L’assessore Calabrese: Stabilizzati 11 lavoratori con Azienda Calabria Lavoro

Sono stati sottoscritti dei contratti, a tempo determinato, per 11 lavoratori di Azienda Calabria Lavoro. Lo ha reso noto l’assessore regionale al Lavoro e Formazione professionale, Giovanni Calabrese, sottolineando come «abbiamo restituito un minimo di speranza ad altri lavoratori ‘dimenticati’, per i quali possiamo iniziare a pensare ad un percorso di stabilizzazione».

«Il nostro obiettivo – ha evidenziato – è di rimediare alle storture del passato, che non hanno prodotto stabilità lavorativa, e provare a risolvere l’atavico problema del precariato pubblico che rappresenta, in modo evidente, il fallimento della politica nei confronti dei nostri cittadini calabresi».

«È un compito arduo che, con il Presidente Roberto Occhiuto ed il sostegno del Governo Meloni e del Parlamento – ha concluso – abbiamo l’obbligo di affrontare e risolvere per costruire una Calabria normale».

All’iniziativa in Cittadella hanno preso parte la commissaria di Azienda Calabria Lavoro, Elena Latella, e il dirigente del dipartimento regionale Lavoro e Welfare, Roberto Cosentino(rcz)

Le proposte di Cgil Calabria su alcuni dei nodi del mondo del lavoro

Problematiche relative alle riforme istituzionali, al mondo del lavoro ed al rapporto con il governo regionale sulle varie vertenze. È su questo che si è focalizzata la neo segreteria regionale del Cgil Calabria che, per l’occasione, ha fornito delle proposte in merito ad alcuni degli attuali nodi del mondo del lavoro.

er i rischi che si determinerebbero per la Calabria, il Mezzogiorno e l’intero Paese, l’Autonomia differenziata deve essere fronteggiata a partire da una necessaria iniziativa territoriale in grado di fare crescere il coinvolgimento della cittadinanza e un’ampia rappresentanza associativa ed essere propedeutica per l’indizione di una mobilitazione regionale, così come sta avvenendo sui temi della Pace.

Sul precariato regionale ci sono prime risposte per una parte dei lavoratori della Legge 15 (ex art.7) che sono stati contrattualizzati conl’Azienda Calabria Lavoroe per i quali continuerà ad esserci attenzione per il raggiungimento del pieno orario contrattuale.

Per quanto determinato nel provvedimento assunto ieri dal Consiglio Regionale viene avviata la fase per una prima contrattualizzazione dei precari della Legge 12/2014 nell’attività di affiancamento e attuazione del Pnrr e Fondi Sie. Quest’ultima attività meriterebbe l’impegno per una stabilizzazione definitiva e non solamente temporale per il detto precariato con l’obiettivo di chiudere l’intero bacino con lo sbocco occupazionale.

Rimane senza soluzioni la carenza di risorse umane del sistema pubblico, per il quale in Calabria necessita un Piano straordinario di assunzioni, necessarie a garantire competenze e professionalità, stabilità nei rapporti di lavoro e allo stesso tempo capacità di spesa delle istituzioni locali e prestazioni per il diritto alla salute nel comparto sanitario.

Così come bisogna accelerare il percorso per il Piano per il lavoro che dovrà riguardare l’avviamento di giovani da avviare e formare per l’attività di manutenzione del territorio e il servizio antincendio per la prossima estate, avvalendosi del nuovo ruolo dei C.P.I. conseguente allo stato di attuazione delle misure del Par Gol.

Il ruolo degli Enti strumentali deve ricevere il supporto di una completa azione di riforma che sosterremo con la concertazione, a partire da quella non più rinviabile dei Consorzi di Bonifica. (rcz)

Lo Papa (Fisascat Cisl): Formazione strumento indispensabile per il mercato

Fortunato Lo Papa, segretario generale di Fisascat Cisl Calabria, ha ribadito come «la formazione sia uno strumento indispensabile per il mercato».

«I dati sulle aziende che ricorrono alla formazione del proprio personale sono inclementi – ha spiegato Lo Papa –. Secondo l’Istat sono meno di sette su dieci le imprese in Italia ricorse nell’ultimo anno ad attività di formazione, mentre per Unioncamere nel Sud Italia la percentuale è inferiore al quaranta per cento. Dati che si intrecciano alle difficoltà a reperire risorse specializzate e che hanno fatto lanciare al presidente di Unioncamere Calabria Klaus Algieri un appello ai sindacati».

«La Fisascat Cisl Calabria – ha aggiunto – condivide le osservazioni del presidente, tanto ne ha fatto da anni uno dei suoi principali filoni di argomentazione, diffondendo l’importanza della formazione e divulgando le opportunità offerte alle imprese in questa direzione».

«La nostra categoria – ha proseguito Lo Papa – promuove la formazione da sempre, a partire dai nostri delegati fino a tutti i lavoratori. Siamo ben consapevoli che formare significa professionalizzare e che quanto speso in questa direzione non è perso, anzi, è un enorme valore sul mercato».

«Sono le aziende – ha detto ancora Lo Papa – che spesso non comprendono la rilevanza di questo tipo di approccio, non colgono le occasioni offerte, ad esempio, dalla Bilateralità e vedono la formazione come qualcosa di evanescente o di poco conto. Dalla Fisascat sono sempre, invece, arrivate sollecitazioni in senso contrario al fine di annullare i gap esistenti, rafforzare il corpo di competenze del proprio personale e migliorare la propria posizione potendo fare riferimento a figure specializzate e al passo con i tempi, anche tramite la contrattazione di secondo livello».

