PNRR, MANCANO I DATI DELLA CALABRIA E SOLO CROTONE E VIBO SONO “VIRTUOSI”

di FRANCESCO CANGEMI – In Calabria il 100% dei capoluoghi di provincia non ha fornito dati sui progetti del Pnnr attraverso domanda di accesso civico “generalizzato” (la cosiddetta Foia). Il drammatico dato emerge dalla seconda edizione del Rapporto che fotografa l’attivazione e la conoscibilità dei progetti del Pnnr presentato da Libera e Gruppo Abele.

«In Calabria – commenta Giuseppe Borrello, referente regionale di Libera Calabria – considerando l’assenza dei dati dei capoluoghi di provincia, i calabresi non sono posti nelle condizioni di sapere dove il Pnrr si stia concretizzando in Calabria. Chiediamo trasparenza e inclusione nelle scelte e nella rendicontazione del Pnrr a livello locale. Per capire davvero dove sia il Pnrr, il rispetto dei principi della completezza e della certezza dei dati dovrebbe essere un’indispensabile premessa. Tuttavia, i risultati che presentiamo vanno nella direzione opposta e la trasparenza è ancora una chimera, nonostante l’allarme lanciato dalle procure calabresi sul pericolo delle infiltrazioni della ‘ndrangheta sui fondi del Pnrr. In una situazione molto delicata, come quella calabrese, solo la trasparenza, presupposto essenziale per il monitoraggio “dal basso”, può rappresentare l’antidoto più efficace contro ogni forma di corruzione e infiltrazione. Non possiamo perdere l’occasione del Pnrr. Il cambiamento passa per la capacità dello Stato di garantire partecipazione e rendicontabilità».

Libera e Gruppo Abele spiegano che da mesi si parla di Pnrr di bandi, di riformulazione di progetti ma la verità è che il Pnrr continua ad essere un piano misterioso: siti istituzionali incompleti, dati che non coincidono, una trasparenza che viaggi su binari diversi e mai coincidenti.

Il rapporto curato Progetto Common – Comunità monitoranti di Libera e Gruppo Abele in collaborazione con la rivista “lavialibera” è un monitoraggio civico che ha visto la partecipazione di 124 volontarie e volontari dei presidi territoriali di Libera.

In Calabria, è stato possibile mappare solo 4 progetti, per una spesa totale di circa 1 milione e 700mila euro, nei soli comuni di Crotone e Vibo Valentia attraverso la pubblicazione dei dati in Amministrazione Trasparente. Confrontando il dataset di Libera con i dati sui progetti di Pnrr rilasciato in Italia Domani (giugno 2023) in Calabria: 2 progetti dei 4 mappati da Libera non sono presenti (o almeno non sono coincidenti) nel database istituzionale.

Ai capoluoghi di provincia è stato chiesto, attraverso la domanda di accesso civico “generalizzato” (cosiddetta Foia, acronimo di Freedom of information act), di fornire informazioni e dati circa la quantità di denaro speso per singolo progetto, l’origine di quel denaro (chi è il soggetto titolare) e l’obiettivo di ogni progetto. In Calabria nessun capoluogo di provincia ha risposto positivamente inviando i documenti richiesti. Un triste primato assoluto, unico caso in Italia, che evidenzia nella nostra regione la grandissima difficoltà di raccogliere dati utili sugli interventi concreti del Pnrr.

«Davanti questa fotografia – scrivono le due organizzazioni – non ci sorprende se secondo una recente indagine di Demos per Libera il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) viene dipinto come un oggetto misterioso nella percezione delle cittadine e dei cittadini. Circa sette intervistati su dieci (68%) affermano di averne “nessuna” o “scarsa conoscenza”. Contestualmente, la stessa indagine mostra che è alta la preoccupazione che la grande mole di denaro impiegata in investimenti pubblici possa favorire infiltrazioni mafiose. Infatti, ben l’88% degli intervistati ritiene che il Pnrr – per quanto avvolto in una nebbia di incertezza sulla sua reale natura – sia comunque a rischio di corruzione e infiltrazioni mafiose, presumibilmente al pari di ogni altra forma di investimento di risorse pubbliche in Italia».

Cinque le questioni sollevate dal rapporto di Libera e Gruppo Abele al decisore nazionale e locale, rispetto al Pnrr: «Perché i dati da noi raccolti interpellando i Comuni non coincidono con quelli istituzionali? E che ne è dell’unicità del dato per i progetti di Pnrr? Come facciamo a ricostruire la filiera informativa dei progetti di Pnrr fin dalla fase decisionale, se vengono cambiati in corsa gli elementi tramite i quali poter confrontare i dati? Quando è prevista la pubblicazione del portale di Pnrr fondato su “trasparenza, semplicità, immediatezza e personalizzazione”, per come promesso nel Pnrr stesso? Perché questo duplice rilascio con tempistiche inusuali? E con quale frequenza saranno aggiornati i dati d’ora in avanti? Quanti e quali sono quindi i progetti di Pnrr oggi attivi in Italia?».

In seguito alla gran confusione e l’impossibilità di ottenere informazioni pulite e chiare in un clima politico insofferente a qualsiasi forma di controllo esterno, Libera e Gruppo Abele avanzano al Governo due proposte: istituire un portale unico nazionale che diffonda i dati aggiornati e trasparenti sul Piano; alle amministrazioni comunali di dotarsi di pagine specifiche per i progetti, così che non possano esserci dubbi sul come e il perché un comune decida di utilizzare le risorse del Piano.

