Visita del viceparroco di Betlemme fra Emad Kamel, minore francescano in terra Santa, al Presepe dei Netturbini di Roma, la bella e storica realizzazione del calabrese Giuseppe Ianni (originario di Bagnara Calabra). 49 anni fa Ianni ebbe la felice intuizione di impiantare un presepe presso un deposito dei servizi di Nettezza Urbana vicino a piazza San Pietro, una rappresentazione della Natività cristiana che nel tempo ha avuto un crescente e lusinghiero successo con presenze importanti da ogni parte del mondo: si sono recati in visita tre Santi (tra cui Madre Teresa di Calcutta), diversi pontefici (ancora manca la visita di papa Francesco), Capi di Stato e milioni di pellegrini. Riproduce un angolo di Palestina e racconta esattamente la storia della nascita di Gesù.
Il presepe, nato nel 1972, festeggerà il prossimo anno i 50 anni anni. Ha scritto sul blog di Osservatorio RomaMaria Teresa Rossi: «Papa Giovanni Paolo II, oggi Santo, lo amava in modo particolare e per 24 anni consecutivi vi si è recato in visita, valutando con attenzione ogni particolare che si aggiungeva, in un continuo work inprogress, ad un luogo che ha accolto e accoglie pietre provenienti da tutto il mondo, perfino dalla luna, incastonate una ad una sulle pareti esterne e sul basamento del presepe. Quando le sue condizioni di salute non gli hanno più permesso di visitarlo, i netturbini hanno realizzato un presepe in miniatura, identico all’originale, consegnato in Vaticano a Papa Wojtyla da uno di loro che era stato da lui miracolato proprio dopo un incontro di preghiera nella grotta della Natività di via dei Cavalleggeri».
Alla visita del viceparroco di Betlemme hanno presenziato, tra gli altri il Presidente di Osservatorio Roma ing. Nicola Barone e il cardiochirurgo prof. Franco Romeo, due calabresi illustri che vivono a Roma. (rrm)
di SANTO STRATI – A memoria, sembra sia la prima volta che tutti i sindaci di un’intera regione si trovino a manifestare tutti insieme, indipendentemente dall’appartenenza politica, davanti a Palazzo Chigi. I 400 sindaci calabresi che con ogni mezzo sono arrivati a Roma, hanno ben chiaro cosa vogliono dal Governo: intendono rappresentare «l’allarme crescente che si coglie nelle popolazioni dei comuni calabresi» di fronte al disastro sanità in cui la regione sta sprofondando ogni giorno di più. Il nuovo decreto Calabria – che proroga con qualche discutibile correttivo il precedente obbrobrio varato dal Conte 1 – è una nuova sciagura per la Calabria e i calabresi. Si ribadisce il commissariamento (anche se trovare un commissario sta diventando una corsa a ostacoli), e si sottrae ancora una volta la gestione della sanità ai calabresi.
Chi ha provocato i guasti della sanità calabrese? Al di là delle responsabilità penali su cui dovrà indagare la magistratura, c’è un responsabile istituzionale dello sfascio: il Governo. A fine luglio 2010 veniva cancellata la figura dell’assessore regionale alla Sanità e la responsabilità veniva acquisita dal Governo che avviava il commissariamento affidandolo al presidente della Regione Giuseppe Scopelliti. Il ministro delle Finanze dell’epoca era Giulio Tremonti, in carica c’era il Governo Berlusconi IV, il sessantesimo dalla nascita della Repubblica, e sarebbe rimasto in sella fino al 16 novembre 2011. Il commissariamento – secondo Tremonti – «doveva gestire il settore – affiancato dalla Guardia di Finanza – per sancire il ritorno dello Stato». I risultati sono noti, fino agli ultimi disastri firmati Cotticelli. La responsabilità è decisamente di chi ha scelto i vari commissari per sanare il deficit e non ha controllato cosa si stesse facendo: sempre il Governo.
