di FRANCO CIMINO – No, non mi stancherò di ripeterlo, il problema principale della nostra Città è la dimenticanza e l’ignoranza di gran parte della sua classe dirigente. A volte questi due fattori si intrecciano e muovono insieme, nello stesso tempo. È quando “ passano in cavalleria”, come diceva mio padre, due fattori importanti, il Mare e l’Università.
Le Città che hanno o l’una o l’altra stanno, diciamo, bene in salute. Quelle che le possiedono ambedue sono addirittura “felici”. Le prime, certamente, sono più ferventi di civiltà, educazione civica e sensibilità politica. Le seconde, questo e altro ancora. Sono anche ricche, intendendo la ricchezza come l’insieme di risorse economiche e materiali e tanto altro di immateriale pure più importante. Catanzaro, la nostra, occasionalmente e insufficientemente, amata, possiede sia il Mare, sia l’Universita. Ciononostante, scandalo tra gli scandali, resta in coda in tutte le classifiche della buona qualità.
I motivi sono due, per nulla difficili da comprendere. Il primo è appunto, l’ignoranza. Non si conosce affatto il valore incommensurabile del Mare e delle sue ricchezze manifeste. Non ci si ricorda della sua esistenza, e del dono, questo sì autentico e gratuito come il dono, che rappresenta per la Città. Un dono bellissimo, tanto lo è il nostro mare. Non si conosce il peso notevole, con tutti gli indotti che procura, che l’Università esercita sul più vasto territorio che la comprende. Inoltre, non ci si ricorda della sua esistenza qui. Tuttavia, c’è una differenza tra il Mare e l’Università. Riguarda la responsabilità propria di questi due “soggetti” rispetto al Capoluogo. Mentre il Mare non ne ha alcuna di negativo, difendendosi, come sua natura detta, dalle offese che gli abbiamo arrecato, l’Ateneo ne reca disinvoltamente una sua propria, che un provincialismo di maniera, qui, accentua. È l’autoreferenzialità, che da noi invece che esaltare lo spirito di autonomia, che la Legge Fondamentale dello Stato le assegna, si è fatta, sin dalla sua nascita, indipendenza assoluta.
E, da questa, chiusura fortilizia. E, da questa ancora, separazione dal contesto. Pertanto, separatezza. La più pericolosa, perché generatrice di divisioni, incomprensioni, distanziamento. Conflitti, anche se non armati. Ovvero, disarmati di loro stessa incapacità allo scontro. Per mancanza di strategie “ militari” o di coraggio. All’inizio era facile pensare che questo distacco, con le relative conseguenze anzidette, dipendesse dalle ambizioni e dal carattere, diciamo forte e ostinato, per usare due eufemismi generosi, delle due personalità forti poste alla guida dei due “ enti”. Non si amavano e, per il distacco culturale, tra i due, Salvatore Venuta e Sergio Abramo (non riferibile però al grado d’istruzione o ai titoli accademici, ma alla diversità del loro pensare)le due realtà sono rimaste distanti, fino a diventare, anche senza di loro(per il peggioramento, con brevi e poche eccezioni, del livello della rappresentanza) vere e proprie separatezze.
Le due personalità non simpatizzavano, le due realtà pure. Non “si parlavano”. Le due dimensioni, pure. Anche per questo, Università e Città si sono mosse in direzione “ostinata e contraria”. L’una ha negato all’altra ciò che l’una avrebbe potuto, com’è accaduto ovunque, donare ciò che di essa sarebbe servito all’altra. Il territorio non ha ricevuto alcunché dalla ricerca laboratoriale e dagli studi specialistici, l’Ateneo assai poco dal perimetro urbano nel quale è allocata. Un record olimpionico, si potrebbe dire.