«Come Libera e Gruppo Abele – scrivono nel rapporto – riteniamo che un buon modo per generare un modello di attuazione del Pnrr che risulti più resistente all’infiltrazione corruttiva e dei clan è nella ricerca di risposte alle cinque domande che presentiamo in questo report, capaci di attivare un processo virtuoso che può e deve tradursi in soluzioni organizzative concrete da parte dei decisori, tanto a livello nazionale che locale». (fc)

Legambiente e Libera insieme nella Giornata della Memoria e dell’Impegno del 21 marzo

A Piazza Castello di Reggio Calabria si è svolta una cerimonia per ricordare tutte le vittime di mafia, promossa dal Circolo di Reggio Calabria “Città dello Stretto” di Legambiente insieme a Libera.

Un momento che ha visto la lettura dei nomi delle vittime di tutte le mafie, come di consueto, e che è stato dedicato in maniera particolare al vigile urbano Giuseppe Macheda e all’ispettore del lavoro Demetrio Quattrone. Barbaramente uccisi per avere adempiuto alle loro funzioni, rispettivamente nel 1985 e nel 1991, proprio a Reggio Calabria, le loro sono storie di ordinario coraggio in una città piegata allora dal clima mafioso e dal malaffare. Esempi di correttezza e rettitudine che meritano di essere ricordati sempre, per questo motivo in loro memoria sarà piantato un albero di ciliegio nello spazio verde della piazza.

Alla cerimonia hanno preso parte Elena Crucitti, referente di Libera, Daniele Cartisano, per il circolo reggino di Legambiente, Simona Spagna dell’Agesci, la viceprefetto Maria Stefania Caracciolo, il presidente della Corte d’Appello Bruno Muscolo.

Nella mattina a Palmi un altro momento importante, il ricordo di Giuseppe Bova, giornalista e ambientalista prematuramente scomparso lo scorso febbraio. In sua memoria, grazie alla sensibilità del Comune di Palmi e alla partecipazione della famiglia e degli amici, è stato piantato un albero di melograno in un terreno confiscato alla mafia, in contrada Scinà. Un piccolo gesto per una persona generosa e appassionata, che amava la Calabria e si dedicava alla sua difesa e valorizzazione.

Nel ricordo di tutti quelli che hanno sancito con la loro vita l’impegno per la bellezza, la verità e la giustizia, il circolo reggino di Legambiente continua le sue attività, accanto alle numerose realtà e alle persone che negli anni e oggi ancora ne condividono i valori e gli obiettivi. (rrc)

Le Scuole reggine abbracciano le vittime innocenti di mafia

È con il lancio, verso il cielo, dei palloncini colorati, che i ragazzi delle scuole reggine hanno espresso la loro vicinanza alle vittime innocenti di mafia. Un gesto che ha chiuso la manifestazione svoltasi a Piazza Castello di Reggio Calabria, organizzata dal Centro Comunitario Agape insieme a Pesce Rosso e Libera, per vivere un momento di memoria collettiva di persone che hanno pagato con la vita la violenza mafiosa.

Le prime a raccogliere l’appello sono state l’istituto comprensivo Galilei Galilei ed il convitto Campanella, i più vicini  anche geograficamente allo spazio di piazza castello dedicato ad alcune vittime calabresi attraverso dello opere in legno che sono state restaurate.A seguire  il De Amicis, lo Spanò Bolani, i Licei Vinci e Tommaso Campanella, il Panella Vallauri, il Carducci, Lazzarini, il Piria,il Fermi Boccioni.
Lucia Lipari, presidente di Agape, dopo avere ringraziato le forze dell’ordine presenti, ha ricordato che la giornata della memoria che vede la lettura dei nomi delle vittime innocenti di mafia è nata su input di quei  familiari che non accettavano che i loro congiunti fossero definiti in modo anonimo come “uomini della scorta” del magistrato ucciso, senza che avessero un nome ed un riconoscimento del loro sacrificio.
Mimmo Nasone di Libera ha chiesto ai ragazzi di continuare ad approfondire assieme ai loro insegnanti la conoscenza delle storie di chi ha perso la vita per mano mafiosa, un dovere da onorare per diventare uomini che rifiutano le logiche dell’omertà e della indifferenza. Stefania Caracciolo, vice prefetto, ha sottolineato che la grande partecipazione dei ragazzi a questo evento è un segno di speranza che le cose possono cambiare se le nuove generazioni si sentono protagonisti nella lotta contro questo male che soffoca la nostra terra scoraggiando anche gli imprenditori ha investire per creare lavoro.
Il momento più importante è stato quello della lettura dei nomi delle vittime calabresi da parte dei ragazzi delle scuole partecipanti e da Adriana Musella figlia dell’imprenditore caduto nella guerra che  mafia ha dichiarato a chi si oppone ai suoi disegni criminosi.
Un minuto di silenzio è stato dedicato alle vittime del naufragio di Cutro, anch’essi vittime di un sistema criminale che li sfrutta e che non garantisce accoglienza e integrazione. Quasi cinquecento i ragazzi che hanno partecipato portando una ventata di freschezza a questo momento di memoria che diventa impegno con la scuola che li aiuta a vivere con gli occhi aperti il loro cammino formativo educandoli alla cittadinanza ed alla responsabilità. (rrc)

VIBO – “Contro l’indifferenza, il nostro impegno”: l’iniziativa di Libera

Giovedì 5 gennaio, alle 11, al Cimitero di Bivona a Vibo Valentia, è in programma l’iniziativa Contro l’indifferenza, il nostro impegno di Libera Vibo Valentia.

