L’assessore Calabrese: Entro agosto il Piano per l’occupazione

«Entro agosto verrà deliberato il piano per l’occupazione con un impiego di circa 200 milioni di euro». È quanto ha annunciato l’assessore regionale al Lavoro, Giovanni Calabrese, sottolineando come «il Piano regionale delle politiche attive del Lavoro e delle competenze per il periodo 2023-2027 è uno strumento di pianificazione strategica per orientare l’utilizzo delle risorse rese disponibili. Attraverso le attività previste nel Piano, l’Amministrazione regionale intende favorire da una parte l’incremento dell’occupazione di qualità di giovani e donne dall’altra sostenere interventi strutturali per ridare slancio al lavoro e all’economia della regione».

«Confronto, dialogo e prospettive per le politiche attive per il lavoro nell’ambito del Piano regionale per il lavoro Priorità 4 ‘Una Calabria con più opportunità’ e ‘Una Calabria più inclusiva per i giovani’. Il nostro obiettivo è quello di programmare e costruire insieme il futuro della Calabria e dei calabresi», ha detto ancora Calabrese, nel corso della riunione del Tavolo per il Lavoro svoltosi in Cittadella regionale dove, assieme al direttore generale del Dipartimento, Fortunato Varone, è stato illustrato il Piano per il lavoro e le misure d’intervento, nonché gli avvisi in essere e la programmazione del Piano per l’occupazione con una serie di misure sulle politiche attive per il lavoro con il ciclo di programmazione 2021/2027.

Al tavolo hanno preso parte il presidente e direttore di Unindustria Calabria, rispettivamente Aldo Ferrara e Dario Lamanna, e i rappresentanti delle Camere di Commercio, Inps, Inail, Anpal, Consulenti del lavoro, Ufficio scolastico regionale, Ufficio della Consigliera di Parità e tutte le organizzazioni sindacali e le diverse categorie datoriali.

«Il Piano – ha proseguito l’assessore –, elaborato con il supporto del Dipartimento regionale alla Programmazione, definisce una serie di operazioni su incentivi all’autoimprenditorialità, incentivi all’occupazione, formazione e competenze, servizi per il lavoro, progetto integrato lavoro e territorio. Intende promuovere, inoltre, misure contro il lavoro sommerso, per migliorare l’accesso al mercato del lavoro e all’occupazione di disoccupati, per sostenere l’occupazione femminile, per promuovere l’autoimpiego e l’imprenditorialità e l’economia sociale. Si stima di coinvolgere oltre 10 mila destinatari tra disoccupati, giovani, donne e lavoratori svantaggiati».

«Il nostro obiettivo – ha concluso l’assessore Calabrese – è quello di costruire insieme il futuro della Calabria e dei calabresi in materia di politiche per il lavoro. Per questo nasce il tavolo, per confrontarsi, migliorare ed intervenire sulle misure in maniera efficiente ed adeguata. Abbiamo un traguardo da raggiungere ed è quello di diminuire il tasso di disoccupazione creando occupazione vera». (rcz)

AL SUD NON BASTA VIVERE DI TURISMO: SI
PUNTI SU AGRICOLTURA E MANIFATTURIERO

di PIETRO MASSIMO BUSETTASembra che dobbiamo metterci anche noi a sparare ai turisti con le pistole ad acqua, per convincerli a non venire più. Come hanno fatto a Barcellona o vorrebbero prendere l’abitudine  a fare i veneziani. Parlo di Napoli, Palermo, Bari, Catania, Reggio di Calabria e tutto il Sud.

Sono in molti a ritenere “pericolosa” l’evoluzione positiva del turismo nel Mezzogiorno. A costoro si contrappone chi ritiene di aver trovato la soluzione ai problemi di occupazione dell’area: sono in tanti ad affermare che si potrebbe vivere di agricoltura e turismo, senza canne fumarie inquinanti, senza petrolchimico che porta malattie tumorali, senza siderurgia di base con uno scambio lavoro/salute ormai non più non solo accettabile, ma nemmeno tollerabile. Dobbiamo deludere tutti questi e non con una altrettanta vigoria ideologica ma con la forza dei numeri.  

Assodato che l’agricoltura è una attività da Paesi in via di sviluppo e che l’agroalimentare potrà rappresentare ancora una piccola valvola che andrà a recuperare gli addetti che si perderanno nel settore primario, rimane il tema del turismo, che dopo il Covid sta vivendo una stagione vivace ed interessante. 

Bene un aumento consistente delle presenze turistiche può rappresentare una via per la soluzione dei problemi occupazionali di questa area? Bene la risposta è no, in maniera decisa e senza alcuna possibilità di essere smentiti. Intanto bisogna dire che oggi il turismo nel Sud è sottodimensionato: ha un numero di presenze, in tutto il Sud più le Isole, pari a quelle del solo Veneto e ci fa capire che strada da fare ce ne può essere ancora tanta.  

Ma anche che se si raddoppiassero in cinque anni le presenze, missione impossibile visto che siamo fermi a 80 milioni da parecchi anni, anche se questo avvenisse,  il contributo all’occupazione sarebbe nell’ordine dei 300.000 occupati in più.  Dato importante ma ben lontano dalle esigenze di un Sud che per raggiungere il rapporto popolazione occupati delle realtà a sviluppo compiuto avrebbe bisogno di creare oltre 3 milioni di nuovi posti di lavoro. 

Quindi settore importante che può contribuire in modo decisivo alla messa a regime della realtà, poiché prevede che si aumenti la mobilità, la gradevolezza delle nostre coste e dei nostri borghi, la dotazione importante delle utilities come energia e acqua, l’offerta di attività culturale, ma anche l’offerta di servizi sanitari. Ma che deve trovare nella attività logistica e nel manifatturiero pulito e di qualità il completamento per una adeguata dimensione della domanda di lavoro. 

Ma il problema del settore turistico non è solo quello della quantità di occupazione che può creare, ma anche del tipo di occupazione. Se vogliamo che si interrompa il flusso emigratorio, che porta 100.000 persone a lasciare il Sud, con un costo per le casse regionali meridionali di oltre 20 miliardi ogni anno, è necessario creare sì lavoro nel settore turistico, ma anche nella ricerca, nell’high tech, nel farmaceutico, nell’automotive, nel settore aeronautico.  

