketing del Territorio e Roberto Occhiuto, Presidente della Regione. A margine dell’incontro le due figure apicali hanno risposto ad alcune mie domande, focalizzate sul tema baricentrico della reputazione calabrese, o come lo chiamava la compianta e amata Jole Santelli il riscatto reputazionale della Calabria.

– Assessore Orsomarso Dai lavori di questi riusciti Stati Generali sono senza dubbio emersi alcuni punti di forza e di debolezza della regione e forse anche qualcosa che minaccia la buona riuscita del Piano in via di definizione?

«Non vedo alcun tipo di minaccia a parte quella che potrebbe sorgere dal non attuare tutto lo straordinario scambio con gli operatori e con i media che ricaviamo da questa esperienza aperta di dialogo e concertazione. I punti di debolezza della Calabria sono andati calcificandosi negli anni, quasi per l’inerzia della non azione che ha connotato la gestione della cosa pubblica. Il turismo per questa terra è un fattore determinante per lo sviluppo futuro, per gli indicatori economici di crescita, la nascita e il mantenimento dell’impresa turistica e commerciale, la creazione di nuovi posti di lavoro I punti di forza della Calabria vanno fatti tutti conoscere e riconoscere. Quasi come se fossimo all’anno zero. L’esperienza di governo con Jole Santelli mi ha lasciato moltissimo sul piano umano e professionale, quella con il Presidente Occhiuto, per quanto già impostato nei primi sei mesi, promette di essere davvero capace di trasformare questa terra. Come ha sostenuto il Presidente nel suo intervento, il suo stile di conduzione è eterarchico e libertario. Da spazio alle iniziative dei diversi assessorati. Incita a moltiplicare le iniziative, spendendo la sua grande autorevolezza a Roma come a Bruxelles e nel mondo. Un gioco di squadra. Questa riuscita kermesse del turismo, può diventare un appuntamento ricorsivo. Per decidere occorre ascoltare gli stakeholder. Nessuno escluso».

– Sul tasto della reputazione il presidente ha battuto non poco. Lei pensa che la Calabria abbia ancora un problema reputazionale in atto?

«Io sostengo che qui dentro la nostra terra e lì fuori nel mondo si conosca ancora in minima parte cosa sia questo straordinario territorio. Penso che una narrazione distorta e stereotipata della Calabria sia responsabile di un percepito non corrispondente ai valori e ai voleri dei calabresi tutti. Sono oltre sei milioni i Calabresi nel mondo. Possono essere una straordinaria opportunità per il turismo delle radici. Si pensi a cosa accadrebbe se un 10% di loro decidesse di scegliere la propria terra natale come destinazione frequente. E ognuno di loro e di noi è anche ambasciatore di grandi valori. Quelli che fanno di questa terra e di questa nostra gente un’eccellenza mondiale per capacità di accoglienza. Quindi la reputazione si costruisce con gli atti di ogni giorno. Però se poi non esce una corrispondente narrazione delle virtù, una comunicazione efficace e attrattiva si finisce per essere schiacciati dal luogo comune più becero, penalizzando interi comparti strategici, come il turismo e la valorizzazione del territorio».

Un bilancio quindi più che positivo di queste giornate di lavoro a Falerna?

«Più che positivo lo definirei a tratti sorprendente. La Calabria ha davvero voglia di riscatto, di ripartenza. Gli operatori del turismo ne sono la prova. Non lasceremo nulla di intentato nel piano pluriennale che stiamo andando ad attuare a breve».

Le parole del Presidente Roberto Occhiuto, raccolte a caldo, sono cariche di pragmatismo liberale. Ha chiuso ricordando quanto apprezzi le critiche, da dovunque, chiunque e comunque provengano «mi sono da stimolo competitivo – sottolinea- come un’esortazione adrenalinica a dare il meglio sempre».

– Presidente Occhiuto, la sua giunta da lei sferzata, è molto attenta al tema della reputazione della Calabria. Un tema fondamentale del diverso racconto che questa terra merita verso se stessa e la sua gente, verso l’Italia e verso il mondo. Una componente davvero rilevante per le ricadute che riguardano da vicino l’industria turistica regionale. Quanto è fondamentale a suo giudizio poter dichiarare e certificare che la reputazione del territorio è in crescita, è positiva, con dati euforici e non disforici come spesso vengono associati alla Calabria?

