Dimenticami dopodomani di Andrea Di Consoli

di ELISA CHIRIANODimenticami dopodomani (Rubbettino, 2024) è un libro che abbraccia i silenzi, i corpi e le fragilità. Esplora la vita indagando l’esistenza. Come un fiume carsico, incede lentamente tra gli oblii, i silenzi e le dimenticanze. All’improvviso prende forza e vigore, perché pulsa di passione e di coraggio. Irrompe nella storia e va anche oltre gli argini: non può stare nei confini angusti di un genere letterario. Appartiene alla prosa e alla poesia. Non importa sapere dove finisca una e inizi l’altra: sono compenetranti e si alimentano di reciprocità. Ogni racconto è velato di poesia e ogni poesia è venata di racconto. Affascina questa scelta stilistica, che sa di sperimentazione e di sconfinamenti: vuole andare oltre ciò che la tradizione ha consolidato e contemporaneamente desidera attingere a essa.

Qui la parola non indossa orpelli, non si infarcisce di ornamenti esteriori. Incide e lascia il segno, senza condizioni, senza se e senza ma. Narra e conquista, scava e crea, dissolve e sradica. È poesia eretica, eroica ed erotica. È scelta, coraggio, passione. Sperimenta lingua e linguaggio, in cerca di una voce, unica e speciale, per esprimere l’inesprimibile, per dare senso a una direzione sempre ostinata e contraria, per dire che «La poesia serve a ridare dignità nelle sere ferite, perché può sempre arrivare qualcuno che ti indica una cosa pura. Fosse anche sporca, ma così pura e indifesa da crederci ancora, come un bambino».  

«Ho scritto questo libro tra la fine del 2022 e i primi mesi del 2024” annota Andrea Di Consoli (scrittore, critico letterario, editorialista e autore radiotelevisivo) –. Pensavo di aver chiuso con la poesia o, comunque, con i miei racconti in forma di poesia, infatti non scrivevo versi da più di dieci anni. Poi, durante la pandemia, mi ha cercato con insistenza Mario Desiati. Era appena tornato dalla Germania. Aveva riletto La navigazione del Po e mi diceva che dovevo tornare a scrivere».

Il vincitore del Premio Strega 2022 firma l’Introduzione a questo libro, che prende vita dalla fine, da un Mi manchi”, verso conclusivo di una delle ultime storie raccolte nel volume. Poi, come cerchi concentrici, tutto assume un aspetto specifico e una forma propria, quella di un racconto-romanzo di strabordante poesia.

«Andrea Di Consoli – scrive Mario Desiati – ha dato ennesima prova della sua vocazione di “irregolare”, assai distante dalle mode correnti e da furbizie editoriali. Ha composto un canzoniere realistico e struggente, di grande forza espressiva, rappresentativo della sua generazione. Un libro a cuore aperto, diretto, senza orfismi, reticenze e non detti. Duro e dolcissimo allo stesso tempo».

Dimenticami dopodomani è un viaggio nel sé per scoprire l’altro (di sé e da sé), mentre la parola si fa carne e spirito. E intanto il lettore si abbarbica a pagine fluttuanti, in un equilibrio precario, in cui perdersi vorrà dire ritrovarsi, per poi perdersi ancora. È un libro generoso, ma anche scomodo. Si apre al lettore donandosi visceralmente, mettendosi a nudo, senza false ipocrisie o infingimenti. Percorre vite, ai margini della vita. Incontra padri e figli, fughe e ancoraggi, prossimità e alterità, abbandoni, ansie e ipocondria. Mette a fuoco la quotidianità, raccoglie il reale con le mani a conca, non per trattenerlo, ma per osservarlo mentre inesorabilmente scorre via. 

«All’inizio la vita – scrive Di Consoli – è come un fascio di rami ben legati, poi la corda si sfilaccia, e i rami si tengono insieme per inerzia». Con il tempo la compattezza diminuisce e aumenta il disordine. Giunge così il momento di verificare il funzionamento dei nessi e di preoccuparsi della manutenzione dei dettagli. E può anche succedere di provare nostalgia per certi giorni disperati del passato: schegge di inquietudini in un viaggio interiore tra ricordi e volti, tratteggiati con l’arte del chiaroscuro. L’ombra affianca luce, per meglio definirla e riconoscerla, per riannodare qualche filo e riagganciare i fogli scompaginati dell’esistenza, così come fa la morte, fedelissima compagna del viaggio terreno. In fondo noi siamo niente e siamo tutto.

Abbiamo troppa fiducia nella durata di cose, che nel tempo non restano. Gli oggetti perdono la loro funzione, si consumano e, impercettibilmente, vanno a morire da qualche parte. Ciò che sopravvive gonfia di nostalgia chi si illude di avere confidenza con l’eternità e ricorda ben poco rispetto a quello che ha perduto. Siamo esseri frantumati e possiamo solo agganciare frammenti di infinito, come certi raggi di sole, che fendono per qualche istante il cielo grigio d’autunno. La nostra storia è un infinito di finitudine; è un alternarsi di pieni e di vuoti, di silenzio e chiacchiere, di illusioni e menzogne. Sentiamo forte il bisogno di ancorarci, di credere nel per sempre, in ciò che è eterno eppure “il mondo è pieno di ragazzi che ridono e piangono nelle costruzioni fallimentari, nel non finito eterno lasciato in eredità dagli adulti”. La morte non è un accidente. L’accidente è la vita! Può sembrare assurdo immaginare la felicità nella disperazione, eppure il contatto con la morte rende tutto più necessario: gli abbracci più intensi, più urgenti le parole, più viva la fraternità di sapersi nella stessa corrente.