Perché dobbiamo consentire ai nostri giovani ingegneri, ricercatori, chimici, geologi, di trovare opportunità lavorative senza per forza fuggire. Bisogna fare chiarezza perché spesso il manifatturiero viene confuso con il petrolchimico, con la chimica di base o con le acciaierie tipo Ilva, che tanto danno hanno fatto ai territori dove si sono insediati, anche se nel periodo della localizzazione hanno consentito un lavoro per molti. 

Bisognerebbe cominciare a capire che esiste anche il manifatturiero buono, quello per il quale il Veneto va in conflitto con il Piemonte, in una lotta che prevede che alla fine gli ingegneri occupati devono emigrare dal Sud. Quello che porta Giorgetti fin negli Stati Uniti d’America per cercare inutilmente di convincere la Intel a localizzarsi a Vigasio, a pochi chilometri da Verona. E tale manifatturiero, che rappresenta la polpa che tutti vogliono, non porta tumori o le devastazioni di Bagnoli o Gela. Ma può essere ecologico e senza fumi, come ci insegnano tante localizzazioni importanti nel mondo. 

Quindi il futuro del Sud non può fare a meno dell’agricoltura perché consente la protezione dei suoli ed evita lo spopolamento delle campagne,  dell’agroalimentare, che valorizza le produzioni e dà una identità forte ai luoghi: cosa sarebbe la Campania senza la sua mozzarella; ma non può fare a meno, con una popolazione di oltre venti milioni di abitanti, se non si vuole lo spopolamento, della logistica con una valorizzazione seria dei suoi porti, naturalmente vocati, per posizione e conformità dei luoghi, come Gioia Tauro e Augusta, ad accogliere i grandi traffici. Mentre invece si continua con una forzatura costosissima per il Paese, a puntare su Genova con progetti, questi faraonici, che renderanno fruibile un porto che non ha né una baia adeguata né spazi per un retroporto. 

Ma ha bisogno anche di un manifatturiero adeguato, che con le Zes doveva trovare la possibilità di aumentare con l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area e che con la Zes unica rischia di far perdere quell’appeal ai territori coinvolti, estendendo l’area a tutto un Sud, che non può avere improvvisamente le caratteristiche per attrarli ( sicurezza, collegamenti, cuneo fiscale generalizzato, tassazione degli utili contenuta, semplificazione amministrativa).  

Non si distribuiscono pasti gratis si dice in economia e certamente i prati verdi e le mucche al pascolo con i campanacci sono bellissimi fin quando consentono alla popolazione di avere un progetto di futuro. Se ciò non avviene allora sarebbe bene fare i conti con la realtà e i numeri collegati. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

L’assessore Calabrese: Con Arpal avviata nuova fase per le politiche attive per il lavoro

L’assessore regionale al Lavoro, Giovanni Calabrese, ha evidenziato come «con Arpal abbiamo avviato un ciclo nuovo sulle politiche attive del lavoro e stiamo avviando una nuova fase per perseguire gli obiettivi già prefissati con la legge che abbiamo voluto, sostenuto e approvato lo scorso anno in Consiglio regionale».

«Arpal – ha aggiunto – sarà il braccio operativo del Dipartimento e proprio per dare stabilità e avviare celermente tutte le misure a sostegno delle politiche attive del lavoro, abbiamo pubblicato l’avviso per il direttore generale che dovrà avere oltre i requisiti di legge anche esperienza nel settore delle politiche attive del lavoro».

«Da Azienda Calabria Lavoro si è arrivati con determinazione al nuovo Ente pubblico non economico – ha proseguito – per questo ringrazio per l’eccellente lavoro la dottoressa Elena Latella che è riuscita a traghettare nel nuovo organismo giungendo alla stabilizzazione molti dipendenti. Abbiamo molto lavoro da fare per rispondere alle esigenze dei calabresi e rafforzare interventi adeguati per contrastare il fenomeno negativo della migrazione che oggi vede molti andar via dalla Calabria, perché tra le problematiche non c’è la mancanza di opportunità lavorativa piuttosto scarseggia il lavoro di qualità e regolare».

«Allora il nostro compito – ha concluso – è quello di lavorare impegnando le ingenti risorse finanziarie a disposizione e mettendo in rete tutte le parti attive del mercato del lavoro e Arpal avrà un ruolo centrale e cruciale per lo sviluppo economico della nostra regione».

Il M5S incontra Occhiuto su criticità della Calabria: Focus su lavoro, ambiente, toricinanti

Una delegazione del M5S, composta dalla deputata e coordinatrice calabrese, Anna Laura Orrico, dal consigliere regionale Davide Tavernise e dall’eurodeputato Pasquale Tridico, ha incontrato il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, per «confrontarsi e chiedere chiarezza su alcune delle molte urgenze che interessano la nostra terra».

È stato, infatti, «un lungo faccia a faccia – hanno detto – franco e diretto, nel rispetto dei ruoli istituzionali di ognuno, nel quale, tuttavia, abbiamo chiesto al governatore delle risposte auspicando che queste non siano vaghe e che, soprattutto, arrivino in tempo, poiché sono tutte tematiche che stanno divenendo delle vere e proprie bombe sociali e ambientali pronte a deflagrare».

«Abbiamo nuovamente sollecitato – hanno detto i pentastellati – l’attenzione del Presidente della Regione su tutta una serie di questioni sociali come la vertenza dei lavoratori Abramo, la vicenda dei lavoratori tirocinanti nelle amministrazioni locali e la problematica dei Tfs non liquidati a molti lavoratori dei consorzi di bonifica, oggi in gran parte confluiti in Calabria Verde. Nonché discusso di gravi criticità ambientali come la bonifica degli ex impianti di Eni a Crotone, che rischiano di divenire un danno permanente per i cittadini, e della discarica di Melicuccà, del rischio di disastro ambientale, sotto osservazione da parte della Procura di Castrovillari, rappresentato dalla discarica di Scala Coeli».

«Dal canto nostro – hanno concluso Orrico, Tavernise e Tridico – continueremo l’attività di attenzione e vigilanza sull’operato del presidente Occhiuto e della sua Giunta, nell’esclusivo interesse della Calabria e dei calabresi». (rcz)

A Mignano Monte Lungo (Caserta) l’iniziativa di Cisl Calabria e Campania per “Conoscere per prevenire e tutelare”

Domani mattina, alle 10, al Castello Ettore Fieramosca di Mignano Montelungo (Caserta), si terrà l’iniziativa interregionale di Cisl CalabriaCisl Campania Conoscere per prevenire e tutelare.