«Cogliamo l’occasione anche oggi per invitare le aziende a riflettere sulla strategicità della formazione del personale. La staticità – ha concluso il Segretario – non ha mai fatto bene all’economia e al mercato. Aggiornare le competenze, renderle affini ai nuovi traguardi o direzioni aziendali è prioritario». (rcz)

QUESTIONE SUD: IL LAVORO CREA IL FUTURO
LA CALABRIA SIA AL CENTRO DEGLI IMPEGNI

di ANGELO SPOSATO – Al nostro Paese serve una politica di sviluppo sostenibile che punti ad unificare gli interventi con una visione generale e per il Sud. La Questione Sud non può essere più rinviata sine die, servono interventi immediati sullo sviluppo e lavoro e l’idea della Cgil di riproporre un’agenzia di sviluppo per gli investimenti pubblici è necessaria, ritengo sia necessaria, fondamentale.

Non vi possono essere politiche nelle zone economiche speciali, che in Calabria abbiamo voluto fortemente come sindacato unitario, se non c’è un orientamento pubblico sugli investimenti delle società partecipate pubbliche, che non possono continuare ad ignorare il Sud e la Calabria. Su questo tema il governo, fino ad oggi, non ha dimostrato di avere una proposta e nemmeno ha fatto comprendere la sua visione circa le politiche industriali, la sua visione di sviluppo, di economia, del lavoro e del sociale per tenere unito il Paese negli interventi.

Non si possono richiamare i termini del “patriottismo” e della “Nazione” se poi le priorità diventano l’autonomia differenziata e il presidenzialismo per come viene proposto dalla Lega del Ministro Calderoli. Temi così posti, che dividono il Paese, spaccandolo in due, creando ulteriori diseguaglianze e che sanciscono di fatto due Italie.

Quello dell’autonomia differenziata posta in questi termini, senza un dibattito pubblico e parlamentare è uno strappo costituzionale, è un tema sterile, se vogliamo anche provinciale per una Nazione che vuole concorrere in Europa come Paese protagonista.

Nell’era globale della transizione energetica, ecologica, della dannosa finanziarizzazione dei mercati, dell’inverno demografico, dell’emergenza climatica, dello spopolamento, dei grandi asset della logistica e dei trasporti nell’euro Mediterraneo, pensare di risolvere le questioni del nostro Paese nell’area lombardo veneta guardando alle categorie elettive di un partito è una follia, una miopia, un’idea di federalismo spicciolo, di una visione della società ridotta ed esclusiva. Così facendo, rischiano di consegnare il nord del paese a quelli che invece stanno puntando a nazionalizzare i propri asset strategici diventando di fatto succursali di Francia e Germania.

A noi serve un grande Paese, davvero Europeista, quello ancorato ai valori della nostra costituzione, nata dalla resistenza e dall’antifascismo, che riproponga il tema dell’unità nazionale, che punti all’articolo uno, sul lavoro, e che non metta in discussione l’unità sui temi della salute, dell’istruzione, del lavoro. Noi, come ha ribadito il nostro Segretario generale Maurizio Landini, ci opporremo con tutte le nostre forze e le nostre iniziative di mobilitazione democratica subito dopo questo congresso per una grande campagna a difesa dell’unità nazionale, della nostra costituzione, per il lavoro, contro questo disegno divisivo dell’autonomia di differenziata.

Su questo proponiamo una grande mobilitazione anche in Calabria, con le forze sindacali, con le associazioni, le forze politiche, le forze politiche, con tutto il corpo sano della società civile contro questo progetto divisivo e autoritario. Aver svuotato il dibattito politico a colpi di maggioranza su un tema così delicato, denota una divisione nella stessa maggioranza di governo.

Ed anche le parole del ministro Valditara dei giorni scorsi confermano questo progetto, riproponendo una differenziazione salariale tra insegnanti del nord e del Sud, reintroducendo di fatto le gabbie salariali. Una follia che ci riporta agli anni 70.

Il problema dell’autonomia differenziata sta diventando un fatto ideologico e culturale, un declino del pensiero di unità di un governo che ha grandi contraddizioni nella propria maggioranza e che oggi non ha una visione unitaria dello sviluppo, del lavoro, di quello che ha realmente bisogno il Paese per farlo uscire dal declino.

Un declino che purtroppo ha radici lontane, che è partito con la grande crisi del 2008 e che prosegue inesorabilmente. Il nostro è un Paese che ha dismesso tutte le sue più importanti produzioni, ha svenduto gli asset strategici come quelli della comunicazione, delle reti, della logistica e dei trasporti, del manufatturiero. Bisogna rideterminare una politica per recuperare questi asset, e puntare sull’innovazione, sulle reti digitali, sulle connessioni materiali e immateriali, sul diritto alla connesione.

Servono riforme strutturali che incidano e migliorino la vita dei cittadini.

Il grande assente nelle politiche di questo governo, e la legge di bilancio lo ha confermato, è il Sud.

I dati della Banca d’Italia, della Svimez, del Censis, dell’Istat, ci confermano che nel nostro Paese sono aumentati i divari e il prodotto interno lordo e il reddito pro-capite nel Sud è dimezzato. Il Sud è in grande affanno ed è a rischio la coesione sociale. Un paese non può crescere se non elimina i divari e l’Italia sta diventando un paese non più fondato sul lavoro ma sul pendolarismo.

Gli interventi nel mezzogiorno sono urgenti, non si può assistere alle nuove emigrazioni di giovani, intere famiglie che abbandonano le terre d’origine per lavorare o per avere il diritto alle cure.

Per queste ragioni, serve che la buona politica nel Sud e in Calabria assuma anche in Consiglio regionale una unità di intenti, non una cogestione, ma dei punti di sintesi, mettendo da parte logiche di schieramenti e posizioni individuali e rimetta al centro un’azione collettiva gli interessi generali ed esclusivi dei cittadini. Serve una politica al servizio dei cittadini e non i cittadini al servizio della politica.

Per questa ragione, anche in Calabria, su temi che riguardano il lavoro, la salute e il welfare, gli investimenti nelle Zes, le infrastrutture-logistica-trasporti, l’ambiente e le aree interne, le riforme necessarie, nasceva la Vertenza Calabria, preceduta nei mesi precedenti da iniziative unitarie che hanno portato Cgil Cisl Uil Calabria ad una piattaforma unitaria di rilancio su undici punti, frutto degli esecutivi unitari e presentata il 1° maggio.