«La Calabria intanto va misurata. La reputazione si costruisce nel tempo. C’è una reputazione erronea e del tutto fuori luogo, che nasce da autolesionismo portato alle volte all’ennesima potenza. Un racconto disforico davvero sproporzionato e alcune manovre che vanno concertate bene in cabina di regia. Se per esempio si considera questo evento felice degli Stati Generali del Turismo, che definirei anche di spessore culturale come tanti nostri beni ed eventi, un attrattore culturale che poi non si contestualizza e prosegue in un turismo organizzato diventa un risultato deprimente, una mossa sbagliata e inefficace. I lavori di Falerna non sono stati una mera occasione di autocelebrazione. Abbiamo passato ore e ore ad analizzare i punti di debolezza, le carenze strutturali, le manovre correttive di rilancio, Tutto questo poi organizzato bene, raccontato bene e sempre meglio si trasforma nella maturità di una reputazione complessiva dei luoghi, borghi, città e attrattive del territorio calabrese quali destinazioni elettive del turismo nazionale e internazionale. Cito quale esempio Tropea, città di duemila abitanti con un’ottima reputazione e una eccellente qualità dei servizi turistici resi al visitatore. Tutta la Calabria è orientata verso la crescita. Il turismo ha una notevole incidenza sul nostro PIL e noi possiamo anche raddoppiare questo risultato». 

– L’economia della reputazione ha dimostrato la diretta connessione tra i Key Performance Indicators del sentiment reputazionale percepito di un territorio e la relativa capacità attrattiva e performante dello stesso. Uno studio del 2015, solo sette anni or sono, dimostrava che alcuni presunti fattori di negatività reputazionale si controvertivano nella percezione pubblica internazionale della Calabria. Come ad esempio la sorpresa di essere tra le eccellenze assolute per capacità di accoglienza del turista. Non crede che una misurazione certificata della reputazione calabrese, mettendosi nel ventaglio di altre aree turistiche competitrici che già la posseggano, possa essere un valido punto d’origine per l’attacco e la difesa reputazionale? Un supporto tecnico al lancio distintivo di un nuovo storytelling?

«Ci stiamo lavorando e possiamo continuare a lavorare sempre in questa direzione strategica. Abbiamo dei Paesi target sui quali concentrare maggiormente la percezione di buona reputazione. La Calabria all’estero è spesso poco conosciuta o misconosciuta. La reputazione della Calabria, anche quella nazionale, è in via di progressivo miglioramento. Lo abbiamo visto anche qui, in questi giorni. Sono le dimensioni del renderlo noto, del raccontarlo diffusamente che vanno allargate. Dobbiamo investire, anche se è ovvio che non dobbiamo né possiamo strafare perché non possiamo creare una domanda superiore alla risposta, alla capability dell’offerta proponibile e sostenibile. Alcuni nostri territori non sono ancora pronti a superare quel 6% di presenze straniere complessive che sono assolutamente migliorabili. Per dirne una anche solo la capacità di rispondere in inglese o nella lingua del visitatore rappresenta un indubbio fattore di successo».

– Quali sono, per amore di sintesi, le tre cose importanti che lei porta a casa da questi Stati Generali di Falerna?

«Non si tratta di una sola manciata di cose o mosse ma di un programma integrato che presenteremo, a partire dalla massima rassegna turistica che è imminente, ovvero la BIT di Milano. È una strategia di penetrazione del mercato nazionale e estero, dotata di una serie di strumenti e investimenti correlati, di comunicazione e marketing territoriale e diversificazione dell’offerta turistica, anche in un’ottica destagionalizzante».

– Quindi è un piano che qui avete sottoposto al contributo e al giudizio degli operatori turistici regionali?

«Certamente. L’istituto del dialogo è funzione imprescindibile del governo di una regione. In ogni comparto. Queste giornate, grazie a questa nuova piattaforma, hanno consentito a tutti di scrivere il futuro del turismo a breve e medio termine».

Un ultima domanda Presidente. Qual è lo scenario maggiormente minaccioso per il turismo regionale, da evitare assolutamente?