 L’appuntamento  si tiene nel comune che fu teatro della più grande tragedia dal dopoguerra ad oggi, dove una violenta esplosione durante la costruzione della galleria per la centrale Enel a Cannavinelle, provocò la morte di  42 lavoratori provenienti da diverse regioni (Campania, Calabria, Abruzzo, Lazio, Basilicata e Lombardia) tutti tra i 21 e 48 anni e 55 feriti gravi.

L’evento interregionale rientra nella campagna di sensibilizzazione ed iniziative di mobilitazione avviate dalla Cisl, sul tema della salute e sicurezza quali “Fermiamo la scia di sangue”, culminata nell’Assemblea nazionale dello scorso aprile. 

«Riteniamo fondamentale – si legge in una nota – mettere in campo tutte le forme e gli strumenti utili per preservare e difendere l’incolumità di chi lavora e per evitare morti e incidenti negli ambienti di lavoro che nel nostro paese hanno raggiunto livelli inaccettabili».

Dopo l’apertura dei lavori della segretaria generale della Cisl Campania Doriana Buonavita, e i saluti del sindaco di Mignano Monte Lungo, Andrea De Luca, interverranno il segretario confederale nazionale Cisl, Mattia Pirulli, sugli “obiettivi strategici e il piano di interventi Cisl”, e la  responsabile nazionale Cisl Salute e Sicurezza sul Lavoro, Cinzia Frascheri, che illustrerà le novità legislative in materia e gli impatti sul ruolo e gli strumenti dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. 

L’iniziativa è anche l’occasione per illustrare, a cura di Fulvio Londei di Ial nazionale, l’indagine nazionale ImpacT –Rls sulla figura del rappresentante dei lavoratori sulla sicurezza, mentre spetterà al responsabile Inas Calabria Salvatore Cantarella, illustrare il “ruolo fondamentale del Patronato”.  Le conclusioni della giornata sono affidate al segretario generale Cisl Calabria, Tonino Russo.

Alla fine dei lavori a Cannavinelle, luogo della sciagura, sarà deposta una corona di alloro in memoria delle vittime.

DECRETO COESIONE, LA SVIMEZ PERPLESSA
SUI LIVELLI DI PREVISIONE DELLA SPESA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Ci sono forti criticità, secondo la Svimez, nel decreto Coesione. Il presidente Adriano Giannola e il direttore Luca Bianchi, nel corso dell’audizione in Commissione Bilancio al Senato sul decreto, hanno sottolineato diverse incongruenze che andrebbero sanate: se da una parte con la nuova governance il decreto riesce a rendere effettivi gli obiettivi legati alla politica di coesione, dall’altra non soddisfa a livelli di previsione di spesa.

Nello specifico, per l’Associazione «livelli inadeguati di spesa ordinaria in conto capitale nel Mezzogiorno hanno reso sostitutiva (e solo parzialmente) la spesa della politica di coesione europea e nazionale, indebolendone le finalità di riequilibrio territoriale», in quanto «fissa al 40% la quota delle risorse ordinarie in conto capitale che le Amministrazioni centrali dello Stato sono tenute a destinare agli interventi da realizzare nelle regioni del Mezzogiorno. Si tratta di una maggiorazione rispetto a quanto introdotto dal decreto-legge n. 243 del 2016, convertito nella legge n. 18/2017, che prevedeva la cosiddetta «clausola del 34%».

Il Dl, infatti, contiene disposizioni dirette a dare attuazione alla riforma 1.9.1 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) – come modificato con decisione del Consiglio dell’Ue dell’8 dicembre 2023 – che mira all’accelerazione e al recupero di efficienza della politica di coesione.

Con tali finalità, nel quadro dell’Accordo di partenariato e per tutti i programmi europei in corso, si prevede di rafforzare il coordinamento tra Amministrazioni e di promuovere la complementarietà e le sinergie dei progetti attuati con i fondi europei per la coesione con gli investimenti finanziati dal Pnrr e dalla coesione nazionale (Accordi per la coesione), tenendo anche conto del Piano strategico della Zes Unica per il Mezzogiorno, quest’ultimo da adottare entro il prossimo 31 luglio.

Tuttavia, per la Svimez, «l’effettiva attuazione della riforma dipenderà inoltre dall’incisività delle misure di rafforzamento della capacità amministrativa degli enti decentrali previste dello stesso “Decreto Coesione”. Le accresciute responsabilità dei presidi tecnici centrali, inoltre, dovranno accompagnarsi a una nuova e maggiore capacità di verifica e controllo da parte delle strutture di recente interessate da un processo di profonda riorganizzazione ancora in fase di completamento».

E, attualmente, il Decreto che «fa riferimento esplicito alle «amministrazioni centrali dello Stato», restringendo l’ambito di applicazione della clausola rispetto alla Legge di Bilancio per il 2019, che lo aveva esteso anche ai contratti di programma tra il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e Anas SpA e a quelli tra il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e Rete Ferroviaria Italiana SpA. Ciò rappresenta una rilevante criticità, dal momento che la quota del 40% si applica a un ammontare di risorse inferiore».

In questo modo per l’Associazione, «si smarrirebbe l’impostazione opportunamente accolta nella norma della Legge di bilancio per il 2019: è l’intensità dell’azione dell’operatore pubblico nella sua interezza e nella complessità dei suoi soggetti e delle sue funzioni che determina effetti sul territorio, sia in termini di erogazione di spesa pubblica che di dotazione di servizi per il cittadino. Sarebbe, perciò, opportuno integrare il dispositivo per estendere l’ambito di applicazione alle imprese a controllo pubblico e introdurre adeguati strumenti di monitoraggio».

Nella nuova governance, infatti, per rendere effettivi tali ambiziosi obiettivi, viene rafforzato il ruolo dell’Autorità politica per la coesione. Quest’ultima – attualmente, il Ministro per gli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e per il Pnrr – presiede la Cabina di Regia con funzioni di: coordinamento tra programmi nazionali e regionali della coesione europea; promozione della complementarietà tra interventi del Pnrr e della coesione europea e nazionale; verifica delle attività di monitoraggio sull’implementazione dei programmi, delle quali è responsabile il Dipartimento per le politiche di coesione.