Un tentativo di aprire su cinque punti significativi, dopo l’arrivo a Siderno dei Segretari generali di Cgil Cisl Uil Landini, Sbarra, Bombardieri, le priorità della nostra regione e che avrebbe aperto un confronto con la Giunta regionale presieduta dal Presidente Roberto Occhiuto con un successivo confronto a Roma presso la Sede della Giunta regionale calabrese.

I primi obiettivi sono la necessità di affrontare l’emergenza occupazione, nella regione più povera d’Italia e d’Europa, di combattere il lavoro nero, lo sfruttamento, di porre fine al precariato e di attivare un percorso di stabilizzazioni e di assunzioni nel lavoro pubblico, a partire dalla sanità e dagli enti locali, nella giustizia.

Aver definito la vicenda Lsu Lpu con un intervento normativo nazionale proposto dalla Giunta regionale calabrese è stato un fatto importante e di rilievo che deve però trovare riscontro applicativo degli enti locali e delle amministrazioni comunali.

Serve per la Calabria un piano straordinario per il lavoro, che deve essere sostenuto da interventi pubblici e privati. Occorre un grande piano straordinario per la manutenzione del territorio dal dissesto idrogeologico, della erosione costiera, della mitigazione del rischio sismico e per la prevenzione incendi. Serve farlo con un piano di assunzioni mirate e con una governance unitaria pubblica tra Calabria verde, consorzi di bonifica e protezione civile. Un ufficio unico del piano con precisi compiti di missione e governance. Così come occorre rifinanziare il comparto idraulico-forestale e garantire le risorse ad oggi insufficienti per la continuità delle attività che rischiano di bloccarsi e per le quali le federazioni di categorie hanno proclamato lo stato di agitazione dei lavoratori. Su queste questioni occorre fare presto, non c’è più tempo, dagli impegni presi occorre passare ai fatti concreti.

Così come occorre recuperare i nostri beni culturali, storici, archeologici. La Calabria, circondata dal mare e con i suoi 800 chilometri, per sua collocazione naturale, è stata da sempre considerata terra di storia e popoli. Scavare la Calabria significa studiare millenni di storia e recuperare valori, identità, tradizioni. Un grande piano di ripresa di scavi nei siti archeologici da fare con il contributo delle università calabresi, del Ministero dei beni culturali, delle amministrazioni regionali e locali, significherebbe promozione culturale, attrattore e marcatore di identità anche per un turismo di qualità.

Le nostre università devono diventare motori di sviluppo ed essere protagoniste nella promozione sociale, scientifica e culturale dei territori. Per questo siamo favorevoli ad una nuova legislazione regionale sulla università e ricerca che metta a sistema e in rete le nostre università, in tutti i campi. Non servono pregiudiziali di campanile che rappresentano scarsa capacità di visione, diventando elementi di divisione.

Sappiamo bene che il grande limite del PNNR e dei fondi strutturali europei è la scarsa capacità delle amministrazioni locali e regionali nel fare progetti sostenibili e spesa di qualità. Uno dei limiti che ha la Calabria e che abbiamo sempre sottolineato come uno degli elementi dei ritardi è la mancanza di una rete amministrativa regionale, ovvero una batteria a sostegno del dipartimento della programmazione. Altro limite è la frammentazione e la difficoltà dei Comuni nella progettazione e spesa. Il più delle volte occorre fare ricorso a tecnici ed esperti esterni perché le strutture di progettazione e programmazione sono insufficienti o poco performanti.

Ma quello che è mancato nei venti anni di agenda di programmazione alla regione rispetto la spesa dei fondi di coesione è la capacità di avere una visione strategica affiancata alla gestione complementare e sistemica dei potenziali strumenti di spesa, privilegiando l’impiego quantitativo, spesso emergenziale delle risorse, e non il reale impatto qualitativo sui risultati premiali di crescita economica ed occupazionale. Insistiamo, per questo, ad un immediato cambio di passo sui metodi e le modalità nelle relazioni partenariali, già previste e definite, e nelle azioni comuni di verifica e monitoraggio sullo stato dell’arte della programmazione in essere e di quella a venire. Non possiamo permetterci di sprecare i cospicui finanziamenti, in parte già assegnati, con bandi e avvisi, ai soggetti attuatori, pubblici e privati, di cui la Calabria ha dato buona prova nella capacità di realizzare e accreditare.

Inoltre, noi tutti sappiamo che le ingenti risorse POR sono state assoggettate a sistemi fraudolenti, truffe che in molti casi hanno pagato i lavoratori ed il territorio e che la spesa non sia stata mai monitorata, se non a reato consumato.

Non possiamo permetterci di sprecare i cospicui finanziamenti, in parte già assegnati, con bandi e avvisi, ai soggetti attuatori, pubblici e privati, di cui la Calabria ha dato buona prova nella capacità di realizzare e accreditare.

È necessario istituire una Commissione Consiliare Regionale specifica sulla riforma istituzionale, aperta ai contributi di Anci, parti sociali, terzo settore per ridisegnare una nuova Regione anche sotto il profilo istituzionale. La politica deve avere coraggio, non accontentarsi del consenso quotidiano e spiegare ai cittadini Calabresi che con questo regionalismo la Calabria è destinata a soccombere, perdendo nei prossimi 40 anni mezzo milione di abitanti.

Per queste ragioni chiediamo a tutte le forze politiche presenti in Consiglio regionale di farsi carico di una grande stagione riformatrice per un nuovo regionalismo calabrese che dia prospettive ai cittadini, fiducia, speranza, che consegni una visione di futuro alla nostra regione ed alla nostra società. Sono convinto che ci sia una classe dirigente matura per fare questo e invitiamo il Presidente della Giunta regionale e le forze consiliari di maggioranza e opposizione a raccogliere queste sfide di cambiamento necessarie. Le grandi difficoltà che presenta la nostra Regione si possono trasformare in opportunità se mettiamo da parte individualismi, campanilismi, schieramenti ideologici e alziamo il livello di discussione e di intervento politico istituzionale, che devono avere l’interesse collettivo ed un alto profilo politico e che diano valore alla buona politica.