Per rendere più attiva, quasi atto volontario, questa separatezza, si è lavorato molto sulla chiusura fisica di ambedue i luoghi, facendo diventare, il primo un non luogo e il secondo un insieme di agglomerati tutti periferici e scarsamente identitari. La distanza fisica si é addirittura materializzata negando i(e ai) giovani allo spazio più delicato e “ romantico” qual è il sempre più intristito Centro Storico. L’affolamento di studenti nella Marina, non è stato altro che una ingannevole attrattiva, in cui il sole, sempre primaverile, e il mare sempre fascinoso, c’entra assai poco. Potremmo, su questa via, continuare a dire a lungo, ma servirebbe a poco, rispetto al fatto più evidente. Anzi, ai due fatti più cogenti. Anche qui l’uno segue l’altro, intrecciandosi nello stesso vecchio punto. L’Università nostra( della Magna Grecia, così detta per concepirla quale interamente calabrese e mediterranea), continua a far da sé senza e, oserei dire, a fronte delle assurdità consumate anche di recente, contro Catanzaro.
L’esempio più eclatante è l’istituzione della Facoltà di Medicina a Cosenza, e a Reggio nel desiderio di questa, e la quasi certa perdita del Cnr, come denunciato coraggiosamente da Antonello Talerico, tema sul quale ritorneremo, turbati anche dal più assurdo silenzio che “mortalmente tace” su di esso. A tutto ciò si aggiunga la totale indifferenza generale, anche intra Ateneo, per uno dei momenti più importanti della vita di quell’alta istituzione culturale, l’elezione del Rettore, vista da lontano non come atto di arroganza “proprietaria” come la si intende da più parti, ma quale fatto tristemente ordinario in un contesto che appare sempre più deprivato di vitalità, anche politica e culturale. E su cui poco potranno incidere intenzioni estemporanee da quel contesto immobile, probabilmente determinate per furbizia da fumo negli occhi o per convenienze d’altro genere.
Il problema che qui si pone non riguarda la qualità degli insegnamenti o altro di valore scientifico acquisito negli anni, ci mancherebbe pure che non ci fossero. Il problema è culturale e politico. Su questo terreno, Città e Università costituiscono due debolezze che si indeboliscono reciprocamente e progressivamente. È tempo che questa tristezza dolorosa e dannosa si interrompa. Un sindaco “universitario” oltre che colto, e perciò politicamente molto sensibile, come il nostro, faccia con un solo passo i due che Università e Città dovrebbero fare insieme per incontrarsi nello spazio più solenne e promettente, quello della Politica.
Lo faccia subito, perché non c’è più tempo da perdere. Approfitti dell’elezione del nuovo Rettore e avvi, anche con la discussione più ampia e coraggiosa del Consiglio Comunale, magari aperto agli organismi statutari dell’Ateneo, la costruzione di un nuovo e fecondo rapporto tra le due autonomie più democratiche che vi siano, unitamente al sistema delle degli enti locali, nella ingegneria costituzionale del nostro Paese. Si parta, per esempio, con la realizzazione di un’idea antica( posso dire la mia?), quella di un “campus all’aperto in pieno Centro Storico” in cui allocare tutte le facoltà definibili genericamente umanistiche, in esse quelle “giurisprudenziali”, così da inventare una Università bellissima, distribuita razionalmente su due spazi straordinari per due ambiti specificamente dedicati, quello scientifico da implementare ancora, al Campus Venuta, e quello umanistico da allargare notevolmente, nel Centro Storico.
Il tutto mentre in contemporanea, anzi prima ancora, cioè oggi, si fondi la Facoltà delle Scienze del Mare, con sede a Marina. Una sede bella, a distanza necessaria ma davanti al nostro Mare, mettendoci vicino magari un moderno Istituto Nautico. Ovvero quello dei maestri d’ascia, di cui il nostro quartiere ne conserva storia e tradizione. E non si guardi con timore a Cosenza per questo, ma piuttosto ai nostri ritardi e alle nostre distrazione di cui la Città Bruzia dalle rinnovate ambizioni di grandezza ha saputo approfittare. (fc)