L’ambito di applicazione delle nuove disposizioni del “Decreto Coesione” – ha rilebvato la Svimez – riguarda le azioni dei programmi nazionali e regionali attuativi del ciclo di programmazione 2021-2027 ricadenti nei seguenti settori strategici: risorse idriche; infrastrutture per il rischio idrogeologico e la protezione dell’ambiente; rifiuti; trasporti e mobilità sostenibile; energia; sostegno allo sviluppo e all’attrattività delle imprese, anche per le transizioni digitale e verde.

L’Autorità politica viene investita di rafforzati poteri di indirizzo e controllo, presidiando al coordinamento con le Amministrazioni (Ministeri, le regioni e le province autonome) responsabili dei programmi, che è previsto si realizzi attraverso la condivisione di un elenco di interventi prioritari per ciascuno dei suddetti settori strategici, da selezionare in base a stringenti criteri, anche tenendo conto delle previsioni del Piano strategico della Zes Unica.

In coerenza con la dichiarazione di principio di adottare un «approccio orientato al risultato», per tutti gli interventi prioritari concordati, le Amministrazioni sono tenute a seguire cronoprogrammi procedurali e finanziari modificabili solo nel caso di impossibilità di rispettarne le tempistiche a causa di circostanze oggettive.

«I cronoprogrammi – ha ricordato l’Associazione – devono prevedere il conseguimento di obiettivi iniziali, intermedi e finali, individuati in relazione alle principali fasi di realizzazione degli investimenti: completamento delle procedure di selezione delle operazioni e di individuazione dei beneficiari;  assunzione di obbligazioni giuridicamente vincolanti; completamento dell’intervento. La verifica del rispetto dei tempi previsti per l’attuazione degli interventi e del conseguimento dei relativi risultati, viene svolta dal Dipartimento per le politiche di coesione e per il Sud, al quale le Amministrazioni trasmettono relazioni semestrali sulla realizzazione degli interventi prioritari».

La riforma introduce poi un meccanismo di premialità per le Amministrazioni regionali adempienti rispetto a tempistiche e conseguimento degli obiettivi. La premialità, in particolare, consiste nell’utilizzo delle (eventuali) economie delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione (Fsc) – maturate in relazione agli interventi conclusi nell’ambito degli Accordi per la coesione – per coprire integralmente la parte di cofinanziamento regionale dei programmi europei Fesr e Fse Plus. Ciò si traduce nella possibilità di coprire con risorse FSC l’intera quota del cofinanziamento nazionale posto a carico delle regioni (30% del totale), in misura doppia rispetto all’attuale valore massimo di 15 punti percentuali.

Il «Decreto Coesione» richiama, inoltre, la possibilità del ricorso ai poteri sostitutivi nei casi di inerzia, inadempimento o mancato rispetto delle scadenze dei cronoprogrammi da parte delle Amministrazioni responsabili, per scongiurare rischi di disimpegno automatico dei fondi erogati dall’Unione Europea.

Infine, vengono introdotte nuove disposizioni in materia di utilizzazione delle risorse 2021-2027 del Fsc. Si prevede, in particolare, la possibilità di assegnare con delibera del Cipess le risorse del Fondo, quale anticipazione, anche alle Regioni con le quali non sia stato ancora sottoscritto l’Accordo per la coesione (Campania, Sicilia, Sardegna e Puglia).

Nello stesso Decreto si dà corso a tale possibilità nella previsione contenuta all’art. 14, dove si prevede che a copertura degli interventi previsti per il Risanamento del sito industriale di Bagnoli-Coroglio, concorrano le risorse finanziarie indicate in via programmatica per la Regione Campania dalla delibera del Cipess n. 25 del 2023 (1,2 miliardi di euro per il periodo 2024-2029).

Per la Svimez, dunque, «nel complesso l’azione governativa risponde alle esigenze di coordinamento maturate successivamente all’avvio del Pnrr, rese ancor più cogenti alla luce delle criticità attuative e delle successive revisioni del Piano. Trasversalmente alle innovazioni di governance, emerge il disegno di rafforzamento dell’Autorità politica della coesione, nei ruoli di indirizzo della programmazione, selezione degli interventi prioritari e monitoraggio dell’attuazione dei programmi nazionali e regionali».

«La scelta di accrescere i poteri centrali – viene evidenziato ancora – è coerente con l’obiettivo dichiarato di rafforzare il livello di efficacia e di impatto degli interventi della coesione europea in raccordo con le altre programmazioni con finalità di riequilibrio territoriale. Questa impostazione risponde alle intenzioni della riforma di adottare un approccio orientato al risultato. In tal modo, il governo pare voler recepire già nella programmazione in corso a livello nazionale, le indicazioni emerse nel dibattito sul futuro della coesione nel post-2027: uniformare la coesione europea «tradizionale» al modello performance based del Pnrr».

«La riformata governance multi-livello nazionale che ne deriva segna un positivo ritorno di assunzione di responsabilità del governo nazionale sugli interventi orientati alla coesione territoriale», scrivono nella loro relazione Giannola e Bianchi, sottolineando come «le Amministrazioni responsabili, nel momento in cui presentano l’elenco degli interventi prioritari, vengono poste di fronte a una duplice e impegnativa sfida attuativa: rispettare le tempistiche europee di certificazione della spesa e quelle nazionali di raggiungimento dei risultati fissati dai cronoprogrammi».

Nonostante questo, «va rimarcato – si legge nel testo – che il verificarsi delle condizioni necessarie per dar corso all’attivazione dei meccanismi premiali non è privo di incertezze. L’accesso alla premialità, infatti, richiede alle Amministrazioni di essere adempienti sia sui cronoprogrammi degli interventi finanziati dalle europee, sia su quelli inclusi negli Accordi per la Coesione. L’applicazione di tale previsione richiederà dunque una tempestiva verifica degli stati di avanzamento e completamento degli interventi FSC, storicamente caratterizzati da procedure complesse e tardive. A ciò si aggiunge l’ulteriore di criticità dei ritardi già maturati dalle quattro Regioni del Mezzogiorno con le quali non è stato ancora sottoscritto l’Accordo per la Coesione».

