La Fondazione Mediterranea, guidata da Enzo Vitale, ha respinto la risposta della Soprintendenza in merito al chiarimenti richiesti in merito a Piazza De Nava di Reggio Calabria, definendo tale riscontro «impreciso e lacunoso» in quanto «non va al cuore della questione: non affrontava minimamente la vera questione posta dalla Fondazione Mediterranea: rispetto per la storia cittadina, la memoria collettiva e l’identità dei luoghi».
La risposta, indirizzata al soprintendente Fabrizio Sudano, ha evidenziato come la risposta fornita «offre una visione dell’insieme approssimativa e distorta; nega dati oggettivi ed evidenza fotografica; più che all’oggettiva analisi del problema, è finalizzato a difendere tesi e proposizioni che non ci si aspetterebbe di trovare in elaborati di servitori dello Stato con ruoli di responsabilità».
«I cittadini reggini – si legge nella lettera – non sono incivili sudditi, non portano l’anello al naso e non si azzuffano per decidere chi si debba ornare della sveglia al collo, ignari di cosa avvenga nelle stanze del vero potere (cosi sembra vengano giudicati quando si affronta il problema dei “pilastrini”, equivalenti di perline e specchietti); la cittadinanza non può accettare una sua risposta, difensiva e in tutela solo degli interessi d’ufficio, in cui non si fa il minimo accenno a ciò che sostanzialmente interessa: rispetto per la storia cittadina, per la memoria collettiva, per l’identità dei luoghi».
«Nella sua – si legge – non un solo cenno a queste tematiche, non una minima apertura al dialogo e al confronto, solo un fermo arroccamento su posizioni che, se ancora mantenute, farebbero entrare Reggio e la sua Soprintendenza del Guinness dei primati. Ciò premesso, si confutano le sue affermazioni, fuorvianti e funzionali alla difesa di tesi francamente indifendibili, non in maniera puntuale ma, tentando di dare una sufficiente visione d’insieme, su diversi intersecanti registri: urbanistico, estetico, storico, identitario, etico e politico».
«Aspetto Urbanistico – Le piazze di una città – prosegue la lettera – si possono intendere in due modi diversi: come bene storico-culturale, da tutelare e proteggere, su cui effettuare restauri conservativi quando necessario; ovvero come strumento urbanistico, da usare senza vincoli di sorta per creare servizi alla collettività. Nel caso di piazza De Nava da parte della Soprintendenza si è scelto di considerarla nel secondo modo: con una “demolizione” (termine usato nel progetto definitivo) completa dell’assetto e delle componenti esistenti per farne una nuova, di servizio al Museo Archeologico e alla viabilità urbana, e renderla uno “spazio ampio” in cui tenere anche “mostre” ed “eventi folkloristici” (testuale dal progetto definitivo)».
«È, quindi, – si legge ancora – palesemente falsa l’affermazione, riportata anche nel suo riscontro, che non vi sarà demolizione bensì solo un restauro conservativo: di quanto c’è ora, tranne la statua, non rimarrà nulla; nel progetto definitivo si vede e si legge che niente resta in piedi dell’impianto storico della piazza, rasato a zero per costruirvi al suo posto una piazza completamente nuova. Se l’italiano è la lingua che parliamo e se le parole hanno un significato condiviso, lei continua a sostenere la falsità che non è prevista nessuna demolizione».
«Aspetto Estetico – La nuova piazza – perché così la si deve definire – è oggettivamente brutta – viene detto – insignificante, senz’alcun colpo d’ala che giustifichi la distruzione di quella storica, un classico non-luogo alla Marc Augé senza storia né identità, buono per una periferia da recuperare in cui sono presenti spazi aperti da utilizzare come strumenti urbanistici per fornire servizi al cittadino. Il progetto, giudicato “fragile” dal prof. Alessandro Bianchi, Urbanista di chiara fama e già Rettore dell’Università Mediterranea, (e si sa cosa un docente intenda comunemente per “fragile”: che un elaborato nemmeno sfiori la sufficienza), è banale, quasi elementare nella concezione, con un uso scolastico degli arredi urbani (fontana a zampilli, panchine e aiuole lineari, ecc.) che a volte scivola francamente nel pacchiano (basta pensare ai festoni a led che passano tra le chiome dei ficus e si illuminano all’imbrunire: forse nemmeno a Las Vegas sono arrivati a tanto)».
