L’OPINIONE / Franz Caruso: A che gioco stanno giocando i parlamentari calabresi con l’autonomia?

di FRANZ CARUSO –  È un mio impegno messo in campo sin dalla prima ora, far sentire la voce del territorio contro l’autonomia differenziata, una riforma purtroppo ancora poco conosciuta e dall’opinione pubblica, ma che, se dovesse diventare legge, arrecherà enormi danni all’Italia. C’è bisogno, pertanto, di una mobilitazione generale e complessiva della politica, delle istituzioni tutte, ma soprattutto delle popolazioni che devono chiedere conto alla loro rappresentanza a Palazzo Madama, dove abbiamo dei veri traditori della nostra terra. Altrimenti non avrebbero preferito l’accordo di potere in atto nel centrodestra di maggioranza ai bisogni delle loro comunità.

Ed, infatti, tutti hanno votato a favore dell’autonomia differenziata ad eccezione del senatore Nicola Irto. Ma gli altri a che gioco stanno giocando? Loro sanno cosa significa avere bisogno di cure e rivolgersi all’ospedale di Acri, depauperato nei servizi, o cosa significa andare al pronto soccorso di Cosenza? Lo sanno in quale stato comatoso versa la sanità calabrese? E cosa succederà quando le Regioni più ricche   potranno operare autonomamente  su questo come su altri settori come i trasporti, l’ambiente, la scuola etc. avendo in dote le risorse del proprio gettito fiscale, che significa lasciare le briciole al fondo di solidarietà a sostegno dei bisogni dei territori più poveri e disagiati?

A voler tacere, ovviamente, della problematica relativa alla determinazione dei Livelli essenziali di prestazione, per i quali sembra impossibile prevederne un adeguato finanziamento che si dovrebbe aggirare, per quanto si vocifera, intorno a 100 miliardi euro. Praticamente è una finanziaria se non di più e non credo che lo Stato  italiano avrà la capacità e la possibilità di sostenerlo.

Per cui come sindaci stiamo facendo quanto è nelle nostre possibilità per bloccare il provvedimento legislativo voluto dalla Lega. Ma le leggi si approvano in Parlamento e dai parlamentari che, su questo tema, per come detto non hanno alcuna sensibilità. Questo perché non devono dar conto ai  propri elettori ma ai propri leader politici che li candidano e li mandano a sedere sugli scranni di Montecitorio e di palazzo Madama evidentemente  ad eseguire  gli ordini di scuderia. Mi auguro, però, per il bene del Paese, di essere smentito in questa mia convinzione. (fc)

[Franz Caruso è sindaco di Cosenza]

A Lamezia riunito il Pd Calabria: Focus su rete ospedaliera, autonomia ed elezioni europee

Si è parlato della rete ospedaliera, dell’autonomia differenziata e delle elezioni europee nel corso della riunione, a Lamezia Terme, del gruppo del Pd in Consiglio regionale.

La riunione, introdotta e moderata da Mimmo Bevacqua, si è aperta con un approfondimento sulla situazione in cui versa la rete ospedaliera regionale, anche alla luce della deludente informativa resa in Consiglio dal governatore Occhiuto. I consiglieri dem hanno deciso di intraprendere, durante le prossime settimane, una serie di iniziative legate al tema, partendo dal confronto diretto con i sindacati e gli ordini dei medici.

I consiglieri hanno, poi, approfondito e discusso i temi che saranno oggetto della Conferenza programmatica del partito prevista per metà mesa e espresso soddisfazione per l’annunciata visita del Presidente Sergio Mattarella, vista come un segnale della presenza dello Stato che è indispensabile per il Sud in questa fase.

Il gruppo dem ha anche ribadito l’auspicio che il presidente del Consiglio regionale, Filippo Mancuso, mantenga l’impegno assunto in occasione dell’ultima riunione dell’Assemblea e inserisca all’ordine del giorno dei lavori della prossima seduta la discussione sull’autonomia differenziata.

«Un momento indispensabile – si legge in una nota – perché ognuno si assuma le proprie responsabilità davanti a una riforma che rischia di dividere l’Italia e che gli stessi Vescovi calabresi hanno definito “secessione dei ricchi”».

Il gruppo, infine, si è confrontato anche in vista delle prossime elezioni europee, preparandosi a fornire il proprio contributo a sostegno delle candidature che saranno individuate di concerto con il partito regionale e nazionale. (rcz)

Il documento dei Vescovi calabresi contro l’Autonomia differenziata

La Conferenza Episcopale Calabra ha espresso in un documento la preoccupazione che l’autonomia differenziata, ove passasse, provocherebbe la dis-unità nazionale. Questi gli spunti di riflessione dei vescovi calabresi. È un documento (firmato domenica 24 marzo) di grande rilevanza nel dibattito in corso sull’autonomia differenziata e di cui la classe politica italiana non potrà non tenere nella docuta considerazione.