Per questa ragione, già solo a titolo di risarcimento, il Governo dovrebbe azzerare il debito della sanità calabrese e permettere alla regione di ricominciare da zero. E ci sono le condizioni, vista l’ “elasticità” finanziaria concessa agli Stati per l’emergenza Covid, perché si possa davvero pensare ad azzerare tutto. Già, perché questa è una conditio sine qua non contro la quale neanche il più brillante mago della finanza riuscirà mai, nelle vesti di commissario dai super poteri (come indicato dal decreto Sanità che attende di essere convertito in legge), a risanare i conti. È molto evidente: non si sa quanti sono i debiti, chi sono i creditori, chi s’è fatto pagare tre volte la stessa fattura e chi è fallito per i mancati pagamenti di forniture reali: non esistono documenti contabili da anni, sembra fosse in uso la pratica della contabilità “orale”, una cosa che se per scherzo prova a praticare qualsiasi imprenditore finisce in galera e buttano via la chiave. Invece, l’allegra contabilità della sanità calabrese non è mai stata controllata dai vari commissari che, a loro volta, non sono stati controllati da chi li ha nominati. Un pasticciaccio brutto (Gadda non c’entra, purtroppo, almeno avremmo buona letteratura) che ormai ha scatenato un irreversibile processo di indignazione popolare. Quella che andranno oggi pomeriggio a rappresentare al presidente Conte i sindaci dei cinque capoluoghi (Giuseppe Falcomatà, Maria Limardo, Sergio Abramo, Vincenzo Voce e Mario Occhiuto) accompagnati dal vicepresidente vicario di Anci Calabria Franco Candia a nome delle 400 fasce tricolori che occuperanno simbolicamente Piazza Colonna in un sit-in statico, che avrebbe meritato anche l’attenzione del Presidente Mattarella.
I calabresi non ne possono più, non vogliono sentir più parlare di colonizzazione (commissari scelti dall’altro, senza consultazione né confronto col territorio), ma, soprattutto, non accettano di passare per cittadini di serie b, in particolar modo nell’ambito della salute. Un emiliano ha 90 euro per curarsi contro i 15 di un calabrese: come la vogliamo chiamare? Disuguaglianza, disparità o inammissibile vergogna? Lasciamo la scelta ai nostri governanti.
E meno male che dal cappello a cilindro il presidente Conte ieri sera non ha estratto il nome del quarto commissario destinato a occuparsi della sanità calabrese: visto che oggi pomeriggio incontra i sindaci, provi a trovare una soluzione condivisa, com’è giusto che sia. Visto che, data l’emergenza, un commissario responsabile della sanità serve con estrema urgenza, nel vuoto politico che s’è creato nella Regione. Il Consiglio regionale è formalmente sciolto, la Giunta si può occupare solo di ordinaria amministrazione, ma intanto la gente soffre e muore. Serve un commissario capace e competente che abbia a disposizione una squadra locale di scienziati, ricercatori, tecnici, amministratori: tutte professionalità di cui la Calabria è ampiamente ricca. Non basta la competenza amministrativa, servono conoscenza medico-sanitaria e conoscenza del territorio. Diversamente sarà un’impresa che parte già con freno a mano tirato.
Sono arrivate le tende-ospedali – grazie – ma dove sono i medici, gli infermieri specializzati, i tecnici necessari a offrire l’assistenza che serve? Ci sono una decina di ospedali in disuso, abbandonati, pronti, ripristinabili quasi subito, e in Calabria che si fa? Si montano le tende. La precarietà è ormai una consuetudine della regione, ma l’orlo è colmo, siamo arrivati alla fine del viaggio. Il Governo, lo Stato non può ignorare, trascurare, dimenticare la Calabria e i calabresi.
L’Associazione dei Comuni Italiani (Anci) Calabria l’11 novembre ha votato un documento già trasmesso a Palazzo Chigi con cui indica le priorità da raggiungere. Cinque punti con i quali si mettono in evidenza le seguenti necessità: superare la fase di commissariamento nella sanità calabrese; abbattere e ripianare il debito storico provocato dalle stagioni commissariali; potenziare il personale sanitario superando i vincoli imposti dal precedente decreto Calabria scaduto il 3 novembre; attivare il Piano Covid con allestimento di posti letto di terapia intensiva e subintensiva (con assunzione di medici e paramedici) e acquisto della strumentazione necessaria; coinvolgere i sindaci nelle Conferenze sanitarie regionali.