«Aspetto Storico – La piazza così com’è – viene spiegato dalla Fondazione – fa parte della storia cittadina ed è il simbolo della ricostruzione dopo l’immane tragedia del terremoto del 1908, perno su cui urbanisticamente è stato fatto ruotare lo sviluppo a nord della città, intitolata proprio a chi fu di questa ricostruzione il più importante mallevadore. Questa è storia, ampiamente riportata sui testi, agevolmente consultabili ove non la si conosca».
«Nella parte iniziale del suo scritto, invece – ha proseguito il presidente Vitale – lei tratta il sito da perfetto burocrate, citando leggi e regolamenti, trascurando la sua storia centenaria, sostenendo che sull’area non vi sono i vincoli da noi invocati perché “abrogati”. Da chi? Quando? E pur fossero stati incautamente rimossi, lei Soprintendente, in ossequio alla mission ministeriale e ai suoi doveri d’ufficio, non dovrebbe rimetterli piuttosto che pensare a demolire?».
«Aspetto identitario – Fa pendant con quello estetico e storico. Nel suo riscontro – si legge ancora – lei sembra irridere la tesi sulla presenza di tre stili architettonici diversi nella piazza (l’Umbertino, il Liberty, il Razionalista). Ma così è, anche se non poco imbarazzante per chi ha deciso di radere al suolo l’esistente. L’impianto generale è nel classico stile Umbertino che ritroviamo in tantissime città italiane, dove nessuna Soprintendenza si è mai sognata di fare interventi demolitivi. Il basamento della statua è chiaramente liberty: anche questo si vuole mutilare con l’eliminazione delle fontane a conchiglia. Lei scrive non essere vero, ma viene sconfessato platealmente non solo dal rendering ma dalla relazione progettuale dove si descrive la nuova impostazione da dare al monumento».
«Il cordone delimitante la piazza – si legge ancora – costituito da una serie di pilastrini in pietra di Lazzaro collegati da elementi tubolari metallici, è in puro stile razionalista e, identico e coevo, lo ritroviamo sul sagrato della chiesa di San Giorgio al Corso, trecento metri a sud, sul perimetro di Piazza del Popolo, trecento metri a nord, in tanti altri cortili cittadini e in Provincia, come alla pineta di Gambarie. Questo tipo di recinzione, altamente identitario, è tipico degli anni della ricostruzione reggina e del secondo dopoguerra».
«Problema Pilastrini – Forse perché in pietra di Lazzaro – si legge – la loro prevista demolizione ha determinato un discreto disagio alla Soprintendenza, tanto da doversi arrampicare sugli specchi, come ora fa lei in prima persona. L’arch. Vitetta, progettista, nell’audizione tenuta in Conferenza dei Servizi alla Commissione Cultura, in cui era presente anche lei, ha sostanzialmente affermato che per rispettare l’identità dei luoghi e la memoria cittadina sarebbe stato sufficiente non mandare in discarica il “materiale lapideo” residuo della demolizione ma riutilizzarlo per la nuova pavimentazione della piazza. Tesi esilarante, da lei comunque sottoscritta in quella sede. Successivo cambio di rotta del Segretariato, per la penna del suo direttore dott. Patamia: i pilastrini non verranno demoliti; si demoliranno solo i “tubi di ferro”».
