AUTONOMIA, REDDITO, CONTRATTI, UN
MIX MICIDIALE PER TERRITORI A RISCHIO

di MASSIMO MASTRUZZO –  Facciamo una riflessione concreta sui provvedimenti del governo Meloni, senza farci distrarre dai fronzoli dell’armocromia o dalle cavolate della sostituzione etnica.

Autonomia differenziata, reddito di cittadinanza, contratti a termine prorogati, sono un mix micidiale per quei territori già a rischio desertificazione umana e industriale, ma non solo. 

Autonomia differenziata, cos’è

L’autonomia differenziata è l’attribuzione a una regione a statuto ordinario dell’autonomia legislativa su materie come istruzione, sanità, alimentazione, protezione civile, governo del territorio, porti e aeroporti, energia, valorizzazione dei beni culturali e ed ambientali ecc. L’autonomia differenziata non era prevista in Costituzione, ma è stata introdotta nel 2001 con la riforma del Titolo V, con cui è stato avviato un iter, portato avanti dai partiti tradizionali che si sono susseguiti al governo negli anni, che oggi rischia di arrivare a compimento con la riforma Calderoli. Tale riforma prevede di far partire l’Autonomia senza definire i Lep (livelli essenziali delle prestazioni), che dovrebbero garantire un minimo di prestazioni uguali per tutti i cittadini a prescindere dalla loro regione.

Perché danneggia il Sud?

Realizzare oggi l’Autonomia Differenziata senza la previa individuazione dei Lep, ma basandosi sui criteri della spesa storica e della invarianza di spesa, significa rendere definitiva l’attuale iniqua ripartizione di denaro pubblico tra le diverse parti del Paese e, di conseguenza, il divario tra le regioni che hanno attualmente più risorse, più infrastrutture (ferrovie, autostrade, aeroporti), più welfare (inteso come scuole, ospedali, asili nido ecc.) e quelle più svantaggiate, causato dall’iniqua ripartizione delle stesse nel corso della storia del nostro paese. Autonomia differenziata oggi significa materialmente l’impossibilità di garantire al mezzogiorno, se non di colmare, quantomeno, di ridurre il divario con le regioni del Nord, attribuendo sempre più risorse a chi le ha già e non consentendo a chi è più svantaggiato di migliorare la propria situazione. È la cosiddetta “secessione dei ricchi”. 

Reddito di cittadinanza

Il reddito di cittadinanza è stato eliminato. O meglio sarà sostituito dall’Assegno di inclusione distinguendo però tra chi può lavorare (i cosiddetti occupabili) e chi non può. Verrà quindi offerto un sostegno economico a chi non può lavorare, e uno “Strumento di attivazione” destinato agli “occupabili” per rimborsare la frequenza a corsi di formazione o di riqualificazione professionale. 

Il componente occupabile del nucleo familiare, beneficiario dell’assegno di inclusione per la frequenza di corsi di formazione o di riqualificazione professionale, sarà tenuto ad accettare un lavoro in tutta Italia, che tradotto significa che un occupabile residente a Termoli, Palermo, Reggio Calabria, Campobasso ecc, dovrà accettare un’offerta di lavoro in Lombardia, Veneto, Piemonte, sia che si tratti di un lavoro a tempo indeterminato sia che si tratti di un contratto a termine di almeno 12 mesi.

Tempo determinato

Sui contratti a termine, è stata allentata la stretta presente nel decreto Dignità e sono state introdotte nuove causali che permetteranno una proroga, ovvero un allungamento del tempo determinato, anche oltre i primi 12 mesi di durata. Le “causali” che giustificano il proseguimento del tempo determinato anche dopo i primi 12 mesi del contratto a termine sono tre.

La più ambigua è la seconda perché prevede che il contratto a tempo determinato può proseguire oltre i 12 mesi per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti, entro la scadenza temporale del 31 dicembre 2024.  

In sostanza i contratti a tempo determinato potranno essere prorogati a seconda delle esigenze tecniche organizzative produttive delle aziende.  

Lascio a voi la riflessione su queste tre iniziative del governo. (mm)

[Massimo Mastruzzo è del direttivo nazionale Movimento Equità Territoriale]

 

Autonomia differenziata, la Uil Scuola Rua soddisfatta per la raccolta firme

La raccolta di firme contro la riforma costituzionale dell’autonomia differenziata, nello specifico contro il progetto di regionalizzazione della scuola statale nazionale, promossa dalla Uil Scuola Rua, in pochi mesi, ha superato le 80 mila firme. Lo comunicano i segretari generale Uil Scuola Giuseppe D’Aprile e territoriale di Reggio Calabria Luca Scrivano esprimendo soddisfazione per aver superato gli obiettivi iniziali che il sindacato si era posto. Scrivano, in particolare, sottolinea l’impegno profuso a Reggio Calabria, di intesa con la segreteria confederale, e con il segretario Uil Scuola Rua Calabria Andrea Codispoti, con la mobilitazione del personale degli istituti scolastici territoriali. Dopo questo fiume di firme e dopo la loro consegna in Senato, si aprirà una fase tutta politica per scongiurare il progetto di regionalizzazione della scuola statale nazionale. La politica – sottolineano i segretari Uil Scuola Rua – deve decidere da che parte stare.

«In questi mesi ci siamo mobilitati per la scuola nazionale, come abbiamo fatto sempre, attraverso assemblee, incontri e convegni. Il risultato è sotto gli occhi di tutti e dimostra che il personale della scuola è unito e pronto a battersi in ciò in cui crede – Giuseppe D’Aprile – Ora, è necessario che il mondo politico batta un colpo, è il momento della verità. Chi non è d’accordo con il disegno di legge Calderoli deve dirlo chiaramente e mostrare una partecipazione reale e convincente. I lavoratori della scuola muovono milioni di voti. Il milione e 200mila lavoratori della scuola, che – evidenzia D’Aprile – sono anche elettori e sono coloro che la conoscono e la fanno funzionare tutti i giorni con dedizione e professionalità, hanno il diritto di conoscere quali forze politiche sosterranno il sistema di istruzione statale e nazionale. Lo Stato – prosegue – deve mantenere un ruolo centrale nell’istruzione attraverso un modello che sia garanzia di laicità, gratuità e pluralismo che contribuisca a mantenere alto il livello qualitativo dell’istruzione, che rappresenta uno dei principali fattori di crescita economica e sociale di qualsiasi Paese».

«Il sindacato non agisce a singhiozzo – specifica il segretario generale della Uil Scuola – ma in coerenza con i principi che lo contraddistinguono. Nel nostro caso continueremo a difendere la scuola statale e nazionale. Una scuola che unisce il paese e non lo divide, una scuola sicura che valorizzi il lavoro del personale».