Può sembrare tanto, ma è piccola cosa rispetto ai danni provocati. Ma non si pensi che la mobilitazione dei 400 primi cittadini finirà oggi pomeriggio con un prevedibile “volemose bene” da parte del Governo. I calabresi non vogliono cortesie, ma esigono di essere rispettati e che siano rispettati i loro diritti di italiani, a cominciare dal diritto alla salute. Lo tenga ben presente il premier Conte, con la Calabria si gioca la sua futura carriera politica: il Governo non può cadere, data l’emergenza, e non ci sono alternative, ma il tempo scorre in fretta e le legittime ambizioni politiche di “Giuseppi” dovranno fare i conti con le azioni e le scelte di oggi.
Chieda ai sindaci, Presidente Conte, come si può uscire dal baratro della sanità calabrese e quante risorse umane di altissimo livello ci sono in Calabria pronte a mettersi in gioco con l’orgoglio di fare qualcosa di buono per la propria terra. Quel qualcosa che molti nostri giovani laureati, ricercatori, professionisti sono stati costretti a donare, arricchendoli, ad altri Paesi, per assenza di opportunità nella terra che li ha visti nascere. Perché noi calabresi abbiamo una marcia in più e basta guardarsi in giro, in ogni parte del pianeta: la Calabria è nel mondo, con fior di scienziati, uomini e donne delle istituzioni, professionisti e imprenditori che danno lustro alla propria terra lontana e soffrono a vedere com’è ridotta. La Calabria ha bisogno di ripartire, cominciando proprio dalla sanità. (s)
In copertina: i 97 sindaci della Città Metropolitana di Reggio Calabria davanti alla Prefettura qualche settimana fa (foto di Attilio Morabito, courtesy Comune di Reggio)
Da Reggio Calabria fino ai Centri Covid di Roma e Bergamo. È questo il viaggio delle 5 mila bottiglie di succo di Bergamotto di Reggio Calabria prodotte dall’Azienda agricola Patea e della Coop Bergamia di Brancaleone che sono arrivate grazie all’impegno del KiwanisDistretto Italia San Marino – Divisione 13 Calabria Mediterranea al “San Filippo Neri” di Roma e al “Papa Giovani XXIII” di Bergamo.
Una scelta non casuale, dato che l’effetto del Bergamotto di Reggio Calabria «è storicamente riconosciuto – ha spiegato Fabio Trunfio dell’Azienda Agricola Patea –. Proprio a Reggio, all’inizio del secolo scorso, furono risparmiate dalla nefasta “Spagnola” proprio quelle famiglie che lavoravano nel comparto del Bergamotto».
Come ha spiegato Rosario Previtera, luogotenente governatore della della Divisione 13 Calabria Mediterranea del Distretto Italia San Marino del Kiwanis, «il Kiwanis, in Europa e in Italia, ha agito contro gli effetti sociali e sanitari del Covid-19 con decine di piccole e grandi iniziative dei Club locali».
Inoltre, a suggello dell’iniziativa, a Roma, nel Parco “Santa Maria della Pietà” saranno piantumati gli alberelli di Bergamotto di Reggio Calabria dei Vivai Fratelli Praticò, a ricordo dell’iniziativa solidale. (rrc)
La band calabrese Ragainerba ha composto e registrato una canzone per aiutare, tramite una raccolta fondi, la Protezione Civile in questo momento di emergenza sanitaria.
Il gruppo, che ha registrato il video tra Roma, Palmi e Reggio Calabria, è composto da AntoniO Cogliando (voce), Vincenzo Misale (chitarra, cori), Roberto Aricò (basso), Michele Misale (batteria), ed «è dedicato a tutte quelle persone che, quotidianamente, combattono in prima linea per questa emergenza. Grazie, ce la faremo».