MERCATO DEL LAVORO: LA CALABRIA NON È
UN PAESE PER GIOVANI, LO DICONO I NUMERI

Le cause della scarsa partecipazione dei giovani italiani al mercato del lavoro sono in parte culturali, in parte legate alla mancanza del servizio di orientamento e alla non corrispondenza tra formazione e qualità delle prestazioni richieste dal tessuto produttivo.

La questione dell’occupazione giovanile è gettonatissima sui social, ma se vogliamo parlarne senza sceneggiate è opportuno guardare qualche numero e fare qualche ragionamento.

In primissimo luogo le cifre della disoccupazione, che, ricordiamo, indicano quanti giovani cercano attivamente lavoro senza trovarlo. In Italia nel 2021 erano il 9,5% della popolazione in età da lavoro, contro il 3,6% della Germania, il 7,9% della Francia, il 7,7% dell’Area Euro. In generale nell’UE solo Spagna e Grecia sono messe peggio di noi.

Tuttavia se scendiamo nel dettaglio dell’occupazione giovanile esistente scopriamo qualcosa di interessante: nella fascia 15 – 24 anni il 23,9% degli occupati è sottoposto all’orrendo part time, ma in Danimarca sono il 45%, in Germania il 24%, in Olanda il 54% e nell’Area – Euro il 25%.

Da notare anche il dato sui contratti a termine: in Italia il 61% dei giovani tra 15 e 24 anni è occupato con contratto a termine, ma il dato non è lontanissimo da quello francese (56,1%) svizzero (54%) e addirittura inferiore a quello olandese (68%): segnale di una condizione largamente diffusa, per quella classe di età, in tutta Europa e non peculiarmente italiana.

È diffuso il fenomeno per cui ai giovani vengono inizialmente offerti posti di lavoro a basso contenuto professionale, ma non è un fenomeno tipico italiano; se guardiamo a due paesi paragonabili anche per popolazione all’Italia, vediamo che i giovani tra 15 e 24 anni sono occupati in professioni “elementari” (dati 2021) in numero di 148.000 in Italia, 149.000 in Germania, e 208.000 in Francia. Un altro profilo professionale piuttosto basso è quello dei sales services: in Italia 310.000 gli addetti, in Francia 333.000, in Germania 375.000. I giovani italiani non sono sostanzialmente più sottoccupati dei coetanei europei.

Tuttavia sono meno qualificati: sempre nella fascia 15-24 anni in Italia hanno concluso la secondaria superiore 1.612.000 lavoratori, contro 2.280.000 della Francia e 4.324. della Germania; sono laureati 627.000 italiani, 2.391.000 francesi e 1.696.000 tedeschi.

Alto invece il numero dei giovani italiani 15-24 anni che avviano un’attività autonoma: 99.200 in Italia contro 85.500 della Francia e 74.800 della Germania (dati 1° quadrimestre 2022). Il che però non è di per sé indice di una particolare propensione all’imprenditorialità ma sconta piuttosto un diffuso utilizzo del rapporto di lavoro autonomo da parte delle imprese per aggirare vincoli e costi del lavoro dipendente.

Sorprendentemente, le retribuzioni dei giovani italiani non sono da fame: nella fascia under 30 per un full timer la retribuzione media lorda annua espressa in PPS (Parità di Potere d’Acquisto) è di 25.123 € (dato Eurostat 2018); in Francia è di 23.434 €, in Germania 30.187 E, in UK 25.132 €, in Olanda 28.518 €.

I giovani italiani che percepiscono un salario povero (cioè inferiore ai 2/3 del salario mediano nazionale) sono il 15,94% del totale, in Francia il 15,85%, in Germania il 32% e in Olanda il 45% (in questi casi è determinante l’uso intensivo del part time) e nell’area Euro del 28%.

La retribuzione oraria espressa in Parità di Potere d’Acquisto per i lavoratori under 30 è di 10,53 € in Italia, 11,83 € in Francia, 12,74 € in Germania, 10,02 in Olanda e 11.8 euro per l’Area Euro.

Recentemente ha avuto una certa notorietà la notizia che le retribuzioni aumentano al crescere dell’anzianità: trattasi di ovvietà. A parte il fatto che gli stessi CCNL premiavano fino a poco tempo fa l’anzianità aziendale (e in alcuni casi lo fanno ancora) è naturale che le imprese privilegino in linea di massima, a parità di profilo professionale l’esperienza lavorativa.

Non è peraltro un fenomeno italiano: Eurostat ci dice che se prendiamo in considerazione tre classi di età (<30 anni, 30-50 e >50) nell’area € il rapporto tra la seconda classe e la prima è pari a un incremento di 138 vs. 100, in Germania di 153 vs. 100, in Francia di 140 e in Italia di 132. Siamo in linea con la realtà europea e addirittura ai margini inferiori per incremento dei salari in relazione all’età.

Non sono disponibili dati sui tirocini extracurricolari che comunque esistono, sia pure regolamentati in modi molto diversi, in tutta l’Ue. Altresì non esistono, ovviamente, dati attendibili sul lavoro nero o grigio, che certamente coinvolge un numero significativo di giovani, probabilmente in misura superiore a quella dei Paesi UE di maggiore industrializzazione, ma non certamente tale da determinare un differenziale decisivo sul complesso dell’occupazione giovanile.

Nonostante questi dati che dimostrano come le condizioni di lavoro offerte dal mercato ai giovani italiani siano del tutto simili a quelle dei giovani europei, ci differenziamo nettamente per la partecipazione dei giovani al mercato del lavoro: il dato dei Neet (Not in Employment,  Education or Training) tra i 15 e 29 anni è del 29,8%; nell’Area Euro è pari al 16,4% della popolazione di questa fascia d’età, in Germania del 14,6%, in Francia del 17,4& e perfino in Spagna e Grecia è inferiore (18,4% e 16,5%).