«La minaccia si esprime solo nei termini della competizione. Attiene al mercato e al saper sempre starci al meglio. Riguarda l’efficacia e l’efficienza degli operatori che vendono servizi. La regione Calabria non può sostituirsi al mercato. Può favorirne in ogni modo la libera espressione imprenditoriale, aumentando i fattori endemici di attrattività. Non ci sono pertanto minacce precostituite. Va posta al cento la cura e l’attenzione per il fruitore di vacanze ed esperienze culturali e ricreative e affaristiche del nostro territorio. Il turismo è mutato negli anni, come suggerisce il titolo degli Stati Generali, i turismi sono variegati e molteplici come i target e le nicchie che li riguardano. Il turismo culturale, quello delle origini, quello religioso e quello termale rappresentano canali di domanda e offerta a volte verticali a volte interconnesse. Bisogna pertanto investire oculatamente le risorse per attrarre i flussi turistici adeguati».

Se si volesse seguire il fondamento filosofico del sillogismo, che prevede che a due premesse certe e accettate se ne possa postulare una terza, quale logica conseguenza delle prime due, dovremmo allora affermare con certezza come in assenza di una certezza reputazionale opponibile al rumore della comunicazione e dell’informazione fake driven sulla Calabria, non si possa davvero difendere il patrimonio identitario e valoriale del suo eccellere, a volte inconsapevolmente, in così tante aree. Né tantomeno predisporre un programma di ingegneria reputazionale, ossia un piano di life time reputation, che consente di attenzionare tutte quelle emergenze reputazionali che discendono da una narrazione lesiva e schiacciata del territorio, come associabile al crimine organizzato, cosa che offende e mistifica la vera natura della gente di Calabria. 

Non vi è valore certo dimostrabile senza una certa reputazione rappresentabile scientificamente. Oggi è possibile certificarla a livello europeo e quindi nel mondo. Facendola riconoscere da Accredia in questo Paese e dalle Nazioni Unite attraverso l’UNAI, United Nation Academic Impact, l’organizzazione dell’ONU per l’impatto scientifico delle pratiche scientificamente rilevanti e certificabili. Si tratta infatti di ricollegarsi allo schema Bloomiano della conoscenza. Il Sapere è funzionale al saper Fare solo quando si raggiunge il Saper Essere con il Far Sapere. Con la marcata differenza da dichiararsi una volta per tutte. 

L’era della pubblicità e della notorietà sta lasciando il testimone a quella della reputazione e del societing, dell’intelligenza collettiva cooperante, quella concurante e mai più noncurante. È curioso osservare che la buona o eccellente nomea, un diverso e forse più elegante termine di appellare la reputazione, sia l’anagramma dell’antico etimo medioevale e rinascimentale di monea ovvero moneta. Guarda caso per onomatopea etimologica molto simile all’inglese money, il caro vil denaro. Più chiaro di così. 

La reputazione, per lanciare un’ultima metafora o se si preferisce semantica iconica rappresentativa, assomiglia molto ad una notissima vignetta del grande Mordillo, scomparso prima della pandemia, nel 2019. Un suo memorabile soggetto vede una clessidra, dove nella parte superiore sono seduti una coppia di turisti sotto l’ombrellone, piantato sulla sabbia di un’assolata spiaggia estiva. Nella parte inferiore della clessidra, l’invaso va, ad insaputa dei due bagnanti, riempendosi della stessa sabbia, per naturale caduta della stessa, facendo presagire a chi osserva quale sarà la loro prossima destinazione. Eccola qui la metafora perfetta. La reputazione è quella sabbia mobile dove il turismo pianta i suoi ombrelloni. A che serve un bello spot, una comunicazione d’impatto, se il tempo scorre e la sabbia non viene fermata? 

[Mauro Alvisi, docente universitario al Decision Lab dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, è uno dei maggio esperti internazionali di reputazione]

TANTE STORIE DI INCOMPIUTE IN CALABRIA
TRA BUROCRATI, MALAFFARE E PREGIUDIZI

di MARCELLO VILLARI – Storie di incompiute calabresi, sempre attuali. Parlando con i protagonisti, sono fatti che ti danno da riflettere. Partiamo da Cosenza: che fine ha fatto il progetto della metropolitana di superficie, opera utilissima visto che avrebbe dovuto collegare Rende – sede dell’Università di Arcavacata – con il  centro cittadino? E il nuovo ospedale della città, altra infrastruttura necessaria data la pessima figura fatta dalla Calabria in tutta la vicenda dell’epidemia del Covid? A quanto pare, dopo l’inchiesta aperta dalla procura di Catanzaro che ha coinvolto esponenti politici di primo piano della regione e della città, si è fermato tutto. E i finanziamenti europei di queste opere esistono ancora? Mistero, nessuno ne parla. Qualcuno ha chiesto che venissero inserite, data la loro fondamentale importanza, nei progetti del Recovery Plan? Non risulta. Nel frattempo l’unica impresa che aveva partecipato alla gara, per tre volte andata deserta, per la realizzazione di queste opere – la famosa CMC di Ravenna –  è stata costretta a chiedere il concordato con continuità per crediti con lo stato,  con conseguente abbandono della cooperativa di tutti i manager. Insomma crisi profonda.