All’interno del cimitero, infatti, sono seppelliti alcuni migranti morti durante la traversata nel Mediterraneo e giunti al porto di Vibo Marina. Nella frenesia di questi giorni di festa vogliamo creare un momento di riflessione per comprendere il senso di cose che troppo spesso diamo per scontato e attribuire loro il reale valore che esse racchiudono. Il diritto al nome, ad una storia, il diritto ai sogni e soprattutto alla vita. Vogliamo poter chiudere gli occhi e immaginarci per un’istante, come nati dalla parte “sbagliata” del mare e nella continua lotta a difesa di una vita migliore.

I corpi di uomini e donne che, come tanti altri, si sono messi in viaggio con la speranza di costruire un futuro diverso e dignitoso ma che, purtroppo, hanno perso la vita tra le onde, ora giacciono in freddi loculi senza foto e né nome, senza neppure un piccolo vaso dove poter porgere un fiore o qualcuno che sussurri una preghiera. Lì sono sepolte le giovani speranze di chi, dopo aver conosciuto la violenza e l’orrore della guerra, le brutture della povertà e dell’indigenza, si avvicinava alle grandi, e – ai loro occhi – salvifiche, porte dell’Europa rivendicando soltanto un tempo di pace, di diritti e di uguaglianza, un tempo in cui poter vivere senza paura, in cui poter essere finalmente liberi artefici del proprio destino.

Un tema, quello delle migrazioni, che polarizza ma che, in realtà, dovrebbe farci ritrovare tutte e tutti dalla stessa parte: quella dell’umanità. Vogliamo dunque, andare oltre la becera retorica e i calcoli freddi da statistiche, vogliamo fermarci a riflettere, vogliamo tributare un pensiero e una preghiera a chi è morto perché “colpevole” di rivendicare un futuro diverso.

«Vogliamo iniziare il nuovo anno – si legge in una nota – con la promessa di una solidarietà che si faccia concreto atto d’amore verso gli ultimi e derelitti, carichi di un’indignazione per ogni potere violento ed escludente che possa farsi impegno e responsabilità, bramosi di verità e attenti ricercatori, oltre gli schemi e le categorie che ci vengono propinate, dubbiosi ed eretici».

«Solo così – prosegue la nota – possiamo farci promotori e difensori di un vento che possa stravolgere l’indifferenza, che possa gettare giù i muri dell’intolleranza, che possa fermare l’eresia di chi, di fronte a uomini e donne che fuggono da povertà, miseria e persecuzioni, parla di difesa dei confini o li definisce “carico residuale”. Un vento che possa trasportare le singole parole della nostra preghiera laica per una società a portata d’uomo qualsiasi sia il suo colore della pelle, il suo orientamento sessuale, politico o religioso, la sua etnia o il suo paese di appartenenza, oltre i confini del tempo, dello spazio e del silenzio. Vogliamo iniziare il nuovo anno chiedendoci che società siamo e che società vogliamo essere per trovare risposte alle nostre domande e senso al nostro impegno». (rvv)

GIOCO D’AZZARDO, LA CALABRIA DICE NO
ALLE NORME DEL CONSIGLIO REGIONALE

In Calabria si rischia di incorrere in una vera e propria emergenza ludopatia. E questo perché il Consiglio regionale della Calabria, a novembre, non è riuscita a discutere la proposta di legge che prevede l’eliminazione delle regole minimali per l’esercizio delle sale da gioco e delle sale scommesse. Il tutto perché mancava il numero legale.

Una motivazione che porta sconforto e grande amarezza, soprattutto se si parla di un problema che è una vera e propria «emergenza sociale», come è stato denunciato all’incontro della Comunità Regina Pacis svoltasi nel mese di ottobre a Cosenza. Città in cui, secondo quanto emerso dal convegno, «si spendono  25 milioni di euro per i giochi d’azzardo – ha spiegato Roberto Calabria, direttore del Serd di Cosenza – e questo impone una risposta pronta e decisa al problema».

Ma non è solo un problema di soldi: Paolo Mancuso, presidente della Fondazione Anti usura della Diocesi di Cosenza-Bisignano, ha evidenziato come «molti giocatori d’azzardo finiscono nella morsa dell’usura, e spesso perdono casa e lavoro. C’è gente che per il gioco d’azzardo ha ceduto due quinti dello stipendio e contratto debiti con molte finanziarie».

Amalia Bruni, leader dell’opposizione in Consiglio regionale, ha espresso «l’assoluto dissenso perché non intendo essere complice di una norma che rischia di decretare la rovina di tante famiglie calabresi e continuerò la mia battaglia, come ho sempre fatto, tra la gente per tutelare la loro salute».

«Abbiamo discusso ampiamente ed animatamente questa proposta in Commissione Antindrangheta, poi l’8 novembre ci sono state tre audizioni in Prima Commissione e ho atteso con trepidazione la discussione in Commissione Sanità, visto che la Proposta di Legge era stata assegnata anche alla Terza Commissione ma, con mio grande stupore, mercoledì 23 novembre la PL, con un autentico colpo di mano, è stata discussa di nuovo in Prima Commissione ed è stata approvata definitivamente per essere portata in Consiglio».

«Mi chiedo com’è mai possibile – ha proseguito – che si è deciso di non completare l’iter procedurale e di non affrontare in Commissione Sanità una tematica così delicata e così strettamente connessa alla salute dei cittadini calabresi? Questa maggioranza stravolge i procedimenti, per come evidenziato anche dalla Corte dei Conti per altre situazioni, e l’opposizione certo non può stare a guardare. Purtroppo credo che questa maggioranza ha proposto e giustificato la modifica della legge per tutelare gli interessi economici degli esercenti e delle aziende che forniscono i giochi, ma questo non è corretto come punto di partenza».