Per Luca Scrivano il tema della scuola nazionale «è molto ampio e complesso e riguarda non solo il contratto ma l’organizzazione didattica, il reclutamento, gli stipendi, la programmazione dell’offerta formativa e i percorsi di alternanza scuola–lavoro. Solo alcuni esempi che motivano le nostre scelte che vanno avanti nel tempo e da tempo. Occorre comprendere quanto la scuola è collegata con il passo del Paese. Soltanto quando c’è scambio e sostegno reciproco tra scuola e società si aprono stagioni di progresso. Ecco noi vogliamo preparare questo tipo di futuro e lo vogliamo fare attraverso la scuola nazionale, la scuola del paese». (rrc)

LA LETTERA / Damiano Silipo (Unical) dissente dal prof. Jorio

di DAMIANO SILIPOGentile Direttore,  il 10 maggio scorso su questo giornale è stato pubblicato un articolo di Ettore Jorio, sull’autonomia differenziata. Egli afferma che la discussione sull’autonomia differenziata è inficiata dal fatto che «la lotta politica prevale sulla ragione, sulle regole precostituite, sulla coerenza… Pertanto, al di là della corretta interpretazione di cosa possa o meno comportare l’accesso all’autonomia legislativa differenziata, così come prevista nel DDL Calderoli… il dibattito che lo circonda avrebbe bisogno di affrontare più seriamente l’argomento».

Da queste premesse, mi sarei aspettato che avrebbe esaminato senza preconcetti e con il supporto di argomentazioni ed evidenza empirica cosa comporta l’autonomia differenziata per l’Italia nel suo complesso e per le diverse aree del Paese. Ma non ho trovato niente di tutto questo. L’unica tesi che Jorio riporta è che non c’è alcun motivo di preoccuparsi, perché nel nostro ordinamento l’autonomia differenziata già esiste da più di settant’anni, con l’istituzione delle regioni a statuto speciale (tralascio il tentativo di nobilitare il DDL Calderoli con il richiamo ai Padri della Costituzione e della Repubblica). Addirittura la Calabria, secondo Jorio, con l’autonomia differenziata avrebbe da guadagnare risorse rispetto alla spesa storica, e alla possibilità di costruire un ceto dirigente che sappia essere tale. 

Proprio l’evidenza empirica sulle regioni a statuto speciale dimostra che queste ultime hanno usufruito, grazie al debito pubblico, di risorse pubbliche doppie rispetto a quelle a statuto ordinario: quelle rese disponibili dalle tasse che si sono trattenute e quelle che sono state trasferite dalla Stato italiano, prelevate dalle regioni ricche a statuto ordinario. Quando anche queste ultime potranno trattenere le tasse per finanziare le 23 materie delegate, chi pagherà ad esempio il fondo perequativo sanitario, che, comunque, ha consentito alla Calabria di accorciare il gap nella spesa sanitaria procapite rispetto alle altre regioni dal 33% all’11%? Giustamente ci lamentiamo per l’eccessiva pressione fiscale in Italia.

Ma se le regioni più ricche potranno trattenere le tasse sui propri territori, chi pagherà l’enorme debito pubblico italiano e perché gli investitori istituzionali dovrebbero continuare a fidarsi della possibilità che l’Italia sia in grado di restituire i prestiti? In questo senso il pericolo più grande dell’autonomia differenziata non è l’aumento delle diseguaglianze, ma il default dello Stato italiano. Se le regioni più ricche potranno offrire redditi e prospettive di lavoro migliori di oggi, perché un giovane calabrese non dovrebbe avere ancora di più l’incentivo ad emigrare dalla Calabria?

Jorio si dichiara uomo di sinistra, e dovrebbe sapere che uno dei principi della sinistra è la promozione dell’uguaglianza delle opportunità. Con l’autonomia differenziata l’unica opportunità che crescerà è quella di fuggire dal Mezzogiorno. Ettore Jorio, come me, insegna all’Università della Calabria, che grazie ai finanziamenti statali e all’impegno di chi ci lavora, ha raggiunto una posizione di rilievo nel panorama nazionale. Se con l’autonomia differenziata le università calabresi dovranno basarsi prevalentemente sulle risorse regionali, quanta ricerca potranno continuare a fare in futuro? Condivido la necessità di rinnovare la classe dirigente in Calabria, che avverrà non per merito dell’autonomia differenziata, ma se i calabresi sapranno intraprendere una nuova strada. Invito Ettore Iorio ad  “affrontare più seriamente l’argomento” e non dire: “al di là della corretta interpretazione di cosa possa o meno comportare l’accesso all’autonomia legislativa differenziata”, perché da quello che comporta l’autonomia differenziata dipende il futuro dell’Italia e delle nuove generazioni. (ds)

[Damiano Silipo è docente Unical]

L’AUTONOMIA SI DEVE ANCHE SAPER FARE
UN TEMA CHE VA AFFRONTATO SERIAMENTE

di ETTORE JORIO – Oggi si sta discutendo tanto e male sul tema del regionalismo differenziato.

La lotta politica prevale sulla ragione, sulle regole precostituite, sulla coerenza. Le contraddizioni che emergono sono innumerevoli, specie in un centrosinistra che lo ha introdotto in Costituzione e ne ha goduto politicamente con gli esiti del referendum confermativo celebrato il 7 ottobre 2001.

Non solo. Quel centrosinistra che: attraverso la Regione simbolo, l’Emilia-Romagna di Bonaccini e poi anche della Schlein, ebbe a: 1) condividere con pronunce formali del Consiglio regionale (risoluzioni n. 5321, 5600, 6124 e 6129 perfezionate tra l’ottobre 2017 e il febbraio 2018) l’stanza di accedere alla facoltà di incrementare la propria competenza legislativa di cui all’art. 116, comma 3; 2) firmare il 28 febbraio 2018 con il Governo di allora (Gentiloni) l’Accordo preliminare propedeutico al riconoscimento della sua incrementata competenza legislativa in tutte le materie concedibili, fatta eccezione per l’istruzione; votò nelle assemblee legislative di Veneto e Lombardia favorevolmente per l’accesso alla facoltà di legiferare in esclusiva in tutte le materie concorrenti e nelle cinque statali individuate dal vigente art. 116, comma 3; elaborò, nel novembre 2019, durante il governo Conte II, il primo Ddl attuativo del regionalismo differenziato, a firma dell’allora ministro per gli affari regionali e le autonomie Francesco Boccia, di contenuto quasi identico al Ddl Calderoli.