«I sentimenti più nobili – aggiunge DI Consoli – li crea proprio la morte. La chiamano tristezza, disperazione, depressione. Io, invece, la chiamo felicità, anche se nessuno si capacita di questa cosa».

Dimenticami dopodomani è la verità di un padre che non sa dire al proprio figlio il perché della vita, che spesso ci ostiniamo a prendere per il verso sbagliato. È un viaggio a Fuorigrotta, una sosta in un hotel a Cassino, un battesimo fatto da solo nel fiume Giordano e con il silenzio di Dio. È un incontro con l’arte, mentre mangi un supplì, comprato con gli ultimi spiccioli rimasti in tasca. È il ritorno del meridionale del Nord in un paese che ora gli è estraneo e ostile. È il viaggio di un ragazzo a Catanzaro, in un camioncino afoso nel crepuscolo calabrese dell’estate del 1990, mentre tutto intorno è un tripudio di manifesti per il concerto di Tina Turner. È il senso della paura, perché fa male tutto ciò che dura, come il radicamento e il non saper dimenticare. La verità è che non siamo forti abbastanza per “scancellare”, per scavalcare un cancello, andare oltre e salvarci. 

Dimenticami dopodomani è la storia di un eroismo che si riduce alle piccole cose, a un dire semplice, diretto, senza palcoscenico e senza fondale. È il percorso di un italiano di mezza età «che ha un bilancio esistenziale medio, perennemente in perdita, niente che possa essere ricordato nei libri di storia. Neanche i fallimenti sono stati memorabili». Un uomo che ha, come tutti, nostalgie, rimpianti e molti ricordi, di cui non sa che farsene. Ha sempre avuto paura di essere deluso, ma anche di deludere, di stancare.  Non ha mai avuto fiducia nella gente ma anche in se stesso, eppure sente un bisogno estremo di stare nel tempo con gli altri, con chi, quando meno te lo aspetti, sa accendere un fuoco nella notte e dare un senso a questa avventura, perché “proteggere” è l’infinito presente del verbo “amare”. (ec)

“Diario di Lettura e di Letteratura” di Luigi Tassoni

di ELISA CHIRIANOBisogna esser grati a chi scrivendo ci concede di toccare, in modo intimo e profondo, angoli del pensiero, fotogrammi che catturano l’attimo e che si definiscono nel loro divenire. Un diario contiene la narrazione di sé, attinge alla quotidianità, all’ascolto vigile, alla ricerca personale e si arricchisce grazie all’incontro con l’altro. È vita scritta e scrittura della vita; è un promemoria, un modo per auscultare la voce interiore, fatta di tono, ritmo e intensità, e al contempo è uno strumento potente per raggiungere molteplici verità.

È una chiamata all’esserci attraverso connessioni, incidenze, avvenimenti ed eventi che accadono, superando la superficialità delle apparenze e creando legami spazio-temporali. Un diario mette in circolo storie che appartengono a un universo che non ha confini (e non li vuole), che esiste se la parola lo dice e la parola è corpo, carne, vita. È scheggia di brace e luce di astro; nutre sogni e spalanca nostalgie; avanza e infiamma, facendosi memoria o attesa e, intanto, sfugge a noi stessi, che bramiamo l’inesistente. La parola si fa desiderio e il desiderio entra nel corpo-parola, sazia storie e intesse pagine, brulica di vita e passione, avvolge e attanaglia.

A volte essa si impone come un taglio sul foglio, simile a quello che Fontana lascia sulla tela: un segno netto per sancire la volontà di sconfinare, di guardare dietro e aprire la possibilità di una nuova percezione delle cose. Si nutre di studio, ricerca e anche di silenzio, che collega cose lontane, si oppone alla realtà rumorosa, fatta di ferite e di lotta, conduce al senso ritrovato e a volte scardina o collega storie lontane. Si orienta tra retorica e semiotica, perché, come scriveva Umberto Eco, il signore dei segni, “è solo nel silenzio che funziona l’unico e veramente potente mezzo di informazione, che è il mormorio” (Costruire il nemico altri scritti occasionali p.215). 

Diario di lettura e di letteratura, Rubbettino Editore, è un invito ad andare oltre la pagina, lasciandosi guidare appunto dalla parola, che incede tra segni e suoni, significanti e significati, ritmo, riflessione, narrazione, poesia e dialogo. È un atto di fiducia e di amore verso la scrittura, verso il piacere di sfogliare le prime pagine di un romanzo, di un libro di poesie, di un saggio sul bancone di una affollata libreria. È un viaggio nella memoria, da alimentare e tenere viva e accesa, per non dimenticare, per cucire, frammento dopo frammento, anche i nostri naufragi, così come le felicità effimere. Non può avere la durata di un giorno in quanto è chiamata a lasciare traccia del nostro esserci, affinché la vita, grazie ai libri, possa dilatarsi. C’è un verso che ritorna negli scritti di Milo De Angelis «A memoria, dunque, a memoria ci siamo tutti»: non è nostalgia, non vuol dire guardare indietro per sentirsi perduti, la memoria è un essere ed esserci qui ed ora, con la consapevolezza dell’esistenza e della nudità di luoghi amati, della realtà del dolore, delle incidenze dei percorsi quotidiani.