«Il punto di partenza è, e deve esserlo per tutti – ha continuato – la cura dei pazienti calabresi e la tutela della Salute pubblica della nostra comunità. Non condivido la scarsa attenzione da parte dell’intera maggioranza e del Commissario ad Acta alla Sanità nei confronti di un problema sociale e sanitario che destabilizza intere famiglie e getta sul lastrico (con il rischio che possano entrare nel pericoloso circuito dell’usura) tanti cittadini e tante cittadine calabresi».

«A fronte di questi pericoli sono state presentate modifiche che di fatto cancellano gli strumenti più efficaci per contrastare la ludopatia riducendo il distanziometro – ha spiegato – ovvero la distanza dai luoghi sensibili; aumentando la durata delle ore giornaliere di gioco; delegando ai sindaci la decisione e la responsabilità delle regole da applicare, (sottoponendoli a ulteriori rischi di pressioni esterne, anche della criminalità organizzata); eliminando ogni sorta di limite per coloro che detengono le licenze prima del 2018 (diritto di prelazione) che, tra l’altro non è consentito nel Mercato Libero) e che significa che i nostri ragazzi davanti alle loro scuole continueranno a trovare le sale slot pronte ad accoglierli a braccia aperte».

Ma non è solo la consigliera regionale Bruni a rivoltarsi contro una legge che mette a rischio la salute dei cittadini. Sul caso è intervenuto don Giacomo Panizza, che ha parlato di «un insidioso regalo di natale» da parte del Consiglio regionale.

«Ci ha provato – ha spiegato – mettendo all’ordine del giorno un “ritocco” alla legge riguardante “Interventi regionali per la prevenzione e il contrasto del fenomeno della ’ndrangheta e per la promozione della legalità, dell’economia responsabile e della trasparenza”, però ha evitato di spiegare che la modifica avrebbe riguardato il tema dell’usura e del gioco d’azzardo patologico. La maggioranza si è ritrovata senza numeri per il voto valido».

«Non fa meraviglia che, per poco ascolto e molta fretta – ha proseguito – il testo enunci nemmeno una volta ciò che propone. Titola “Modifiche all’articolo 16 della legge regionale 26 aprile 2018, n. 9, ne ripete a iosa la bella intestazione sopra citata e non riporta mai che si tratta degli “Interventi per la prevenzione dell’usura connessa al gioco d’azzardo patologico. Non è cosa da poco. Il pasticcio di «le parole … i commi 2 e 3… i numeri dell’art. 16, sono sostituiti da…» occulta i problemi dell’usura e del gioco d’azzardo patologico su cui ci sarebbe invece da scrivere molto in chiaro».