«Ora – si legge ancora – lei scrive che verranno rimossi, restaurati e riposizionati su di un nuovo perimetro, non facendo cenno alcuno agli elementi tubolari metallici. In altri termini, lei continua a negare l’evidenza fotografica insistendo non esservi un insieme architettonico che, appunto in quanto tale, costituisce un valore da tutelare e proteggere: stralcia il pilastrino dal contesto attuale e lo riposiziona in uno nuovo, pensando di risolvere il problema identitario salvando i “pilastrini” che, ripeto, isolati dall’insieme di cui fanno parte perdono il loro valore architettonico e identitario».
«Problema Concettuale – Il concetto che – si legge ancora – un insieme che non è la semplice somma dei suoi costituenti (il Colosseo non è la semplice somma delle sue pietre e, se si demolisce e con queste si costruisce un palazzo, certamente non se ne mantiene storia e identità), comune a tutte le discipline sia scientifiche che umanistiche, è di una tale elementarità che non dovrebbe essere ricordato in questa sede. Eppure si è costretti a farlo: non si può trattare in mero linguaggio burocratico ogni singolo costituente della piazza come un qualcosa avulso dal contesto, un semplice numero ovvero una pratica amministrativa da sbrigare il più velocemente possibile. Come detto nell’incipit, i cittadini reggini non possono tollerare di essere trattati come “primitivi” con l’anello al naso cui si regalano perline e specchietti».
«Questione Etica – Poniamola in modo diacronico – ha scritto ancora Vitale –. Lo stesso soggetto giuridico: individua una fonte di finanziamento; allestisce il progetto preliminare; fa sì che il progetto definitivo sia un copia e incolla; individua la direzione dei lavori; controlla la loro esecuzione; rimuove vincoli ove presenti; non pone prescrizioni, contrariamente a quelle stesse poste in abundantiam su un analogo progetto da parte dell’amministrazione comunale; riceve legittimi compensi. Tutto questo senza che un ente terzo minimamente possa interferire. Non le sembra che qualche problema potrebbe esserci? La Procura su tutta questa storia sta svolgendo la sua inchiesta, pertanto non si approfondirà il tema. È nostro dovere essere comunque garantisti, ma l’esserlo non ci esime dal porre grossi interrogativi dal punto di vista etico».
«Questione Politica – È il classico Rasoio di Occam – si legge –. Posto che la piazza è della Città di Reggio Calabria e non certamente della Soprintendenza, se la città non è d’accordo la piazza non può essere demolita. I carri armati li abbiamo già avuti in Città negli anni Settanta, i morti anche; lo Stato ha già dimostrato al Sud come può essere duro e feroce nell’affermare la sua legge. Non sono più quei tempi, naturalmente, ma lo spirito dei reggini è lo stesso: non vanno toccati nella loro dignità. Il 98 per cento degli interventi sui social media è contrario alla nuova piazza e, fatto storico che non accadeva dai citati anni Settanta, il Consiglio Comunale del 31 gennaio 2022 all’unanimità ha votato un ordine del giorno che sostanzialmente pone in stand by tutta la questione».
«Con queste premesse, Lei, Soprintendente di Reggio – viene evidenziato – come fa ancora a insistere sul progetto senza prevedere una sua revisione che sia rispettosa della storia cittadina, della memoria collettiva e dell’identità dei luoghi? Il prof. Salvatore Settis, archeologo, reggino, presidente del Comitato Scientifico del Louvre, interpellato sul tema, non ha dubbi in proposito: la volontà popolare va democraticamente rispettata, qualsiasi essa sia. Non pensa che su un argomento tanto importante la città vada consultata?».
«Nel chiederle scusa per qualche parola un po’ troppo energica – conclude la lettera – dovuta alla passione civile che ci anima, la prego di considerare la possibilità che lei, secondo scienza e coscienza oltre che nel rispetto del suo mandato e della mission ministeriale, valuti con oggettività tutta la questione e proponga soluzioni alternative che, contemperando le varie posizioni e rispettando la volontà popolare, siano finalizzate al maggiore interesse cittadino. La città le sarà sicuramente grata». (rrc)