«Si è detto, poi – continua la nota della Svimez – che la premialità introdotta dalla riforma si basa sulla possibilità per le Amministrazioni regionali di avvalersi delle risorse FSsc  a copertura del cofinanziamento regionale di spese di investimento dei programmi regionali cofinanziati dai fondi europei Fesr e Fse Plus, liberando le relative risorse nei bilanci locali. Andrà però verificato se le Amministrazioni valuteranno l’incentivo finanziario commisurato allo sforzo amministrativo aggiuntivo richiesto per accedervi».

«Un’ultima considerazione – si legge – merita un aspetto che interessa tutte le programmazioni degli investimenti con finalità, diretta o indiretta, di riequilibrio territoriale nella dotazione di infrastrutture e nei livelli dei servizi offerti a cittadini e imprese. La nuova governance ha restituito al presidio politico centrale una maggiore responsabilità di indirizzo e monitoraggio dei programmi nazionali e regionali. Per rendere monitorabile l’efficacia del nuovo modello e valutabile l’avanzamento finanziario del complesso delle programmazioni, andrebbero fissati obiettivi di spesa di breve e medio termine. Nel caso dei fondi europei, ad esempio, per valutare in itinere quanto il nuovo modello sia in grado di conseguire l’obiettivo dell’accelerazione, gli obiettivi andrebbero fissati rispetto ai dati di attuazione del ciclo di programmazione 2014-2020. Analogamente, si potrebbe procedere nel caso dell’Fsc».

Il Decreto, inoltre, interviene anche sulla materia di perequazione infrastrutturale, sia per gli interventi finanziati con le risorse aggiuntive destinate a colmare il gap infrastrutturale delle regioni in ritardo di sviluppo, sia per quelli coperti da risorse ordinarie senza vincoli ex ante di destinazione territoriale.

il Decreto rinomina in «Fondo perequativo infrastrutturale per il Mezzogiorno» il «Fondo perequativo infrastrutturale» istituito dall’art. 22 della legge delega n. 42 del 2009. Le regioni del Mezzogiorno saranno dunque esclusive beneficiarie degli interventi che si prevede di finanziare nei seguenti ambiti: infrastrutture stradali, autostradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, idriche, nonché a strutture sanitarie, assistenziali e scolastiche, coerenti con le priorità indicate nel Piano strategico della Zes unica. Per la Svimez «si tratta, però, di una ridenominazione di un Fondo esistente interessato di recente da un rilevante definanziamento».

Per dirla in parole povere, «il Decreto introduce una riforma del Fondo che, da un lato introduce una destinazione esclusiva per le regioni del Mezzogiorno, dall’altra però non interviene sull’esiguità delle risorse disponibili».

Per la Svimez, infine, un «tema ancora più decisivo» rimane, infatti, quello dell’effettiva capacità di monitoraggio ex ante, di verifica ex post e, infine, delle sanzioni per le Amministrazioni che non raggiungono la quota. In questi anni, in assenza di criteri di cogenza, la clausola non ha mai trovato concreta attuazione da parte delle Amministrazioni e, nel tempo, si è anche ridotta la disponibilità di basi informative in grado di offrire tempestivamente un quadro sull’allocazione territoriale della spesa ordinaria in conto capitale. A tal proposito, il «Decreto Coesione» non introduce meccanismi di monitoraggio degli stanziamenti e delle risorse per investimenti effettivamente spese nei territori dalle Amministrazioni, né meccanismi di compensazione degli scostamenti dalla quota fissata.

A tal proposito, è utile il riferimento a quanto a suo tempo previsto per il finanziamento aggiuntivo dei cosiddetti «progetti speciali» della Cassa per il Mezzogiorno. (ams)

 

L’assessore Calabrese: Si può e deve parlare di lavoro avvalendosi delle peculiarità del territorio

Per l’assessore regionale al Lavoro, Giovanni Calabrese, «qui si può e si deve parlare di lavoro avvalendosi delle peculiarità del territorio e credendo in nuove professioni per i nostri giovani. Il nostro impegno con il Piano regionale straordinario di potenziamento dei Centri per l’impiego rappresenta un modo concreto per avviare le politiche del lavoro».

Calabrese, infatti, ha partecipato al Job Day for School, atto conclusivo della prima edizione del progetto Insieme creiamo il Futuro, realizzato nell’Ente Parco Regionale delle Serre a Serra San Bruno. L’assessore, che sta effettuando il tour dei Cpi, è impegnato in questi mesi ad incontrare i direttori dei centri per l’impiego, imprese e scuole grazie anche ai Job day programmati nelle varie sedi e su Serra il Dipartimento Lavoro ci ha creduto particolarmente.

L’iniziativa vibonese è stata realizzata in partnership tra il Centro per l’impiego di Serra San Bruno e Sviluppo Lavoro Italia Spa. La rete partenariale di Serra San Bruno, che ha visto la collaborazione di Camera di Commercio, CNA, Consulenti del lavoro, Confindustria, Comune di Acquaro, Ente Parco delle Serre, Sviluppo Lavoro Italia Spa ed Istituto di Istruzione Superiore Luigi Einaudi mettendo in relazione il sistema scolastico del centro montano vibonese con il Mercato del Lavoro locale e coinvolgendo anche un gruppo di giovani neet, residenti nel comprensorio delle Serre e nel comune di Acquaro.

Ad accoglierlo è stata Maria Rita Suppa, responsabile del Centro per l’impiego di Serra San Bruno, che ha voluto ribadire il dato dei numeri significativi che testimoniano la buona prassi e la bontà del progetto, oltre l’importanza di fare rete, con attori significativi del mercato del lavoro e scuole, valorizzando il rapporto di collaborazione con Sviluppo Lavoro Italia. La possibilità di offrire ai giovani dell’area delle Serre opportunità concrete di confrontarsi con le imprese locali, oltre ad assumere grande rilievo, valorizza il ruolo del Centro per l’impiego e l’azione che i servizi per il lavoro possono realizzare anche in contesti difficili nei quali le opportunità di lavoro non sono molte. 