La grande partecipazione che ha contraddistinto ieri sera a Roma la presentazione alla Feltrinelli Red del bel libro di Francesco Maria Spanò e la seconda parte dell’incontro La Calabria che risorge promosso dall’avv. rosarnese Giacomo Saccomanno, rivela due cose importanti: la prima che, nonostante la minaccia del coronavirus, la gente si muove e partecipa se gli incontri sono di grande interesse, la seconda che la comunità di calabresi a Roma è viva e si mostra particolarmente attenta a ogni iniziativa che ha a che fare con la propria terra. È un segnale che occorre incrementare le occasioni di incontro e di scambio nella comunità romana dei calabresi (Roma è la più grande città della Calabria: ne conta oltre 500mila), facendo della cultura il punto chiave della rinascita e della crescita.
Del libro di Francesco Maria Spanò (leggere la recensione di Calabria.Live) non si può parlare che bene perché soprattutto riesce a suscitare un’onda emotiva straordinaria, tra orgoglio di appartenenza e la suggestione di una terra che è lontana solo fisicamente ma sempre presente nel cuore. Gerace rappresenta il simbolo della cultura della Calabria, è un punto cruciale di attrazione di una terra che, peraltro, ha generato figli non ingrati, sparsi per il mondo ad occupare posti di rilievo in tutti i campi, ma sempre con la Calabria nel cuore. Riempie d’orgoglio sapere che nelle istituzioni, nella cultura, nella comunicazione, nell’imprenditoria, molti vertici sono coperti da gente di Calabria. Spanò ha colto, in un percorso di ricerca interiore, i sentimenti non solo di chi a Gerace c’è nato ma anche di chi è innamorato di Gerace. E qui ha giocato facile: come si fa a non amarla? La testimone principale della serata alla Red è stata la giornalista Anna La Rosa, già direttore Rai di Telecamere, che – manco a dirlo – di Gerace è un’altra figlia “nobile”: il suo intervento è stato quello appassionato d’una figlia che non finirà mai di dire grazie alla madre, di chi è orgogliosamente legato alle proprie origini. Una sala strapiena, con la presentazione di Fulvio Giardina, presidente del Ordine degli Psicologi, e un affettuoso ricordo di Gerace regalato dall’ex presidente della Regione Pino Nisticò.
Altra sala stracolma quella dell’Associazione Amici di San Francesco, diretta con crescente passione da Vincenzo Cortese, che ha ospitato la seconda serata dell’incontro La Calabria che risorge. Applauditi gli interventi di Alessandro Tortorella, presidente del Rotary E-Club Roma, di Gemma Gesualdi, presidente dell’associazione Brutium, di Antonella Freno, presidente dell’associazione Italide, di Laura Borgese, segretaria della Fondazione La Casa di Giacomo e del presidente del Tribunale delle Imprese Tommaso Marvasi. Quest’ultimo ha raccolto una grande attenzione, grazie anche alle pertinenti domande della giornalista Rai Vittoriana Abate che ha moderato il dibattito. La serata ha visto, in conclusone, la distribuzione di premi e riconoscimenti a chi si spende per il bene della Calabria. Un’iniziativa, questa dell’avv. Saccomanno, che punta a riunire le “belle teste” dei calabresi che contano a Roma per metterle al servizio della Calabria: con intelligenza, passione e lo struggente amore che tutti i calabresi hanno per la propria terra. (rrm)
di SANTO STRATI – La Calabria che risorge. A volte basta uno slogan per prendere coscienza e spingere a fare rete, quella che il filo invisibile che lega tutti i calabresi potrà portare a una rinascita oggi più che mai irrinunciabile. Lo slogan è partito da Roma dal felice incontro dell’avvocato rosarnese Giacomo Saccomanno e Vincenzo Cortese, presidente di un circolo di calabresi nel cuore di Prati, a Roma, dedicato, manco a dirlo, a San Francesco di Paola. Tra i due dev’essere scoccata una scintilla e nello spazio di via Cassiodoro hanno inventato una due giorni su La Calabria che risorge, con la partecipazione di personalità, autori, scrittori, giornalisti, politici, dirigenti scolastici, imprenditori, con una comune idea: dalla crisi si rinasce, anzi si risorge. Ma solo i calabresi, se messi insieme, potranno dar vita a questo miracolo se lo vogliamo chiamare così, quando non sarebeb altro che il risultato di un’intelligente sinergia tra le teste pensanti che hanno a cuore questa terra.
