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L'Unical protagonista dei lavori geologi preparatori per il Ponte sullo Stretto

Il Ponte: da interesse nazionale a urgenza europea

di LEANDRA D’ANTONE – Un ponte, in qualsiasi parte del mondo, non è che un tratto più o meno lungo di strada e ferrovia in un grande sistema di connessioni materiali e immateriali; testimonia intelligenza pubblica e privata, sapere tecnico-scientifico, conoscenza dell’ambiente, capacità e trasparenza amministrative, una politica capace di rispettare gli impegni.

Da sempre ne sono stati realizzati, insieme ad altre audaci tipologie di collegamenti, attraversando la terra sotto i mari o flottando nei fondi marini, alimentando salti tecnologici e ampliando orizzonti di ogni tipo, talora per connettere isole anche poco popolate al resto di un paese, o per unificare immense regioni dello stesso stato, o per collegare stati vicini.

I più importanti ponti costruiti dagli anni Novanta del ‘900 sono lo scandinavo Great Belt (6,8 km, 1998), il Vasco de Gama (Lisbona, 12,3 km, 1998), l’Incheon (Corea del Sud 12,5km, 2009), l’Øresund (tra Danimarca e Svezia, 16 km, 2000).

La Cina ha realizzato i più lunghi ponti ferroviari ad alta velocità. Tra questi il Dayang Kshang, ora il più lungo del mondo (164,8 km, 2011). Quanto ai ponti sospesi dal 2023 il Çanakkale Bridge, intitolato ad Ataturk, congiungendo in 4 anni la parte europea e quella asiatica della Turchia al costo di 2,8 miliardi (5,2 km di impalcato e 2,023 km di campata unica), ha tolto il primato al giapponese Akashi-Kaiko (3,9 km. di impalcato e 1,99 km. di campata unica, 1998). Quest’ultimo collega l’isola giapponese più grande di Honsu all’isola di Awhaji con solo 157.000 abitanti.

Si tratta di ponti stradali; sebbene l’Akashi sia stato progettato anche come ponte ferroviario, attualmente il traffico scorre lungo 6 corsie stradali.

I ponti con la più lunga campata unica sono stati finora costruiti in Turchia e Giappone, in aree ad altissima sismicità. Il Çanakkale Bridge, in particolare, può essere considerato “figlio” del Ponte dello Stretto perché progettato con le stesse tecnologie ed i cui studi hanno fatto da battistrada e da modello.

L’Akashi, in fase di costruzione, nel 1995 ha resistito al sisma di magnitudo 6,8 Richter. In Italia proprio negli ultimi trent’anni il Ponte di Messina, un’opera ad altissima tecnologia dell’acciaio, con la sua campata unica di 3.3 km di assoluto primato mondiale, da tempo riconosciuta strategica per il futuro dell’Italia e dell’Europa, è diventato, una sorta di giocattolo della politica. L’opera è stata sottoposta a continui stop and go scanditi dal succedersi dei governi; al punto da caratterizzare, nel favore o nella contrarietà, la prima dichiarazione programmatica di presidenti del Consiglio, di leader di partito e sindacati, come per un rito di iniziazione identitaria nella rispettiva arena consensuale di riferimento.

Com’è noto, il collegamento stabile delle sponde della Sicilia e della Calabria ha una storia lunghissima. Da sempre immaginato (come normale avvenga e come sempre e ovunque avvenuto quando un tratto di mare separa lembi di terra ricongiungibili), è stato paradossalmente facile millenaria fantasia dell’impossibile e dell’irrealizzabile. Nei decenni più recenti è diventato invece difficilissima e contestatissima scelta del possibile e del realizzabile; da quando, nel 1992, è stato approntato e reso pubblico il Progetto di massima della Società concessionaria. Ciò è accaduto soprattutto per ragioni politiche dai molti tratti irrazionali; in particolare per la corta vista in anni di diffuso pregiudizio “leghista” di destra e di sinistra verso un Sud potenzialmente trainante grazie a investimenti infrastrutturali sistemici nel cuore del Mediterraneo; per l’ostilità alle grandi opere pubbliche da parte di una sinistra ormai refrattaria all’innovazione in nome di un ambientalismo e di una idea di equità territoriale mal rappresentati e interpretati; per l’incompiutezza del progetto economico e politico dell’Unione Europea, annunciato già nel 1992 a Maastricht e integrato nel 1995 a Barcellona con la decisione di istituire, entro il 2010, una zona di libero scambio nel Mediterraneo; per l’incapacità delle regioni meridionali di pretendere, concorrendo esse stesse, investimenti pubblici di qualità; optando invece per la contrattazione di un ammontare di risorse, in genere il 40% (per “meridionalismo quantitativo”), un’opzione che recentemente ha anche caratterizzato l’inserimento dei progetti per il Sud nel PNRR.