Pertanto, al di là della corretta interpretazione di cosa possa o meno comportare l’accesso all’autonomia legislativa differenziata, così come prevista nel Ddl Calderoli condizionata com’è all’applicazione del federalismo fiscale e alla migliore disciplina della perequazione ordinaria e infrastrutturale, il dibattito che lo circonda avrebbe bisogno di affrontare più seriamente l’argomento. Magari, partendo da una seria riflessione intorno al tema dell’esercizio legislativo differenziato delle Regioni.

Invero, al riguardo non si comprende – prescindendo da come e da quale Regione poi verrà frequentata ed esercitata – la preoccupazione riguardante l’autonomia legislativa differenziata in quanto tale, senza considerare che nel nostro ordinamento costituzionale essa è presente da settantacinque anni. Un fatto, questo, che rende palesemente irragionevoli tante delle tesi che si sentono in giro. Ciò in quanto essa differenziazione è stata direttamente prevista e direttamente attribuita nel testo primitivo della Costituzione entrato in vigore l’1 gennaio 1948. Più esattamente, nel comma primo dell’originaria lettera dello stesso art. 116 della Carta, era stata prevista una chiarissima diversità istituzionale tra Regioni, sul piano legislativo, perfettamente conforme a quella sancita, a titolo invece di opzione, nel discusso contenuto del suo attuale terzo comma.

Quest’ultimo, quindi, da ritenersi redatto in perfetta sintonia e continuità con quanto (meglio) riscritto nei commi primo e secondo del testo revisionato il 2001, sostanzialmente confermativi della Carta scritta dall’Assemblea costituente eletta nel 1946. Quella Costituzione perfezionata, tra gli altri, sotto la presidenza di Terracini, dai vari De Gasperi, Togliatti, Nenni, Pertini, Moro nonché da grandi costituzionalisti come il Mortati.

Ebbene, sin da tale originaria versione della Costituzione, a cinque Regioni su allora diciannove (Friuli-Venezia-Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta) e alle due province autonome di Trento e Bolzano venne consentito quanto oggi nella facoltà delle Regioni a statuto ordinario: di assumere una condizione di particolare autonomia (legislativa), per l’appunto differenziata.

Fatta questa considerazione, delle due una. O i Padri costituenti, ai quali si fa di sovente riferimento ma spesso in modo improprio, erano da considerarsi eversivi e destabilizzanti della Unità della Repubblica e, dunque, pericolosi per aver consentito una resa dei servizi pubblici e delle prestazioni essenziali diseguale e discriminata in favore della Nazione oppure ciò che si dice oggi da parte di taluni ha necessità di essere abbondantemente rivisto.

A questi ultimi un invito. Di riflettere sulla differenziazione applicata, perché vigente da due terzi di un secolo, nel sistema autonomistico regionale attraverso il riconoscimento alle anzidette Regioni delle prerogative derivanti dall’essere a statuto speciale. In quanto tali godenti di “forme e condizioni di autonomia” diverse da quelle delle altre Regioni, sulla base delle quali alle medesime è consentito di legiferare in luogo dello Stato in numerose materie. Di conseguenza, rivedere i propri convincimenti oppure, alternativamente, sostenerli ma con la pretesa di modificare l’art. 116 ai commi primo e secondo e, con essi, cancellare dall’ordinamento le cinque Regioni a statuto speciale.

Da parte mia, ritengo che la mia condivisione tecnica (condizionata ad una chiara disciplina della perequazione) del Ddl Calderoli rintracci le ragioni nel rispetto di quanto previsto dai Costituenti, nella coerenza della mia appartenenza politica di sinistra, nella revisione costituzionale del 2001, nell’Accordo firmato da Bonaccini nel 2018 e nel testo del Ddl Boccia del 2019, salvo ad implementare quest’ultimo con la garanzia preventiva dei Lep e dei costi e fabbisogni standard, così come sancito dalla legge di bilancio 2023 cui fa esplicito riferimento il Ddl Calderoli.

Ciò nella convinzione che il ricorrervi, ovviamente per la Calabria per poche determinate materie tali da generare un ambito legislativo ottimale, costituirebbe l’occasione di: guadagnare risorse rispetto alla spesa storica che l’ha danneggiata; costruire un ceto dirigente che sappia finalmente essere tale; curare di conseguenza i fabbisogni espressi dalla collettività attraverso l’esercizio di poteri e l’assunzione di responsabilità in maggiore aderenza territoriale alle esigenze espresse dalla comunità.

Il sapere come fare è però lo strumento occorrente per riuscire! (ej)

Autonomia, Versace (Metrocity): Il metodo utilizzato da Governo non convince

«È il metodo utilizzato dal Governo che non ci convince», ha detto Carmelo Versace, sindaco f.f. della Città Metropolitana di Reggio Calabria, criticando la linea intrapresa per proporre al Paese «un modello Calderoli che mina alle fondamenta l’unità del Paese».

Versace, infatti, è intervenuto al convegno Autonomia differenziata: quali i reali rischi?, promosso dal Comune di Siderno ed al quale hanno preso parte la sindaca sidernese Mariateresa Fragomeni, i segretari regionali di Cgil, Cisl e Uil, Angelo Sposato, Tonino Russo e Santo Biondo, Alessandra Algostino, docente di Diritto Costituzionale all’Università di Torino, Luca Bianchi, Direttore dello Svimez, il vescovo di Locri-Gerace, monsignor Francesco Oliva, e Vincenzo Maesano, presidente dell’Assemblea dei Sindaci della Locride. Fra i presenti, anche i consiglieri metropolitani Rudi Lizzi e Domenico Mantegna, oltre a numerosi amministratori della Locride.

«I territori – ha spiegato – non sono stati per nulla coinvolti. Ricordo il voto favorevole, in conferenza Stato-Regioni, del Governatore Roberto Occhiuto e, al tempo stesso, la discussione estremamente sbrigativa che il consiglio regionale ha affrontato sul tema, posto all’ultimo punto di un ordine del giorno che non ha tenuto conto di alcun suggerimento dei sindaci».

«Si parla di autonomia differenziata dal 2001 – ha aggiunto il sindaco metropolitano facente funzioni – da quando, cioè, è stato messo in discussione l’articolo 116 della Costituzione. Dopo 20 anni, la proposta dell’attuale Governo stravolge il senso stesso di quella autonomia. Perché spacca il Paese, mette i Lep in secondo piano e si basa sul criterio della spesa storica che danneggia il nostro territorio».

«E se siamo arrivati a questo punto – ha continuato – le cause vanno ricercate in 20 anni di cattiva gestione amministrativa che ci ha consegnato una spesa storica fatta da chi non ha saputo spendere le risorse per il Mezzogiorno. In questo lungo lasso di tempo, non abbiamo messo a frutto i fondi messi a disposizione ed è un punto su cui dobbiamo meditare per non guardare il futuro con una lente appannata».