L’assessore al lavoro Giovanni Calabrese ha ribadito di voler strutturare, nell’ambito delle misure di rafforzamento dei servizi per il lavoro e delle politiche attive regionali, un percorso con i Cpi e con le scuole, perché dai giovani che si affacciano al mondo del lavoro possiamo avere un feedback concreto che si trasforma in opportunità. 

«Anche in aree territoriali periferiche e svantaggiate è possibile ottenere risultati significativi e, la mia presenza – ha affermato Calabrese – vuole essere testimonianza di vicinanza e sinergia con la Regione Calabria guidata dal nostro presidente Roberto Occhiuto. Per Serra San Bruno, nell’ambito del Piano straordinario di potenziamento dei centri per l’impiego è stata firmata la convenzione e destinate risorse per un ammontare di circa 1 milione e mezzo di euro per la realizzazione di interventi di riqualificazione e valorizzazione di un immobile comunale e questo ci deve spronare ad avviare sinergie concrete per lo sviluppo economico del territorio». (rvv)

 

MOBILITÀ IN CALABRIA, UN PROBLEMA A CUI
SERVONO STRUMENTI E UNA SERIA POLITICA

di GIOVANNI MACCARRONE – Negli ultimi tempi la discussione sul ponte di Messina ha accesso nuovamente il dibattito sulle politiche di mobilità e trasporti nel Meridione.

La letteratura in questo senso si è di recente arricchita di scuole di pensiero e di diverse teorie sulla possibilità di rendere più sostenibile la mobilità all’interno delle nostre città o tra città appartenenti alla nostra regione.

Ogni mattina, gran parte delle persone esce di casa per dirigersi in qualche posto.

Pensiamo ai lavoratori che si recano al proprio posto di lavoro oppure agli studenti che vanno a scuola per svolgere le attività didattiche. È emerso che i mezzi pubblici sono utilizzati assai di rado, mentre l’auto o lo scooter privato risultano essere i mezzi di trasporto più scelti in Calabria.

A Catanzaro, in particolare, ci si sposta quasi sempre con veicoli a motore anche se il luogo di lavoro o la scuola sono abbastanza vicine alla propria abitazione. In Calabria, quindi, si registra una percentuale bassissima dell’uso dei mezzi pubblici e una percentuale altissima dell’uso dei veicoli a motore.

Questi spostamenti – che nel tempo si sono intensificati ed evoluti nelle forme e nei modi – avvengono per la maggior parte in città, o tra città della nostra regione.

Inoltre riguardano anche gli spostamenti dalla propria regione per comprovate esigenze lavorative, assoluta urgenza e motivi di salute.

Per questo quella della mobilità è una delle sfide più impegnative e determinanti per la nostra regione, non solo in una prospettiva di sostenibilità ambientale, ma anche economica e sociale.

Pensate ai pericoli sulla strada e alle spese extra che tutte le famiglie devono affrontare/sopportare tutti i giorni.

Pur comprendendo la consistenza e complessità del problema e dopo diverse sollecitazioni informali, la mancanza di risposte, a circa 50 anni di distanza alla richiesta dei cittadini calabresi di attivare un confronto tra le parti sociali per rendere più efficiente la mobilità urbane ed extraurbana in Calabria, appare essere del tutto sorprendente.

La totale indifferenza e la completa sottovalutazione della problematica da parte dei diversi protagonisti sociali, politici, istituzionali ci lascia francamente sgomenti.

Non si può più aspettare, né tantomeno tergiversare. Devono immediatamente essere messi in atto strumenti e politiche per rendere più vivibili ed efficienti i servizi.

Ciò significa anche “produttivizzare” il territorio in senso logistico per promuovere un aumento dell’occupazione e delle esportazioni.

Queste ultime ricoprono un ruolo fondamentale per la ripresa dell’economia calabrese.

Non è dubbio, infatti, che investire nelle autostrade, nell’alta velocità, nei collegamenti tra l’aeroporto di Lamezia e il resto del territorio e nei porti significa sfruttare meglio la posizione poco privilegiata della nostra terra.

Soprattutto, permette di condividere servizi logistici fra le imprese presenti sul territorio e quelle che si trovano altrove, attraendo nuovi investimenti e traffici internazionali.

Attualmente, invece, i binari ferroviari sono pochi, l’Alta Velocità arriva fino alla Regione Campania, tram e metropolitane sono praticamente inesistenti e il grado di soddisfazione per bus e pullman è nettamente più basso rispetto alle altre aree del Paese.

Inoltre, l’autostrada che collega Salerno a Reggio Calabria passando per Cosenza Vibo Valentia (Autostrada A2, detta anche autostrada del Mediterraneo oppure Salerno – Reggio Calabria), a parte i crolli, presenta strade impervie e dall’asfalto non perfetto.

È sempre piena di cantieri, deviazioni, buche e rattoppi o a lunghi tratti a doppio senso di marcia. Pur essendo a doppia corsia per senso di marcia, per lunghi tratti di strada si presenta perennemente ad una sola corsia.

L’A3 passa da Lauria e Lagonegro, dove ogni anno, d’inverno, si moltiplicano i disagi provocati dal freddo e dalla neve. Il progetto originario dell’autostrada, realizzato nel 1961, prevedeva un tracciato litoraneo, lungo la costa del basso Tirreno.

Invece, alla fine si è preferito farla passare dalla Valle del Crati e da Cosenza, vale a dire dalla catena montuosa della Sila, con tutte le conseguenze che abbiamo sopra evidenziato.

Potrebbe essere utile ai cittadini e agli operatori economici, quindi, una rivisitazione sostanziale della rete autostradale finora utilizzata in modo da evitare tutti i disagi che sono costretti ad affrontare tutte le volte che viaggiano in direzione Salerno oppure verso Reggio Calabria.

Così come sarebbe altrettanto utile prevedere la realizzazione di reti di trasporto metropolitano leggero tra l’aeroporto internazionale di Lamezia Terme e l’autostrada e tra questo aeroporto e Catanzaro.

Come giustamente è stato osservato «Solo trenta km dividono Lamezia da Catanzaro: un piccolo spazio da superare che, tuttavia, pesa enormemente nella dinamica complessiva. Una città Capoluogo di regione, collegata malamente alle strutture di trasporto regionale e internazionale, aeroporto e autostrada, senza stazione ferroviaria adeguata a Germaneto. Scarsi e inefficaci i collegamenti ferroviari».