In questo terribile momento di angoscia a causa del nemico invisibile che si chiama coronavirus, gli italiani sono più che mai disorientati. Il Nord, l’opulento e altezzoso Nord, scopre la debolezza e si spaventa dell’ignoto, complice anche una sbagliata comunicazione che fa apparire l’Italia come una terra di “appestati”. I meridionali no, e soprattutto i calabresi: non si spaventano e non arretrano, sanno benissimo cosa significa crisi, ne hanno affrontate talmente tante che sono quasi immunizzati. E sanno reagire.
È per questo motivo che Saccomanno incita ad approfittare del momento e riconquistare spazi che nessuno, prima, era disposto a concedere. E l’appello viene colto da un imprenditore del Sud, Mario Romano, illuminato industriale grafico di Tropea, che ha una avviatissima azienda che si affaccia sul mare, con uno stabilimento bellissimo che fa venir voglia di non smettere di lavorarci dentro. Romano, che ha puntato tutto sulla qualità, con la testardaggine tipica dei calabresi, ha vinto la sfida ed è diventato persino fornitore del Poligrafico dello Stato: «Non so più quante battaglie perse con la burocrazia regionale, quante difficoltà e quante volte mi ha sfiorato la tentazione di mollare, e invece ho tenuto duro, tenendo a mente che quando c’è la crisi è il momento buono per investire e affermarsi, farsi conoscere, farsi apprezzare. È quello che devono fare gli imprenditori calabresi – dice Romano – che sono i soli che possono fare la fortuna della propria terra».
«Non servono – gli fa eco l’avvocato Saccomanno, già apprezzato sindaco di Rosarno in anni passati – gli imprenditori-avvoltoi che vengono a rapinare risorse e scomparire, a cui non interessa nulla della Calabria. Solo i calabresi salveranno la Calabria, ricordiamocelo quando viene lo sconforto e tutto sembra ormai perduto. Guardiamo al Piano per il Sud: il Governo dice che ci sono le risorse finanziarie, ma è un libro con le pagine bianche: dobbiamo scriverle noi quelle pagine, cogliere l’opportunità che ci viene offerta. 100 miliardi in dieci anni significano un mare di posti di lavoro, investimenti, nuova occupazione, ricchezza per le nostre genti. Smettiamo di rimandare indietro – come è stato fatto per troppo tempo – le risorse comunitarie: quanti miliardi inutilizzati e restituiti. Pazzesco solo a pensarlo. E allora – dice Saccomanno – facciamo rete tra tutti i calabresi, imprenditori, uomini di cultura, politici e giovani leve. Creiamo le condizioni per poter seminare e raccogliere, impegniamoci a sfruttare le nostre forze, valorizzare le nostre risorse, credere nelle nostre capacità e competenze. Dovunque, in qualunque campo, ci sono calabresi che si fanno onore e che hanno conquistato posizioni di assoluto rilievo nelle istituzioni, nel lavoro e nell’impresa, nel sociale, nella cultura: questo significa una sola cosa, che in Calabria nascono delle eccellenze naturali che, poi, purtroppo, andranno a fare la fortuna di tanti Paesi esteri o di molte regioni del Nord». Quelle che spingono – è il caso di aggiungere – per l’autonomia differenziata e vorrebbero continuare a scippare il Sud: 61 miliardi l’anno strappati dal ricco Settentrione al desolato Mezzogiorno, ma le cose stanno per cambiare.
La riserva del 34% degli investimenti a favore del Mezzogiorno è diventata legge, ce ne vorrà un’altra per abrogare questa norma di equità, ma non c’è né il tempo né la voglia di difendere l’indifendibile neanche dai più risoluti oppositori del Sud. E allora ha ragione Saccomanno, ha ragione Pino Nisticò, ex presidente della Regione, che hanno in mente di tessere una rete di opportunità che faccia della Calabria la California d’Europa. Nisticò punta sull’innovazione tecnologia e la capacità che sono in grado di esprimere le università calabresi, autentiche fucine di competenze, soprattutto in campo tecnologico. A Cosenza c’è un laboratorio di intelligenza artificiale, creato e diretto da colui che oggi è il Rettore di Arcavacata Nicola Leone, che il mondo intero ci invidia. A Reggio sperimentano tecnologie antisismiche che affascinano persino i giapponesi. E a Catanzaro si studiano soluzioni nel campo della ricerca scientifica che attirano continuamente l’attenzione di prestigiosi atenei stranieri.