Seguiamo il racconto del professor Rocco Borgia che aveva, all’epoca, seguito questa storia per conto della cooperativa ravennate. «Ero stato incaricato dal presidente di CMC di seguire la fase preliminare e l’iter tipico di questo genere di appalti – racconta Borgia – perché la CMC era interessata a partecipare alla gara europea  e poi eventualmente alla costruzione dell’ospedale di Cosenza. In quel momento erano solo parole dato che non esisteva nemmeno un progetto preliminare. Per questa ragione ero entrato in contatto con alcuni professionisti e tecnici locali interessati a partecipare alla gara per la scelta del sito e per la progettazione».

Risultato: Borgia è finito nell’inchiesta della procura anche lui, ma solo per turbativa d’asta, un’ imputazione minore che molto probabilmente, come dicono i suoi avvocati, tenendo anche presente che gli altri imputati che hanno scelto il rito abbreviato sono già stati assolti, finirà per lui positivamente. Continua Borgia: «Il mio coinvolgimento nell’accusa di turbativa d’asta è conseguenza di questi contatti – che in questo tipo di attività sono normali – con i tecnici, non ho avuto nessun contatto invece con politici locali come risulta anche dalle intercettazioni. Questi rapporti servono perché consentono di seguire tutta la partita preliminare che porta alla gara vera e propria, in questo caso quella per la per la costruzione dell’ospedale. Non avevamo allora molta fiducia, visto che in Calabria, nel caso degli ospedali di Vibo e di Palmi tanto per fare qualche esempio,  siamo ancora, dopo vent’anni, alla posa della prima pietra.  E comunque, ripeto la CMC, che io rappresentavo, non era interessata a partecipare a queste gare preliminari ma solo alla costruzione dell’opera semmai si fosse realizzata».

Risultato: niente opere per il momento e il mio interlocutore, un calabrese andato via dalla Calabria più di quarant’anni fa, che mi fa capire che in questa regione non ci metterà più piede, almeno per lavoro.

Questo ci introduce al nostro secondo racconto che potremmo titolare: “Essere calabresi è sinonimo di mafia e malaffare”. Parliamo ancora del professor Rocco Borgia e di un’altra vicenda accaduta fuori dalla nostra regione. Lui è una persona particolare con un curriculum professionale veramente straordinario, in Italia e all’estero. Esperto di cooperazione internazionale ha lavorato in questo campo per decenni, in progetti del nostro ministero degli esteri, delle Nazioni Unite, della Commissione europea  e di istituzioni internazionali del valore di decine di milioni di dollari, come esperto e fondatore di una ONG – il CINS – che si occupava di queste cose.

«Dopo trent’anni di attività in Italia e all’estero durante i quali non ho mai avuto alcun problema  giudiziario è arrivato anche a me un rinvio a giudizio (per la vicenda di Cosenza appunto). Affronterò questa nuova esperienza», dice. Ma c’è un’altra storia: Borgia è stato fatto oggetto di una campagna denigratoria da parte di un giornale del Nord in relazione alla vicenda del “cerchio magico” (così è stato definito) cioè dei rapporti del padre di Renzi, Tiziano, con la Consip relativi a degli appalti.  Tutto questo, come racconta, perché aveva avuto, in quanto all’epoca collaboratore del presidente di CMC, degli incontri con un responsabile commerciale di una piccola società di grande prestigio internazionale in produzioni ad alta tecnologia, la CEG Elettronica Industriale Spa. Questo personaggio venne successivamente coinvolto dell’inchiesta CONSIP-Romeo. Dice Borgia: «I rapporti intrattenuti con Russo da me e dal presidente di CMC presso la nostra sede di Roma erano finalizzati alla possibilità di forniture di materiale tecnologico di cui la CMC aveva necessità. Ma io non ho mai conosciuto né Renzi né suo padre e non ho mai capito perché mi hanno voluto tirare in ballo, tanto è vero che nessuna procura mi ha mai chiamato in relazione alle indagini su Tiziano Renzi e il suo giro d’affari. Ho fatto finta di niente  per anni, ma alla fine, consigliato dai miei legali ho querelato il giornale per diffamazione. Ero di fronte ormai a una escalation di notizie false e calunniose come: rinviato a giudizio per associazione e delinquere, truffa ai danni del ministero degli esteri e altro. E tutto questo nonostante lo stesso procuratore di Catanzaro, Gratteri smentì seccamente gli articoli di questo giornale affermando di non essersi mai occupato né dell’affare Consip né della mia persona. E infatti, come dicevo, nessuna Procura d’Italia mi ha mai convocato per questa vicenda».

