di SANTO STRATI – Sono appena 3 milioni e 600mila euro i fondi destinata alla Calabria dal Governo per la didattica a distanza, che, in base all’ultimo decreto sull’emergenza, diventa obbligatoria. Scelta inevitabile, questa della obbligatorietà della didattica a distanza, vista l’impossibilità di far tornare sui banchi gli studenti. Peccato che, come al solito, chi ci governa fa i conti col pallottoliere anziché soppesare e valutare dati precisi che possono permettere di valutare e stimare le risorse necessarie a sostenere un qualsiasi provvedimento.
Secondo i dati Istat, il Mezzogiorno soffre del cosiddetto digital divide, ovvero patisce la mancanza di dispositivi (devices come li chiama la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina) nella misura del 41%. In poche parole 4 famiglie su dieci non dispongono né di un pc né tantomeno di un tablet. Se poi si scorre ulteriormente la ricerca dell’Istat sullo stato dell’Information Technology si scopre che in Calabria – la prima regione in termini negativi – la percentuale passa al 46%. Tanto per capirci in Lombardia la percentuale delle famiglie che hanno un computer in casa è del 70%.
La ricerca dell’Istat fotografa la situazione 2018-2019 in Italia e ci dice che un terzo delle famiglie (33,8%) non ha né computer né tablet, percentuale che, appunto , in Calabria, sale al 46%. E naturalmente non essendoci computer o tablet, risulta evidente che non ci sia neanche un collegamento internet.
Come si può pensare di fare didattica a distanza se non si garantisce in maniera equanime il diritto allo studio (anche via web) ai ragazzi italiani, sia che vivano, per dire a Mondovì o ad Acitrezza o a Badolato?
La ministra dell’Istruzione ha messo a disposizione 80 milioni di euro destinati agli istituti scolastici: si possono comprare al massimo 550mila tablet di fascia bassa, per altrettanti studenti. Per chi non lo ricordasse o non lo sapesse, in Italia ci sono 8,4 milioni di studenti di cui circa 7,6 milioni nelle scuole statali e quasi 900mila negli istituti privati o paritari. In poche parole ci sarebbero quasi 3,9 milioni di ragazzi senza computer. Che facciamo, usiamo i segnali di fumo?
Per non parlare di quanti docenti – visti gli stipendi di fame che lo Stato assegna a chi ha il compito di formare le generazioni future – hanno computer obsoleti o inutilizzabili per fare didattica via web. A loro chi ci deve pensare? Gli istituti scolastici, quegli stessi che a inizio dell’anno chiedono ai genitori di contribuire come possono (100 euro e passa la paura!) e di portare la carta igienica da casa perché mancano i fondi per comprarla?
Almeno, l’assessore regionale calabrese Sandra Savaglio, che ha le deleghe per Istruzione, Università e Ricerca Scientifica, ha per fortuna le idee chiare: «I 3,6 milioni destinati dal Governo alla nostra regione per la didattica a distanza – ha detto – non bastano a soddisfare le esigenze di decine di migliaia di studenti alle prese con lezioni on line e che al momento si adattano come possono, supportati dalle famiglie e dagli insegnanti».
La soluzione, propone l’assessore Savaglio, è destinare parte del Fondo Sociale Europeo ancora disponibile alle famiglie che non hanno accesso alle risorse messe a disposizione delle scuole, per acquistare i dispositivi necessari alla didattica a distanza e assicurare il diritto allo studio per tutte le nostre ragazze e i nostri ragazzi.
Una proposta avanzata di concerto di concerto con la presidente della Regione Jole Santelli, a margine dell’incontro avuto dal Ministro Azzolina con tutti gli assessori regionali all’Istruzione. Un meeting durante il quale sono state sollevate molte questioni cui, ovviamente, non è stata data risposta.
«Per coprire quel terzo di studenti svantaggiati – osserva la Savaglio – servirebbero almeno altri 300 milioni. Basterebbe anche l’1% di quanto disposto per le imprese. Il ministro Azzolina, dopo aver ascoltato gli interventi di tutti gli assessori, è intervenuta senza però chiarire nulla sulle varie questioni avanzate: né sugli esami di stato, né sui tempi di chiusura e riapertura della scuola; nessuna risposta riguardo le risorse da destinare al comparto scuola. Sarebbe, invece, opportuno arrivare ai decreti ministeriali solo dopo aver ascoltato i rappresentanti istituzionali regionali portatori delle istanze dei vari territori, soprattutto in un momento emergenziale come quello che tutti noi stiamo attraversando».