Tornando al voto favorevole di Occhiuto nei confronti del ddl Calderoli, il sindaco facente funzioni ha ribadito come «sarebbe stato più giusto discutere con i territori rispetto alle risorse che questo disegno di legge avrebbe messo a disposizione delle aree più fragili del Paese per non creare una contrapposizione ed un ulteriore divario tra i sindaci e la Regione».

«Come Città Metropolitana – ha proseguito – riteniamo che i nostri sindaci vadano coinvolti prima di ogni decisione. Una discussione sull’autonomia differenziata, dunque, andava fatta per capire quelle che sono le problematiche proprio per dare più forza al mandato del presidente Occhiuto in fase di discussione del ddl con le altre Regioni e lo Stato».

Secondo Carmelo Versace, poi, il tema dell’autonomia differenziata non si può distaccare dal dibattito sul Pnrr: «Non si sognino, a Roma, di far diventare le risorse del Pnrr suppletive rispetto a quelle che ci verranno tolte con il progetto leghista del ministro Calderoli. Oggi, infatti, ci dobbiamo scontrare con alcune dichiarazioni sui tavoli nazionali che vogliono i sindaci del Sud incapaci di spendere le risorse rispetto ai colleghi del nord. Queste affermazioni non possiamo accettarle».

«Proprio da Siderno – ha ribadito Verace – arriva l’esempio di un progetto che, insieme ai Comuni di Locri, Gerace e Antonimina, porterà 9,7 milioni di euro sui territori, senza alcuna imposizione ma attraverso la regola dell’Unione dei comuni che, come Città Metropolitana, ci siamo dati per mettere in rete tutti i servizi disponibili. Lo hanno fatto loro, ma anche tutti i 97 Comuni metropolitani che hanno superato ogni logica di partito e di appartenenza politica. Significa che, sul nostro territorio, c’è un livello di attenzione che non ha nulla a che fare col resto della Calabria. C’è la consapevolezza che, soltanto unito, il territorio metropolitano può lanciare una sfida diversa rispetto alle competizioni che ci hanno visti concorrere in tutti questi anni».
«Da qui a fine anno – ha aggiunto – abbiamo la possibilità di poter investire su segmenti importanti come il settore delle infrastrutture che non vede la copertura finanziaria all’interno del Pnrr. Rispetto a questo, si sta aprendo una prospettiva importante sulla nuova programmazione dei fondi regionali ed abbiamo la necessità di avere le migliori idee per poter inserire tutto quello che era rimasto in sospeso nella programmazione ’14-’20».

«Con la Regione – ha concluso il sindaco metropolitano facente funzioni – avremo l’opportunità di promuovere schede per oltre 150 milioni destinati alle infrastrutture stradali. Se continuiamo a guardare in termini di prospettiva, superando ostacoli ideologici e politici che spesso non si riescono ad affrontare, forse questa sarà l’occasione vera per poter cambiare, in maniera importante, il nostro territorio».

«Occorre contrastare questo disegno di legge sull’autonomia differenziata di dubbia solidità costituzionale che divide il Paese, aumentando divari e povertà. Il Sud deve proporre una nuova idea di regionalismo e fare le riforme necessarie per creare sviluppo e lavoro, per i diritti civili, sociali e universali», ha detto Sposato, ribadendo che «la Calabria deve mobilitarsi».
«Per evitare gli errori del passato, una riforma così importante va progettata e attuata con il pieno coinvolgimento del Parlamento – ha detto Russo – del sistema delle autonomie locali e coinvolgendo le parti Sociali. Serve superare il criterio della spesa storica per garantire livelli essenziali delle prestazioni uguali per tutti i cittadini su tutto il territorio nazionale, rafforzare l’unità e la coesione nazionale ed assicurare adeguate forme di perequazione per i territori con minore capacità fiscale».
«Per queste ragioni, come Cisl – ha ribadito – sosteniamo un iter legislativo parlamentare partecipato in un clima di concertazione e di dialogo con le parti sociali».
Biondo ha proposto di fare fronte comune sia per la realizzazione del Pnrr al Sud che per la battaglia contro l’autonomia differenziata.
Per il sindacalista «sono temi che possono essere oggetto di una mobilitazione, alla quale, però, vanno aggiunti strumenti tecnici ai Comuni che, per attuare i progetti del Pnrr, devono essere messi nelle condizioni di costituirti in Ato».
La sindaca Fragomeni ha ribadito la necessità di «una grande mobilitazione per bloccare il ddl Calderoli la cui approvazione porterebbe a gravi penalizzazioni per le aree sottosviluppate del Paese, a partire dal Mezzogiorno. Combattiamo le disuguaglianze, per una società più equa e giusta». (rrc)

A Siderno si parla dell’Autonomia differenziata: Quali i reali rischi?

Domani pomeriggio, a Siderno, alle 17, nella Sala Consiliare del Comune, si terrà l’incontro Autonomia differenziata: Quali i reali rischi?, alla presenza di Luca Bianchi, direttore della Svimez.

Intervengono Mariateresa Fragomeni, sindaco di Siderno, Carmelo Versace, sindaco f.f. della Metrocity RC, Angelo Sposato, segretario generale Cgil Calabria, Tonino Russo, segretario generale Cisl Calabria e Santo Biondo, segretario generale Uil Calabria, Mons. Francesco Oliva, vescovo Diocesi Locri-Gerace, Vincenzo Maesano, presidente Associazione Sindaci della Locride, e i sindaci della Locride.

In collegamento, interviene Alessandra Algostino, prof.ssa di Diritto Costituzionale all’Università di Torino.

Modera Maria Teresa Criniti, di Telemia. (rrc)

LA RISPOSTA / Ettore Jorio: Caro Corigliano, io sono un “favorevole” tifoso della Costituzione

di ETTORE JORIO – Caro dott. Corigliano, ho letto su questo giornale la Sua nota sulla autonomia (legislativa) differenziata tutta incentrata sulla mia persona. Meglio, su ciò che penso sul regionalismo differenziato ovvero sul federalismo a geometria variabile. La ringrazio per avermi destinato una così importante attenzione.

Mi tocca, ed è normale che lo sia attesa la direzione unica del Suo pezzo, confutare le sue sottolineature critiche. Per farlo ho preferito ricorrere ad un linguaggio semplice e diretto, fornendo ad Ella, prima che al lettore, le risposte agli interrogativi che mi pone.

Nel concreto, mi  imputa di: essere favorevole al Ddl Calderoli; avere assunto una posizione contraria a quella del centrosinistra e favorevole al centrodestra; scrivere senza affondare “il bisturi sulle specificità del ddl”.