D’altra parte questo dato ha riscontro nell’analisi condotta da Eurostat sul labour slack, che dimostra come l’Italia potrebbe incrementare le forze di lavoro (la somma di chi lavora e di chi cerca lavoro) di quasi il 12%: un dato enormemente superiore a quello degli altri paesi europei (la seconda in graduatoria è l’Irlanda con poco più del 6%, la Francia e la Germania stanno attorno al 4%). Questi numeri si riferiscono al totale della popolazione in età da lavoro, ma è evidente la coincidenza con quelli riferiti alla fascia più giovane.

In sostanza il fenomeno italiano dei Neet è semplicemente il manifestarsi in quella determinata fascia di età di una propensione a fuggire dal mercato del lavoro che è comune alla società italiana.

Occorre, per verità, dire che è molto probabile che una quota consistente di Neet coincida con quote di lavoro nero, e ancor più di lavoro “grigio” (e questa è probabilmente una caratteristica “tutta italiana”) ma non in misura tale da giustificare la sproporzione con i Neet di Germania o Francia, a meno di postulare che tutti i lavoratori in nero in Italia appartengano alla fascia di età 15-9 anni.

In definitiva l’unico dato strutturale che sembra avere un effetto determinante sull’occupazione giovanile in Italia è quello relativo alla formazione e ai servizi al lavoro. Quanto alla prima basti notare che il mismatch tra domanda e offerta di lavoro nella fascia di età giovanile è del 41% per i profili più qualificati (programmatori, infermieri, disegnatori industriali, idraulici, elettricisti: come si vede, non scienziati nucleari, ma profili tranquillamente alla portata del sistema nazionale di istruzione-formazione).

Quanto ai secondi negli ultimi anni (e non solo a dire il vero) le politiche attive sono prevalentemente consistite in sgravi fiscali e contributivi per le aziende, in qualche intervento di sistema (Garanzia Giovani, Dote Lavoro Lombardia) e in zero servizi di orientamento, però in compenso in una importante mole di interventi normativi atti a vietare forme “improprie” di accesso dei giovani all’occupazione e a disincentivare, anche su pressione dei sindacati, forme innovative quali l’alternanza scuola-lavoro.

In definitiva: la disoccupazione giovanile italiana non è dovuta, se non marginalmente, a una propensione malvagia delle imprese a sfruttare i giovani lavoratori, che hanno in Italia trattamenti sostanzialmente analoghi a quelli di tutta Europa. Esiste un problema reale di formazione – istruzione e di servizi al lavoro, cui in generale le forze politiche e i sindacati rispondono non con politiche attive mirate ma con sussidi, divieti e obblighi.

A dimostrazione di una ormai conclamata inadeguatezza di forze politiche e sindacati a governare il mercato del lavoro e della connessa scelta di ripiegare sulla propaganda. Resta da comprendere se, oltre a questi dati oggettivi, vi sia anche una propensione “culturale” dei giovani italiani, che sarebbe interessante indagare. Ma questa, come si dice, è un’altra storia…

[Courtesy pietroichino.it]

Felsa Cil, Nidil Cgil e UilTemp Calabria: I lavoratori somministrati presso Prefetture sono disoccupati

I Segretari generali di Nidil CgilFelsa CislUiltemp Calabria, rispettivamente Ivan FerraroGianni TripoliOreste Valente, hanno scritto al prefetto di Catanzaro, Enrico Ricci, in merito alla situazione dei lavoratori somministrati presso le Prefetture e le Questure che, dal 1° gennaio 2023, «sono disoccupati».

«Come è noto – si legge in una nota – il loro contributo, anche in ragione delle competenze professionali di settore  maturate, è stato di fondamentale importanza per garantire il corretto riconoscimento dei diritti dei migranti e la regolare qualificazione della loro permanenza nel nostro Paese». 

«Lavoratrici e lavoratori che – viene spiegato – oltre ad occuparsi delle procedure di emersione previste dal  decreto legislativo n. 34 del 2020, hanno supportato l’ordinaria attività degli uffici, oltre ad aver  maturato già le sufficienti competenze per affrontare ulteriori attività come, ad esempio, la gestione delle pratiche legate al cd “decreto flussi».

«Nonostante vi siano delle carenze di organico strutturali e incombenze ordinarie e  straordinarie – continua la nota dei Segretari – questi contratti sono stati fatti scadere a fine anno; sarebbe un grave errore non  dare continuità a questi servizi e togliere personale competente dalle Prefetture. È in corso una mobilitazione nazionale affinché si apra un serio tavolo di confronto  con il governo e si possa dare continuità all’occupazione e garantire servizi essenziali per  i cittadini. L’immigrazione non può essere trattata come una emergenza e vanno date risposte  strutturali; chiediamo quindi di dare continuità ai servizi e che si diano risposte qualificate  garantendo una occupazione competente».  

«Per questa ragione, NIdiL Cgil, Felsa Cisl e Uil Temp  – conclude la nota – hanno proclamato un sit-in  statico per mercoledì 18 Gennaio p.v., a partire dalle ore 11:00, che si articolerà con una  manifestazione dinanzi alla Prefettura capoluogo di regione. Per quanto detto, Le scriventi OO.SS. sono a chiederLe un incontro atto a rappresentare  compiutamente lo stato della vertenza e le richieste avanzate». (rcz)

 

Lavoro, Occhiuto e Pietropaolo: Ok a graduatorie definitive per 258 assunzioni

Sono complessivamente 258 le unità di personale che verranno assunte dalla Regione Calabria nei primi giorni di gennaio nell’ambito del piano di potenziamento dei Centri per l’impiego. È quanto hanno annunciato il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, e l’assessore regionale all’Organizzazione e alle Risorse Umane, Filippo Pietropaolo.

Si tratta, in particolare, di 177 unità a tempo indeterminato di profilo C e 81 unità a tempo determinato del profilo D, di vari profili professionali, che dopo due anni passeranno a tempo indeterminato come già previsto dal piano di potenziamento.