Un’ulteriore considerazione non va trascurata: ammesso e non concesso che si trovino i fondi per dotare gli studenti di computer (o tablet) associati ovviamente alla disponibilità di banda larga, chi si prenderà la briga di configurare, spiegare, addestrare all’uso quanti non sono in grado di mettersi alla tastiera e usare un pc? Immaginiamo subito l’obiezione: i ragazzi di oggi, anche se non hanno il computer in casa, sanno usare tutti il pc (perché giocano con quello dell’amico), la playstation e qualsiasi altra diavoleria elettronica. Sì, ma un conto è giocare a Fifa oppure a Fortnite, un altro è mettersi a seguire ed eventualmente interagire col prof con qualche domanda usando un qualsiasi programma di comunicazione (teleconferenza?).
Abbiamo, a questo proposito, una modestissima proposta alternativa. Gli ultracinquantenni ricorderanno, almeno per sentito dire, un programma che si chiamava Non è mai troppo tardi, un corso di istruzione popolare andato in onda dal 1960 al 1968 dedicato agli analfabeti. Il maestro e pedagogo Alberto Manzi ha il merito di avere insegnato a leggere e scrivere a milioni di adulti analfabeti.
Perché non utilizzare il mezzo televisivo e più propriamente le televisioni locali per distribuire lezioni in video a quanti non hanno un pc?
La diffusione per aree provinciali permetterebbe di organizzare corsi specifici che possano permettere di diversificare le lezioni.
I docenti e gli insegnanti possono utilizzare i mesi estivi a registrare lezioni in video (si fa anche col telefonino) e metterle a disposizione delle emittenti locali, oltre che renderle disponibili sul web. Youtube è gratuito, pubblicare non costa nulla.
Certo non mancano i problemi: chi coordina i lavoro? Chi decide come svolgere il programma in teledidattica? Chi insegna ai docenti a realizzare i corsi in video? Non è che tutti sono dei maghi del computer, però la collaborazione tra colleghi potrebbe fornire risultati eccezionali e imprevedibili.
Le lezioni andrebbero distribuite al mattino, in tv, e i ragazzi non avrebbero scusanti per non seguirle. Un conto, come si sa, è studiare sui libri e basta, un altro è ritrovare sui libri quanto si è ascoltato dai prof.
Mancherebbe, ovviamente, il contatto umano e quella sorta di odio/amore che gli studenti sviluppano nei confronti degli insegnanti, ma siamo in una situazione d’emergenza, occorre gestire il momento di crisi con soluzioni adeguate. Soprattutto per non creare un pauroso vuoto formativo che difficilmente si riuscirebbe poi a colmare.
Quando si tornerà sui banchi, tutto ciò che è passato in tv o sul web non andrà perduto: è formazione, teniamolo bene a mente, di alta qualità che il docente realizza mettendoci passione ed entusiasmo (che difficilmente mancano negli insegnanti), aggiungendo un pizzico di “pionierismo” tecnologico che sicuramente renderà meno noiose le lezioni.
La Regione, l’assessore Savaglio, dovrebbero prendere in considerazione questa alternativa, coinvolgendo il Corecom (che sovrintende alle emittenti locali) e anche la sede regionale Rai di Cosenza. Non siamo tecnici e non azzardiamo soluzioni avanzate, ma la sola idea che potrebbe bastare un cavalletto (10 euro) e un telefonino da 100 euro con una discreta telecamera (che quasi tutti gli insegnanti già hanno) registrare le lezioni, è sicuramente eccitante.
Non crediamo che le tv private avrebbero da obiettare: al posto di trasmettere televendite (che in questo periodo di emergenza sono sempre più rare) o riproporre sempre gli stessi film usurati dal tempo, andrebbero a svolgere un servizio di altissimo valore civile.
Non serve nemmeno che le tv locali mettano a disposizione tecnici, studi di registrazione o servizi di post-produzione: dovranno solo mandare in onda, secondo un calendario studiato ad hoc, per tipologia di studio e di classe, le videolezioni.
Oppure serviranno ben altro che i 300 milioni indicati dalla Savaglio per colmare il digital divide dei ragazzi calabresi. Un portatile di fascia medio-bassa può costare all’ingrosso meno di 200 euro, ma servirà anche portare internet nelle case dove ormai il telefono fisso non c’è generalmente quasi più.
E il lavoro di preparazione dei docenti e di realizzazione delle video lezioni andrebbe comunque fatto. In attesa del miracolo tecnologico digitale (ovvero web gratis per tutti e un pc in ogni casa) ricorrere alla vecchia televisione non dovrebbe apparire tanto assurdo. (s)