La chiarezza mi impone di “difendermi” dalle tre imputazioni in un unico ragionamento, al fine di non dare adito a confusione, meglio di mettere insieme “le mele con le pere (e anche le banane)”. Infatti, una cosa è il Ddl Calderoli che attua il regionalismo differenziato (art. 116 Cost); altre sono i Lep (art. 117 Cost) e il federalismo fiscale (art. 119); altro ancora è la metodologia di finanziamento dei Lep e non Lep (legge delega 42/2009 e i suoi nove decreti delegati). Guai, a confonderli, si genererebbe un bel frullato, ma pur sempre un frullato di idee e convincimenti

Caro Corigliano, io sono un “favorevole” tifoso della Costituzione. L’amo e la rispetto nella sua lettera.

In essa – scritta dal centrosinistra nel 2001 e confermata dagli italiani con un referendum (uno dei pochi ad avere raggiunto il quorum) – c’è l’art. 116 che, al comma 3, offre l’opportunità alle Regioni a statuto ordinario di incrementare la propria competenza legislativa a 20 materie concorrenti e a 5 statali. Legislativa, ripeto, per preciso volere della Costituzione alla quale in tanti fanno riferimento, spesso solo nominalmente.

Ebbene, un tale precetto ha vissuto tre disegni di legge attuativi: nel 2019 ad opera di Francesco Boccia, nel 2022  di Mariastella Gelmini e nello stesso anno da Roberto Calderoli.

Nei tre Ddl: uguale lo scopo, quasi uguale l’iter tracciato, identico il subordinarne l’efficacia all’applicazione del federalismo fiscale. Mi spiego meglio: alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e alla determinazione dei costi e fabbisogni standard funzionali alla loro sostenibilità uniforme.

Il Ddl Calderoli, a differenza degli altri due, nell’ultima sua versione anziché prevedere una realizzazione teorica e posticipata del federalismo fiscale si inventa la sua previsione applicativa inserita nella legge di bilancio 2023, più esattamente ai commi 791-781. Con questo ha affidato il compito ad una istituita cabina di regia di adempiere a tutto questo entro e non oltre il 31 dicembre del corrente anno.

A bene vedere, è questa l’opzione che mi ha trovato d’accordo, sperando che tutto questo avvenga bene e puntualmente.

Ad altri e non certo a me il compito di dimostrare il perché del consenso al Ddl Boccia e a quello Gelmini, cui io mi dichiarai favorevole, e no a quello Calderoli, che io tuttavia critico severamente per l’assenza della disciplina sulla perequazione. Una assenza, da me rimarcata ovunque (principalmente su Astrid e IlSole24Ore), da dovere necessariamente essere colmata nel corso del futuro esame parlamentare. Ma questo, lo ricordo prima a me stesso, è stato un problema presente in tutti e tre Ddl attuativi del regionalismo differenziati.

Quindi, nessun giudizio positivo che non sia motivato dalla necessità di: determinare i Lep lasciati lì dal 2001 (fatta eccezione per la sanità); abbandonare il criterio della spesa storica attraverso l’attuazione di quello fondato sui costi e fabbisogni standard; garantire una perequazione che renda i finanziamenti sufficienti all’uniformità erogativa, così come normato dal 2009. Lo scrissi nei miei tre libri sul federalismo fiscale scritti nel 2007 (Maggioli), 2009 (Maggioli) e 2012 (Giuffrè), ove sostenevo e sostengo l’utilità del federalismo fiscale assistito da una perequazione seria fondata sugli indici di deprivazione socio-economica e culturale.

A ben vedere, la mia posizione è in linea con un centrosinistra proponente: a) il regionalismo differenziato in Costituzione (2001); b) la sua combinazione attuativa con il federalismo fiscale (sempre Costituzione 2001); c) la sua attuazione (legge 42/2009 approvata con il solo voto contrario dell’Udc); la sua applicazione 2010/2011 (d.lgs 23 per gli enti locali; d.lgs. 68 per la sanità e sociale, condivisi alla unanimità).

Quanto al regionalismo differenziato, è bene precisare che esso dipende dalle scelte che faranno liberamente le singole Regioni, che potranno ben mantenere l’attuale status quo.

Sul tema,  certamente non mi trova d’accordo l’esperimento referendario del 2017 di Veneto, Lombardia e degli accordi attuativi sulla “autonomia differenziata” condivisi con il Governo nel 2018 dalle stesse Veneto e Lombardia e dalla Emilia-Romagna, di Bonaccini e poi della Schlein. L’unica variante che quest’ultima escludeva dalla pretesa la sola materia dell’istruzione.

Del resto, per fermarci al tema del regionalismo differenziato, a seguito del Ddl Boccia (che ripeto è sovrapponibile nella quasi interezza a quello della Gelmini e di Calderoli) furono ben nove le Regioni ad anticipare formale istanza di accesso ad una maggiore competenza legislativa. Tra queste: la Toscana, il Lazio, la Campania e la Puglia, tutte governate dal centrosinistra.

La mia è dunque semplice coerenza ma soprattutto convincimento. Con questo non escludo che, se dovessero andare a buon esito le iniziative referendarie di modifica della Costituzione (proposta Villone, per intenderci), approfondirò il tema sulla base della eventuale riscrittura della Carta. Il tutto sempre e comunque a sostegno dell’abbandono della spesa storica che ha rovinato il Mezzogiorno, della determinazione e revisione annuale dei LEP e della valorizzazione ricorrente dei fabbisogni standard secchi per gli enti locali e della combine costi/fabbisogni standard per il resto.

Ad ogni modo, qualora occorrente, chiunque potrà trovare sul sito della nostra “Fondazione TrasPArenza” (www.trasparenza.eu), un ampissimo forum sul regionalismo differenziato, ricco di video, saggi e articoli sull’argomento.

Con la solita stima. (ej)

L’OPINIONE / Gregorio Corigliano: L’autonomia differenziata e il prof. Jorio

di GREGORIO CORIGLIANOPuntiglioso e preciso, anche se vago nei fatti, l’illustre cattedratico, Ettore Jorio, con mia grande meraviglia, si pronuncia a favore del ddl Calderoli, sulla autonomia differenziata. Anche se lui, il bravissimo docente, preferisce chiamarlo regionalismo differenziato. E forse fa bene, perché almeno è di più facile comprensione. In una intervista, e non capisco perché, si dilunga, da par suo su questioni di puntiglio ma non affonda il bisturi sulle specificità del ddl, come avrebbe potuto e dovuto.