Allora perché? «Non lo capisco – dice Borgia – l’unica spiegazione che mi sono dato è che dal momento che questo giornale stava facendo una vera e propria campagna contro Renzi non li abbia solleticati l’idea che coinvolgere un calabrese, da poter bollare come uomo della ‘ndrangheta, sarebbe stato un bel colpo da sferrare contro l’oggetto della loro campagna». Possibile? Forse è proprio così: “calabrese e ndranghetista”,  sinonimi come nel  titolo di un famoso film, Ufficiale e gentiluomo.

Questa storia mi ricorda un’esperienza personale: arrivato a Roma alla fine degli anni Settanta per il mio lavoro giornalistico avevo l’automobile targata RC (targa di Reggio Calabria). Allora ero giovane facevo vita notturna e poi dai giornali si usciva tardi. Un inferno. Venivo continuamente fermato dalla polizia per controlli (allora non c’erano i computer e quindi si perdeva tempo) fin quando una notte un’auto civetta mi ha sbarrato la strada sono usciti due agenti in borghese come forsennati e trattato quasi come un criminale. La mattina dopo praticamente all’alba sono andato in circoscrizione e ho chiesto la residenza a Roma, e cosi ho potuto cambiare la targa alla macchina. “Roma” finalmente! Cosi ho messo fine a quel tormento. Forse un po’ ce lo meritiamo, ma insomma avere questo marchio è proprio troppo, la Calabria è anche altro e forse noi stessi  dovremmo essere i primi a ricordarcelo e a ricordarlo anche agli altri. (mvi)

 

TURISMO È “COMUNICAZIONE EMOZIONALE”
PER LA CALABRIA PROMOFILM DA 11 MILIONI

di SANTO STRATI — La cifra che circola (11 milioni di euro) per la realizzazione del film che il regista Gabriele Muccino ha proposto alla Regione per “promuovere efficacemente le esperienze turistiche che il territorio offre e non più solo luoghi da visitare”, non deve spaventare. Un film non si fa con quattro spicci, soprattutto quando si pensa a un cast internazionale per dare all’opera un alto profilo. Quello che lascia perplessi sono le modalità con cui la Regione pianifichi i dovuti investimenti per la promozione turistica, trascurando totalmente il primo problema che andrebbe affrontato: la reputazione.