Al Progetto di collegamento stradale e ferroviario del 1992 si era arrivati grazie a un forte attivismo parallelo e sinergico dei territori interessati, di imprese nazionali pubbliche e private, di istituzioni regionali e nazionali, molto intenso nei primi decenni seguiti alla Seconda guerra mondiale.

Solo successivamente, la costruzione di un ponte sospeso a una o più campate cominciò ad essere diffusamente auspicata e ritenuta rapidamente attuabile, alla luce degli straordinari progressi in materia fatti negli Stati Uniti, che negli anni del Piano Marshall sollecitarono il governo italiano in tal senso. Nel 1961 per la realizzazione di un ponte in acciaio si offrì anche la Amman & Whitney di New York, realizzatrice del Golden Gate a San Francisco e del Verrazzano a New York.

Tra i promotori della realizzazione di un ponte stradale e ferroviario in acciaio fu nel 1952 l’Associazione dei siderurgici italiani che, associata alla U.S. Steel, commissionò un progetto all’ingegnere statunitense David Steinman. Per questo progetto si mobilitarono tutti i soggetti imprenditoriali e le istituzionali locali, le camere di commercio con le amministrazioni provinciali di Reggio e Messina, ma soprattutto la giovane autonoma Sicilia. Nel cuore di un decennio di intenso sviluppo economico dovuto agli investimenti nel settore energetico e petrolifero, all’exploit delle esportazioni agroindustriali e al raddoppio del traffico di merci e passeggeri attraverso lo Stretto, nel 1955 la Regione Sicilia destinò oltre cento milioni di lire del tempo agli studi geologici dell’area affidandoli alla Fondazione Lerici del Politecnico di Milano. Nel 1955 nacque sotto la guida di un ingegnere visionario come Gianfranco Gilardini, la società Gruppo Ponte di Messina (GPM), con azioni Finsider (32%), Fiat (28%) e quote minori di Italcementi, Impresit, Girola, Lodigiani, Pirelli, Italcementi, Montecatini, Italstrade. Il GPM, per propria cura e a proprie spese, coinvolse i più prestigiosi studiosi dell’ambiente terrestre e marino per valutare la fattibilità di tre tipi di collegamento: alveo, subalveo e aereo.

Nel pieno dell’azione per lo sviluppo della rete autostradale e ferroviaria e dell’Intervento straordinario nel Mezzogiorno, nel 1958 il Governo italiano insediò presso il Consiglio superiore dei Lavori Pubblici una commissione di studio del collegamento, presieduta dall’Ing. Pier Luigi Nervi, ed emanò una legge che finanziava un concorso internazionale di idee. Il concorso fu bandito da Anas e dalle Ferrovie dello Stato nel 1969; vi parteciparono ben 143 progetti, di cui sei premiati ex aequo e sei segnalati prevedevano sia il ponte a tre campate che il tunnel subalveo. Nel 1971 il collegamento divenne legge come opera di interesse nazionale ed europeo e con affidamento e ad una costituenda società a maggioranza IRI. Nel 1979 gli studi del GPM vennero presentati nella sede dell’Accademia dei Lincei e confluirono in un Rapporto di fattibilità (1981).

Tra la legge e l’istituzione della società Stretto di Messina, nel 1981, passarono 10 anni, durante i quali continuarono gli studi. La Società Stretto di Messina nacque con azioni IRI per il 51% e partecipazioni paritarie di Regione Sicilia, Regione Calabria, Anas e Ferrovie dello Stato. La GPM. cedette quindi le sue ricerche alla nuova concessionaria, che approfondì la fattibilità di tutte le soluzioni rispettando la direttiva ministeriale del 1984 che prescrisse rigorose verifiche di impatto ambientale. Nel 1986 l’ENI ripropose il tubo flottante già premiato al concorso del 1969 (a firma di Alan Grant e ridenominato Ponte di Archimede). Proprio constatando l’evidente competizione tra i due potentissimi enti pubblici italiani, ENI e IRI, a sostegno della propria tecnologia (conflitto interno allo Stato stesso) e il progressivo raffreddamento dell’interesse di entrambi, è indubbio che l’approvazione del Progetto di massima del 1992 di ponte sospeso della Società Stretto di Messina sia stato il risultato di una attenta considerazione di tutte le soluzioni alternative.