Nei giorni scorsi sono stati anche pubblicati da parte del Dipartimento Personale, guidato da Marina Patrizia Petrolo, l’avviso di mobilità per 25 unità dalla altra pubblica amministrazione, l’avviso per 57 progressioni verticali per il passaggio da C a D per il personale dell’amministrazione regionale, e l’avviso per l’utilizzo di graduatorie di altre pubbliche amministrazioni per profili D per 24 unità.

Inoltre è stato espletato anche il concorso per 113 posti per funzionari di categoria D, per dare seguito a quanto previsto nel decreto del milleproproghe, che dà alla Regione la possibilità di inserire nuovo personale per sostenere le attività del Pnrr anche valorizzando le esperienze dei lavoratori precari di Azienda Calabria Lavoro.

«Si conclude così il piano del fabbisogno del 2022, che era molto ambizioso e complesso e che renderà più efficiente la macchina amministrativa regionale grazie ad una importante iniezione di nuove energie e competenze», ha spiegato il presidente Occhiuto.

Rimangono da ultimare solo le prove scritte gestite da Formez per le ulteriori 260 unità per il piano di potenziamento dei profili D e per le 31 unità nell’ambito della legge 68, che si svolgeranno nel corso del mese gennaio.

«Esprimo il mio ringraziamento a tutto il Dipartimento Personale – ha concluso l’assessore Pietropaolo – per l’intenso lavoro svolto nell’anno 2022, che ha prodotto risultati importanti, e che dimostra come anche in Calabria è possibile fare concorsi ed assumere utilizzando il solo criterio del merito e nella piena trasparenza. La scelta di affidare le attività di selezione a Formez e di non procedere con la prova orale, come consentito dai decreti di emergenza del governo, ha di fatto messo al sicuro le procedure concorsuali dal rischio di indebite interferenze». (rcz)

Scalese (Cgil Area Vasta): Porre fine alla precarietà che penalizza giovani e donne

«Bisogna porre fine alla precarietà che penalizza in particolare giovani, donne, in modo particolare nel Mezzogiorno, e che troppo spesso connota la condizione dei migranti». È quanto ha dichiarato Enzo Scalese, che è stato rieletto alla guida della Cgil Area Vasta Catanzaro-Crotone-Vibo.

L’elezione è avvenuta nel corso del II congresso che si è svolto nel teatro della Fondazione Terina, a Lamezia Terme.

«La lotta per la legalità nel lavoro – ha evidenziato – significa battersi contro le mafie, le infiltrazioni mafiose nell’economia sana dei territori, il caporalato, il lavoro nero e grigio. Si deve parlare, quindi, di un nuovo Stato sociale».

Nella relazione, il segretario ha parlato dalle politiche di genere, alla crisi economica in atto; dalla Guerra in Ucraina ad un rinnovato impegno antifascista, senza dimenticare temi sempre attuali come la “questione morale”, la legalità, il “no” all’autonomia differenziata, la vicinanza agli amministratori, ai sindacalisti e a quanti combattono ogni giorno contro la prepotenza criminale.

Lavoro, infrastrutture, sanità tra i punti più sentiti.  «Si è cancellata la centralità e la cultura del lavoro – ha detto ancora Scalese – solo così si può ricostruire quella rappresentanza e partecipazione senza la quale si svilisce la democrazia».

Sul tema della sanità, Scalese ha evidenziato come «in questo contesto metteremo in campo la nostra azione confederale basata su responsabilità e sostegno al mondo del lavoro e ai cittadini, per il rispetto, delle politiche contrattuali e delle rivendicazioni sociali e nella necessità di affermare l’esigibilità dei diritti di cittadinanza».

«A partire dal diritto alla salute, che può realizzarsi esclusivamente nel S.S.N., il solo che risponde ai principi di universalità ed eguaglianza e che può rischiare di essere definitivamente compromesso dal nefasto progetto di autonomia differenziata», ha proseguito Scalese, secondo cui va anche «ricercata, con sollecitudine e perizia, ogni soluzione legislativa che guardi alla integrazione dell’Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” con l’Azienda Ospedaliera Universitaria “Mater Domini” e alla relativa costituzione dell’Azienda Ospedaliero Universitaria “Mater Domini – Pugliese Ciaccio” come una priorità per l’intera regione».

«Il lavoro è la sfida che vogliamo vincere e attraverso cui assicurare alle nuove generazioni un futuro migliore – ha aggiunto Scalese –. Lavoro dignitoso e regolare, di contrasto al fenomeno del caporalato, quello che siamo certi si possa creare mediante un grande piano che faccia della manutenzione del territorio, della mitigazione del rischio idrogeologico, della valorizzazione delle aree interne, della cultura e del paesaggio i pilastri fondanti della strategia di rilancio».

«Attraverso le risorse individuate nelle priorità previste nella piattaforma unitaria sulla” Vertenza Calabria” – ha continuato – va rivendicato con forza il completamento della S.S.106, sia del tratto Sibari-Crotone che di quello Catanzaro-Crotone – prosegue ancora Scalese nella relazione – potenziare l’aeroporto internazionale di Lamezia terme, scalo strategico della Calabria, supportato dagli scali complementari di Crotone e Reggio Calabria».

«Occorre velocizzare i lavori della ferrovia Jonica e dell’elettrificazione dell’intera tratta – ha rilanciato – per togliere dall’isolamento interi territori come l’area di Crotone, che potrebbe trarre beneficio dall’allungamento del Freccia Argento Roma-Sibari, occorre un collegamento diretto dell’aeroporto all’area di Germaneto e alla Cittadella Regionale, università, policlinico attraverso la linea metropolitana di superficie con riattivazione della linea ferroviaria esistente e della sua elettrificazione. Parimenti, bisogna dare un’accelerazione ad importanti infrastrutture di competenza della Regione che riguardano la costruzione dei nuovi Ospedali, a partire da quello di Vibo Valentia, che era già in fase avanzata sui lavori complementari, ma che ha oggi non ha visto la reale cantierizzazione dell’opera».