Ricama attorno al disegno Calderoli, approvato in quattro e quattr’otto dal governo in vista delle scorse elezioni regionali in Lombardia e Lazio, poi, com’è noto, vinte dal centro destra, ma non ci dice esattamente cosa il testo prevede, anche se assume, giustamente, che in molti non lo abbiamo letto. Il governo lo ha approvato, come pure è risaputo, per conquistare o tener fermi i voti della Lega, principali fautori del ddl Calderoli. Non ho capito bene perché Jorio, si è detto d’accordo.

Colpa mia indubbiamente, chè non sono un cultore del diritto, manco allievo del professore. Ho letto, come tutti, i resoconti giornalistici, di destra, centro e di sinistra. Possibile che, a parte il destra-centro, non ci sia una presa di posizione in favore, da parte del centro-sinistra? Una, dico una. Pur considerando che Jorio parla di “mio Pd contrario” non sia venuto in mente al docente di Arcavacata che forse ci sia quanto meno da pensare, prima di dire no alle critiche, accusando quanti sono contrari di non aver letto il decreto? Possibile, per restare alle ultimissime prese di posizione, che neanche l’ex presidente della Camera, Roberto Fico, abbia letto Calderoli? Possibile mai? Fico, a Cosenza, non chissà dove, di fronte ad un uditorio numeroso, come raramente accade, ha parlato di ddl trappola, sostenendo che la “partita è truccata”.

Al pari di altri esponenti politici di centro sinistra, Fico ha ribadito che con questo disegno Calderoli «chi ha di più potrà avere di più” e “chi ha meno, avrà sempre meno». Ed ancora «non ci prendiamo in giro sui livelli essenziali di prestazione, abbiamo chiesto ed ottenuto il Pnrr perché il Sud potesse crescere come il Nord». Ed ancora. Fico si è detto del parere che l’autonomia differenziata faccia male al Sud, ma faccia male anche al Nord perché si cristallizza una situazione rendendola peggiore. Come tutti sappiamo ci sono di gap territoriali pesanti, diversità territoriali gravi. Sia che si tratti di sanità, di lavoro, di servizi, di assistenza sociale o di infrastrutture.

Lo ha scritto bene Eleonora Strano, riportando fedelmente la tesi Fico. E, quindi la novità, dell’esponente Cinquestelle. «Se il Sud fa sistema col Nord è più forte, un Paese che fa sistema non ha bisogno dell’autonomia (o del Joriano regionalismo) differenziata. A me pare da giornalista e non da cattedratico, che con Calderoli si fissino i diritti di una regione, non in relazione ai loro bisogni, ma in base a quante risorse hanno avuto fino a quel momento. Come dire che chi ha avuto poco, continuerà ad aver poco, se non meno. Chi ha avuto tanto, avrà di più. Ecco che, a parere mio, non sbaglia chi ha parlato di “secessione dei ricchi”».

In un intervento pubblico, il sindaco di Reggio, Giuseppe Falcomatà, ha sostenuto che col disegno del governo, “un bambino che oggi nasce in Calabria avrà sicuramente meno diritti di un neonato veneto o lombardo. Un anziano ricoverato in Calabria avrà un’aspettativa di vita inferiore rispetto ad un ricoverato in Piemonte. Falcomatà ha, peraltro, espresso dure critiche al presidente della Regione Occhiuto, di cui Jorio è stato collaboratore, poi dimissionario, che dopo critiche iniziali, ha dato un «equilibristico parere favorevole all’avvio di questo percorso, per ordini di scuderia e favori politici!».

“Ettarù” come il mio amico Filippo Veltri chiama il professor Jorio, dovrebbe, perché noi si possa capire meglio, spiegare concretamente, i lati positivi di quell’autonomia differenziata che, ai tempi di Loiero si chiamava devolution e che lo stesso ex presidente della giunta regionale, aveva fortemente criticato, nel corso di un dibattito a Plataci, promosso dall’on. Mario Brunetti.

«Perfino il mio computer, aveva detto Loiero non lo condivide, tanto è che me lo scrive in rosso!».

All’idea di avere a che fare con questo signore che è pure ministro mi “arrizzicanu” i carni!  Professore: mi chiarisca le idee, se vuole! (gc)

Saccomanno (Lega): Recente Ok da Commissione Bilancio su autonomia buon segnale

Il commissario regionale della Lega, Giacomo Saccomanno, ha evidenziato all’Ansa come «anche il recente ok da parte della commissione Bilancio al Senato conferma che l’Autonomia differenza va nella giusta direzione e che rappresenta un bene per il Paese, Calabria compresa».

«Spiace ci sia una parte di politica, stranamente di sinistra – ha aggiunto – che si ostina a non ammettere che si tratta di un’opportunità unica per l’Italia, che non contrappone il Nord al Sud e, ancor meno, classifica gli italiani in cittadini di serie A e di serie B. Bisognerebbe avere un po’ di onestà intellettuale e riconoscere, invece, la bontà della riforma e che il percorso intrapreso dalla Lega, portato avanti dal ministro Calderoli, procede speditamente e che non c’è alcun rischio per la tenuta dei conti del Paese».

«Ringrazio il ministro Calderoli – ha concluso – per aver annunciato un’imminente visita nella mia regione, ennesima dimostrazione di attenzione al territorio da parte di questo governo». (rrm)

MISSIONE «AUTONOMIA DIFFERENZIATA»
COSÌ IL NORD “RUBERÀ” RISORSE AL SUD

di DAMIANO BRUNO SILIPO – Il DDL sull’autonomia differenziata prevede che le regioni a statuto ordinario possono chiedere «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» in 23 materie, tra cui istruzione, salute, ambiente, infrastrutture e trasporti, produzione di energia, internalizzazione delle imprese, tutela e sicurezza del lavoro.

Unitamente al trasferimento delle funzioni, vengono trasferite alle regioni le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, necessarie per attuare l’autonoma nelle materie richieste. Per la gestione delle materie oggetto di autonomia, le regioni possono trattenere i tributi equivalenti. Il trasferimento delle funzioni attinenti alla realizzazione dei diritti civili e sociali (scuola, lavoro, previdenza, etc.) è legato alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e dei relativi costi e fabbisogni standard, comunque da definire entro un anno. Altre materie però (infrastrutture, porti, aeroporti, zone economiche speciali, ferrovie, protezione civile, energia) che sono il piatto forte, possono essere trasferite senza aspettare la definizione dei LEP.

Il meccanismo previsto dal DDL Calderoli è simile a quello delle regioni a statuto speciale.