Contrariamente a quanto incredibilmente sostenuto dalle diverse parti politiche e si sostenga ancora, dopo qualche anno è stato il governo di centrosinistra guidato Romano Prodi e non il centro-destra di Berlusconi ad avviare, con visione nazionale ed europeista, la procedura pubblica per la verifica del Progetto e la realizzazione del collegamento, sottoponendolo nel 1997 al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, che diede parere favorevole e prescrisse gli approfondimenti necessari e le gare relative.

Nel 2001 l’opera è stata ereditata dal Governo Berlusconi, e sol per questo dall’opposizione politica definita “Ponte del Cavaliere”, “opera faraonica”, “cattedrale nel deserto”, nonché stigmatizzata come mafiosa e distruttiva dell’ambiente; nel migliore dei casi “opera non prioritaria”. In sintesi, la sinistra italiana è riuscita nel volgere di qualche anno a censurare sé stessa.

In controtendenza con i tempi, visto che dall’inizio del nuovo millennio quel pezzo di strada e di ferrovia nel cuore del Mediterraneo, capace di unire il Sud del Sud italiano col territorio nazionale e continentale e di far volgere il necessario sguardo dell’UE verso il Sud del mondo, ha assunto sempre maggiore valore strategico nelle sedi istituzionali europee e nelle politiche nazionali e comunitarie per la coesione e lo sviluppo territoriale.

Poco si è rivendicato a sinistra, ma in generale tra tutti gli oppositori dell’opera, anche circa la qualità del processo valutativo e decisionale seguito dalla pubblica amministrazione; improntato alla massima trasparenza ed al conseguimento dei migliori risultati in relazione agli obiettivi di coesione economica e sociale perseguiti dal Governo; fondato, nel presupposto della necessità di un intervento, sulla comparazione mediante studi di fattibilità degli impatti delle due soluzioni alternative (con o senza ponte).

Come advisor indipendenti furono selezionate con bandi di gara internazionali le migliori società di valutazione attive nella realizzazione di ponti e infrastrutture strategiche: la Steinman-Parson-Transportation Group per l’approfondimento del progetto tecnico, la Pricewaterhouse Coopers Consulting, la Pricewaterhouse Coopers UK, la Sintra s.r.l., per gli impatti, economico, trasportistico e ambientale.

Una Direzione di coordinamento territoriale appositamente istituita presso il Ministero dei Lavori pubblici, trasmise al Governo con Relazione di accompagnamento gli studi degli advisor, al fine di consentire la migliore decisione politica e avviare consultazione del mercato.

Per tutte le ragioni ricordate al passaggio del millennio, il progetto di collegamento stabile non aveva mai avuto la fisionomia limitata di un’infrastruttura locale di solo 3,2 km, finalizzata esclusivamente a colmare la distanza tra due sponde separate. L’Unione Europea aveva disegnato il grande piano intermodale Trans European Network-Transportation (TEN-T) per attraversarla interamente, da Est ad Ovest, da Nord a Sud. Nella grande rete TEN-T figurava il corridoio dell’alta velocità ferroviaria Berlino-Palermo (allora corridoio 1) che includeva il Ponte sullo Stretto a garanzia del passaggio dei treni Eurostar (non scomponibili e quindi non trasferibili con le navi traghetto in uso), opera necessaria per la compiutezza del sistema dei collegamenti e per garantire uguale diritto alla mobilità a tutti i cittadini europei. Le reti intermodali europee, con l’alta velocità ferroviaria fino alla Sicilia e con i porti meridionali, rendevano già quel collegamento assai più lungo degli effettivi 3,2 chilometri di mare che separavano i due lembi di terra, l’Italia continentale da una delle sue regioni più popolate, la Sicilia con 5 milioni di abitanti. Attraverso lo Stretto passava una quota rilevante del traffico via mare attraverso il Mediterraneo di merci dall’estremo Est all’estremo Ovest mediante navi giganti porta-container, facendo di Gioia Tauro   tra i primi terminal del Mediterraneo per il transhipment.