Noi Vescovi Calabresi, dopo aver approfondito, alla luce della Dottrina sociale della Chiesa e dei precedenti pronunciamenti della Conferenza Episcopale Italiana, il disegno di legge sull’autonomia differenziata, ci sentiamo in dovere di offrire alcuni spunti di riflessione sull’importanza della solidarietà e della sussidiarietà nazionali. I temi riguardanti lo sviluppo e le disuguaglianze territoriali hanno sollecitato l’attenzione della Chiesa in Italia anche in passato, già a partire dall’immediato secondo Dopoguerra. Ne costituisce una evidente e autorevole testimonianza il contenuto di tre documenti dei Vescovi italiani sul Mezzogiorno, pubblicati rispettivamente nel 1948 (I problemi del Mezzogiorno, Lettera collettiva dell’Episcopato meridionale), nel 1989 (Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno) e nel 2010 (Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno).

Realizzati in momenti diversi, essi conservano elementi comuni e, in alcuni casi, analisi e proposte ancora attuali.

In tutti e tre i testi, ad esempio, traspare la convinzione che il Vangelo spinga continuamente a misurarsi con la vita concreta delle persone, con le tensioni e le contraddizioni della storia, per cui le situazioni di ingiustizia debbano essere rilevate e denunciate. Si afferma perciò la necessità di un impegno personale e comunitario orientato a riconoscere e a contenere o rimuovere le disuguaglianze che segnano il Paese.

Un altro elemento ricorrente è la denuncia del mancato sviluppo del Sud e dei mali che colpiscono le Regioni meridionali, come la disoccupazione e la criminalità organizzata.

Particolarmente rilevanti, e in parte ancora attuali, le analisi contenute nella lettera del 1989, che pone in evidenza i caratteri dello sviluppo del Paese, definendolo incompleto e distorto. Incompleto perché ha lasciato indietro le regioni meridionali. Distorto, perché – non solo non si è consentito al Mezzogiorno di svilupparsi come altre Regioni, creando disuguaglianze interne ed esterne – ma addirittura lo si è incanalato verso strade che ne hanno peggiorato la situazione. Successivamente, la lettera del 2010 parlerà di sviluppo bloccato, a proposito del fatto che i cambiamenti

avvenuti nel corso dei due decenni precedenti avevano reso ancora più stagnante la situazione del Mezzogiorno.

Nei tre testi si propone un’idea di sviluppo che non consideri solo gli indicatori economici, ma che metta al centro le persone, le risorse e le vocazioni dei territori. A questo riguardo, anticipando alcuni temi che ritroviamo oggi nel magistero di papa Francesco, il documento del 1989 evidenzia la necessità di ripensare il modello economico, in particolare il mercato, e il modello antropologico di fondo, allontanandosi dall’individualismo, dal soggettivismo e dalla ricerca del godimento immediato.

Nei tre testi si evidenzia anche il fatto che uno sviluppo autenticamente umano richieda, come essenziale presupposto, un lavoro orientato a favorire la maturazione delle coscienze e del loro peso interiore. Da qui l’importanza dell’impegno educativo, a tutti i livelli. Sono particolarmente densi i passaggi in cui si esplicitano le condizioni affinché la Chiesa possa essere soggetto in grado di contribuire a promuovere questo tipo di sviluppo. Si tratta di condizioni che esigono la scelta della strada stretta, ma liberante, del radicamento personale e comunitario nella profezia dell’ascolto del Vangelo, in una condizione di povertà e di non-potere.

1. Cambiare sì, ma nella giusta direzione

In continuità con il magistero dei nostri predecessori, la riflessione che proponiamo in questo documento intende argomentare in modo chiaro le ragioni per cui riteniamo insostenibile il progetto di autonomia differenziata. Tale posizione non equivale alla difesa dello status quo. Essa poggia, al contrario, sulla consapevolezza che sono necessari cambiamenti anche importanti nelle politiche pubbliche e, in particolare, nel sistema italiano di welfare. Cambiamenti che, però, dovrebbero andare in direzione opposta rispetto a questo disegno di regionalismo differenziato. Suscita infatti “preoccupazione” – come ha rilevato il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Matteo Zuppi, introducendo i lavori del Consiglio Episcopale Permanente il 18 marzo 2024 – «la tenuta del sistema Paese, in particolare di quelle aree che ormai da tempo fanno i conti con la crisi economica e sociale, con lo spopolamento e con la carenza di servizi». Per questo, non deve venir meno «un quadro istituzionale che possa favorire uno sviluppo unitario, secondo i principi di solidarietà, sussidiarietà e coesione sociale». E ha concluso: «Su questo versante la nostra attenzione è stata costante e resterà vigile». Alle parole del Cardinale Presidente della CEI, fanno seguito quelle del Comunicato finale del Consiglio Episcopale Permanente: i Vescovi «hanno rinnovato l’appello per uno sviluppo unitario, che metta in circolo in modo virtuoso la solidarietà e la sussidiarietà, promuovendo la crescita e non alimentando le disuguaglianze. Da parte sua la Chiesa in Italia, fedele al Vangelo e nel solco del percorso compiuto finora, continuerà a contribuire all’unità, accompagnando le comunità e non lasciandosi spaventare dalle contingenze del tempo presente» (20 marzo 2024).

