L’ANALISI DEL PROF. PIETRO MASSIMO BUSETTA SUI GUASTI CHE PORTERÀ IL FEDERALISMO DEL NORD;
Autonomia dofferenziata

L’AUTONOMIA PREMIA LE REGIONI RICCHE
MA IL SUD NON CHIEDE ASSISTENZIALISMO

di PIETRO MASSIMO BUSETTA Il Mezzogiorno è diventato, negli ultimi giorni, da soggetto dimenticato nei programmi dei partiti ad elemento di attenzione notevole, da quando si è percepito che probabilmente molti dei seggi del maggioritario sono ancora contendibili. 

Ed allora il PD, che con Boccia era quasi pronto a varare l’autonomia differenziata nel Conte due, diventa difensore di un Sud che con essa verrebbe discriminato. Ma un’altra forza sta tentando di caratterizzarsi come difensore dei diritti del Sud, ponendosi in modo molto deciso a difendere quel reddito di cittadinanza, tanto contestato da molte forze nazionali, che hanno stupidamente consegnato al Movimento lo scudo di difensore di tale provvedimento. Si tratta dei Cinque Stelle che sulla base di tale difesa stanno recuperando molti dei consensi che avevano perso.

Il risultato è che l’immagine di un Mezzogiorno, che chiede assistenzialismo e norme che portino a fregare il pubblico, sta diventando prevalente. Eppure sul vero tema che dovrebbe essere centrale rispetto alle politiche ed ai programmi non si concentra l’attenzione né dei partiti né della opinione pubblica nazionale. 

Il vero tema è quello che si racchiude in pochi dati: popolazione del Mezzogiorno pari a poco meno di 21 milioni di abitanti, occupati, compresi i sommersi, 6 milioni e 100.000. In un rapporto funzionale, come quello esistente in Emilia-Romagna, gli occupati dovrebbero essere circa 9 milioni, quindi mancano all’appello oltre 3 milioni di posti di lavoro. Chi si stupisce del fatto che vi sia una popolazione così numerosa che ricorra al Reddito  di cittadinanza evidentemente ha poca dimestichezza con i dati.

Lamentarsi che vi siano tanti fruitori e poi lavorare, come ha fatto il ministro Giorgetti, per portare l’Intel a Torino, che costringerà migliaia di persone ad emigrare, visto che forza lavoro disponibile in Piemonte non se ne trova, è una contraddizione in termini. E assume come inevitabile il fatto che la gente del Mezzogiorno o debba trasferirsi, desertificando il territorio, oppure deve rimanere nei propri territori in una situazione di indigenza.

Ma l’attenzione a questa parte dello sviluppo purtroppo anche lo stesso Mezzogiorno non riesce ad averla adeguatamente, dando consenso non a chi propone un progetto  credibile in tempi non infiniti, ma piuttosto a chi promette ogni giorno di dare un pesce per sfamarsi senza mai insegnare a pescare. Bisogna invece gridare che il Mezzogiorno non vuole essere più assistito, ma vuole ritrovare la dignità di essere industrializzato adeguatamente, e questo non significa diventare la batteria del Paese, quanto piuttosto finalmente far funzionare le Zes  manifatturiere, che stentano a decollare, visto che non funzionano da moltiplicatori di consenso. 

Il Mezzogiorno deve pretendere che vi sia un progetto per la propria logistica, che preveda che i porti frontalieri di Suez siano messi a regime, collegandoli  adeguatamente con la rete ferroviaria italiana, costruendo il  ponte sullo stretto di Messina. Come pure che il turismo, oggi anche se in crescita, con presenze equivalenti per tutto il Mezzogiorno a quelli della sola Ibiza, abbia un progetto che lo faccia passare ad industria turistica, che riesca a dare occupazione adeguata ai tanti giovani. 

Il primo soggetto che dovrebbe rifiutarsi di essere trattato da mendicante, al quale dare le mollichine che avanzano dal lauto pranzo dei signori,  dovrebbe essere proprio il Sud. Pretendere che l’offerta di lavoro diventi tale da assorbire quei tanti giovani disoccupati che si offrono sul mercato, ma che non vogliono essere sfruttati con lavori stagionalizzati, contrattualizzati per quattro ore per poi farne dodici.  

Ma su un progetto di sviluppo vero del Sud non vi è alcun indirizzo, perché non ci sono idee, non vi è una visione sistemica, una volontà vera di affrontare e risolvere il problema, anche perché destinare risorse importanti al Sud, anche quando provengono dall’Unione Europea, significa sottrarle alle mille esigenze che un Nord bulimico continua ad avere, con il risultato non auspicato magari di mettere  fra l’altro il Sud in condizione di competere proprio con le realtà che si vogliono proteggere. 

Prima fra tutti i porti di Genova e Trieste che dallo spostamento dei movimenti nei porti del Sud temono di perdere la loro centralità.

È un approccio che invece di moltiplicare i tavoli a disposizione pensa che l’unico modo sia quello di tenere alcuni in piedi per monopolizzare gli unici posti a sedere. Approccio che viene teorizzato nel principio della locomotiva e dei vagoni, per cui un Sud, che per lunghi anni prima dell’Unificazione aveva rappresentato grandi eccellenze oltre che problematiche non indifferenti, diventa una palla al piede che rallenta lo sviluppo di tutto il Paese. (pmb)

[courtesy il Quotidiano del Sud / l’altravoce dell’Italia]