Se indicate a qualcuno un locale dove mangiare bene, la prima domanda che vi sarà posta non è “come si mangia”, ma “cosa dicono del locale?”, ovvero qual è la sua reputazione? Ormai non basta più dire che un luogo è bello e merita di andarci in vacanza, occorre che ci siano “referenze” solide e affidabili. In altre parole è necessario costruirci intorno una buona reputazione. Cosa che la Calabria, purtroppo, non ha: per ignoranza, cattiveria o stupidità, frutto di vieti luoghi comuni e di cattiva stampa, male informata. Occorre dare preliminarmente l’immagine di California d’Europa (quale potrebbe diventare la nostra terra) sfruttando ogni opportunità di carattere artistico-culturale, ambientale e paesaggistico, nel solco di tradizioni suggestive: materia prima ce n’è a bizzeffe, a partire dai Bronzi di Riace alle preziose testimonianze della Magna Grecia per finire al Mosaico del Drago, per stare in ambito archeologico, o gli 800 km di costa incontaminata (14 bandiere blu), i tre parchi naturali (Aspromonte Sila, Pollino), le tre minoranze linguistiche (grecanica, occitana, arbereshe), e via discorrendo. Un’immagine che non può essere affidata all’improvvisazione ma richiede grandi investimenti e, soprattutto, l’importante apporto di specialisti del marketing con comprovata esperienza e risultati alle spalle. Se prima o contestualmente ad altre iniziative (tipo il promofilm di Muccino) non si “svecchia” lo stereotipo di Calabria terra di briganti (una volta) di ‘ndrangheta e malaffare (ieri), di Sud desolato e dimenticato, qualunque buon proposito svanirà nello spazio di un mattino. La comunicazione, oggi, corre velocissima: si può costruire ex novo un’immagine positiva in tempi straordinariamente brevi, ma allo stesso tempo i social possono smontare in due click qualsiasi percorso di “riabilitazione” e apprezzamento. Attenzione, nel nostro caso nessuno s’azzardi a parlare di “riabilitazione” perché non c’è alcuna reputazione perduta, è che non c’è proprio reputazione. Il mondo conosce la gente calabrese attraverso i suoi tantissimi rappresentanti sparsi in ogni angolo della terra (spesso apprezzati scienziati, amministratori pubblici, artisti) ma sa poco o niente della Calabria. Dov’è, come ci si arriva, quale storia ha dietro, ecc. Non è nostro compito raccontare come si costruisce una reputazione (non è il nostro mestiere), ma ci permettiamo di insistere nel dire che la Calabria ha quasi sei milioni di testimonial “autentici” sparsi dovunque: i calabresi nel mondo non sono un “fastidio” sono una risorsa inestimabile. Non come serbatoio di voti, come qualcuno in passato ha inteso il ruolo, ma come affidabili testimonial di una terra dai tesori inestimabili. Partiamo da qui, favoriamo il turismo di ritorno per le generazioni successive dei calabresi che vivono in Australia, in Canada, in Europa, per far conoscere con agevolazioni vere (non con un semplice buffet d’accoglienza) la terra dei loro avi. Sono migliaia, ogni anno, i calabresi d’America o d’Australia, solo per citarne qualcuno, che vengono a trascorrere le vacanze in Calabria, al paese che li ha visti nascere e si portano – quando possono – generazioni di figli e nipoti che conoscono solo in video e foto la terra delle proprie origini. La Regione cominci a studiare la possibilità di promuovere le vacanze dei calabresi che vivono fuori della Calabria, avremmo il pienone degli alberghi (destinati a modeste presenze, quest’anno) e un ritorno d’immagine straordinario. Ma, per favore, non si continui a improvvisare: gli esperti servono a dare suggerimenti e nel campo della reputazione è necessario l’intervento di specialisti se si vogliono portare a casa risultati. La Giunta Santelli può vantare ottime personalità, ma a ognuno il suo mestiere. L’errore delle passate consiliature è stato quello di considerare il turismo alla stregua di una delle tante opportunità per il possibile sviluppo della Regione: è sbagliato. Il turismo, associato alla cultura e all’ambiente “è” l’opportunità numero uno di qualsiavoglia ipotesi di crescita. Quindi ben vengano i Muccino e tanti altri maestri narratori (Mimmo Calopresti ha dipinto col suo Aspromonte-La terra degli ultimi uno straordinario affresco della Calabria, ma il suo film, un capolavoro, non ha trovato il sostegno dovuto), ben vengano attori e protagonsiti, magari calabresi, a far parlare di Calabria, ma non si riduca il tutto a un’operazione spot del “ciak si gira” e finisce lì.

La Regione, nella sua delibera del 15 giugno, tenuta, – chissà perché – quasi nascosta fino a quando qualche giornale non ha cominciato a parlarne, dichiara che tra «gli obiettivi strategici di è quello di adottare tecniche di comunicazione di tipo “emozionale”. E la presidente Jole ha proposto di prendere in considerazione «la proposta artistica audiovisiva del maestro regista e scenografo Gabriele Muccino», su cui la Giunta ha deliberato di esprimere il proprio apprezzamento, trasmettendo al Dipartimento Turismo, Spettacolo e beni culturali «per quanto di competenza».

Non sappiamo cosa abbia proposto Muccino, sul cui nome non c’è nulla da dire, ma abbiamo l’impressione che il rischio maggiore sia quello di “bruciare” risorse su un prodotto occasionale ed episodico. La narrazione che Gabriele Muccino ha in mente di fare sulla Calabria sarà importante, stimolante, originale: lo scopriremo più avanti. Ma non fermiamoci qui e, soprattutto, si metta mano alla reputazione. Da essa vengono le campagne marketing, le iniziative di promozione, le attività di informazione sui media mondiali. Solo così si potrà cominciare a parlare di Calabria, California d’Europa. (s)