2. La «secessione dei ricchi»

Il disegno di legge oggetto di valutazione ha un presupposto che, già in partenza, rivela una criticità di fondo. Le Regioni che oggi chiedono l’autonomia rispetto a settori importanti delle politiche pubbliche, si aspettano che la maggior parte del gettito fiscale sia lasciato nelle stesse Regioni che lo producono. In questo modo, quelle più sviluppate economicamente si ritroverebbero a poter gestire più risorse di quelle che lo Stato attualmente impiega nei rispettivi territori, con riferimento alle stesse materie. Questo è il motivo per cui il progetto di autonomia differenziata è stato efficacemente definito dall’economista Gianfranco Viesti come la «secessione dei ricchi». Non è un caso che l’iniziativa sia stata presa dal Veneto, dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna, a partire dal 2017.

Perché si parla di secessione dei ricchi? Dal punto di vista amministrativo le Regioni che chiederanno l’autonomia differenziata somiglieranno ad altrettante Regioni- Stato, con poteri estesissimi in materie fondamentali. Si innescherebbe una dinamica di dis-integrazione e non di integrazione delle politiche e degli interventi.

Dal punto di vista economico le Regioni richiedenti punterebbero a ottenere uno status paragonabile a quello delle autonomie speciali. Le Regioni che aspirano all’autonomia, come il Veneto e la Lombardia da più tempo e l’Emilia Romagna da qualche anno, vogliono poter gestire in proprio la maggior parte delle risorse ricavate dalle tasse. Dimenticando che queste hanno come criterio, in base alla Costituzione, la progressività del prelievo e l’universalità dell’accesso dei cittadini ai servizi pubblici. In altre parole le tasse sono in funzione di obiettivi di giustizia sostanziale e del superamento delle disuguaglianze tra le persone, non dei territori (Cfr. artt. 2 e 3 della Cost.).

3. Una questione di democrazia sostanziale

Accanto ad una questione di giustizia sostanziale, si pone un problema di democrazia sostanziale.

Per come si sta configurando, il processo decisionale previsto dal decreto mortifica il ruolo delle Camere.

Il rischio che si corre per la tenuta della democrazia nel nostro Paese è evidente se si considera che lo strumento con cui le competenze verrebbero concesse alle Regioni è quello della intesa fra lo Stato e ogni singola Regione; si tratterebbe in sostanza di una decisione governativa di devoluzione di poteri dal carattere sostanzialmente irreversibile, perché, una volta che l’intesa viene sottoscritta dalle parti, non può essere cambiata senza il consenso regionale, né il suo contenuto può diventare oggetto di eventuali referendum. Firmata l’intesa, la funzione di definire tutti i dettagli riguardanti il trasferimento di poteri, legislativi e amministrativi, materia per materia, sarebbe esercitata da “commissioni paritetiche” Stato-Regione, fuori dal controllo parlamentare.

4. Ulteriori motivi di perplessità

La realizzazione di questo progetto potrebbe avere esiti disastrosi sul piano della coesione sociale. Le disuguaglianze nel nostro Paese hanno una natura anche territoriale. Esse si determinano principalmente lungo l’asse Nord-Sud, dando luogo al fenomeno del divario civile, per cui il contenuto effettivo dei diritti sociali di cittadinanza cambia a seconda dei luoghi. Pensiamo alla sanità, ma anche all’istruzione, ai servizi sociali, alla questione ambientale, ai trasporti. Non si tratta solo di questioni economiche, ma dell’accesso ai diritti di cittadinanza. In uno Stato unitario essi vanno assicurati a tutti a prescindere dal luogo di residenza e dal grado di sviluppo produttivo locale. Senza questi diritti si indebolisce il senso di appartenenza a un’unica comunità nazionale. Il progetto di autonomia differenziata rende, perciò, ancora più opache le prospettive del Paese perché proprio negli ambiti da cui dipende la qualità e l’estensione dello sviluppo umano autentico le Regioni vogliono fare da sole, chiedendo più poteri e risorse.