Diario di lettura e di letteratura è un mosaico d’autore in cui vivono cinquantacinque articoli, scritti tra il 1984 e il 2021. Qui il tempo trova il suo spazio, in una prospettiva diacronica e sincronica, attraverso quattro tappe di un viaggio in cui la mèta è il percorso, tra Leonardo Sciascia, che odia la menzogna dei fatti e il silenzio delle idee, e una lettera a Natalia Ginzburg. Seguendo Luigi Tassoni, sulla scia di Italo Calvino (e dei suoi granchi), impariamo a vedere ogni sezione del libro non come un incipit, ma come già storia e narrazione a sé stante. E se la parte si definisce nel tutto, anche il tutto può essere contenuto nella parte, nel frammento che, come scrive Leonardo Sinisgalli, non vuole essere una fortezza costruita con gli stuzzicadenti, ma è un pensiero che si declina a tratti, un disegno che traccia una porzione. Esso consente in effetti un gioco tra le parti, un modo per tenere ben saldo il legame tra chi scrive e ciò che è scritto. Con il saggista, il critico letterario e il semiologo scopriamo tanta bellezza nella sconfinata proposta letteraria del passato e del presente; intravediamo qualche stilla d’infiniti abissi; ci imbattiamo anche in un’importante e inevitabile stroncatura.

Diario di lettura e di letteratura è un libro vitale e, come evidenzia Daniele Benati, si legge come un racconto. Come un prisma dalle molteplici facce, è poliedrico. È un omaggio a ciò che dà sapore al sapere: alla filosofia, al cinema, alla pittura. L’arte incontra se stessa e le mille parti di sé, in una sorta di dichiarazione d’amore per tutto ciò che accende curiosità, desiderio di sosta, studio, riflessione, disvelamento e divulgazione. Può succedere, quindi, di incrociare, tra le pagine, un classico contemporaneo, come Eugenio Montale (che si muove nel solco della tradizione, ma con una proposta profondamente critica con i suoi eterni dubbi sulla fragilità e la precarietà della nostra condizione), oppure si può naufragare nel mare delle infinite domande che si im-pongono sulla scena, in modo apparentemente spontaneo. Qui scopriamo il lettore attento e curioso, il semiologo dei linguaggi creativi e della comunicazione, lo scrittore acuto, ma anche lo studente che, grazie all’incoraggiamento della sua maestra, Eleonora Ansani, inizia ad annotare su un quaderno con la copertina nera alcuni pensieri che le letture accendono la mente.

Nel corso degli anni i quaderni sono diventati centinaia, perché “una cosa è pensare, un’altra è ragionare scrivendo”. Anche i maestri si sono moltiplicati, così come gli incontri e le amicizie. Il lettore potrà ammirare in chiave diversa e originale le meraviglie e i segreti di Mattia Preti o le tele di Andrea Cefaly; superare con Saverio Strati i confini del mondo; entrare nell’universo dei più piccoli in modo giocoso e con proposte attraenti di narrativa impegnata e affascinante, che non rifugge dall’uso in tasca di un amuleto, perché la paura va attraversata e mai messa da parte o derisa.

Il lettore potrà anche nascondersi negli spazi aperti di Trieste, andare dietro le quinte di un film di Fellini e scoprire che il suo cinema vive in stretta familiarità con il percorso creativo della versificazione. La poesia resta quel ticchettio necessario, diventa un’esplorazione sul vissuto, sulla storia, sul pensiero, sulla psiche, sulla parola, e sull’invenzione. Nell’epoca dei flussi veloci della cibernetica, dell’intelligenza artificiale è una sorta di oasi, uno spazio in cui poter sperimentare a oltranza il senso del tempo presente, al di là della superficie delle cose. Essa sarà sempre necessaria rispetto al povero mutismo del mondo. E così l’attento lettore potrà conversare con Milo De Angelis; seguire Andrea Zanzotto nelle sue sperimentazioni linguistiche, illuminate da neologismi, balbettamenti, disegnini, di spazio reinventato da lingue diverse; entrare con pazienza e passione nei dialetti italiani; auscultare la poesia nel modo meno convenzionale che conosciamo; cogliere il debito di riconoscenza nei confronti dei versi di Achille Curcio, che ha forgiato un proprio dialetto, muovendosi in un’area linguisticamente ricca nella parte jonica della Calabria e che grazie allo spazio del suo speciale fonoritmo, ha creato il luogo del dicibile, il tempo in cui tutte le cose possono essere dette. Diario di lettura e di letteratura non è quindi solo un diario e non racconta solo di lettura e letteratura.

È una dichiarazione d’amore verso la parola, un invito rivolto al lettore ad avere coraggio, farsi avanti e non aspettare, fidandosi di critici attenti e scrupolosi che sappiano osare e scardinare luoghi comuni e situazioni di comodo; è la fiducia riposta nel piacere della lettura di qualità; è il desiderio di lasciarsi sedurre dalla Bellezza come pensiero, linguaggio, percorso e anche impegno. Leggo, dunque sono! (ec)

 

Batticuore. Come vivere bene e più a lungo di Ciro Indolfi

di FILIPPO VELTRI – Nessuno meglio di Ciro Indolfi, cardiologo interventista, Professore Ordinario di Cardiologia e Presidente della Federazione Italiana di Cardiologia, un luminare, docente di migliaia di cardiologi, studenti di Medicina o delle Professioni Sanitarie, puo’ dirci che fare per migliorare la nostra salute.

Il suo obiettivo degli ultimi anni è stato infatti la diffusione delle conoscenze per la prevenzione delle malattie cardiovascolari, piuttosto che la migliore cura delle stesse e Batticuore è un libro (Rubbettino), che attraverso storie ed esperienze reali vuole trasmettere conoscenza per vivere più a lungo, e anche meglio.

