ASCOLTANDO I PROTAGONISTI EMERGONO FATTI CHE INDUCONO A RIFLETTERE: BISOGNA DIFENDERSI DALLE INFAMIE;
Opere incompiute in Calabria

TANTE STORIE DI INCOMPIUTE IN CALABRIA
TRA BUROCRATI, MALAFFARE E PREGIUDIZI

di MARCELLO VILLARI – Storie di incompiute calabresi, sempre attuali. Parlando con i protagonisti, sono fatti che ti danno da riflettere. Partiamo da Cosenza: che fine ha fatto il progetto della metropolitana di superficie, opera utilissima visto che avrebbe dovuto collegare Rende – sede dell’Università di Arcavacata – con il  centro cittadino? E il nuovo ospedale della città, altra infrastruttura necessaria data la pessima figura fatta dalla Calabria in tutta la vicenda dell’epidemia del Covid? A quanto pare, dopo l’inchiesta aperta dalla procura di Catanzaro che ha coinvolto esponenti politici di primo piano della regione e della città, si è fermato tutto. E i finanziamenti europei di queste opere esistono ancora? Mistero, nessuno ne parla. Qualcuno ha chiesto che venissero inserite, data la loro fondamentale importanza, nei progetti del Recovery Plan? Non risulta. Nel frattempo l’unica impresa che aveva partecipato alla gara, per tre volte andata deserta, per la realizzazione di queste opere – la famosa CMC di Ravenna –  è stata costretta a chiedere il concordato con continuità per crediti con lo stato,  con conseguente abbandono della cooperativa di tutti i manager. Insomma crisi profonda.

Seguiamo il racconto del professor Rocco Borgia che aveva, all’epoca, seguito questa storia per conto della cooperativa ravennate. «Ero stato incaricato dal presidente di CMC di seguire la fase preliminare e l’iter tipico di questo genere di appalti – racconta Borgia – perché la CMC era interessata a partecipare alla gara europea  e poi eventualmente alla costruzione dell’ospedale di Cosenza. In quel momento erano solo parole dato che non esisteva nemmeno un progetto preliminare. Per questa ragione ero entrato in contatto con alcuni professionisti e tecnici locali interessati a partecipare alla gara per la scelta del sito e per la progettazione».

Risultato: Borgia è finito nell’inchiesta della procura anche lui, ma solo per turbativa d’asta, un’ imputazione minore che molto probabilmente, come dicono i suoi avvocati, tenendo anche presente che gli altri imputati che hanno scelto il rito abbreviato sono già stati assolti, finirà per lui positivamente. Continua Borgia: «Il mio coinvolgimento nell’accusa di turbativa d’asta è conseguenza di questi contatti – che in questo tipo di attività sono normali – con i tecnici, non ho avuto nessun contatto invece con politici locali come risulta anche dalle intercettazioni. Questi rapporti servono perché consentono di seguire tutta la partita preliminare che porta alla gara vera e propria, in questo caso quella per la per la costruzione dell’ospedale. Non avevamo allora molta fiducia, visto che in Calabria, nel caso degli ospedali di Vibo e di Palmi tanto per fare qualche esempio,  siamo ancora, dopo vent’anni, alla posa della prima pietra.  E comunque, ripeto la CMC, che io rappresentavo, non era interessata a partecipare a queste gare preliminari ma solo alla costruzione dell’opera semmai si fosse realizzata».

Risultato: niente opere per il momento e il mio interlocutore, un calabrese andato via dalla Calabria più di quarant’anni fa, che mi fa capire che in questa regione non ci metterà più piede, almeno per lavoro.