«Perché modificare proprio e solo questo articolo? A chi giova? Perché il Consiglio regionale della Calabria – si è chiesto don Panizza – dovrebbe scaricare le responsabilità generali su comuni, sindaci e popolazione in genere riguardanti la prevenzione dell’usura connessa al gioco d’azzardo patologico? Conosciamo che si tratta di problematiche economiche e finanziarie, sanitarie ed etiche, nondimeno anche sociali e politiche!»
«Affidare senza vincoli né indirizzi regionali a ogni singolo sindaco le modalità di autorizzazioni, gli orari di apertura, rallentare i distanziamenti già previsti di almeno 500 metri tra le sale slot e i luoghi di aggregazione giovanile e non solo, da scuole, chiese, bancomat, ecc., è decisione sconsiderata. – ha continuato –. Perché non contrastare l’usura nelle sue varie modalità, compresa quella causata dai debiti da gioco d’azzardo patologico? È notorio che le organizzazioni criminali hanno interessi in materia, mentre soccombono le persone, le famiglie, i servizi sociali e sanitari del territorio. Ricordo che i dati ufficiali annotano che in Calabria nel 2021 sono stati “giocati” legalmente d’azzardo più di quattro miliardi di euro (4.205.993.451,89)».
«E mancano quelli dei circuiti illegali – ha evidenziato –. Se c’è bisogno di un approfondimento della legge di quattro anni fa, dovrà essere solo migliorativo, e non un espediente per (s)caricare certi problemi su sindaci, persone in difficoltà, famiglie a rischio di andare in rovina. Il gioco patologico non è una puntata al lotto o la tombolata natalizia, è raffiche di puntate compulsive pagate alle macchinette e ai computer, è un non-gioco solitario deleterio anche per la società. Non conosco i motivi per cui il 28 novembre scorso sono venuti a mancare i numeri per legiferare. Ma è stato meglio, e mi auguro che non venga rimessa all’ordine del giorno nel prossimo Consiglio previsto il 12 dicembre perché si tratta di una proposta dannosa».
«La lotta al gioco d’azzardo e alla ludopatia non è un gioco e non può essere un azzardo», ha tuonato la Conferenza Episcopale Calabra, che si è detta «interdetta» alla possibilità della modifica, da parte del Consiglio regionale, della legge riguardante la notta all’usura e al gioco d’azzardo.
«La modifica – si legge nella nota – va di fatto a scaricare forti responsabilità generali sui Sindaci e pesanti conseguenze sulla popolazione, vanificando ogni tentativo di prevenzione del fenomeno della ludopatia. L’affidamento ad ogni singolo Sindaco e Comune delle decisioni in merito alle modalità di autorizzazione degli orari di apertura, uniformando inoltre al ribasso il distanziamento tra le sale slot e i luoghi sensibili, è una scelta sconsiderata, rispetto alla quale le motivazioni restano incomprensibili».
«Perché scaricare sui Sindaci, già oberati di tante responsabilità – hanno chiesto i vescovi calabresi –, rendendoli passibili di ulteriori pressioni, questa problematica così complessa? Un contesto al quale la criminalità organizzata guarda con attenzione per interessi economici, al fine di sfruttare la fragilità di chi vive una condizione di debolezza e dipendenza patologica».
«Allentare il controllo sul gioco d’azzardo – è stato evidenziato – significa indebolire la legalità e sfavorire la giustizia e la giustizia sociale in particolare. Già nel 2017, Papa Francesco, nel discorso del 21 settembre affermava: «Oggi non possiamo più parlare di lotta alle mafie senza sollevare l’enorme problema di una finanza ormai sovrana sulle regole democratiche, grazie alla quale le realtà criminali investono e moltiplicano i già ingenti profitti ricavati dai loro traffici: droga, armi, tratta delle persone, smaltimento di rifiuti tossici, condizionamenti degli appalti per le grandi opere, gioco d’azzardo, racket», inserendo proprio il gioco d’azzardo tra le fonti di diseguaglianza e povertà».
«La Conferenza Episcopale Calabra – hanno concluso i vescovi calabresi – di fronte a questa iniziativa, di fatto dannosa per il tessuto sociale calabrese, vuole denunciare con forza la pericolosità di tali paventate scelte. È davvero questo il regalo di Natale che si vuole fare ai cittadini calabresi, alle loro famiglie, alle comunità di una regione che lotta ogni giorno per la legalità e contro l’oppressione della criminalità organizzata?».
Libera Calabria, invece, si appella direttamente al presidente della Regione, Roberto Occhiuto, «affinché si proceda al ritiro di tale proposta e venga dato un segnale forte nel contrasto al gioco d’azzardo e ai profitti che la criminalità organizzata trae da esso».
La rete regionale, infatti, ha espresso preoccupazione per la proposta di legge, la cui approvazione «non terrebbe assolutamente conto degli effetti reali che l’espansione del gioco d’azzardo, già ampiamente diffuso nella nostra regione, avrebbe in un contesto regionale dalle tante difficoltà economiche e con un’elevata densità criminale».
«I numeri calabresi relativi alla diffusione ed alle giocate presso le slot machine e videolottery – ha spiegato Libera – meriterebbero, al contrario, misure più stringenti e restrittive, in linea con i regolamenti e le ordinanze adottate da diversi comuni sul territorio nazionale, perché, come più volte sottolineato dalla Direzione Nazionale Antimafia, questo è un settore dove le mafie hanno effettuato ingenti investimenti anche con riferimento ai giochi legali».
«Un fenomeno – ha concluso Libera Calabria – che deve mettere in apprensione non solo per gli interessi della criminalità organizzata, la quale trae profitti dalla manomissione delle macchinette e dall’uso di queste per riciclare denaro, ma anche per le conseguenze dalla dipendenza del gioco d’azzardo che compromette la salute psichica e fisica delle persone colpite, ed in alcuni casi può determinare l’impoverimento dei malati patologici e delle loro famiglie con il rischio di divenire vittime di usura ed estorsioni». (rrc)

«LA LIBERTÀ NON HA PIZZO»: LA STRADA
DELLA LEGALITÀ PREMIA CHI FA IMPRESA

L’indovinato slogan con cui la Rete ReggioLiberaReggio ha voluto coinvolgere gli imprenditori della Città dello Stretto (La libertà non ha pizzo) ha raccolto molti consensi:  scegliere la strada della legalità, non accettare “compromessi” o condizionamenti con la criminalità organizzata, alla fine mostra di non penalizzare le imprese di Reggio Calabria, ma, al contrario, sembrerebbe premiarle. Più del 40% delle imprese intervistate dalla Rete risponde che da quando ha aderito a ReggioLiberaReggio la percezione della propria attività economica è cambiata in meglio, mentre poco meno di un altro 40% registra che è rimasta invariata, ovvero non è peggiorata. La percezione molto positiva della Rete RLR da parte delle imprese intervistate è rafforzata poi dal dato sulla clientela, e dai principali indicatori di andamento aziendale prima e dopo l’adesione. Nessuna delle imprese di servizi partecipanti all’indagine dichiarano che la clientela sia diminuita dopo l’adesione a RLR; anzi, quasi il 20% registra un aumento. Inoltre, in pochissimi casi il fatturato, l’utile netto, e gli addetti sono calati dopo l’adesione alla Rete.

Questo scenario emerge dalla prima indagine sulle imprese iscritte a ReggioLiberaReggio “La libertà non ha pizzo”. L’associazione, nata a Reggio Calabria nel 2010 su iniziativa del coordinamento cittadino di Libera, in risposta al gravissimo attentato subito a suo tempo da Tiberio Bentivoglio, raccoglie oggi oltre 70 piccole e medie imprese reggine, appartenenti a diversi settori produttivi. L’indagine, i cui risultati sono presentati nel report curato da Dario Musolino, docente presso l’Università Bocconi e presso l’Università della Valle d’Aosta, si è focalizzata su diversi temi.