Il disegno di legge si propone di rimediare all’inerzia istituzionale degli ultimi due decenni, per cui subordina l’attuazione della riforma alla determinazione dei Lep (livelli essenziali di prestazione) e dei relativi costi e fabbisogni standard (art. 4), che dovrebbero costituire una garanzia per le Regioni con i servizi alla persona meno strutturati.

Questo punto merita un approfondimento, perché la materia è complessa. Ci sono almeno quattro motivi per ritenere che la soluzione prospettata per eliminare le disuguaglianze territoriali non sia sufficiente. Nell’ambito della tutela della salute, ad esempio, la regionalizzazione del sistema sanitario e la definizione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria (Lea) non solo non hanno ridotto i divari di tutela della salute tra i territori, ma li hanno addirittura amplificati, come dimostrano i dati sulla migrazione sanitaria.

Il secondo motivo di perplessità riguarda il riferimento ai costi e ai fabbisogni standard: la premessa per uno sviluppo vero dei territori, soprattutto di quelli più periferici, non può limitarsi alla mera definizione di servizi minimi essenziali, né alla definizione rigida di un budget di spesa – che finirebbe con il penalizzare soprattutto le aree interne delle Regioni più deboli – ma esige invece l’adozione di modelli di intervento capaci di valorizzare le risorse e aderire ai bisogni delle persone che vivono nei luoghi, in tutti i luoghi, territori urbani e non, città e piccoli paesi.

Inoltre, ed è il terzo motivo di perplessità, il progetto in discussione afferma testualmente che «dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Resta dunque irrisolta la questione del reperimento delle risorse necessarie per garantire i Lep.

Aggiungiamo una quarta obiezione di fondo: se anche si recuperassero le risorse per attuare i Lep, tutto ciò non rappresenterebbe il volano di un vero cambiamento. Se si guardano le cose dai contesti più periferici, risulta evidente che la vera questione è quella di dotare i territori delle infrastrutture sociali necessarie per programmare, progettare, gestire, rendicontare e valutare gli interventi ordinari. La questione dei livelli essenziali di gestione è prioritaria rispetto a quella della determinazione dei livelli essenziali di prestazione.

Se analizziamo a fondo la situazione calabrese, per esempio, vediamo che la spesa per i servizi sociali in Calabria è tra le più basse del Paese e che si riesce a impiegare solo una parte delle risorse disponibili per la debolezza delle infrastrutture locali. È per questo motivo che bisognerebbe intervenire per rimuovere quegli ostacoli che impediscono un funzionamento istituzionale efficiente. La riforma, trascurando l’esistenza di questa criticità, rafforzerebbe le disfunzioni.

Conclusioni

La nostra riflessione ci conduce a evidenziare i gravissimi rischi connessi al progetto di autonomia differenziata. La “secessione dei ricchi” non è solo in contraddizione con lo spirito della nostra Costituzione, in particolare con il principio di uguaglianza sostanziale espresso nell’articolo 3, ma è anche in contrasto con il sentimento di appartenenza a un’unica comunità, e con le prospettive di uno sviluppo autenticamente umano del Paese. Il progetto, se realizzato, darà forma istituzionale agli egoismi territoriali della parte più ricca del Paese, amplificando e cristallizzando i divari territoriali già esistenti, con gravissimo danno per le persone più vulnerabili e indifese.

Il progetto di autonomia differenziata è sostenuto dalla logica secondo cui le Regioni che costituiscono la locomotiva del Paese debbano essere messe nelle condizioni di produrre sempre di più e meglio, e questo determinerebbe un effetto-traino per tutte le altre Regioni. Come Vescovi Calabresi affermiamo che questa prospettiva non può essere condivisa. La strada da percorrere è invece quella che passa dal riconoscimento delle differenze e dalla valorizzazione di ogni realtà particolare, soprattutto delle aree più periferiche e/o interne. I contesti che non ce la fanno vanno accompagnati, riconoscendo nella solidarietà tra territori un valore costituzionale da difendere e un impegno pastorale che il popolo di Dio che è in Italia va incoraggiato a perseguire perché progredisca nella sua ricerca di fedeltà al Vangelo. Nella prospettiva di uno sviluppo umano autentico, le difficoltà dei territori con infrastrutture più deboli, con rendimento istituzionale insufficiente, non vanno interpretate come un freno per chi è più veloce, ma come un problema comune, da cui venire fuori insieme.