Questo ci introduce al nostro secondo racconto che potremmo titolare: “Essere calabresi è sinonimo di mafia e malaffare”. Parliamo ancora del professor Rocco Borgia e di un’altra vicenda accaduta fuori dalla nostra regione. Lui è una persona particolare con un curriculum professionale veramente straordinario, in Italia e all’estero. Esperto di cooperazione internazionale ha lavorato in questo campo per decenni, in progetti del nostro ministero degli esteri, delle Nazioni Unite, della Commissione europea  e di istituzioni internazionali del valore di decine di milioni di dollari, come esperto e fondatore di una ONG – il CINS – che si occupava di queste cose.

«Dopo trent’anni di attività in Italia e all’estero durante i quali non ho mai avuto alcun problema  giudiziario è arrivato anche a me un rinvio a giudizio (per la vicenda di Cosenza appunto). Affronterò questa nuova esperienza», dice. Ma c’è un’altra storia: Borgia è stato fatto oggetto di una campagna denigratoria da parte di un giornale del Nord in relazione alla vicenda del “cerchio magico” (così è stato definito) cioè dei rapporti del padre di Renzi, Tiziano, con la Consip relativi a degli appalti.  Tutto questo, come racconta, perché aveva avuto, in quanto all’epoca collaboratore del presidente di CMC, degli incontri con un responsabile commerciale di una piccola società di grande prestigio internazionale in produzioni ad alta tecnologia, la CEG Elettronica Industriale Spa. Questo personaggio venne successivamente coinvolto dell’inchiesta CONSIP-Romeo. Dice Borgia: «I rapporti intrattenuti con Russo da me e dal presidente di CMC presso la nostra sede di Roma erano finalizzati alla possibilità di forniture di materiale tecnologico di cui la CMC aveva necessità. Ma io non ho mai conosciuto né Renzi né suo padre e non ho mai capito perché mi hanno voluto tirare in ballo, tanto è vero che nessuna procura mi ha mai chiamato in relazione alle indagini su Tiziano Renzi e il suo giro d’affari. Ho fatto finta di niente  per anni, ma alla fine, consigliato dai miei legali ho querelato il giornale per diffamazione. Ero di fronte ormai a una escalation di notizie false e calunniose come: rinviato a giudizio per associazione e delinquere, truffa ai danni del ministero degli esteri e altro. E tutto questo nonostante lo stesso procuratore di Catanzaro, Gratteri smentì seccamente gli articoli di questo giornale affermando di non essersi mai occupato né dell’affare Consip né della mia persona. E infatti, come dicevo, nessuna Procura d’Italia mi ha mai convocato per questa vicenda».

Allora perché? «Non lo capisco – dice Borgia – l’unica spiegazione che mi sono dato è che dal momento che questo giornale stava facendo una vera e propria campagna contro Renzi non li abbia solleticati l’idea che coinvolgere un calabrese, da poter bollare come uomo della ‘ndrangheta, sarebbe stato un bel colpo da sferrare contro l’oggetto della loro campagna». Possibile? Forse è proprio così: “calabrese e ndranghetista”,  sinonimi come nel  titolo di un famoso film, Ufficiale e gentiluomo.

Questa storia mi ricorda un’esperienza personale: arrivato a Roma alla fine degli anni Settanta per il mio lavoro giornalistico avevo l’automobile targata RC (targa di Reggio Calabria). Allora ero giovane facevo vita notturna e poi dai giornali si usciva tardi. Un inferno. Venivo continuamente fermato dalla polizia per controlli (allora non c’erano i computer e quindi si perdeva tempo) fin quando una notte un’auto civetta mi ha sbarrato la strada sono usciti due agenti in borghese come forsennati e trattato quasi come un criminale. La mattina dopo praticamente all’alba sono andato in circoscrizione e ho chiesto la residenza a Roma, e cosi ho potuto cambiare la targa alla macchina. “Roma” finalmente! Cosi ho messo fine a quel tormento. Forse un po’ ce lo meritiamo, ma insomma avere questo marchio è proprio troppo, la Calabria è anche altro e forse noi stessi  dovremmo essere i primi a ricordarcelo e a ricordarlo anche agli altri. (mvi)