Libera e Legacoop Calabria insieme per valorizzare i beni confiscati

Rafforzare, in Calabria, la promozione del riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati. È questo l’obiettivo del protocollo d’intesa che sarà sottoscritto tra Libera CalabriaLegacoop Calabria il 7 marzo, alle 16.30, alla Cooperativa Terre Ioniche a Isola Capo Rizzuto, che lavora terreni confiscati alla ‘ndrangheta nel crotonese.

Nell’ambito dell’iniziativa, inoltre, verrà presentato il dossier di Libera Raccontiamo il bene, sulle pratiche di riutilizzo sociale e pubblico dei beni confiscati con testimonianze dirette di alcune cooperative.

Un racconto collettivo capace di dimostrare, una volta di più, che riutilizzare i beni confiscati per finalità pubbliche e sociali non solo ha un valore etico, culturale, politico e simbolico insostituibile, ma anche un importante valore economico, che si traduce in esperienze di imprenditorialità sociale, in contratti di lavoro, in un grande sistema di welfare, soprattutto in un contesto regionale come il nostro caratterizzato da elevati tassi di disoccupazione in particolar modo tra i giovani.

Il prossimo 7 marzo saranno trascorsi 28 anni dall’approvazione della Legge 109/96 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie, che ha rappresentato un formidabile strumento di contrasto ai clan e all’economia criminale, consentendo contestualmente di disseminare in tutta Italia esperienze di riscatto e cambiamento. Una legge, fortemente voluta dalla società civile attraverso la raccolta di oltre 1 milione di firme promossa da Libera, che determinò significativi miglioramenti alla legge Rognoni-La Torre la quale prevedeva, oltre l’inserimento nel codice penale del reato di associazione mafiosa, la sola confisca dei beni ai mafiosi.

Il 7 marzo del 1996 venne segnato un passo storico nella lotta alle mafie sia nel metodo, saldando l’aspetto repressivo con quello rigenerativo  e sociale, sia nei risultati, con la restituzione alla collettività di migliaia di beni sottratti dai poteri criminali. Tutto ciò grazie al protagonismo di un popolo variegato fatto di associazioni, cooperative sociali e del mondo del volontariato impegnati nella trasformazione da beni di “cosa nostra” ed esclusivi a beni comuni e condivisi. (rkr)

 

 

LA LETTERA / ArticoloVentuno: «Caro don Ciotti qui le coscienze ancora troppo sopite»

di ARTICOLOVENTUNO – Caro don Luigi Ciotti, grazie ancora una volta per la sua presenza a Cassano assolutamente non scontata, per le sue belle parole che prendono nettamente le distanze da una sottocultura che purtroppo anima una parte del nostro territorio e grazie a Libera per l’impegno che spende quotidianamente con il suo agire per mettere ai margini alcuni fenomeni mafiosi e paramafiosi.

La manifestazione ha rappresentato di sicuro un altro piccolo passo importante per ribadire il No alla criminalità organizzata, alla sua mentalità ed al suo modo di agire. Ma, come lei ci insegna egregiamente con la sua vita, ciò non basta.

È sempre più difficile, in pezzi di terra come il nostro, abbattere i muri dell’omertà, del silenzio e della sopraffazione.

Ritorna di nuovo a Cassano, nella città del piccolo Cocò, ma deve sapere che in questa terra, dalla sua ultima visita, purtroppo poco è cambiato. Le coscienze civili sono ancora molto, troppo assopite.

La manifestazione ha fatto emergere punti che chi ha responsabilità non dovrebbe sottovalutare, non dovrebbe nascondere come polvere sotto il tappeto, ma analizzare con assoluta lucidità.

Le manifestazioni sono l’arrivo di un percorso paziente e virtuoso e non la partenza, sono la sintesi e non la denuncia.

È l’esaltazione di ciò ch’è stato fatto e non il solito atto dovuto per accreditarsi patenti di legalità o di onestà.

Chi rischia la vita davvero ogni giorno, non può essere accomunato agli urlatori che sanno solo esaltare il nulla e lei ha fatto bene a marcarne le distanze, ma chi permette tutto ciò con troppa accondiscendenza, forse ora dovrebbe iniziare a riflettere.

Lei si è soffermato su una serie di concetti pedagogicamente preziosi, come quello del decifit etico, della sacralità delle Istituzioni che troppo spesso – a nostro avviso – è violentata in primis proprio da chi sarebbe deputato a difenderla, dall’assenza della buona politica che lascia spazio per affermarsi della cultura della mafiosità.

Guai a pensare che la mafia sia solo ciò che uccide e che lascia sul campo vittime, che spaccia o chiede il pizzo: c’è anche quella dei colletti bianchi che lei ha richiamato, della corruzione che spessissimo si annida in ogni angolo della società e fra i politicanti, di quei delitti ancor più difficili da scoprire perché appunto apparentemente non lasciano una scia di sangue.

E nella nostra terra, purtroppo, tutto ciò è forte e reprimente perché si serve di tanti fattori, fra i quali soprattutto della complicità e contiguità.

Fiumi di droga scorrono sulle nostre strade, l’illegalità e la mentalità mafiosa si radicano sempre di più e le passerelle ormai per la società civile sono considerate effimere ed alle quali ormai partecipano solo coloro che hanno sposato in pieno la logica di predicare bene e razzolare male.