Cosa significa tutto ciò? Che c’è un potenziale immenso di risorse umane in Calabria, cui si affiancano storia, miti, personaggi e bellezze naturali, tesori archeologici inestimabili, clima e paesaggi di sogno: quello che serve per ripristinare l’onore smarrito, per ridare la giusta reputazione a un popolo instancabile e operoso, che non s’arrende e non s’offende, neanche di fronte alle provocazioni più bieche ma reagisce mostrando capacità, competenza e, soprattutto, cultura. Un popolo in grado di attrarre turismo con la sua infinita storia di cultura, il suo mare, i suoi monti, i suoi santi, la sua cucina.
Calabria.Live – scusate l’autocitazione, lo ripetiamo dal primo giorno che siamo apparsi sulla rete – sostiene che la cultura è il vero antidoto contro il malaffare, la ‘ndrangheta, la mafia. È l’unico strumento che può sottrarre i giovani dalle inevitabili tentazioni dell’illegalità, più forti quando c’è degrado e assenza di futuro. Se mancano le prospettive, quale futuro possono immaginare i giovani calabresi? Facile cadere preda delle suggestioni del malaffare, soprattutto se c’è mancanza d’istruzione e sottosviluppo culturale. In poche parole se manca l’abitudine alla conoscenza mediata dalla cultura che libri, persone, la millenaria civiltà magnogreca, riescono a infondere. Se c’è cultura, c’è sviluppo: non è una frase ad effetto, è un imperativo categorico di cui il neopresidente Jole Santelli dovrà fare tesoro. Legalità, cultura e sviluppo, non parole vuote ma l’impegno che i calabresi si attendono. E con essi la costruzione di una reputazione che la nostra storia millenaria rende tutto sommato non difficile come impresa. La cultura è il collante per il turismo: ne abbiamo in quantità industriale, a cominciare dai Bronzi e dai musei, dalle chiese, per finire alle storie dei borghi che hanno un racconto infinito che non smette mai di affascinare e incantare i calabresi, figuriamoci i forestieri.
La dimostrazione di come la cultura susciti emozione e voglia di riscatto viene da serate come quella di ieri sera a Roma, che ha visto personalità del mondo culturale a parlare di Calabria. Francesco Maria Spanò, autore di un fortunato e bel libro dedicato al suo paese natìo, Gerace, ha raccontato, sulla suggestione di un viaggio dell’anima, una storia della Calabria che ha avvinto i presenti, segnata dall’ideale collegamento tra Jonio e Tirreno, tra i greci della Locride e quelli di Medma, la Rosarno magnogreca e poi romana. Tracciando un percorso, magari solo immaginario, che coinvolge e fa palpitare l’ascoltare, ancor più se non calabrese. Occorre far conoscere “questa” Calabria che odora di gelsomini della Locride e bergamotto di Reggio, dove profumano anche rovine e ruderi fascinosi quanto inestimabili, che pochi individuano solo come la casa madre di un ignobile franchising di ‘ndrangheta. Un’immagine terribile che i media continuano a mutuare, mentre i tantissimi calabresi perbene tentano di annullare e far sparire con il loro senso del dovere e l’alto senso di legalità che contraddistingue un popolo generoso e accogliente.
Serve far conoscere a tutti il fascino di una civiltà che ha insegnato quasi tutto all’Occidente. Come ha fatto, in maniera brillante e senza astruse descrizioni, l’archeologa Mariangela Preta, che ha raccontato il tesoro di Medma (Rosarno) scoperto agli inizi del secolo scorso da Paolo Orsi e riscoperto da pochi anni grazie all’impegno, alla puntuta testardaggine – tutta calabrese – di Saccomanno e altri amministratori locali che hanno voluto ricominciare a scavare. Quante pinax di Medma-Rosarno sono sparse nei musei di mezzo mondo? Lo racconta assai bene Giuseppe Lacquaniti, giornalista e scrittore, autore di una monumentale Storia di Rosarno che rivela una straordinaria e millenaria epopea di conquiste e di sconfitte (non ultima quella del sisma del 1783 che rase al suolo gran parte della Piana). Un incontro aperto dall’avv. Domenico Naccari e mediato dalla preside Mariarosaria Russo, instancabile promoter di legalità, che si ripeterà stasera con altri personaggi di spessore, tra cui don Antonio Tarzia e Gemma Gesualdi, con moderatrice la giornalista Vittoriana Abate e le conclusioni affidate di nuovo a Giacomo Saccomanno.
