di MIMMO NUNNARI – C’è un tema da affrontare in Calabria, con forza e determinazione, che interessa la quasi totalità dei 404 comuni e in primo luogo le cinque città capoluogo: Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio e Vibo. Riguarda la “manutenzione programmata”, un termine tecnico che significa prevedere nella programmazione annuale e nei bilanci una costante manutenzione, in particolare dei centri storici e delle periferie che sono le più colpite dal degrado e dell’abbandono.
A nessuno, che abbia un minimo di amore per la propria città, per la loro storia, e rispetto per i cittadini, può sfuggire l’importanza del complesso di operazioni necessarie a conservare funzionalità ed efficienza dei beni di una comunità: strade, edifici, monumenti, macchinari, argini di fiumi, impianti di depurazione, acquedotti, edifici storici. L’elenco può essere lungo, e ognuno può aggiungerci qualcosa a piacimento poiché la “reintegrazione” di ciò che non funziona, o funziona male, è un “interesse” comune, riguarda tutti.
La manutenzione, che chiameremo fattore “M”, pone una questione seria, fondamentale, anzi due: la migliore qualità della vita urbana e la sicurezza della vita dei cittadini.
Nonostante il problema sia fondamentale per il controllo del territorio e per il suo sviluppo, da anni sembra scomparso dall’agenda dei comuni e dai bilanci.
Si pensa, ad ogni inizio di amministrazione, ad opere nuove che in buona parte non saranno mai completate, ma poco, o nulla, si fa per la cura, il restauro e la riconquista di spazi sempre più degradati. Un tempo, il fascino calabrese, ciò che attraeva i visitatori, riguardava luoghi, paesaggi, testimonianze delle antiche civiltà, delle città scomparse. Molto di questo patrimonio, di questa enorme ricchezza, è andata distrutto per incuria, terremoti, calamità naturali, ma tanto è rimasto, e altrettanto è stato ricostruito, a volte anche sensatamente, con criteri urbanistici e architettonici eccellenti. Pensiamo alla nuova Reggio del dopo terremoto del 1908, ma pensiamo anche alla trascuratezza di Cosenza (l’Atene della Calabria) che ha uno dei centri storici più importanti del Meridione che aspetta di essere valorizzato, alla Catanzaro con i balconi sul Golfo di Squillace, con le viuzze, i vecchi palazzi, con la “Grecìa”, il più antico quartiere catanzarese, e poi a Crotone, con le sue pietre che parlano di arte, di storia e di cultura, e a Vibo, con le sue architetture religiose, i palazzi storici, i reperti di un grande passato.
Tutte queste città, con un glorioso passato alle spalle, avrebbero bisogno di una manutenzione costante, di un restauro, per conservare la loro invidiabile bellezza e tenere lontano il degrado, che è il segno più impietoso del sottosviluppo e del deficit di civiltà. Ma così non è stato e la degradazione ha aggredito centri storici e periferie, senza risparmiare nessuno. Le colpe, in questo caso, inutile andarle a trovare altrove, col cattivo costume del vittimismo, poiché sono colpe interne, colpe di chi non ha agito, di chi non ha vigilato, di chi è stato ed è ancora oggi, incapace di sviluppare azioni programmate.
È mancata la politica urbana o, peggio, se c’è stata è stata pessima, per aver consentito urbanizzazioni scriteriate, messo alla porta la parola manutenzione, scambiato il restauro con la demolizione.
Non si potrà fare mai turismo, o pensare al patrimonio artistico e culturale della Calabria come ad un attrattore, se non si volta pagina. Altro che gadget, che ragionevolmente il presidente Occhiuto ha bloccato, spiegando che le priorità sono altre, per richiamare i visitatori in Calabria. Chi vive a Reggio – per fare un esempio di quello che non va – una delle più belle città del Mediterraneo, dove si preparano a stravolgere una piazza storica (De Nava) con sottostante necropoli ellenistica, con un progetto avventato, dove sono state installate 46 colonne metalliche in via Marina che somigliano ai ferri che fuoriescono delle palazzine mai finite, dove per celebrare i 50 anni del ritrovamento dei Bronzi di Riace è stata ingaggiata Anna Falchi, sa delle strade gruviera, dei tombini otturati, dei marciapiedi sbriciolati, degli acquedotti rotti, della sporcizia diffusa, della spazzatura accatastata, del tapis roulant dormiente, del Lido divenuto casa dei topi, dei semafori spenti, delle voragini e del livello di civiltà, miseramente basso, frutto della maleducazione di una minoranza di cittadini ma conseguenza anche, o soprattutto, della politica amministrativa inadeguata.