Si tratta di un orientamento coerente con il principio di giustizia sostanziale (Cfr. artt. 2 e 3 della Cost.); per cui a tutti vanno assicurate pari opportunità di accesso ai diritti di cittadinanza, eliminando gli ostacoli, attraverso politiche effettivamente redistributive e con il principio di solidarietà istituzionale, che fonda la sussidiarietà verticale, la quale si esplicita non attraverso provvedimenti di tipo normativo- sanzionatorio, ma mediante l’accompagnamento intenzionale dei territori più deboli. Il principio di sussidiarietà, infatti, «ha un doppio dinamismo: dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto», come ha ricordato Papa Francesco. Attuare tale principio

«dà speranza in un futuro più sano e giusto; e questo futuro lo costruiamo insieme, aspirando alle cose più grandi, ampliando i nostri orizzonti. O insieme o non funziona. O lavoriamo insieme per uscire dalla crisi, a tutti i livelli della società, o non ne usciremo mai» (Udienza generale, 23 settembre 2020).

Per questo non possiamo restare indifferenti. Bisogna trovare vie perché si maturi la consapevolezza che il Paese avrà un futuro solo se tutti insieme sapremo tessere e ritessere intenzionalmente legami di solidarietà, a tutti i livelli.

A questo riguardo, si propone che in tutte le comunità diocesane e in tutti i territori si organizzino occasioni di approfondimento e di pubblica discussione su questo tema e si promuovano adeguate forme di mobilitazione democratica, legando solidarietà e giustizia. ν

  

L’OPINIONE / Filippo Veltri: Gli allarmi inascoltati per la sanità

di FILIPPO VELTRI L’allarme era, è, di quelli che non lasciano dubbi: l’autonomia differenziata «non solo porterà al collasso la sanità del Mezzogiorno, ma darà anche il colpo di grazia al Servizio sanitario nazionale, causando un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti». Parola di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, per illustrare i risultati del report L’autonomia differenziata in sanità che esamina le criticità del Disegno di legge Calderoli approvato al Senato e ora in discussione alla Camera.

 Non sembra che l’allarme abbia suscitato particolari scossoni nel mondo politico e istituzionale, tranne Rubens Curia con la sua Comunità Competente ed i Vescovi calabresi riuniti in conclave. In Consiglio Regionale un centrosinistra titubante dà invece ancora spazio ad un centrodestra diviso e lacerato, senza affondare i colpi.

Il report analizza il potenziale impatto sul Ssn delle maggiori autonomie richieste dalle regioni in materia di “tutela della salute”. Un de profundis largamente annunciato, che documenta dal 2010 enormi divari in ambito sanitario tra il Nord e il Sud del Paese e solleva preoccupazioni riguardo l’equità di accesso alle cure.

Se per le Regioni del Sud, già in fondo alle classifiche per cure essenziali e aspettativa di vita, si profila infatti il pericolo di collasso del reparto sanitario, al Nord si rischia il sovraccarico da mobilità sanitaria. Numerosi gli esempi che possono portarsi al riguardo: nessuna regione del Sud nella top 10 dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) nel decennio 2010-2019; una mobilità sanitaria dal Centrosud al Nord, con tutte le regioni del Sud ad eccezione del Molise, che hanno accumulato complessivamente un saldo negativo pari a 13,2 miliardi di euro nel periodo 2010-2021, mentre sul podio si trovano proprio le tre regioni che hanno già richiesto le maggiori autonomie; scarse performance delle regioni del Centro-Sud per il raggiungimento degli obiettivi della Missione Salute del Pnrr. 

«Complessivamente questi dati – spiega Cartabellotta – confermano che in sanità, nonostante la definizione dei Lea nel 2001, il loro monitoraggio annuale e l’utilizzo da parte dello Stato di strumenti quali Piani di rientro e commissariamenti, persistono inaccettabili diseguaglianze tra i 21 sistemi sanitari regionali».

Siamo perciò oggi davanti ad una frattura strutturale Nord-Sud, che vedrà inesorabilmente aumentare le diseguaglianze già esistenti, con l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione. I dati Gimbe dovrebbero essere, in una nazione normale, la pietra tombale sul progetto della Lega ed un Governo responsabile metterebbe da parte subito questo progetto perché il Ddl Calderoli non fa altro che aumentare il divario tra Nord e Sud del Paese in termini di servizi sanitari, distruggendo di fatto il nostro Servizio sanitario nazionale. 

Se un istituto terzo come Gimbe (e non un fiero oppositore della Meloni o i pericolosi estremisti (sigh!) Schlein, Conte, Fratoianni o Santoro) certifica che l’autonomia differenziata di Calderoli spacca l’Italia e uccide la sanità pubblica del nostro Paese, di fatto regalando il servizio sanitario nazionale ai privati e a chi si potrà permettere di pagare, qualcosa dovrebbe pure succedere. E invece niente!