Sono queste le storie che bisogna far ascoltare, che bisogna far circolare, che occorre veicolare per costruire (non ricostruire) la vera faccia della Calabria. Per restituire l’onore (sottratto dalla ‘ndrangheta) ai calabresi. Che sono, ricordiamolo, una magnifica realtà perché – come ha ripetuto l’attore Gigi Miseferi in un applauditissimo intermezzo semiserio, citando Leonida Repaci – «calabrese non è espressione geografica, significa categoria morale». (s)
Stasera alle 18 a Roma, al Centro culturale San Francesco in via Cassiodoro 1, viene presentato il bel volume Storia di Rosarno che il giornalista e appassionato storico di cose calabresi Giuseppe Lacquaniti ha dedicato alla sua città. Il volume è pubblicato da Romano Editore. L’evento è stato organizzato dall’associazione rotariana “La Città del Sole” e da “La Casa di Giacomo”. Vi prenderanno parte i circoli calabresi più prestigiosi della Capitale. Presentazioni a cura di Mariarosaria Russo, Giacomo Saccomanno e dell’archeologa Mariangela Preta.
Giuseppe Lacquaniti, corrispondente da Rosarno della Gazzetta del Sud, come scrittore ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti anche internazionali. Tra i tanti, la Court of Judicial Discipline dello Stato della Pennsylvania gli ha attribuito una speciale onorificenza “quale opensatore austero e maestro di grande valore”. Ha all’attivo diverse pubblicazioni e numerosi libri, tra cui il magnifico volume (sempre edito dall’editore Romano di Tropea) su Medma Colonia di Locri Epizefiri. ( rrm)
S’inaugura questa sera a Roma, alla Galleria Fidia di via Angelo Brunetti 49, la nuova personale del grande artista reggino Natino Chirico. Il mio sogno migliore è l’omaggio che Chirico dedica, dopo i suoi successi internazionali, al grande Federico Fellini. Una suggestiva raccolta di quadri, dipinti e multimaterici che, nel corso degli anni, Natino Chirico ha riservato a Fellini, nella sua magnifica collezione di opere ispirate al cinema. La mostra che è a cura di Miriam Castelnuovo , resterà aperta fino al 7 marzo. L’organizzazione è do Francesca Romana Rocchini.
Natino Chirico, figlio del grande poeta dialettale Francesco Chirico, ha studiato all’Accademia di Brera e dopo un lungo periodo milanese è diventato “romano” mantenendo comunque nel cuore la sua calabresità, ma diventando cittadino del mondo: il successo delle sue mostre in ogni parte del mondo gli hanno tributato il giusto riconoscimento a un’arte inconfondibile e personalissima, dove il colore assume un ruolo specifico tra emozione e suggestione.
Prevista al vernissage una perfomance in diretta dell’artista. Da non mancare. (dc)
Prestigioso riconoscimento alla giovane stilista reggina Cheren Hesse Surfaro, che ha ricevuto il Premio Original Fashion 2020 durante il Festival della Moda Italia/International, svoltosi a Roma lo scorso 24 gennaio.