Il punto sostanziale che caratterizza queste regioni è quello di trattenere per sé gran parte delle imposte: la Valle d’Aosta si tiene il 100% di Irpef, Ires (imposta sulle società), Iva e accise sui carburanti; le Province autonome di Trento e Bolzano il 90% e l’80% di Iva; il Friuli-Venezia Giulia il 59% e il 30% delle accise; la Sicilia il 71% dell’Irpef, il 100% dell’Ires e il 36% di Iva; e  la Sardegna il 70% su tutto e il 90% di Iva. Con questi soldi si pagano: sanità, assistenza sociale, trasporti e viabilità locali (che però si pagano in proprio anche Regioni come Lombardia, Toscana e Lazio), manutenzione del territorio, infrastrutture per l’attrazione turistica. La Valle d’Aosta e le due province del Trentino si finanziano anche l’istruzione, ovvero gli stipendi degli insegnanti.

Lo Stato paga tutto il resto: le spese per la giustizia (procure e tribunali), le forze dell’ordine, le infrastrutture di carattere nazionale (come la rete ferroviaria, i trafori, pezzi di autostrada, a partire da quella del Brennero), i servizi Inps, oltre alla macchina politica e amministrativa statale. Tutte spese che sono finanziate dalla fiscalità generale, alle quali queste regioni non partecipano, o lo fanno in piccola parte.

La similitudine fra le regioni a statuto speciale e il DDL Calderoli consiste nel principio che ogni Regione possa negoziare con lo Stato i settori che intende gestire in proprio, trattenendo i tributi equivalenti.

Per capire cosa cambia con il DDL Calderoli, basta considerare l’esempio della sanità. Con l’avvento del Sistema Sanitario Nazionale ad ogni regione fu assegnata nella spesa sanitaria una cifra pro-capite eguale, corretta con indici di bisogno sanitario, sulla base del principio che a tutti i cittadini devono essere garantiti i livelli essenziali di assistenza. Il fabbisogno standard fu quindi identificato con la spesa media nazionale, introducendo così la regola di un gioco a somma zero: le regioni con una spesa sanitaria storicamente superiori alla media dovevano cedere risorse alle regioni più svantaggiate. Difatti al Lazio, che partiva da 33% di spesa sanitaria superiore alla media, fu ridotto lo scarto all’11% e alla Calabria, che partiva da -21%, fu ridotto lo scarto a -12%. Per avere la stessa spesa pro-capite in sanità, oggi sette regioni del Sud ricevono fondi perequativi da quelle del Nord, per un ammontare di 5-6 miliardi all’anno. Con il DDL Calderoli tutto questo non sarà più possibile, perché, se tutte le regioni del Nord chiederanno l’autonomia in sanità, non dovranno più contribuire ad alcun fondo perequativo. Le regioni del Mezzogiorno potranno contare solo sulle proprie entrate fiscali o sul contributo di uno Stato indebolito nelle proprie capacità fiscali e d’indebitamento.

Se si aggiunge che secondo la riforma del Titolo 5, le regioni potrebbero realizzare intese tra di loro per costituire organi comuni per la gestione di infrastrutture o altro, la realizzazione della Macroregione del Nord diventerebbe lo Stato sostanziale dentro uno Stato formale che sarà svuotato di poteri e contenuti.

Nella discussione sul provvedimento grande rilievo è stato dato alla definizione dei LEP. Quand’anche fosse vero che i LEP verranno definiti in tempi brevi, cosa cambia per il Mezzogiorno? L’autonomia differenziata di Calderoli non è subordinata alla realizzazione dei LEP. Anzi, essa comporterà che i LEP non verranno mai realizzati su tutto il territorio nazionale.

In passato lo Stato è intervenuto con la regola della golden share per impedire che settori strategici come l’energia, l’acqua, le reti di comunicazione e mobilità venissero acquisite da imprese straniere o private. Con il trasferimento di questi settori alle regioni viene meno anche il concetto di  interesse nazionale, perché ogni regione può decidere cosa fare di queste risorse. Cosi come, di fronte ad una futura crisi energetica, invece di avere  Draghi o Meloni che vanno a trattare con altri Stati per avere più gas o petrolio, potremmo avere 20 presidenti di staterelli sovrani che vanno a contrattare la stessa cosa. Per non parlare dell’istruzione o della ricerca, dove ogni regione potrà perseguire obiettivi diversi, comunque su una scala ridotta. Così, l’Italia, che già sconta un deficit nella ricerca, sarà definitivamente condannata a rimanere ancora più indietro, perché le dimensioni di scala nella ricerca sono fondamentali. Le maggiori spese in ricerca e sviluppo di alcune regioni non potranno mai compensare la perdita nella capacità di progettare il futuro di un intero sistema universitario e produttivo nazionale nella ricerca.

Comunque, il DDL Calderoli non motiva mai perché spostare questi poteri dallo Stato alle regioni potrebbe migliorare la situazione per i cittadini italiani, e come le stesse regioni potrebbero far fronte ai nuovi poteri, del tutto simili a quelli di uno stato sovrano. Efficienza vuol dire che con le stesse risorse le regioni sarebbero in grado di produrre di più dello Stato, non significa che produce di più chi ha più risorse. E non c’è molta evidenza al riguardo.

Le conseguenze per il Mezzogiorno

Ipotizziamo che le regioni del Nord chiedano l’autonomia in tutte le 23 materie previste. Esse quindi potranno trattenere gran parte o tutte le entrate fiscali e, come avviene già oggi nelle regioni a statuto speciale, potranno garantire stipendi più alti ai propri lavoratori o favorire ancora di più le imprese, o migliorare ulteriormente i servizi sanitari. Oggi nelle regioni a statuto speciale la spesa pro-capite per i propri cittadini è di 7.096 euro, contro i 3.688 delle altre regioni.

Per converso, ipotizziamo che nessuna delle regioni meridionali chieda l’autonomia. Non avendo sufficienti entrate fiscali proprie, continueranno a chiede il sostegno dello Stato, per garantire i servizi essenziali o altro. Però lo Stato potrà contare solo sulle entrate fiscali delle regioni meno ricche e si ridurrà anche la propria capacità d’indebitamento. Tra l’altro, il processo di riduzione del divario nei servizi sanitari tra regioni s’interromperebbe.

I cittadini meridionali, attratti da opportunità di lavoro e servizi migliori, salari più alti avranno ancora di più l’incentivo a trasferirsi al Nord, per lavorare, studiare o curarsi.

Il Meridione perderebbe attrattiva anche come mercato di sbocco delle merci prodotte al Nord, perché si ridurrebbe la capacità di spesa delle regioni meridionali. Se si considerano gli effetti dell’ulteriore perdita di capitale umano che subirà il Meridione, è facile prevedere le conseguenze di questo DDL sull’ulteriore allargamento del divario Nord-Sud. È prevedibile anche che una ulteriore divaricazione tra regioni più ricche e regioni più povere creerà tensioni tra i cittadini del Sud e del Nord, ed andrà a lacerare l’unità nazionale.