Il Sud si vedrà privato delle risorse necessarie per garantire qualità nei servizi, equità di accesso vedendo rinnegato il diritto stesso alla salute in favore di interessi particolari che avranno come effetto paradossale quello di accentuare il pendolarismo sanitario dal Sud al Nord. La disuguaglianza è sempre negativa, ma se c’è un campo in cui è nefasta e vergognosa è proprio quello della salute: se sei in una condizione di povertà sei discriminato, se ti viene tolto o ridotto l’accesso al servizio sanitario sei messo in pericolo di vita.

In Calabria tutto questo ragionamento deve essere moltiplicato per 2,3,4… Per mille, fate voi. La voce più forte appare però ancora quella dei Vescovi. (fv)

Adriano Giannola (Svimez): Autonomia rischia di sostituire le Regioni allo Stato

«Il disegno di legge approvato dal governo il 15 marzo 2023, poi dal Senato il 23 gennaio 2024 e ora all’esame della Camera, rappresenta un pericoloso disegno dell’autonomia differenziata che finisce per sostituire le Regioni allo Stato». È quanto ha detto Adriano Giannola, presidente della Svimez, nel corso dell’audizione in Commissione Affari Istituzionali.

Per la Svimez, infatti, il ddl «non favorisce, affatto, la coesione del Paese; appare, in più parti, incostituzionale; è impraticabile sotto il profilo finanziario; non prevede Fondi di perequazione territoriale e, infine, cristallizza la spesa storica invece di superarla. Da qui, il «rischio maggiore è che, al termine di questo processo – ha spiegato Giannola – nasca un Grande Nord, seguito per contraltare da un Grande Sud, entrambi nell’ambito di una Piccola Italia non ancora confederale ma che certamente non avrebbe nulla a che vedere con un federalismo realmente cooperativo e solidale».

Il timore del presidente, infatti, è che «la fretta di chiudere la partita dell’autonomia rafforzata finisca per forzare regole e principi non derogabili, con un approdo finale basato su Intese tra Stato e singole Regioni che richiedono maggiori poteri, approvate dal Parlamento con una legge non emendabile».

«Inoltre, se le Funzioni che prevedono la determinazione dei Lep (soprattutto Sanità, Istruzione e Mobilità locale) non possono essere trasferite – ha spiegato Giannola – se prima non si definiscono i Livelli Essenziali delle Prestazioni e non si trovano le risorse per finanziarli, per tutte le altre, oggi a legislazione concorrente (dai porti all’energia, dal lavoro alla tutela del territorio, solo per citarne alcune) si possono stipulare subito le Intese».

In definitiva, la Svimez teme questa «Babele di Regioni sovrane, all’interno di uno Stato Arlecchino, (timore che non a caso paventano anche la maggior parte dei Sindaci di qualunque parte politica) cui risponderà la soluzione del Grande Nord, per la cui nascita basterà attivare l’articolo 117 comma 8, perfetto – e non casuale – complemento del 116 terzo comma». (rrm)

 

Autonomia, il Pd Calabria ne ottiene la discussione al prossimo Consiglio regionale

Il gruppo Pd in Consiglio regionale ha ottenuto l’inserimento, alla prossima seduta del Consiglio regionale, della discussione dell’autonomia differenziata.

Una proposta avanzata dal presidente dell’Assemblea, Filippo Mancuso, «per fare in modo che sul tema dell’autonomia differenziata ci possa essere un confronto ampio, a 360 gradi, in maniera tale che ognuno di noi si assuma le proprie responsabilità davanti ai calabresi», ha spiegato il capogruppo del Pd, Mimmo Bevacqua, ricordando come «la discussione sul tema è urgente anche in considerazione della forte preoccupazione che arriva dalla società calabrese e rilanciata dal fermo monito della Conferenza episcopale della Calabria».

«Non si tratta di mettere bandierine – ha spiegato – né di strumentalizzare il documento dei Vescovi calabresi che invita alla mobilitazione contro la ‘secessione dei ricchi’, ma soltanto di fare in modo che il Consiglio regionale affronti un tema di vitale importanza per il futuro della Calabria e dell’intero Mezzogiorno».

«Se dovesse essere approvata l’autonomia differenziata – ha proseguito – senza il finanziamento dei Lep, ci sarebbero conseguenze devastanti in settori fondamentali, a partire dalla sanità come ha avuto modo di sottolineare da ultimo anche la fondazione Gimbe. Confidiamo che alla fine, nonostante il clima da campagna elettorale, prevalga il buon senso e il senso di responsabilità e che, unitariamente, si provi a bloccare una proposta che divide il Paese e spazza via ogni forma di solidarietà».