Nel 2003 il Ponte sullo Stretto figurava nella Short List del Commissario Karel Van Miert fra i progetti strategici prioritari dell’Ue, che ha continuato ad auspicare la realizzazione dell’opera, mentre proprio dal paese interessato sono venuti i maggiori ostacoli; dall’improvviso voto contrario del 2004 nel Parlamento europeo dei deputati della sinistra italiana orientata da Claudio Fava, alle continue sospensioni nei programmi di governo, motivate ufficialmente con l’urgenza di altre priorità, ma finalizzate a dirottare risorse finanziarie verso obiettivi ad alta attrattività  elettorale, come l’abolizione dell’Ici sulla prima casa decisa nel 2008 voluta proprio dal Governo Berlusconi. Ciononostante, la procedura per la realizzazione dell’opera è proseguita fino al suo completamento: dalla individuazione per bando di gara del contraente generale nell’Associazione temporanea di imprese Eurolink S.C.p.A. guidata da Impregilo (dal 2020 Webuild S.p.A.) con un’offerta di 3,8 miliardi di euro, al perfezionamento del contratto, al progetto definitivo, a tutte le approvazioni prescritte, e persino all’avvio dei cantieri per la variante ferroviaria Cannitello-Villa San Giovanni.

Nel 2012, com’è noto, il Governo Monti ha cancellato definitivamente l’opera (di nuovo “non prioritaria”), esponendo lo Stato a un contenzioso con il contraente generale del valore di circa 800 milioni di euro. Il contenzioso ha impedito lo scioglimento definitivo della Società Stretto di Messina, liquidata per legge ma non soppressa. Alla forte penale contestata si aggiungerebbe oggi a carico dello Stato a una spesa di 350 milioni di euro per gli studi e le procedure, spesa peraltro per nulla eccessiva dato l’enorme impegno scientifico e procedurale richiesto; tanto che le conoscenze acquisite sono universalmente considerate, anche dai più estremi ecologisti, un archivio di saperi geofisici e ambientali di valore planetario. Facendo la somma la “non realizzazione” dell’opera costerebbe oltre un miliardo, più 7 miliardi annui di Pil in meno in Sicilia calcolati come conseguenza della condizione di insularità, a fronte dei circa 6 miliardi del costo previsto per la realizzazione, includendovi i collegamenti.Va anche precisato che nel corso dello stesso trentennio il disegno del sistema europeo delle connessioni intermodali è stato rivolto soprattutto verso l’obiettivo dell’integrazione dei paesi membri e dell’allargamento. La prospettiva euro-mediterranea si è indebolita rapidamente per la degenerazione degli esiti delle cosiddette “primavere arabe” e per l’esplodere del terrorismo islamico con le conseguenti guerre di contrasto. In Italia si è indebolita ancora una volta la prospettiva meridionalista, inaspettatamente rivitalizzata da metà anni Novanta proprio grazie alle politiche regionali dell’Ue e alla costituzione dell’eccellente Dipartimento per la coesione e lo sviluppo entro il Ministero del Tesoro. Le politiche governative ordinarie sono tornate come in passato a indirizzare la gran parte degli investimenti strategici verso le regioni del Nord e a rinviare alla spesa aggiuntiva gli obiettivi di convergenza del Mezzogiorno. Il Piano generale dei trasporti – nelle edizioni innovative 1986 e 2001, integrato, sistemico e coerente con il Network TEN-T e la stessa mastodontica “legge obiettivo”, si sono risolti nella realizzazione dell’alta velocità ferroviaria solo nel Centro-Nord (fino a Napoli), e per il Sud nel semplice adeguamento con corsia di emergenza dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, parzialmente ammodernata ma rimasta prevalentemente di montagna e a due corsie. Di conseguenza i cittadini meridionali, soprattutto siciliani e calabresi, sono imprigionati in un sistema di comunicazioni duale e fortemente penalizzante sia per la circolazione di merci e persone che per lo sviluppo complessivo dell’area e delle sue relazioni economiche e culturali.

Il Ponte sullo Stretto è uscito dall’elenco delle opere prioritarie europee e il corridoio multimodale Palermo-Berlino ha lasciato il posto al Corridoio 5, dalla Scandinavia a La Valletta, orientando l’alta velocità ferroviaria dal Nord verso la Puglia e operando una deviazione modale attraverso l’Adriatico fino a Malta.

Nel 2012, al momento della cancellazione dell’investimento sulla continuità territoriale del Sud con il resto d’Italia e con tutta l’Europa, si stava appena uscendo dalla grave crisi mondiale iniziata nel 2008, nata dal più imponente azzardo fatto nella nostra storia sulle speculazioni finanziarie con titoli vuoti, i derivati, e con la distrazione della finanza dagli investimenti produttivi. L’Italia, già in declino industriale, è rimasta “la grande malata d’Europa” (Adriano Giannola, Svimez) anch’essa non più in grande salute anche per la sua stessa incompiutezza, soprattutto priva di unità politica e di un Southern Range espansivo proprio quando più urgente di fronte all’intenso succedersi di eventi catastrofici e divisivi: una pandemia inattesa e sconosciuta e l’invasione russa dell’Ucraina, nuova “guerra mondiale” in Europa, ed ora la gravissima crisi Mediorientale iniziata il 7 ottobre 2023 con la strage di Hamas in Israele.