L’indagine sulle imprese che aderiscono a ReggioLiberaReggio consegna un quadro con luci e ombre, con elementi per certi aspetti prevedibili, e con altri elementi più sorprendenti (almeno rispetto a quello che sembra essere il sentire comune su determinati temi). In un ambiente socioeconomico su cui grava sempre la forte influenza della criminalità mafiosa. Le imprese intervistate godono in larga prevalenza di un buono «stato di salute», presentando punti di forza rilevanti, quali qualità, specializzazione, innovazione, reputazione, che consentono di stare sul mercato con risultati economici generalmente positivi. In diversi casi, si può perfino parlare di imprese eccellenti. L’adesione a RLR non ha per nulla penalizzato queste imprese, ma anzi plausibilmente potrebbe essere stata premiante, in relazione alla evidente e crescente importanza del consumo etico nelle scelte dei consumatori. Infatti, nella valutazione del contesto reggino e dei condizionamenti mafiosi sulle attività di impresa, si inserisce la stessa (auto)valutazione della rete RLR, e del suo ruolo. Risalta in modo alquanto netto la forte soddisfazione delle imprese intervistate rispetto all’adesione a RLR: circa l’80% valuta, infatti, questa esperienza positivamente o molto positivamente. La Rete assolve la sua missione, in primis colmando la “sensazione” di isolamento che diverse imprese lamentano. Infatti, quasi il 60% delle imprese intervistate rileva come dopo l’adesione a RLR non si sono sentite isolate, ma anzi si sono sentite supportate nella loro attività di impresa.

Sono imprese che tuttavia presentano anche alcune criticità, che vanno auspicabilmente superate per poterle fare ulteriormente crescere in futuro, e che del resto riguardano in generale tante realtà imprenditoriali calabresi e meridionali. La scarsa propensione all’internazionalizzazione, per esempio, legata non solo alla piccola dimensione e ai vincoli infrastrutturali del territorio, ma anche alle limitate capacità di distribuzione e commercializzazione. E poi la ridotta capacità organizzativa e la difficoltà a innovare i processi produttivi. Ciò che tuttavia è particolarmente problematico e difficile agli occhi delle imprese, e che sorprende per la valutazione fortemente negativa che riceve, è il contesto. In particolare, si fa riferimento al funzionamento della Pubblica Amministrazione, ai servizi collettivi (servizi idrici, gestione e smaltimento rifiuti, ecc.), alle infrastrutture e servizi di trasporto e telecomunicazione, e ad altri servizi privati come il credito. Il giudizio negativo insiste in misura particolarmente evidente sui servizi collettivi: ammonta infatti all’80% circa la percentuale di imprese intervistate che li valuta come punti di debolezza del territorio.

Al contrario, altri fattori di contesto quali qualità ambientale e della vita, asset culturali e artistici, e costo della vita, ricevono giudizi più bilanciati: una quota importante degli intervistati (tra il 40% e l’80%) li considera infatti dei punti di forza. Inoltre, le imprese sono molto critiche anche verso il tessuto imprenditoriale e produttivo locale, ritenuto non all’altezza di “fare sistema”, ovvero di favorire collaborazione, cooperazione e creazione di reti tra imprese. Pur tra condizionamenti mafiosi, vincoli infrastrutturali e carenza di servizi, le imprese intervistate riescono comunque a ottenere risultati economici largamente positivi.

Su tutti i fattori di svantaggio campeggia sempre, e vale la pena ripeterlo, la minaccia della mafia. E questo, nonostante la pressione della criminalità organizzata che, nella loro stessa esperienza, rimane sempre forte a Reggio Calabria, per quanto agisca in modo diverso rispetto al passato (si concentra sempre più in determinati settori produttivi, “colpendo” specifiche funzioni aziendali). Meno del 10% delle imprese intervistate ritiene infatti che si possa fare impresa a Reggio senza correre alcun rischio di subire condizionamenti mafiosi (e per quasi il 50% è certo o probabile che si subirà qualche condizionamento di questo genere). Certo, a detta delle imprese, si tratta di un fenomeno forse meno opprimente rispetto al passato (anche grazie all’azione repressiva dello Stato), e sempre più specifico di determinati settori (per esempio, settore edile) e funzioni aziendali (per esempio, forniture, reclutamento personale); ma rimane il fattore cruciale che continua ad alterare e penalizzare gravemente l’imprenditorialità e il libero funzionamento dell’economia locale.

Per superare queste gravi criticità, le imprese di ReggioLiberaReggio si aspettano da un lato più controllo e vigilanza sul territorio e maggiore capacità di intervento per proteggere al meglio aziende e cittadini; dall’altro lato, invocano supporto economico a chi denuncia, via per esempio agevolazioni fiscali, e una azione migliore e ad ampio raggio degli enti di governo nazionale e locale per migliorare il contesto, istituzionale, infrastrutturale, e sociale, e ridurre quindi il drammatico isolamento in cui operano. Servono in altre parole interventi e azioni che supportino meglio e incoraggino il tessuto imprenditoriale locale che rigetta sempre più numeroso i condizionamenti mafiosi, e fa impresa in modo sano e con successo.

Le politiche per migliorare il contesto e uscire da questo quadro devono allora avere al centro innanzitutto investimenti per potenziare il sistema infrastrutturale e dei servizi, e un’azione più efficace ed efficiente degli enti di governo regionale e locale, e della macchina amministrativa. Inoltre, per contrastare più specificamente i condizionamenti mafiosi nell’economia, serve in particolare più controllo e vigilanza, e supporto effettivo alle imprese che denunciano. (rrc)

VIBO – Il 24 febbraio l’assemblea studentesca contro ogni forma di violenza

Giovedì 24 febbraio, a Vibo Valentia, alle 10, a Piazza Martiti d’Ungheria, è in programma l’assemblea studentesca contro ogni forma di violenza: difendi_Amolanostralibertà, organizzarto dal Coordinamento Provinciale Libera di Vibo Valentia.