«Ci auguriamo, inoltre, che il presidente Occhiuto – ha concluso – sia coerente con lo slogan che spesso ripete affermando che il suo compito primario è quello di difendere i calabresi e loro diritti». (rrc)

I Vescovi Calabresi contro l’autonomia: Darà forma istituzioni agli egoismi territoriali

Se portato a compimento il progetto dell’autonomia differenziata, «darà forma istituzionale agli egoismi territoriali della parte più ricca del Paese, amplificando e cristallizzando i divari territoriali già esistenti, con gravissimo danno per le persone più vulnerabili e indifese». È l’allarme lanciato dalla Conferenza Episcopale Calabra e contenuto nel documento La dis-unità nazionale e le preoccupazioni delle Chiese di Calabria: Spunti di riflessione.

Una posizione, quella dei vescovi calabresi, che scaturisce dalla preoccupazione che l’accentuarsi del divario Nord-Sud possa ledere la coesione sociale e il benessere collettivo della nazione.

In contrapposizione a queste tendenze, i vescovi propongono una visione di crescita armonica per l’intero territorio nazionale e sottolineano che «La strada da percorrere è invece quella che passa dal riconoscimento delle differenze e dalla valorizzazione di ogni realtà particolare, soprattutto delle aree più periferiche e/o interne».

Questo approccio richiama l’importanza di una politica inclusiva che promuova equità e solidarietà tra le diverse regioni del Paese.

Il documento fa anche appello al principio di sussidarietà: citando Papa Francesco i vescovi hanno ricordato che il principio di sussidarietà, infatti, «ha un doppio dinamismo: dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto». Questo principio è visto come una via per «dare speranza in un futuro più sano e giusto; e questo futuro lo costruiamo insieme, aspirando alle cose più grandi, ampliando i nostri orizzonti. O insieme o non funziona. O lavoriamo insieme per uscire dalla crisi, a tutti i livelli della società, o non ne usciremo mai».

Infine, i pastori delle Chiese di Calabria hanno rivolto un invito alle comunità ecclesiali a non restare indifferenti di fronte alle sfide poste dalla legge sulle Autonomie differenziate, incoraggiando l’organizzazione di occasioni di approfondimento e pubblica discussione.

«Non possiamo restare indifferenti  – hanno detto i vescovi – bisogna trovare vie perché si maturi la consapevolezza che il Paese avrà un futuro solo se tutti insieme sapremo tessere e ritessere intenzionalmente legami di solidarietà, a tutti i livelli».

La Conferenza Episcopale Calabra, ha invitato, dunque, a una riflessione collettiva sull’importanza di costruire una società più giusta e coesa, sottolineando la necessità di promuovere forme di mobilitazione democratica che legano solidarietà e giustizia. (rcz)

CATANZARO – Domani il dibattito sull’autonomia differenziata

Domani pomeriggio, a Catanzaro, alle 17, nella Sala Concerti di Palazzo De Nobili, si terrà il dibattito Autonomia differenziata: Criticità ed effetti su territori e imprese organizzato da Italia Viva Calabria.

Intervengono Franz Caruso, sindaco di Cosenza, il prof. Valerio Donato, ordinario di Diritto Privato, Nicola Fiorita, sindaco di Catanzaro e Nunzia Paese, presidente di Italia Viva Calabria. Conclude i lavori la senatrice Dafne Musolino, della Commissione Permanente Affari Costituzionali.

«La riforma sull’autonomia differenziata – ha spiegato il sindaco Fiorita – è uno snodo cruciale per il futuro del nostro Paese. È fondamentale non solo continuare a discutere ma anche affrontare con coraggio le criticità che ne derivano. La nostra Calabria, insieme a tutto il Sud, merita di essere al centro di questa riflessione, per garantire che il cammino verso una maggiore autonomia sia equilibrato e inclusivo: un disegno che al momento non sembra configurarsi nel Ddl Calderoli».

«Il “no” a questa Autonomia differenziata – ha concluso – è un percorso che abbiamo già avviato nei mesi scorsi attraverso il coinvolgimento di altre città della Calabria, grandi e piccole, e che oggi risulta rafforzato dalla importante presa di posizione dei vescovi calabresi». (rcz)

A Cotronei un dibattito sull’autonomia differenziata

Si è parlato di Autonomia differenziata, apparente unità… e il futuro del Sud all’evento organizzato dall’Associazione politico-culturale Svolta la Carta a Cotronei.

L’evento, promosso nell’ambito dei Laboratori di Primavera, è stata un’occasione di confronto e dibattito a cui hanno dato il proprio contributo anche l’Anpi, il movimento regionale Liberamente progressisti e il Movimento Crescere di Crotone, il sindaco di Crotone Enzo Voce, il docente Salvatore Mazzei, il consigliere nazionale Arci Filippo Sestito, il consigliere provinciale crotonese Iginio Pingitore e il consigliere regionale Antonio Lo Schiavo. Ha moderato i lavori il consigliere comunale Salvatore Chimento.