Ciro Indolfi
Ciro Indolfi

Un libro che andrebbe diffuso nelle scuole, sui luoghi di lavoro, dovunque, perché se l’obiettivo ambizioso della medicina futura dovrà essere una vita quanto più libera possibile dalla malattia Indolfi scrive che “dopo aver curato tantissimi pazienti, e in migliaia di questi aver impiantato uno stent, ho realizzato che la terapia delle malattie, anche quando efficace, deve, paradossalmente, ritenersi una sconfitta’’ c’è assolutamente da crederci. La prevenzione delle patologie rappresenta perciò il vero grande successo della medicina. I cardiologi sono molto orgogliosi di aver ridotto la mortalità ospedaliera dell’infarto miocardico dal 30% a circa il 4%. Ma ancora oggi il 50% dei pazienti con infarto muore prima o nel tentativo di raggiungere l’ospedale. Ciò che è ancora più preoccupante è il fatto che chi sopravvive ad un infarto ha il 20% di probabilità di avere un secondo infarto, un ictus o di morire entro un anno dall’evento.

Per questo le malattie ischemiche del cuore rappresentano la causa di morte numero uno, specialmente nelle donne. Inoltre, le terapie attualmente disponibili sono molto efficaci per tenere in vita i pazienti anche gravi, spostando però il problema alla gestione della cronicità spesso particolarmente invalidante.

Molte morti cardiache possono e devono essere evitate, ma, per ottenere questo risultato, la popolazione deve avere la cognizione del proprio stato di salute, dei fattori di rischio, dello stile di vita appropriato, conoscenze di cui sono depositari sostanzialmente i medici. La prevenzione efficace necessita di un cambio di paradigma. Il cittadino sano e ancora più il paziente devono essere essi stessi consapevoli e responsabili del proprio stato di salute. Un metodo nuovo con storie e aneddoti aiuterà a raggiungere gli obiettivi primari per allungare la nostra sopravvivenza. Chi pagherebbe metà del proprio stipendio per assicurarsi la pensione sapendo che non se la godrà perché la sua sopravvivenza stimata arriverà a 70 anni? Anche il più accanito fumatore, sedentario, ipercolesterolemico, obeso, iperteso o diabetico cambierebbe il suo stile di vita se debitamente informato.

Lo scopo del libro di Indolfi è, dunque, quello di diffondere informazioni e conoscenze per mantenere sano il proprio cuore, vivere meglio e più a lungo e vi troverete decine e decine di consigli, perché è l’istruzione, e non il reddito, il miglior predittore per la salute e la longevità. La cultura allunga la vita. Ovviamente Indolfi affonda anche il bisturi sul sistema sanitario nazionale italiano, fondato nel 1978 e basato su universalità, uguaglianza ed equità, che ha subito il più grande stress della sua storia con la pandemia da SARS CoV-2. “Purtroppo – scrive –  negli ultimi dieci anni l’Italia aveva già sperimentato inopinatamente tagli lineari alla spesa sanitaria, con una riduzione delle risorse, del numero di posti letto e una scarsa attenzione per la prevenzione delle malattie che avevano portato alle conseguenze che tutti vediamo. La burocrazia, la politica, i contenziosi legali e la mancanza di una chiara governance clinica negli ospedali hanno avuto e purtroppo ancora hanno una grande influenza negativa sui processi organizzativi della sanità’’.

Comunque la conoscenza ci renderà più sani e più longevi. È questo lo spirito di questo libro che attraverso un metodo didattico nuovo che si basa sulla narrazione per sensibilizzare e educare le persone. Il racconto di singole esperienze le rende meno eccezionali, più vere e più naturali dando la misura della malattia nella fisiologia dell’esistere, aiutandoci a superare quello stato d’animo di rifiuto che considera la malattia un evento eccezionale che mai ci coinvolgerà. (fv)

Sciabaca Festival: si parla di clima col ministro Musumeci a Soveria Mannelli

Con il ministro della Protezione CIvile Nello Musumeci a parlare di clima allo Sciabaca Festival di Soveria Mannelli, la manifestazione promossa da Florindo Rubbettino con la sua Casa editrice, diventato un evento imperdibile non solo per la Calabria, ma per tutto il Paese.

Musumeci ha affrontato in modo pragmatico l’argomento: «Indubbiamente qualcosa è cambiato ma la politica non deve iscriversi a questo o a quel partito delle interpretazioni scientifiche bensì avere un approccio pragmatico. Un tempo in un paese cadevano 200 mm di pioggia all’anno e si predisponeva una rete di tombini. Oggi nello stesso luogo 200 mm di pioggia possono cadere in una notte soltanto e quella rete di tombini si rivela assolutamente inadeguata. Allora si deve realizzare che la piovosità è cambiata e agire di conseguenza. Di fronte alle differenti visioni della scienza su fenomeni come il cambiamento climatico, la politica deve coltivare il dono del dubbio, ma dopo 24 ore deve essere in grado di decidere».

Il dibattito sul tema: “Il clima nel mediterraneo. Analisi, rischi e prevenzione, che è stato moderato da Giuseppe Smorto, già vice-direttore di Repubblica ha visto anche la presenza del geologo e docente universitario Alberto Prestininzi – recentemente nominato da Matteo Salvini a capo del Comitato per il Ponte sullo Stretto e autore per Rubbettino di un fortunatissimo saggio dal titolo “Dialoghi sul clima” – e del giornalista Giuseppe Caporale, autore, sempre per Rubbettino, di un libro dal titolo Ecoshock.