«Abbiamo davanti un futuro non semplice – ha concluso Scalese – come sempre, con molte avversità, ma che abbiamo, grazie allo stare insieme le potenzialità necessarie per affrontare e portare a termine questa avvincente sfida. Questo è quello che faremo. Lo faremo al massimo delle nostre capacità, con tutto l’impegno necessario per il bene della Cgil, consapevoli che migliaia di uomini e donne della nostra organizzazione e non solo, ripongono giornalmente la speranza di una prospettiva per un futuro migliore».

Nel corso del Congresso, sono stati oltre 20 gli interventi che hanno animato la discussione congressuale, che ha registrato anche la presenza di delegati della Uil e dell’Anpi, oltre che alcuni messaggi come quello della referente di Libera, Elvira Iaccino, e di Legacoop Calabria, Lorenzo Sibio. Tra i presenti anche il consigliere regionale Raffaele Mammoliti, già segretario generale della Cgil Area Vasta.

Ha sottolineato il riacutizzarsi del “senso di solitudine” e delle disuguaglianze, il segretario regionale della Cgil, Angelo Sposato che si è soffermato anche sul «disorientamento del popolo della sinistra». E non c’è niente da meravigliarsi: la destra fa la destra, ma «ci aspettavamo dalla sinistra una riduzione delle diseguaglianze, non l’incremento della frammentazione sociale».

È imprescindibile, quindi «declinare il lavoro, perché è questo che dà dignità ad una persona». Va riproposto il tema dell’adeguamento salariale, del potenziamento delle tutele e del sistema contrattuale, tanto del privato, quando nel pubblico dove comunque bisognerebbe tornare ad assumere. Sposato è tornato anche sui cinque temi della “Vertenza Calabria”, soffermandosi in particolare sulla creazione dello sviluppo sociale partendo dalle aree interne, e da come dalla tutela del territorio e dal contrasto al dissesto possa nascere lavoro di qualità anche per i giovani.

«Ci tocca un lavoro arduo – ha concluso Sposato – dobbiamo aiutare la politica ad avere una visione, una prospettiva di futuro che non sempre si intravede».

Della necessità di potenziare gli organici delle amministrazioni pubbliche, messe in ginocchio dai continui tagli ai trasferimenti statali – perché non basta intercettare finanziamenti del Pnrr ma bisogna poi metterle a frutto progettando – ha parlato anche il sindaco di Lamezia Terme, Paolo Mascaro, che ha salutato l’assemblea congressuale proprio soffermandosi sul concetto di Area Vasta. Secondo Mascaro “i sindaci dell’area centrale hanno sottovalutato il concetto di area vasta: rimaniamo schiacciati da un’area forte al nord, e dall’area metropolitana a sud. Se non stiamo attenti rischiamo di essere l’area più debole e fragile. Dobbiamo avere la maturità di far partire una politica diversa di ascolto e concertazione».

Le conclusioni sono state affidate a Tania Scacchetti, segretaria nazionale Cgil che si è soffermata su come è cambiata la rappresentanza nel corso degli anni, sottolineando come «la grande capacità di resilienza dimostrata nella pandemia ha dimostrato che il radicamento del sindacato resta forte, nonostante tutto. La forza della Cgil sta proprio nel senso del collettivo e nella certa idea di libertà e di partecipazione».

Da soggetto che ambisce a cambiare la società, la Cgil, insomma deve affrontare «il senso dei cambiamenti: quelli sociali ed economici, tutte le trasformazioni da quella demografica a quella energetica. Noi – ha concluso – abbiamo un progetto trasformativo e un modello di sindacato fondato su valori imprescindibili, che sono la nostra forza di radicamento. Il lavoro di ricostruzione che dobbiamo fare è molto complesso, e culturale: non possiamo rinunciare a costruire una partecipazione nella politica, e quindi a ricostruire la buona politica». (rcz)

In copertina, Scalese e Sposato

Cgil, Cisl e Uil incontrano Princi e Gallo per il superamento del precariato storico calabrese

Superare il precariato storico calabrese. È stato questo l’obiettivo dell’incontro svoltosi nei giorni scorsi tra la vicepresidente della Regione, Giusi Princi, l’assessore regionale all’Agricoltura, Gianluca Gallo, e le delegazioni sindacali di CGIL e Nidil-Cgil, CISL e Felsa-Cisl, UIL e Uiltemp-Uil,  rappresentate al tavolo da Gigi Veraldi, Ivan Ferraro, Enzo Musolino e Luca Muzzopappa.

Sono circa un migliaio di lavoratori che ancora operano a sussidio in molti enti  calabresi, facenti parte delle leggi regionali 15, 31 e 40, con una grande presenza soprattutto  nelle zone montane, dalla Sila al Parco del Pollino, ed in minor numero in altri enti pubblici e  privati. 

L’incontro richiesto dalle Organizzazioni sindacali voleva affrontare le difficoltà se non  l’impossibilità per molti enti ospitanti di poter procedere alle contrattualizzazioni atteso che  la normativa vigente pongono limiti giuridici e finanziari all’assunzione del personale. 

Il problema economico era stato affrontato dalle OO.SS. già nel primo incontro con il presidente Roberto Occhiuto e l’assessore Princi nel dicembre del 2021 portando alla definizione di  una legge approvata dal Consiglio Regionale che finalmente storicizza le risorse, consentendo  agli enti di poter fare affidamento sul un contributo finanziario di circa 11.157 euro per ogni  lavoratore fino al pensionamento. 

Acquisito questo risultato, gli stessi sindacati avevano incontrato gli amministratori dei  vari enti per capire quali spazi effettivi ci fossero nelle dotazioni organiche, ben sapendo che i  numeri sono un obbiettivo ostacolo. 

I tre sindacati, da tempo, avevano immaginato la possibilità che un ente sub-regionale  quale Calabria Verde, a parità di mansioni ma con maggiori capacità assunzionali, potesse  dunque assorbire questi lavoratori, con l’ulteriore vantaggio di mantenere, attraverso il  meccanismo della previdenza di settore, quasi inalterati i livelli retributivi odierni. 