Un’iniziativa costruita con tutti i rappresentanti delle scuole che a loro volta l’hanno condivisa con i loro dirigenti scolastici per consentire la maggiore partecipazione possibile.

La modalità sarà quella di mantenere un microfono aperto, non ci saranno interventi programmati, né una scaletta precisa ma solo la voglia di riconoscere a tutti nostri giovani il diritto ad essere ascoltati. Al termine di questo momento, una delegazione di loro sarà ricevuta dal Prefetto per avanzare le loro proposte e condividerne le riflessioni. Un’iniziativa che, appunto, ha l’obiettivo di responsabilizzare le ragazze ed i ragazzi del nostro territorio come agenti positivi di una necessaria inversione di rotta.

Gli ultimi fatti di cronaca, a cui si aggiunge un sommerso di cui difficilmente si trova traccia, ci permettono di tratteggiare un quadro desolante che ha come protagonisti giovani e giovanissimi carnefici e vittime di atti di violenza, di depauperamento del bene comune e di spregio verso ciò che ci circonda. 

I diversi momenti di incontro con i ragazzi e le ragazze delle scuole secondarie di primo grado del territorio, ci permettono di toccare con mano quanto siano allarmanti i processi di incubazione che, fin da età molto tenera, sfociano poi in veri e propri atti di bullismo. La violenza, sia fisica che verbale, sembra essere l’unico mezzo di risoluzione di qualsiasi controversia, l’unico strumento attraverso cui basare le relazioni intersoggettive. La pandemia non ha fatto che peggiorare un quadro già complesso che interessa tanto i giovani del sud, quanto quelli del nord, infatti, i fenomeni delle baby gang sono, purtroppo, ampiamente diffusi senza limitazioni geografiche. Crediamo, però, che a certe latitudini il fenomeno sia molto più complesso e che determinati atteggiamenti affondino le loro radici in una mentalità precisa che, con immenso rammarico, trova ancora humus fertile nelle giovani menti.

La ‘ndrangheta non è solo struttura e la sua forza sta fuori di essa perché è soprattutto mentalità, un modo di pensare e ragionare che anima determinati atteggiamenti, diffonde disvalori e diviene linfa di  comportamenti lesivi della dignità altrui, indipendentemente da una adesione formale all’organizzazione criminale in senso stretto. La prevaricazione e la legge del più forte creano sempre maggiore fascino in alcuni nostri giovani, ed è dunque necessario non fare passare questi atti in sordina per evitare che ci si abitui, diventino la normalità e la paura possa prendere il sopravvento nei nostri territori. Crediamo che la violenza diffusasi tra i giovani sia campanello d’allarme e grido di aiuto, sia manifestazione di un disagio, di un sentimento di sofferenza mascherata che è necessario intercettare, destrutturare e ricomporre. Le scuole giocano un ruolo fondamentale ma non possono e non devono essere lasciate da sole, intorno ai presìdi educativi è necessario che si crei una rete fitta, un’alleanza educativa che coinvolga tutti gli attori sociali del territorio, dalle istituzioni al mondo associativo.

 I nostri ragazzi non sempre trovano negli adulti corretti modelli di comportamento, infatti, qualche giorno fa, in un’unica giornata, si è verificato un tentato omicidio a Ricadi e il pestaggio ignobile ai danni del primo cittadino del piccolo comune di Dasà. Il sindaco Scaturchio, a cui va tutta la nostra solidarietà e vicinanza, è stato destinatario di una “missione punitiva” da parte di un gruppo di balordi perché aveva manifestato solidarietà nei confronti dei carabinieri della vicina stazione di Arena, a seguito di un fatto avvenuto ad opera di due  dei quattro soggetti coinvolti nel pestaggio. Un’azione inaudita che colpisce non solo la persona, ma anche l’istituzione che rappresenta e l’intera comunità di cui è portavoce. I quattro hanno arrecato ingenti danni anche alla Casa Comunale che, come ogni Municipio, è il cuore di una comunità. 

Tutti questi episodi ci hanno spinto a rivolgere un appello agli studenti ed alle studentesse della scuole superiori della città di Vibo Valentia, per discutere insieme, confrontarci, prendere posizioni e manifestare la forte condanna nei confronti di qualsiasi atto di prevaricazione e di violenza ma soprattutto per mettere loro di esprimersi, evidenziare i loro bisogni, le loro necessità e la loro voglia di essere cittadini e non semplici abitanti dei luoghi che vivono, imprimendo, nel loro piccolo, un segno di svolta importante. (rvv)

L’allarme di Libera: In Calabria su 2431 beni confiscati solo 377 sono utilizzati

«Attualmente, in Calabria sono 128 gli enti locali che hanno acquisito al patrimonio complessivamente 2431 beni immobili confiscati. Di questi, solo 337 risultano utilizzati». È l’allarme lanciato dal Coordinamento di Libera, che invita le regioni del Mezzogiorno a usufruire del bando a valere sui fondi del Pnrr sui beni confiscati alle mafie.