Il punto di vista dei due autori, Prestininzi e Caporale, sul cambiamento climatico si è rivelato sin dall’inizio in forte contrapposizione. Su un punto però i tre ospiti – il Ministro e i due autori – si sono trovati d’accordo: è necessario mettere in sicurezza il Paese.

«In Italia – ha detto Prestininzi, che in passato ha ricoperto il ruolo di Presidente della sezione Rischi idrogeologici della Commissione nazionale Grandi rischi – non c’è cultura della prevenzione ma solo dell’emergenza».

Il Ministro Musumeci ha osservato come le opere pubbliche a favore della messa in sicurezza del territorio non producono risultati elettorali immediati, perché meno visibili di altre e, forse per questo, non godono il favore degli amministratori locali e tuttavia un deciso cambio di passo è quanto mai necessario.

In conclusione al dibattito, il Ministro, ricordando le contrapposizioni tra scienziati al tempo del Covid, ha constatato come «sia triste che la scienza parli due lingue diverse», e ha ribadito con forza che il compito della politica non debba essere quello di schierarsi a favore di questa o quella tesi scientifica, bensì quello di individuare le soluzioni che rendono migliore e più sicura la vita dei cittadini. (rcz)

Stamattina alla Camera il nuovo libro di Pietro Massimo Busetta

Viene presnetato questa mattina a Roma alla Sala STampa della Camera dei Deputati il nuovo libro di Pietro Massimo Busetta La rana e lo scorpione (Ripensare il Sud per non essere né emigranti né  briganti) edito da Rubbettino. Sarà presente l’autore. Introduce il dpeutato Francesco Gallo, relaziona suil libro Francesco Saverio Coppola dell’AIM Alleanza Istituti Meridionalisti. Ne discutono Pino Aprile(Movimento Equità Territoriale), Cateno De Luca (Sud chiama Nord), Salvatore Grillo (Unità Siciliana) e Claudio Signorile (Mezzogiorno Federato). Ingresos previo accreditamento: 347 8863201. (rrm)

Noi lazzaroni di Saverio Strati (nuova edizione Rubbettino)

di MIMMO NUNNARI – Torna in libreria Saverio Strati con Noi lazzaroni (Rubbettino editore, pagine 235, euro 16) romanzo pubblicato la prima volta nel 1972, con cui lo scrittore di Sant’Agata del Bianco, scomparso a Scandicci in Toscana, il 6 aprile 2014, raccontò in parallelo l’emigrante, la sua terra d’origine, la Calabria dei baroni, e il Paese dov’era emigrato, la Svizzera, terra ricca e senz’anima.

È lo Strati migliore, indignato, appassionato, che spunta da questo romanzo, con una scrittura potente, a volte dura, ma rivelatrice di condizioni umane, nel microcosmo calabrese, ai più sconosciute: povertà insopportabili, angherie dei padroni, sottomissioni umilianti, rapporti umani e familiari lacerati, vita in case “piene di sospiri e lamenti”, quando l’uomo parte.

Mastro Turi, protagonista del romanzo, racconta: “Ero uomo. Ma che uomo sei se ti manca il lavoro e il mondo si rifiuta di darti una mano?”.

Noi lazzaroni, come tanti altri racconti di Strati, è romanzo sociale. Descrive la vita e la mentalità delle classe meno abbienti e svolge anche un ruolo di denuncia.

La particolarità, di queste narrazioni di Strati, rispetto al filone letterario del “sociale”, che in Italia ha padri come Giovanni Verga – che con il verismo il sociale lo ha anticipato – o Francesco Jovine (Le terre del sacramento), Ignazio Silone (Fontamara) e all’estero Charles Dickens (Oliver Twist) in Inghilterra e Emile Zola in Francia ( “Germinal”) è che generalmente l’autore è esterno al racconto, non si identifica con nessun personaggio, mentre lo scrittore di Sant’Agata è in presa diretta, un tutt’uno tra la storia, il protagonista, il contesto degli emarginati, degli sconfitti, che sognano di migliorarsi e vanno incontro a un destino oscuro. Anche quando scrive del lavoro dei muratori, di regoli, livella, squadra cazzuole, punteruoli, mazzuoli e martelli Strati parla della sua esperienza diretta, della vita che precede quella del futuro romanziere, dell’ex lazzarone che faticava a stare col berretto in mano davanti al padrone.

I lazzaroni erano i sudditi nel paese di mastro Turi: “Siete degli stramaledetti lazzaroni che mi andate contro appena potete… ma state attenti che vi taglio i viveri”.

C’è molto di letteratura meridionale naturalmente in “Noi lazzaroni”, ma c’è quello che Giacomo De Benedetti (maestro di Strati) diceva che era la caratteristica dello scrittore: quell’obiettivo di informare, denunciare, fare emergere situazioni umane nascoste, dimenticate, contrastate per l’avidità dei “padroni”.

Strati è il migliore interprete di questo tipo di letteratura, che gli appartiene, e  non è imitabile, anche perché nel frattempo le condizioni sociali sono cambiate.

In un certo senso i suoi romanzi assumono una valore storico rilevante. Il mastro Costanzo della “Teda” risorge in mastro Turi, emigrato in Svizzera, che torna al paese vent’anni dopo e riaccende il filo della memoria, ma senza molto sforzo, perché tutto sembra essere rimasto come prima. Attraversa l’epoca fascista e la seconda guerra mondiale il racconto: “S’invocava il cielo perché la guerra finisse presto”.