Ampio e articolato il dibattito che, dopo l’introduzione curata dal prof. Mazzei – che è entrato nel dettaglio della tematica attraverso un’approfondita disamina socio-economica sulle conseguenze della riforma dell’Autonomia differenziata – ha registrato gli autorevoli interventi del sindaco Voce, il quale ha portato all’attenzione dei tanti presenti in sala le problematiche dei Comuni rispetto all’erogazione dei servizi essenziali alla cittadinanza. Il consigliere nazionale Arci Sestito ha messo l’accento sulla pericolosità sociale della riforma, mentre il consigliere provinciale Pingitore  ha evidenziato gli aspetti politici sottesi alla legge sull’Autonomia differenziata. A trarre le conclusioni della discussione, il consigliere regionale Lo Schiavo, presidente del Gruppo misto – Liberamente progressisti.

«Quella dell’Autonomia – ha detto Lo Schiavo – è una partita truccata in partenza. Le regioni del Sud non hanno le stesse condizioni di base dei territori più progrediti, anzi vi è una debolezza che ha ancora bisogno di essere colmata attraverso il principio della solidarietà nazionale e la redistribuzione delle risorse».

«Questa riforma nasce da un substrato culturale – ha spiegato – presente in alcune regioni del Nord, che a un certo punto hanno deciso di non dover più redistribuire il loro gettito fiscale, affermando un principio di egoismo che ha trovato sponda in alcune espressioni politiche che, a loro volta, hanno portato avanti quegli istinti».

«Istinti sui quali anche la sinistra si è fatta trascinare per ragioni di opportunità elettorale – ha proseguito –. Quindi, quelle pulsioni, divenute progetto politico, hanno gettato le basi per la riforma di cui oggi parliamo. Ma, come calabresi e come italiani, non possiamo permettere che gli interessi politici ed economici di alcuni territori possano prevalere sui principi di solidarietà e unità nazionale».

I Laboratori di primavera, «organizzati annualmente da “Svolta la Carta” – ha evidenziato infine l’associazione –, continuano ad essere un terreno fertile per favorire la discussione e il confronto. Nei prossimi appuntamenti saranno trattati temi altrettanto significativi unendo ulteriormente l’azione culturale programmata dal direttivo associativo con quella istituzionale rappresentata dal gruppo consiliare in seno al Consiglio comunale di Cotronei». (rkr)

COSENZA – Venerdì l’evento del M5S per spiegare le “ragioni del no” all’autonomia

Venerdì 22 marzo, a Cosenza, alle 18, a Piazza Kennedy, si terrà l’incontro L’Italia p una e indivisibile – Le ragioni del No all’autonomia differenziata spiegate dal gruppo Camera M5S.

All’incontro con attivisti e cittadini, parteciperanno la deputata del M5S, Anna Laura Orrico, il capogruppo del M5S alla Camera, Francesco Silvestri e una rappresentanza di parlamentari provenienti da tutta Italia-

«L’incontro – ha spiegato Orrico – rientra in una più ampia gamma di iniziative portate avanti dal Movimento già dallo scorso anno con il tour calabrese realizzato con Roberto Fico come testimonial che culmineranno con il corteo cittadino di sabato 23 marzo nel quale, insieme ad altre forze politiche, sindacati, associazioni, amministratori, liberi cittadini, attraverseremo Cosenza per sensibilizzare i calabresi sui pericoli imminenti dello sciagurato provvedimento voluto dal governo Meloni».

«Infatti, ‘L’Italia è una e indivisibile’ è stato il nome che abbiamo voluto dare all’appuntamento – ha spiegato –. Lo dice la nostra Costituzione, rappresenta l’idea stessa che abbiamo del nostro Paese, eppure il rischio che una secessione economica possa realizzarsi si concretizza ogni giorno di più. Spinta da chi, come la Lega, ha usato per decenni il sud come un nemico immaginario, costruendoci sopra campagne elettorali e pregiudizi, avallata dalle altre forze politiche di centrodestra compresi i ‘patrioti’ di Fratelli d’Italia nonché i parlamentari calabresi che hanno accettato i diktat di partito e abbassato la testa tradendo il meridione».

«C’è però –  ha concluso Orrico –, chi dice no. Come noi e le forze sensibili alle esigenze del sud e delle aree marginali, ai bisogni dei fragili, che scendono per le strade per raccontare ai cittadini che chi ha già più risorse, servizi, collegamenti, istruzione ne avrà sempre di più mentre gli altri, beh, pazienza. E’ importante informarsi e partecipare, riscattiamo il nostro futuro». (rcs)