I “costumi greci” (e Reggio è greca) si chiamavano così perché i cittadini imitavano lo spirito e il gusto della politica, si ispiravano all’arte, alla cultura, al bello. Oggi da imitare c’è poco, prevale lo stile barbaro della distruzione e della “coatta” convivenza col degrado. Citiamo Reggio perché nella sua storia questa città ha bellezza e civiltà, ma oggi, con un presente declinante, occupa uno dei primissimi posti nella graduatoria nazionale dell’inefficienza, della degradazione, delle opere incompiute, delle bruttezze programmate.
Il problema, sia chiaro, esiste in tutte e altre città capoluogo, e in tutti, o quasi tutti, i comuni grandi e piccoli della regione, salvo rare lodevoli eccezioni, che sarebbe giusto encomiare e citare, ma soprattutto premiare. In Francia molti comuni e villaggi si fregiano di fiori che appaiono sui loro cartelli segnaletici (una specie di stella Michelin) che corrispondono a qualità, pulizia e arredo urbano. Più funzionano i servizi, di più fiori ci si può fregiare, e più contributi si possono ricevere. Sarebbe bello se il tandem Occhiuto-Princi oggi al vertice della Regione, istituisse qualcosa del genere, premiando i comuni virtuosi, incentivandoli con finanziamenti aggiuntivi e autorizzando a fregiarsi di un simbolo, un fiore, una stella, un segno di riconoscimento, un frutto rinomato, un bergamotto, un cedro, un grappolo d’uva e così via in misura corrispondente ai meriti. Sono mille i simboli della Calabria che rappresentano la sua storia.
È chiaro, va detto, che la manutenzione richiede quadri pubblici preparati e adeguate professionalità e si obietterà che ci sono comuni dove se un sindaco non sa scriversi una lettera, quella lettera non la scriverà nessuno, ma non è un buon motivo per non mettere in atto politiche che consentono di conservare i beni comuni e contestualmente promuovere i processi di sviluppo delle città. In passato, soprattutto nei piccoli comuni, era sufficiente un buon ragioniere per il bilancio e un buon geometra preparato per i lavori pubblici, per ottenere ottimi risultati. Il problema è, dunque, essenzialmente, politico, di cultura amministrativa. Certo ci sono pure insufficienze che derivano da problemi di bilancio, anche questo è vero, ma è pur vero che le risorse spesso si sprecano, si distraggono in feste, festicine, sagre, manifestazioni pseudo culturali dove manca la cultura, rassegne del “qualunquemente”, che magari saranno pure gradite, ad una fetta di cittadini, o servono per rispondere ad una certa domanda sociale, ma le buche, i tombini intasati, le caditoie otturate, i marciapiedi rotti e così via dovrebbero avere priorità. Questi scempi, dobbiamo dircelo, sottovoce, riguardano le amministrazioni del Sud, della Calabria in particolare, perché a queste latitudini la manutenzione è sconosciuta.
In qualsiasi città del Nord, le cose vanno diversamente. I centri e le periferie sono puliti, il verde è curato, i servizi sono efficienti, i parchi pubblici un gioiello. Ci pesa fare questi raffronti, anche in considerazione del fatto che le differenze Nord Sud come sappiamo sono al fondo di ogni problema di deficit del Meridione, ma il modo di fare di sindaci, amministrazioni, ha condannato le città calabresi alla logica dell’incompletezza, del tiriamo a campare, che è il segno più evidente del sottosviluppo. (mn)