Per l’Associazione si tratta di «un’occasione di grande importanza che non può essere in alcun modo disattesa», i cui termini di partecipazione sono stati prorogati fino al 28 febbraio 2022, che mette a disposizione 300 milioni di euro per la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie, all’interno della Missione 5 Componente 3, dedicata a interventi speciali per la coesione territoriale. Di questa cifra, 250 milioni di euro sono riservati ai progetti selezionati attraverso una procedura selettiva, mentre ulteriori 50 milioni di euro serviranno a individuare altri progetti, di particolare valore economico e/o simbolico per il territorio. La nuova scadenza riguarda entrambe le candidature.

«La valorizzazione dei beni confiscati – ha ribadito Libera – è una forte azione concreta nella lotta contro le mafie, ma soprattutto è uno strumento per la progettazione di percorsi di legalità, giustizia sociale e può diventare anche occasione per creare posti di lavoro. Per tale motivo Libera Calabria fa appello alle Amministrazioni locali affinché questa opportunità davvero unica non rimanga inevasa».

«Come sempre – conclude la nota – mettiamo a disposizione la nostra esperienza nel settore, per consentire un sano e proficuo confronto con soggetti che gestiscono già dei beni confiscati e con altre realtà sociali presenti nei territori interessati, onde poter veicolare e condividere idee e proposte progettuali». (rrm)

LAMEZIA – L’8 luglio la presentazione dell’evento “Patto di Limbadi”

Giovedì 8 luglio, a Lamezia Terme, alle 16.45, nella sede dello SpiCgil, è in programma la presentazione dell’evento Patto di Limbadi, in programma il 13 luglio a Limbadi.

Intervengono alla conferenza Michele AlbaneseNicola Fioritadon Marcello CozziConni AietaDon Emilio Stamile.

L’evento è stato organizzato da Università della Ricerca, della Memoria e dell’Impegno “Rossella Casini”, dall’Associazione San Benedetto AbateLibera, e prevede la partecipazione di una rappresentanza di sindaci calabresi per la firma del patto, che vuole essere un simbolo ci riferimento al Comune di Limbadi dove, su alcuni beni confiscati al clan Mancuso, è una per iniziativa dell’Associazione San Benedetto Abate, UniRiMi.

Il documento, inoltre, vuole offrire un’opportunità di riflessione e di impregno concreto per un effettivo aiuto alle imprese, che hanno deciso di denunciare il triste fenomeno del racket e dell’usura che, stante anche al pericolo di pandemia, sono in continua e preoccupante crescita.

All’evento del 13 luglio, saranno presenti, oltre al Comitato Scientifico di UniRiMi, il ministro per il Sud, Mara Carfagna, il presidente di Libera, don Luigi Ciotti e una rappresentanza di imprenditori calabresi. (rcz)

Diritti negati ai minori con disabilità, le Associazioni dei familiari scrivono alle Istituzioni

Le più importanti Associazioni di familiari di persone con disabilità, che hanno costituito il Comitato Tutela dei diritti alla salute ed alla riabilitazione nell’età evolutiva, e sostenuti dal Centro Comunitario Agape e da Libera, hanno inviato una lettera aperta alla sottosegretaria per il Sud, Dalila Nesci, al commissario ad acta Guido Longo, al dirigente del Dipartimento tutela della salute e politiche sanitarie dott. Giacomo Brancati, al Commissario Asp di Reggio Calabria, dott. Gianluigi Scaffidi, che è anche «un grido di aiuto ed una richiesta di avvio di un dialogo».

Nella lettera, si chiede «un primo incontro con il comitato. L’incontro sarà occasione per presentare le diverse proposte da inserire in agenda e che si auspica le autorità sanitarie regionali e locali vorranno prevedere per dare risposte a queste attese. È doveroso ribadire che, la sottosegretaria di Stato dott.ssa Dalila Nesci, ha già dato disponibilità ad incontrare le associazioni dei familiari che vivono in prima persona questa negazione dei diritti fondamentali quali il diritto alla salute e alla cura».

«I soggetti firmatari di questa lettera – si legge – aperta hanno preparato un dossier dal quale emerge un quadro drammatico di vere e proprie politiche di abbandono, oseremmo dire una vera e propria omissione di soccorso agite da parte del sistema sanitario regionale e locale verso queste categorie fragili. Tra questi, è doveroso segnalare che, circa mille i minori di competenza dell’Asp di Reggio Calabria, pur essendo stati da quest’ultima autorizzati, non possono iniziare i trattamenti ambulatoriali o diurni per mancanza di copertura finanziaria e di parametri nazionale di fabbisogno non più rispondenti alle attuali esigenze».

«I lunghi tempi di attesa – ha scritto il Comitato – non si possono più tollerare, soprattutto, per neonati e bambini che hanno estremo bisogno di avere diagnosi precoci e interventi tempestivi che possono risultare decisivi nella evoluzione delle patologie stesse. Esempio tra tutti è la problematica legata l’autismo che ha visto più volte scendere in piazza e protestare le mamme dei bambini interessati le quali vedono l’Asp inadempiente nella programmazione di servizi mirati che potrebbero essere svolti all’interno di strutture accreditate». 

«Sulla materia – hanno scritto ancora – insistono già molteplici provvedimenti giudiziali che sanzionano l’Asp quando non è in grado di garantire le prestazioni sanitarie previste. Diverse associazioni di familiari di minori e giovani con disabilità, con il sostegno del centro comunitario Agape e dell’associazione Libera, hanno deciso di costituirsi in un comitato che avvierà nei prossimi mesi una campagna nazionale di sensibilizzazione e di denuncia, rivolta a tutte le forze politiche e sociali, valutando anche l’adozione di strumenti di tutela legale, sia in sede di giustizia amministrativa che in quella penale». (rrc)