Alla manifestazione, uno degli eventi di moda più attesi della capitale, organizzato dall’agente di moda Sabina Prati e dal conduttore televisivo Stefano Raucci, la stilista reggina ha presentato la sua collezione BadRock, composta da abiti settecenteschi miscelati al glam rock. (rrc)
Oggi, domenica 9 febbraio il vescovo mons. Donato Oliverio, il capo dell’Eparchia di Lungo, farà visita alla comunità Arbëreshë di Roma. La solennità dell’incontro sarà segnata dalla Divina Liturgia Pontificale alle 10.30 tenuta da mons. Oliverio alla Chiesa di Sant’Atanasio il Grande di rito Greco Bizantino, nel centro di Roma, in via del Babuino 149. Sarà un momento di grande e intensa partecipazione. L’Eparchia di Lungro – che ha celebrato lo scorso anno i 100 anni – è una piccola diocesi cattolica di rito bizantino che raccoglie i fedeli italo-albanesi che vivono nell’enclave arbëreshe del Cosentino, mantenendo in vita una realtà che ha saputo non disperdere il prezioso e variegato patrimonio della tradizione bizantina nel culto della Chiesa Cattolica.
La storia dell’Eparchia di Lungro risale al 13 febbraio 1919, quando con la costituzione apostolica Chatolici fideles papa Benedetto XV univa in un unico corpo ecclesiale e giuridico i discendenti dei profughi albanesi e greci dei secoli XV-XVIII. «I fedeli cattolici di rito greco – si legge nella Catholici fideles –, che abitavano l’Epiro e l’Albania, fuggiti a più riprese dalla dominazione dei turchi, […] accolti con generosa liberalità […] nelle terre della Calabria e della Sicilia, conservando, come del resto era giusto, i costumi e le tradizioni del popolo greco, in modo particolare i riti della loro Chiesa, insieme a tutte le leggi e consuetudini che essi avevano ricevute dai loro padri ed avevano con somma cura ed amore conservate per lungo corso di secoli. Questo modo di vivere dei profughi albanesi fu ben volentieri approvato e permesso dall’autorità pontificia, di modo che essi, al di là del proprio ciel, quasi ritrovarono la loro patria in suolo italiano».
La Catholici fideles era la risposta della Santa Sede alle pressanti richieste di tutela avanzate per lungo tempo dai discendenti del condottiero-eroe albanese Giorgio Castriota Skanderberg, a suo tempo insignito del titolo di “Atleta di Cristo” per l’impegno profuso coi suoi valorosi soldati a difesa, per un quarto di secolo, della libertà e dell’autonomia del proprio popolo e della cristianità europea. L’esodo dei greco-albanesi in Italia si fa risalire a dopo il Concilio di Firenze del 1439, la caduta di Costantinopoli del 1453 e la morte di Skanderberg nel 1468. A spostarsi era un popolo con un proprio patrimonio linguistico ed ecclesiale, orgogliosa della sua libertà e della sua cristianità.
L’Eparchia di Lungro, dalla sua istituzione, ha contato quattro vescovi. Il primo fu mons. Giovanni Mele, eletto ad appena 34 anni che resse l’Eparchia dal 1919 al 1979, cui successe mons. Giovanni Stamati (già coadiuvatore di Mele a partire dal 1967), e, prima di Oliverio, mons. Ercole Lupinacci dal 1988 al 2010. L’attuale vescovo Donato Oliverio ha ereditato una diocesi, saldamente piantata in Occidente dove rende visibile con estrema chiarezza le ricchezze della tradizione bizantina e la bellezza della possibile unità tra i cristiani di Occidente e di Oriente nella differenza delle tradizioni e nella diversità delle lingue.
Mons. Oliverio regge l’Eparchia dalla sede di Lungro, una bella cittadina calabrese di circa 3.000 abitanti, posta sul versante Sud-Ovest della Catena montuosa del Pollino, ai piedi del Monte Petrosa, a un’altitudine di 600 metri sul livello del mare. Il suo trono si trova nella Chiesa Madre di tutte le Chiese dell’Eparchia, la Cattedrale di San Nicola di Mira, costruita tra il 1721 e il 1825. Maestosa nella sua pianta romanico-barocca a croce latina, negli ultimi decenni è stata impreziosita da pregevoli mosaici e affreschi, che la rendono un luogo unico in cui arte bizantina e spiritualità orientale si coniugano felicemente, tanto da portarla ad essere considerata la Chiesa più importante del cattolicesimo bizantino arbëreshë in Italia. Nella sua cupola domina il maestoso Cristo Pantocratore, volto della misericordia del Padre. (rrm)
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