I vecchi, gli indomiti, gli idealisti, che si riunivano in casa di Turi, al paese, esclamavano: “Maledetta Italia pidocchiosa! Guerra, quanto ci impieghi a chiudere la partita!”, e sognavano l’arrivo degli Americani. Strati è uno e due in “Noi lazzaroni”. Dà vita al mondo contadino, che conosce per esperienza personale, e racconta il dopo della vita di emigrato (“la valigia è a portata di mano”) in terre che non accolgono, ma vogliono solo le braccia del meridionale, dell’emigrato, considerato un semplice “strumento” per la crescita e lo sviluppo e nient’altro. Quest’edizione di Noi lazzaroni che ritorna per merito dell’editore Rubbettino che, sta, con una grande operazione editoriale e culturale ripubblicando tutto Strati, ha la prefazione di Carmine Abate.

NOI LAZZARONI
di Saverio Strati
Rubbettino Editore, ISBN 9788849870510

Salone del Libro di Torino, gli appuntamenti con Rubbettino Editore

Al Salone del Libro di Torino, che prende il via domani giovedì 19 maggio, sarà presente anche la casa editrice calabrese Rubbettino che, per l’occasione, ha organizzato una serie di iniziative.

Per Rubbettino, infatti, quella di quest’anno è una partecipazione particolarmente significativa, che anticipano le celebrazioni per il 50° anniversario della fondazione della casa editrice, nata a Soveria Mannelli alla fine del 1972.

Domani mattina, alle 10.30, nella Sala Rosa Padiglione 1, la presentazione del libro La pandemia mafiosa di Paolo Lattanzio. Ne discutono Christel Antonazzo, Marco Grimaldi, Maria José Fava, Paolo Lattanzio e Carola Messina. Evento organizzato in collaborazione con Associazione Treno della Memoria.

Alle 14.45, nella Sala Rossa, Pad. 1, si discute di Democrazie e regimi autoritari: guerra ideologica o scontro di potenza?, partendo dal libro Scritti Politici a cura di Federico Leonardi. Ne discutono Massimo CacciariLuciano Canfora e l’autore.

Alle 15, nello Spazio eventi dello Stand della Regione, si parlerà dell’Archeologia nel Parco Nazionale del Pollino, partendo dal libro L’insediamento di Santa Gada di Laino Borgo, a cura di Fabrizio Mollo. Ne discutono Bruno Niola, Fabrizio Mollo e Domenico Pappaterra.

Alle 15.45, al Caffè Letterario, Storie di grandi famiglie, tradizioni e patrimoni. Ne discutono Beatrice Archesso, Amelia Cuomo, Jacopo Poli, Emanuele Sacerdote e Francesco Vena. Evento organizzato in collaborazione con Museimpresa, Museo Amaro Lucano, Museo della Pasta Cuomo, Poli Museo della Grappa e Spazio Strega.

Alle 17.30, allo Spazio eventi dello stand della Regione, Cieli nuovi e terra nuova a partire dal libro Dall’accoglienza all’integrazione di Vitaliano Fulciniti.

Alle 18.15, al Caffè Letterario, Macaone, il romanzo di Nicola Longo. Ne discutono Gianfranco Angelucci e Cristina Di Lucente.

Il 20 maggio, alle 12.15, nella Sala Arancio della Galleria Visitatori, Piero Bussi, Giancarlo Grimaldi, Enrico Ercole, Salvatore Leto e Pierfrancesco Migliardi discutono di Orizzonti di bellezza. Calosso: un paese di memorie e di futuro.

Alle 14.30, allo Spazio eventi della Regione, si parla di Cathy, Lucia e Angie. Storie di donne migranti nel Ventunesimo secolo, partendo dal libro Le donne di Saturno di Connie McParlan. Ne parla con l’autrice Vito Teti.

Alle 15, allo stand della Regione, Gianfranco Fabi, Carlo Lottieri, Sandro Scoppa, Giorgio Spaziani Testa, Alessandro Vitale discutono de Il miraggio dell’equo canone nell’affitto delle case.

A seguire, si parla di Partire, restare, tornare partendo dal libro Homeland di Vito Teti. Ne discutono con l’autore Andrea Barzini, Maurizio Fiorino, Alberto Gangemi, Antonella Tarpino e Florindo Rubbettino.

Alle 18, allo stand Rubbettino, Carla Bosio, Edolinda di Fonzo, Annalisa Mancino, Adriano Moraglio e Stefania Peduzzi discutono sul tema L’impronta delle donne. Sette racconti: quando in azienda il contributo femminile diventa fondamentale, partendo dal libro L’impronta delle donne di Adriano Moraglio.

Alle 18, allo stand della Regione, si discute di Pedagogia meridiana. Per una pedagogia della Nazione con Mario Caligiuri, Andrea Gavosto, Luigi Fiorentino, partendo dal libro Pedagogia meridiana di Mario Caligiuri.

Alle 19.30, al Caffè Letterario, Gabriella AmbrosioGabriele BardazzaAlessandro De Giuseppe discutono de Il garbuglio di Garlasco. Un perfetto colpevole e l’ostinata ricerca della verità, partendo dal libro Il garbuglio di Garlasco di Gabriella Ambrosio.

Il 21 maggio, allo stand della Regione, alle 10, l’approfondimento sulle mafie come problema sociale, politico, economico e non solo criminale con Andrea Bosi, Amalia Cecilia Bruni, Davide Mattiello, Roberto Montà e Florindo Rubbettino. Modera Maria Antonietta Sacco.

Alle 14.50, sempre allo stand della Regione, si parla dei libri L’ultimo drago d’Aspromonte di Gioacchino CriacoQuando mia madre indossò la maglietta di Frank Beckenbauer di Francesco Pileggi. Inoltre, sarà presentato il video I mari di Ulisse di Francesco Pileggi.