Insomma, quasi certamente è un vero e proprio disastro

E non parliamo della situazione relativa alla tratta Catanzaro lido – Crotone – Sibari.

Binario unico, poche corse, treni fatiscenti e vetusti e in più spesso la sorpresa di apprendere durante il viaggio dal capotreno che il treno proveniente da Lamezia verso Catanzaro Lido non troverà alcuna coincidenza per Crotone.

Un complimento è dire che è roba da “Far West”, seppure comico. In realtà sembra di respirare, nel 2024, sempre più un’aria da Terzo mondo.

Non dimentichiamoci, poi, l’Alta Velocità programmata da Rfi (Rete Ferroviaria Italiana).

Sappiamo che essa si ferma a Napoli, per poi procedere lentamente, con passo da lumaca, a tentoni, nel resto del Mezzogiorno. In altri termini, per arrivare in treno a Reggio di Calabria Centrale da Napoli Centrale bisogna affrontare mediamente circa 5h e 24 minuti, quando per la tratta Milano – Roma si impiegano soltanto 3h e 10 minuti.

Servirebbe, quindi, un urgente confronto tra Governo, enti, istituzioni regionali, imprenditori interessati e opinione pubblica per trovare soluzioni legate alle innovazioni infrastrutturali, tecnologiche e organizzative necessarie.

Solo garantendo una maggiore organizzazione delle azioni di tutti gli attori interessati in un sistema logistico, è possibile favorire uno sviluppo compatibile a livello settoriale e territoriale, che sia in grado di conferire efficienza e competitività territoriale delle regioni del Mezzogiorno, di ottimizzare la mobilità urbana ed extraurbane e, soprattutto, di migliorare la vita dei cittadini. (gma)

NIENTE CUNEO FISCALE, UNA VERA MAZZATA
PER IL MERIDIONE CHE VUOLE CRESCERE

di PIETRO MASSIMO BUSETTAPochi sono i dati necessari a descrivere il nostro Mezzogiorno, due in particolare: popolazione complessiva e occupati, compresi i sommersi. 

Bene la popolazione è 19.775.832, gli occupati secondo l’Istat 6.306 mila. Partendo da tali dati è necessario un piano di sviluppo sistemico che consenta di arrivare al rapporto funzionale delle realtà a sviluppo compiuto. Se come benchmark prendiamo la Emilia Romagna, che con 4.455.188 abitanti al 31.12.2023 ha 2.055.000 occupati, quindi con un rapporto tra popolazione ed occupati di circa il 45%, il Mezzogiorno, alla fine del suo processo di sviluppo, che in una previsione non particolarmente ottimistica potrebbe avere un percorso di non più di 10 anni, dovrebbe avere nove milioni di occupati, compresi i sommersi. 

Per cui una tabellina di marcia possibile dovrebbe prevedere un incremento medio di un saldo occupazionale, differenza tra assunti e licenziati, di 300.000 occupati ogni anno. Da dove dovrebbero arrivare tali incrementi è presto detto: le gambe sono prevalentemente tre, con il loro indotto: la logistica, il turismo e il manifatturiero. 

Dalla prima branca ci si può aspettare un contributo importante, la portualità del Sud è numericamente ricchissima e, se approfitta del potenziamento di Gioia Tauro e Augusta per le merci e della messa a regime delle decine di porti che sono posti sulle miglia di chilometri della costa meridionale, il risultato quantitativo potrebbe avvicinarsi anche al milione di occupati in più. 

Per avere un ordine di grandezza si pensi che la sola Rotterdam, tra occupati diretti del porto e quelli del retroporto, ha un numero di occupati vicino alle 700.000 unità. 

La seconda branca è quella del turismo. In una ipotesi impegnativa  di un incremento di presenze del 100%, cioè da 80 milioni a 160 milioni, fisiologico per il Sud, considerato che oggi il solo Veneto ne fa altrettanti, avremmo una occupazione nel settore che andrebbe dal 3 per mille al 6 per mille; cioè da 240.000 a 480.000 come massimo. 

Tale massimo si raggiunge quando le realtà sono piccole. Quindi nel caso di incrementi di tal tipo che dovrebbero coinvolgere grandi strutture saremmo più vicini al 3-4 per mille. Ma supponiamo un dato intermedio di 360.000. Considerato che l’agricoltura continuerà a perdere addetti, come è evidenziato da tutti gli studi del settore delle realtà a sviluppo compiuto, il manifatturiero dovrebbe essere, come in tutte le realtà evolute, quello che dovrebbe contribuire maggiormente all’incremento occupazionale. 

Per tale obiettivo non può essere sufficiente la base produttiva esistente,ormai ferma da oltre 10 anni, quindi è necessario che si attraggano investimenti dall’esterno dell’area. È quello che dovrebbe fare la Zona Economica Sud. 

Per attrarre investimenti dall’esterno dell’area, necessari per aumentare l’occupazione del  manifatturiero e del Pil prodotto dalle regioni meridionali, sono necessarie molte condizioni. Le due indispensabili riguardano l’infrastrutturazione, sulla quale c’è un impegno molto rilevante da parte del Governo, che con gli investimenti sulla Napoli-Bari, sull’alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria  che si completerà con il ponte sullo stretto e con la Messina – Catania – Palermo e sulla ionica, renderà il Sud attraversabile cosa finora impossibile. 

E poi la lotta alla criminalità organizzata, perché l’imprenditore vuole rischiare il suo capitale, certamente non la vita. Ma poi vi sono anche le condizioni di vantaggio per fare scegliere le nostre aree invece che quelle della Polonia o dell’Ungheria. In tal senso bisogna competere con il costo del lavoro, particolarmente basso in altri Stati dell’Unione e con la tassazione degli utili d’impresa, altrove più contenuti. 

Bene il provvedimento per ridurre il cuneo fiscale tende a proprio a rendere il costo del lavoro più basso. Solo che un approccio populista del Governo Giuseppe Conte lo estese a tutto il sistema imprenditoriale del Sud, con un costo che avevamo previsto non sarebbe stato sopportabile.  

Infatti lo sgravio sul costo del lavoro che vale 3,3 miliardi all’anno e si applica dal 2021 a 3 milioni di lavoratori dipendenti, aiutando  così migliaia di imprese meridionali «termina a giugno». Il ministro per il Sud Raffaele Fitto lo ha detto chiaro ai sindacati che la misura termina. 