L’Italia è ancora lontana dal recuperare gli stessi livelli pre-crisi. Nel Sud italiano la crisi ha abbattuto più o meno del doppio rispetto al Nord investimenti industriali, occupazione, consumi; trovandosi ancora in una posizione di ripresa a metà, aggravata dall’ormai decennale fuga dei giovani più istruiti e dall’inversione della curva demografica, inevitabile data la disoccupazione dilagante e la mancanza di servizi essenziali per le giovani famiglie (Rapporti Svimez).

L’urgenza di una svolta in Europa, in Italia e nel Sud, si era com’è noto già concretizzata dal 2015 al 2020 nel Quantitative Easing, la prima grande operazione di acquisto sul mercato secondario di titoli del debito sovrano o privato dei paesi UE per 3.300 miliardi di euro da parte della Banca Centrale Europea presieduta da Mario Draghi; nel 2021 nel Recovery Fund UE-Next Generation dell’ammontare di 750 miliardi di euro, di cui il 30% destinati al Green New Deal. Nella distribuzione dei finanziamenti del Piano europeo l’Italia ha avuto la quota maggiore, 198 miliardi di euro, in considerazione degli svantaggi delle regioni meridionali in termini di Pil, occupazione, e dotazione di infrastrutture sociali e di connessione; non per un semplice obiettivo di convergenza nazionale di interesse europeo, ma per la consapevolezza che nell’attuale contesto geopolitico, economico, ambientale in travolgente trasformazione la principale scommessa per la vita stessa dell’Unione europea si giochi più che mai a Sud, passi per il Mediterraneo. Lo mostra la densità del traffico (il 20% del commercio mondiale e il 27% dei servizi di linea marittimi.

Al centro del Mediterraneo e del destino da scrivere è il Mezzogiorno. “La Sicilia non è un’isola” ha ricordato efficacemente Fabrizio Maronta di Limes (Fondazione PER, Quaderno 2,2023). È tornato prepotentemente centrale il tema delle infrastrutture intermodali della mobilità, tra le missioni più rilevanti del PNRR; è tornato prepotentemente centrale il tema della continuità territoriale, di quel collegamento strategico lungo solo 3,3 chilometri che vale per il Sud, per l’Italia e per l’Europa, quanto la competizione globale in corso, non solo economica.

Il governo attuale ha rimesso sul tavolo degli impegni prioritari il Ponte sullo Stretto: si deve fare, partiranno i lavori a metà 2024. La Società Stretto di Messina è stata riattivata e riorganizzata nel suo assetto azionario e manageriale. Lo scenario attuale, di ridefinizione economica e politica degli assetti globali, di transizione energetica ed ecologica, impone lucidità di visione, scelte coerenti e trasparenti: non c’è più tempo.

Incombe anche il rischio che ad avvantaggiarsi maggiormente della revisione delle reti TEN-T, recentemente proposta dalla Commissione Europea per effetto della guerra ucraina sia l’Europa centro-orientale con in testa la Polonia, facendo perdere peso ai vecchi assi Est-Ovest e Nord Sud a favore del Nuovo Corridoio Baltico-Nero-Egeo. Incombe persino il rischio che la nuova gravissima crisi mediorientale iniziata col pogrom antisemita del 7 ottobre 2023, indebolisca la forza strategica che il Mediterraneo ha acquisito con la nascita dell’Unione europea e rafforzato negli ultimi anni.

Il Ponte sullo Stretto di Messina, l’infrastruttura meno puntuale di tutto il sistema di connessioni e di relazioni, è stata erroneamente considerata nella sua singolarità. È la meno puntuale per tutto lo spazio economico-sociale, culturale e di cittadinanza che può includere ed espandere, e forse per questo la più contestata. È davvero grave che sia ancora oggi proprio la sinistra italiana nelle sue espressioni ufficiali, a rinnegare non solo decisioni passate, ma persino la sua stessa identità innovatrice e a favore dell’equità sociale. Che contrasti oggi un’opera con un raggio di azione e un impatto così ampio e incisivo, di valore civile e non partitico. (lda)

Leandra D’Antone è Professore Ordinario Senior di Storia Contemporanea all’Università La Sapienza di Roma)