Alle 15.45, al Caffè Letterario, Francesca Appiani, Valentina Barbieri, Luca Borghini, Luigi Emanuele Di Marco, Gaetano di Tondo, Eleonora Angela Maria Ignazzi e Florindo Rubbettino, moderati da Francesco Morace, discutono di Un discorso inedito e polifonico sulla cultura d’impresa.

Alle 17, al Caffè Letterario, Pina Amarelli, Alice Basso, Stefania Ricci, Alessandra Vesco e Giulia Zonca parleranno di Storie di donne che hanno fatto l’impresa.

Il 22 maggio, alle 11, allo stand della Regione, Una storia fuori dal Comune. Lamezia-Italia partendo dal libro Una storia fuori dal Comune di Gianni Speranza. Ne discutono Andrea PillonFlorindo Rubbettino.

Alle 11.45, sempre allo stand della Regione, si parlerà di Alzheimer il vento delle memorie partendo dal libro Istruzioni per distruggere il vento di Daniel Cundari. Ne discutono Amalia Cecilia Bruni, Innocenzo Rainero, Daniel Cundari , Florindo Rubbettino. Modera Maria Antonietta Sacco.

Alle 18, allo stand Rubbettino, Il rapinatore “gentile” – L’avventura di Oreste: Le banche, il carcere e il senso della vita a partire dal libro Il rapinatore gentile di Adriano Moraglio. Ne discute Oreste C, protagonista del libro.

Alle 16, nella Sala Rosa Pad. 1, Il giovane Cavour: amori, sogni e progetti prima di unire l’Italia. Se ne parla partendo dal libro Cavour prima di Cavour di Franca Porciani. Ne discutono Marco FasanoEnrico GennaroNerio Nesi(rrm)

L’editore Rubbettino al Salone del Libro di Algeri

La Casa Editrice Rubbettino, di Soveria Mannelli (CZ), è tra i sedici editori italiani che partecipano al SILA (Salon International du Livre d’Alger – Salone Internazionale del libro di Algeri), che si è aperto nella città nordafricana giovedì 24 marzo e si chiuderà il 1° aprile.

Stamattina (sabato 26 marzo), l’editore Florindo Rubbettino, che è presente ad Algeri, parteciperà al dibattito sul tema: “Tradurre i romanzi algerini in Italia, tradurre i romanzi italiani in Algeria”. «È allo stesso tempo un grande onore e una grande occasione per la nostra casa editrice prendere parte a quello che è uno degli eventi culturali più significativi di tutta l’area del Mediterraneo – ha dichiarato il dott. Rubbettino –. L’Italia sarà il Paese Ospite d’Onore di questo salone giunto alla 25.ma edizione e Rubbettino è tra gli editori che rappresentano il nostro Paese. È da anni che si continuiamo a dirci che l’Italia, e in particolare il suo Mezzogiorno, devono riconquistare quel ruolo significativo nel Mediterraneo che la storia e la geografia hanno loro conferito. La cultura è senz’altro l’hub più potente per creare legami e rapporti che possono poi avere ampia ricaduta anche in ambito economico e politico».

Oltre alla presenza di una selezione significativa del suo vasto catalogo che abbraccia le scienze umane, l’economia, la politologia e la letteratura, Rubbettino Editore interviene al Salone con la presentazione del volume di Bruna Bagnato dal titolo L’Italia e la guerra d’Algeria (1954-1962), volume peraltro già noto al pubblico algerino grazie all’edizione in lingua francese dell’editore Dahlab presso il quale è già in lavorazione anche l’edizione in lingua araba.

Il Salone del Libro è la manifestazione culturale più importante dell’Algeria, ed è organizzata dal Ministero della Cultura algerino. L’ultima edizione della fiera è stata visitata da oltre un milione di persone, con 1.030 espositori da 36 paesi, quest’anno si attendono oltre 1.200 case editrici provenienti da tutto il mondo. (rrm)

Storia del’Antindrangheta di Danilo Chirico

di FILIPPO VELTRI – C’è anche una Calabria diversa, lontana dagli stereotipi che la dipingono vittima inerme (se non addirittura complice) della malavita, c’è una Calabria che ha saputo – e sa – alzare la testa e ribellarsi, una terra che non ha paura di guardare in faccia il male e affrontarlo. 

È questa la Calabria che Danilo Chirico racconta nel libro edito da Rubbettino Storia dell’antindrangheta. Il libro ricostruisce per la prima volta i movimenti per l’occupazione delle terre, le lotte politiche e per il lavoro, le vertenze ambientaliste, le denunce della Chiesa, i conflitti sociali, i cortei studenteschi, le vicende personali e collettive di tutti coloro che in Calabria hanno combattuto la criminalità organizzata dal secondo Dopoguerra ad oggi.

Ripercorre anche i fatti della “strana” storia della Marcia della Pace “Perugia-Assisi” che – unica volta in 60 anni – nel 1991 si tenne fuori dall’Umbria. Si  trasferì in Calabria per la storica manifestazione “Reggio-Archi”. Quel giorno decine di migliaia di persone provenienti da ogni parte dello Stivale sfilarono contro la ’ndrangheta costruendo una pagina significativa della storia della Calabria e aprendo la stagione dell’antimafia sociale italiana che si consoliderà dopo le stragi del 1992. 