L’esecutivo di destra questa volta non ha intenzione di ottenere un’altra proroga dall’Unione europea che, sbagliando, forse l’avrebbe concessa. 

E si, perché tali vantaggi, se concessi a una platea così ampia, finiscono col perdere l’obiettivo per cui erano stati creati. Cioè di rendere le localizzazioni nuove più accattivanti, fungendo invece da intervento a pioggia per tutte le attività, lasciando peraltro sul mercato anche aziende che invece di creare ricchezza la distruggono e che sarebbe bene  siano chiuse. 

Una misura compensativa giustificata dal fatto che produrre al Sud costa di più perché mancano infrastrutture e servizi. La misura nasce nel 2021 e fu finanziata con i fondi europei del React-Eu e poi con i fondi nazionali di sviluppo e coesione. 

Il progetto era che finisse nel 2029 con una diminuzione della misura del 30% dello sgravio quest’anno e successivamente 2026 e 2027 del 20%, e infine del 10% nel 2028 e 2029. Anche questa logica era sbagliata ma ovvia perché rivolgendosi ad una platea così ampia doveva progressivamente ridursi. 

Si spera che adesso si ritorni al ruolo, fondamentale, che doveva avere, cioè di riduzione del costo del lavoro per alcuni anni per i nuovi insediamenti, per esempio per 10 anni, che creano nuova occupazione.

Purtroppo quando si gioca con mance e mancette, riducendo gli strumenti di politica economica, fondamentali per lo sviluppo, a occasioni  per alimentare il consenso, gli apprendisti stregoni ottengono l’effetto scontato, di far impazzire lo strumento non conseguendo gli effetti voluti  o renderlo talmente oneroso da non consentirne la permanenza. Adesso bisognerà rimetterlo con interventi selezionati perché in realtà é fondamentale. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

L’Assessore Calabrese al Job Day for School di Vibo: Il Cpi avrà una nuova sede

«Il Cpi di Vibo, avrà una nuova sede, è un presidio importante per lo sviluppo della città e stiamo pensando, oltre il tavolo regionale, istituito con la legge sul mercato del lavoro, di avviare un tavolo provinciale per essere più vicini ai territori». È quanto ha dichiarato l’assessore regionale al Lavoro, Giovanni Calabrese, partecipando all’evento conclusivo Job day for school. Insieme creiamo il futuro, svoltosi alla Camera di Commercio di Vibo Valentia.

L’evento fa parte del progetto VV – “Valorizzazione e Visibilità delle competenze degli studenti, scuola e lavoro – Nuove generazioni al Centro”, promosso dal  Centro per l’impiego di Vibo diretto dal responsabile Gianluca Contartese con la collaborazione di Sviluppo Lavoro Italia, Camera di Commercio di Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia, Confindustria, la Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa CNA, l’Ordine dei Consulenti del Lavoro, la Fondazione Consulenti per il Lavoro.

«Il nostro compito è quello di dare tutti gli strumenti alle aziende per crescere e avere a disposizione risorse umane formate e qualificate, così non si avranno più alibi e si potrà investire sulle competenze», ha ribadito Calabrese, sottolineando come l’attività, che ha visto il coinvolgimento di alcuni Istituti scolastici del vibonese, in cui gli studenti hanno partecipato ai laboratori previsti dal Programma, hanno effettuato i colloqui di lavoro con le aziende che hanno manifestato i propri fabbisogni professionali coerenti con i loro indirizzi di studio, è «un’azione molto importante per far crescere le aziende e, allo stesso tempo, dare delle concrete opportunità di lavoro ai nostri giovani».

La Regione Calabria ha inteso avviare un’azione pilota relativa ai fabbisogni occupazionali espressi dalle Imprese. Anche con l’avviso Kaire abbiamo messo a disposizione delle imprese risorse per l’incentivo all’assunzione. Dopo un lungo lavoro con il Dipartimento Lavoro (a parlare del Programma Gol è intervenuto anche il Dirigente Cosimo Cuomo), dopo una attenta disamina, con il dossier sul precariato, dopo aver incontrato aziende e sottoposto loro questionari sul fabbisogno aziendale elaborati dall’Osservatorio Economico Territoriale per le Politiche del Lavoro, ora abbiamo un quadro della situazione più chiaro e riscontriamo un feedback positivo e un cambiamento in Calabria che è il risultato dell’agire insieme.

«A proposito – ha continuato Calabrese – grazie al lavoro dei Cpi, con la collaborazione di Sviluppo Lavoro Italia, si sta portando avanti un percorso concreto tra imprese, scuole e territorio. Questo dimostra il lavoro e il nuovo modus operandi dei Cpi e delle politiche attive del lavoro»

«Dobbiamo eliminare il precariato – ha ribadito – e non creare più forme di tirocinio, né nella Pubblica Amministrazione né nelle imprese. Basta pensare che ci troviamo tirocinanti a lungo termine anche nelle scuole e penso sia inaccettabile che un tirocinante, dopo cinque, sei anni, resti precario senza uno sblocco professionale e senza garanzie».

Calabrese, dopo aver incitato i moltissimi giovani presenti a scegliere il loro futuro in base alle proprie attitudini, ha portato l’esempio dell’operazione Cantiere Lavoro Italia con l’investimento del colosso dell’edilizia Webuild che sta permettendo a molti calabresi di formarsi e avere una occupazione.

Esempi virtuosi che si delineano anche grazie a questi progetti con i Cpi che conoscono le reali esigenze del territorio e i profili dei candidati; a tal punto, l’assessore regionale ha lanciato l’ipotesi di un tavolo provinciale che coinvolga i Cpi “«perché è utile confrontarsi anche sui territori con esigenze e proporzioni diverse».

Sul potenziamento delle infrastrutture dei Cpi, Calabrese garantisce anche l’intervento sulla struttura di Vibo Valentia: «come tutte le altre sedi della Calabria – ha concluso – che per noi rappresentano un presidio importante per il mercato del lavoro, anche Vibo avrà una nuova sede. Abbiamo raggiunto l’accordo nelle scorse settimane e il Cpi potrà operare in locali adeguati e dignitosi». (rvv)