Le conseguenze per l’Italia

La conseguenza più devastante del DDL Calderoli non è però l’allargamento del divario Nord-Sud, ma il fatto che lo Stato perde gran parte della propria ragion d’essere, ovvero la capacità d’imporre tasse e di spendere. La politica economica nazionale e la legge di bilancio diventerebbero poco rilevanti per la vita dei cittadini.

Se la burocrazia statale perde potere, tutte le rimanenti quindici regioni a statuto ordinario potranno trasformarsi in piccoli stati sovrani, ciascuno con leggi, funzioni e risorse differenziate. La complessità amministrativa crescerebbe esponenzialmente, questa volta su tutto il territorio nazionale, con il rischio di rendere la vita a imprese e cittadini assai difficile, dovendo confrontarsi con 20 legislazioni regionali differenti sulle stesse funzioni. Esattamente l’opposto di quanto chiede l’Unione Europea per l’erogazione dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Un governo responsabile non farebbe nulla per peggiorare la situazione burocratica del Paese, almeno fino al 2026, entro cui bisogna realizzare i progetti del PNRR.

Quello che è più preoccupante è che il DDL aumenterà la possibilità di default dello Stato italiano. Al riguardo, si può dire che il DDL Calderoli si configura come un atto eversivo. Il difficile equilibrio tra elevato debito pubblico e capacita’ di vendere il debito sui mercati si basa sulla fiducia che lo Stato, con le sue entrate fiscali, sarà in grado di ripagare il debito. E’ utile ricordare che il governo Berlusconi è stato costretto a dimettersi proprio per la necessità di ristabilire questa fiducia. L’autonomia differenziata mina dalle fondamenta questa fiducia, perché toglie al governo centrale gran parte del potere reale di coprire eventuali buchi di bilancio con nuove tasse o tagli di spese, essendo questi poteri in gran parte trasferiti alle regioni. D’altra parte, riproporre, come si fa adesso con le regioni a statuto speciale, un meccanismo con cui lo Stato prima attribuisce generose compartecipazioni ai tributi alle regioni per poi toglierle in parte per finalità di solidarietà nazionale o per ripagare il debito, appare quanto meno singolare. Al riguardo, non può essere certamente il presidenzialismo il contro-bilanciamento all’autonomia differenziata.

Questa legge è frutto della vittoria del centro-destra, ma anche degli errori del centro-sinistra. Infatti, è stato un governo di centrosinistra che nel 2001, con l’illusione di sterilizzare le spinte federaliste del Nord, che ha attuato la riforma del Titolo V della Costituzione. Inoltre, fu un governo di centrosinistra che nel 2018 sottoscrisse le pre-intese con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna per il trasferimento di funzioni alle regioni,  ed in entrambi i casi non evitò al centrosinistra di perdere le elezioni.

Tra l’altro, il DDL dà il via libera alla realizzazione delle pre-intese con le tre regioni per la realizzazione dell’autonomia differenziata.

L’autonomia differenziata nasce da spinte secessioniste delle regioni ricche, ma viene giustificata con la necessità di dare una scossa al Mezzogiorno, che sarebbe costretto ad usare in modo più efficiente le risorse. Ma il principio di Pareto sostiene che una nazione sta meglio quando una parte dei propri cittadini migliora la propria condizione senza peggiorare quella degli altri. L’autonomia differenziata di Calderoli determinerà il miglioramento della condizione di alcuni a discapito di altri.

Non c’è dubbio che le classi dirigenti meridionali, con il loro ascarismo e gattopardismo, abbiano alimentato questo disegno. Non c’è dubbio che la sinistra quando è stata al governo nazionale o alla guida delle regioni meridionali non ha saputo mettere in campo un programma di sviluppo per il Mezzogiorno in grado di ridurre il divario. Ma il DDL Calderoli, più che contro il Meridione, si configura come un atto eversivo contro la Nazione, contro i governi nazionali, che non sarebbero più in grado di fare politiche nazionali,

Nel breve periodo le regioni del Nord trarranno vantaggi dall’autonomia differenziata. Ma siamo sicuri che, in una dimensione globalizzata, ridurre il potere del governo di fare politiche globali e nazionali sia vantaggioso per le stesse regioni del Nord? Comunque, questo DDL mina alla base la possibilità di ridurre il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord, acuirà le tensioni ed aumenterà la povertà nel Mezzogiorno. Per non distruggere anche il sogno di costruire un’Italia e un Mezzogiorno migliori di come sono oggi occorre reagire, essere capaci di fare proposte alternative, su cui creare una mobilitazione popolare. Qui le strade possono essere due.

Riproporre, come ha fatto il presidente Giorgia Meloni nel 2014, anche provocatoriamente, di abolire le regioni, oppure, più realisticamente, fare una controproposta in cui una qualche forma di autonomia viene garantita alle regioni, salvaguardando però le competenze e il ruolo dello Stato nella realizzazione degli obiettivi macroeconomici, tra cui quella della riduzione del divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord, e la sua capacità di ripagare il debito pubblico. Il che comporta l’impossibilità per le regioni di trattenere interamente o quasi le tasse nei propri territori. Questo però è possibile solo se si riuscirà ad impedire al DDL Calderoli di andare avanti.

(Courtesy OpenCalabria)

Damiano Bruno Silipo è professore di Banking and Finance all’Università della Calabria. Ha conseguito il Ph.D. in Economics alla University of York (UK) ed ha insegnato in varie università straniere, tra cui Queen Mary University of London e la University of Connecticut (USA). I suoi principali interessi di ricerca riguardano l’economia dell’innovazione, il comportamento bancario e lo sviluppo territoriale.

 


Il disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata, approvato il 2 febbraio scorso, è l’atto più importante dall’avvento della Repubblica, che cambierà l’Italia come la conosciamo oggi ed avrà conseguenze decisive sul futuro della nazione e sulla vita dei cittadini. Mette in discussione la stessa natura dello Stato. Eppure è passato quasi in silenzio, come se fosse una qualsiasi legge: scarsissimo dibattito e scarsa opposizione nel Paese. Certamente ha pesato la scarsa consapevolezza degli italiani, che presi dalle difficoltà quotidiane, non hanno percepito la portata e le conseguenze di questo provvedimento, Ma ha contribuito anche la modalità di approvazione del DDL, che ha esautorato il parlamento dall’intero processo. Che cosa cambia con il DDL Calderoli? Si potrebbe dire che non cambia nulla per cambiare tutto. Non cambia nulla, nel senso che tutto viene realizzato a legislazione vigente. Cambia tutto, perché le conseguenze nel lungo periodo saranno la fine dello stato unitario come lo conosciamo oggi. (OpenCalabria)