Questo di Danilo Chirico è il primo libro mai scritto sull’antindrangheta. «Adesso anche l’antimafia calabrese ha il suo libro come lo ha avuto da lungo tempo, da un ventennio a questa parte, l’antimafia siciliana – scrive Enzo Ciconte nella prefazione al volume – Quello di Chirico è un merito importante perché chi leggerà il libro vedrà venire incontro fatti minuti, sconosciuti ai più, fatti importanti che sono stati dimenticati, eventi dirompenti che hanno lasciato una traccia duratura e permanente». Quella dell’antindrangheta in Calabria non è una storia marginale che vede protagonista qualche giovane isolato con il pallino della contestazione. 

Enzo Ciconte ricorda nella già citata prefazione come il movimento delle gelsominaie, le lotte per la terra e il lavoro, le battaglie politiche e sindacali, la presa di coscienza via via  crescente della Chiesa “precedono l’impegno della magistratura. Anzi – annota lo studioso – mentre avveniva tutto ciò c’era una magistratura chiusa, ottusa, che girava la testa dall’altra parte, pavida, impaurita o collusa. È merito di questo movimento ampio, pulviscolare, profondo se dentro la magistratura è cresciuta una nuova consapevolezza e s’è andato affermando  l’orgoglio di combattere per cambiare il destino di questa terra mentre prima c’erano posizioni disperate e disperanti che affermavano l’impossibilità di sconfiggere la ‘ndrangheta che si sarebbe battuta solo quando l’umanità si sarebbe spenta». 

Il libro di Chirico non è però solo una celebrazione del mondo dell’impegno sociale calabrese da cui lo stesso autore peraltro proviene, ma ne analizza anche le miserie, le divisioni provando a indicare anche una rotta per uscire dalla crisi in cui si trova oggi il movimento antimafia calabrese e italiano. 

Danilo Chirico (Reggio Calabria, 1977) è giornalista e scrittore. È stato autore di programmi di informazione per Rai Uno, Rai Tre, MTV, Laeffe TV, repubblica.it, Radio Tre. Ha lavorato per giornali, riviste e agenzie di stampa parlamentare.  Ha pubblicato il romanzo Chiaroscuro (Bompiani 2017) e sceneggiato la web serie Angelo (Raiplay). È autore di libri sulle mafie tra cui Il caso Valarioti.  Nel 2011 con Dimenticati. Vittime della ’ndrangheta ha vinto il premio “Indro Montanelli – Giovani”. È presidente dell’Associazione daSud. (fv)

STORIA DELL’ANTINDRANGHETA
di Danilo Chirico, prefazione di Enzo Ciconte
Rubbettino Editore, ISBN 9788849866346

L’impero dell’algoritmo – di Domenico Talia

di FILIPPO VELTRI – Dobbiamo essere tutti grati a Mimmo Talia, un calabrese che insegna all’Università della Calabria Ingegneria informatica, per averci regalato in questi ultimi anni i saggi più pregnanti ma anche più abbordabili sul mondo che sta cambiando attorno a noi  – e di cui spesso non ci accorgiamo nemmeno – legati al mondo digitale.

Prima con La società calcolabile e i big data ed ora con L’impero dell’algoritmo (entrambi editi da Rubbettino) Talia, infatti, ci consegna riflessioni  sulla tecnologia informatica che io considero decisivi.

Questo saggio esamina e discute i concetti che stanno alla base degli algoritmi e analizza l’impatto sulle persone dei loro tantissimi utilizzi tramite una descrizione accurata ma accessibile a tutti. Vengono affrontati i temi più innovativi del mondo digitale, dall’apprendimento automatico ai sistemi software che governano i social media, dall’intelligenza artificiale alla robotica collaborativa. Gli argomenti discussi sono presentati con l’obiettivo di chiarire i concetti scientifici necessari a comprendere i principi e le manifestazioni dell’universo digitale e anche a ragionare sull’impatto sociale degli algoritmi. Concetti, analisi e ragionamenti utili per essere cittadini informati in un mondo dominato dalle tecnologie informatiche. Per diventare utenti consapevoli dei benefici che l’informatica può offrire a chi vive in questo nuovo millennio e, allo stesso tempo, per comprendere le minacce ai singoli e alle comunità che l’uso delle tecnologie digitali a fini di profitto e di dominio ha generato fino a oggi e che potrà ancora generare in futuro.

Noi con gli algoritmi ci conviviamo di giorno di notte, al mare e in montagna, al chiuso e all’aperto, in ufficio e al cinema, a casa e in palestra. Ovunque 7/24. Sono gli algoritmi.
La letteratura su questo tema è sempre più crescente. Con Rubbettino  Talia pubblica questo testo che contribuisce, al vasto pubblico, ad approfondire termini e nozioni, concetti e pensieri legati all’algoritmo e alla sua incidenza reale nella nostra vita.
Questo testo – scrive l’ autore nell’introduzione – ha l’obiettivo di analizzare e discutere i concetti che stanno alla base degli algoritmi e del loro utilizzo sotto forma di programmi software eseguiti dalle tante macchine digitali di cui disponiamo“.
La predizione automatica del nostro futuro – evidenzia Talia – è uno degli obiettivi principali della cosiddetta data science. È l’algoritmo che apprende dai dati come noi apprendiamo dall’esperienza, anche se molte volte non sappiamo dare una spiegazione chiara degli avvenimenti che accadono intorno a noi. La civiltà digitale si configura sempre più come una lunghissima concatenazione di procedure che si assoggetta alla procedura di codifica universale rappresentata dalle tecnologie digitali che promuovono il formale, puntano al totale automatismo e spingono per la vittoria del pensiero computazionale a danno di quello emozionale e della coscienza“. (fv)

L’IMPERO DELL’ALGORITMO
di Domenico Talia
Editore Rubbettino – ISBN 9788849866209