Da qui l’importanza dell’incontro con i due Assessorati interessati del Lavoro e  dell’Agricoltura, ed aver avuto sia dalla  vicepresidente Princi che dall’Assessore Gallo una valutazione positiva della proposta e l’indirizzo politico ai rispettivi dipartimenti di  approfondire a stretto giro la fattibilità tecnica. 

Azienda Calabria Verde ha già previsto, per i prossimi anni, un rafforzamento del  proprio organico e, accanto a quello già previsto, si potrebbe prevedere una modalità stralcio  per l’assorbimento dei lavoratori precari già formati che su base volontaria aderirebbero e  con risorse storicizzate che non peserebbero sulle economie di bilancio presenti e future  dell’Azienda e non sarebbe ostativo del futuro reclutamento preventivato dal fabbisogno  aziendale per fare fronte e migliorare le proprie attività. 

Nel frattempo, con la contrattualizzazione dei detti precari si avvierebbe un percorso che da subito consentirebbe di assolvere gli importanti compiti di Calabria Verde in termini di  salvaguardia, cura del territorio e contro il dissesto idrogeologico. 

Il superamento del precariato, nelle intenzioni dei due Assessori e delle  rappresentanze sindacali di Cgil, Cisl e Uil, qualificherebbe l’azione concertativa nel ridare  dignità a circa 1000 calabresi che da tempo chiedono stabilità e serenità lavorativa, economica  e sociale. (rcz)

LAVORO AL SUD: LA SOLUZIONE NON STA
NEL REDDITO DI CITTADINANZA COSÌ COM’È

di FRANCESCO AIELLO – Il reddito di cittadinanza rischia di diventare in modo strutturale un mero strumento di sostegno dei consumi. È una strategia fallimentare per lo sviluppo del Mezzogiorno già sperimentata nel corso degli ultimi 60 anni, perché non crea sviluppo, ma alimenta dipendenza.

Alla fine del processo di revisione dell’aiuto al reddito di cui si parla molto in questi giorni, molti degli attuali percettori del reddito di cittadinanza potranno rimanere senza lavoro. Dipenderà sia dall’efficacia delle politiche attive che saranno adottate, ma questo richiede sforzi immani in un paese in cui i Centri per l’Impiego hanno vincoli organizzativi non banali e le agenzie private hanno poco spazio di azione, sia dalle prospettive economiche dell’Italia.

Uno scenario verosimile che potrà manifestarsi nei prossimi due-tre anni è che per garantire “pace sociale”, si dovrà pensare a forme di sostegno del reddito alle persone che rimarranno senza sostegno e senza lavoro. La soluzione più immediata, ma molto rischiosa, è di perpetuare meri trasferimenti di reddito. Ecco perché la riforma del reddito di cittadinanza diventa una nuova sfida del paese, perché oltre ad azioni finalizzate ad aumentare l’occupabilità dei beneficiari dell’income support, è necessario che aumenti la domanda di lavoro delle imprese, ossia che l’Italia inizi a crescere dopo quasi tre decenni di stagnazione. È complicato immaginare la creazione di nuova occupazione se il paese non riprende a crescere.

È importante anche capire cosa succederà nella fase di transizione. Se l’attuale aiuto diventa temporaneo – le ipotesi al vaglio sono 6 mesi, o un anno – ed è pensato solo per chi cerca lavoro, la platea di beneficiari non cambia rispetto allo scenario attuale, perché tutti cercheranno lavoro e aderiranno al Patto per il Lavoro o similari (che diventa condizione di accesso al sostegno). Alcuni troveranno lavoro e, al fine di rendere capillare questa circostanza, è cruciale aumentare il differenziale tra il sussidio e la retribuzione. Tanto maggiore è questa differenza tanto più attrattivo sarà il lavoro.

La questione della congruità dei salari da parte del settore privato è di difficile risoluzione, ma la differenza deve essere sostanziale, di almeno il 30%, affinché chi rinuncia all’aiuto possa essere sanzionato con la revoca del sostegno. È complicato applicare sanzioni se il mercato del lavoro non remunera con salari congrui. L’effetto sarà anche di ridurre il lavoro in nero, se parallelamente si riduce l’onere contributivo a carico delle imprese.

In alternativa, in questa fase di modifiche, gli attuali percettori non lavoratori riceveranno un sussidio per la formazione: l’ammontare della spesa per gli occupabili non cambierà, ma cambierà la fonte del finanziamento. Per esempio, la proposta del presidente del consiglio, Giorgia Meloni, è di utilizzare per la formazione dei percettori del reddito di cittadinanza il canale dei fondi europei. Alla fine del periodo di formazione, si può trovare occupazione o no. Per coloro che rimarranno non occupati – molti a Sud – l’alternativa può essere di irrobustire il terzo settore o l’impiego obbligatorio in servizi di pubblica utilità gestiti dai comuni.

È un percorso tortuoso, con rischi ed opportunità sia per i lavoratori che per il Paese. La natura «tortuosa» di questo percorso dipende non solo dalle caratteristiche individuali dei percettori del sostegno, ma anche dal funzionamento dei Centri per l’Impiego, dalla diffusione della cultura del lavoro e soprattutto dal fatto che il sistema Italia riesca ad uscire dalla bassa crescita che si osserva da almeno 25 anni.

Il rischio da annullare, a Sud, è che l’income support diventi un nuovo canale di finanziamento dei consumi interni dei meridionali. È un’ipotesi che bisogna evitare perché, in modo analogo all’occupazione non necessaria nella pubblica amministrazione degli anni ‘70 e ‘80 o a tutte le forme di trasferimento e di sussidi incondizionati di cui hanno goduto le regioni del Sud, non aiuta lo sviluppo, ma alimenta la dipendenza. (fa)

Francesco Aiello è ordinario di Politica Economica dell’Unical e presidente del think tank OpenCalabria]