Le prevaricazioni, la sopraffazione del prossimo, l’incutere paura, l’abuso ingiustificato del potere per piegare e mettere in ginocchio il dissenso, nel silenzio dei più, è ormai consuetudine.

Sempre più giovani da Cassano scappano perché non vedono opportunità e le poche che ci sono restano appannaggio di pochi privilegiati.

Diamo il proprio nome alle situazioni: si veda per esempio quello che è successo con i concorsi indetti negli ultimi anni.

Oppure quanto successo con lo scioglimento del consiglio comunale che, a distanza di anni, non ha suscitato alcuna vera discussione e la città non ha maturato un suo pensiero.

O come le recenti indagini degli inquirenti che hanno interessato larghe sacche della società ed anche uomini con cariche istituzionali e, ancora una volta, tranne qualche comunicato in legalese, nemmeno una parola sull’argomento.

Anche questo contribuisce ad aggravare il quadro della città e continuando a girarci dall’altra parte, rappresentando ai media una realtà falsata, di sicuro non facciamo il bene delle nostre comunità.
La gente ha bisogno di riscattarsi con le buone prassi e non con i comizi.

Molto bello il verbo educare che lei ha richiamato. Onestà e legalità sono valori nobili e senza tempo che oggi più che mai non serve gridare dai pulpiti, ma invece ognuno per la propria competenza praticare nel suo micro o macromondo quotidiano.

Caro don Luigi, affinché possa esserci davvero una nuova primavera per Cassano, dia dei compiti ai signori che rappresentano le Istituzioni, le agenzie educative, le associazioni sindacali che erano presenti in prima fila con le fasce e le bandiere a spellarsi le mani, e torni tra due anni ancora a verificare se quegli obiettivi prefissati sono stati raggiunti.

Il miglior antidoto per estirpare quella cultura mafiosa dal tessuto sociale resta l’esempio quotidiano di ognuno di noi, altrimenti c’è il rischio di non dare seguito, con i fatti, alle belle giornate come quelle dell’altro giorno e che tutto si esaurisca con lo spegnersi dei riflettori.

Solo così possiamo veramente avviare un percorso verso la normalità ed essere veramente Liberi. (av)

Sabato a Cassano passeggiata della legalità organizzata da Libera

Sabato 17 febbraio alle ore 10.00 presso lo slargo dell’ex caserma dei carabinieri a Cassano si terrà una passeggiata della legalità, organizzata da Libera Calabria, che terminerà in piazza Matteotti.

Il tema dell’evento è “Ora basta! Non vogliamo morire di ‘ndrangheta” e vedrà la partecipazione di don Luigi Ciotti, presidente di Libera e del Gruppo Abele che chiuderà gli interventi della giornata.

La passeggiata è «Un modo per rompere il muro del silenzio che per troppo tempo ha sovrastato, spegnendo la fiamma dell’indignazione rispetto al susseguirsi di fatti di violenza che si sono verificati in tutta l’area della Sibaritide», è scritto in una nota firmata da Libera.

«Un’escalation criminale – continua la nota – che non ha risparmiato niente e nessuno e non ha conosciuto sosta: incendi, intimidazioni di ogni tipo e omicidi. Una lunga scia di sangue che ha lasciato a terra anche donne e bambini, contro ogni “codice d’onore”, vittime innocenti, come il piccolo Cocò Campolongo. Una storia atroce e dolorosa, quella di Cocò, che ci racconta della crudeltà e della violenza inaudita della criminalità organizzata. A distanza di dieci anni da quel brutale omicidio vogliamo amplificare il monito di Papa Francesco contro gli adoratori del male, i mafiosi, che non sono in comunione con Dio e quindi sono scomunicati».

Conclude Libera: «Corriamo il rischio che quel silenzio assordante possa trasformarsi in paura, o ancora peggio in rassegnazione. Un pericolo da evitare in tutti i modi, per questo è arrivato il momento di dire basta: perché non vogliamo morire di ‘ndrangheta. Un appello, dunque, a ritrovarci tutte e tutti per mostrare il volto di una comunità che, piena di speranza, ha voglia di rialzarsi». (rcs)

Cgil Calabria: Rompere il silenzio per liberare la Calabria

Le Segreterie di Cgil Calabria e Cgil Pollino Sibaritide Tirreno hanno annunciato la propria partecipazione alla passeggiata della legalità di Libera, in programma per il 17 febbraio a Cassano allo Ionio.

«Condividiamo pienamente la necessità – si legge in una nota – che alle parole e alla retorica si unisca un gesto concreto di attivismo e partecipazione che dia il senso di una comunità e di una società che non è rassegnata, ma crede che passo dopo passo molto si possa fare, a partire proprio dal rompere il silenzio, dall’esprimere la propria indignazione e rabbia».

«Cassano è strategica in questo senso. Negli ultimi anni sono stati oltre dieci gli omicidi e si è perso il conto delle minacce non solo per chiedere il pizzo, ma anche per intimorire professionisti, giornalisti e operatori della comunicazione. Sempre a Cassano l’omicidio del piccolo Cocò Campolongo, ucciso e dato alle fiamme, una barbarie impossibile da dimenticare e che indusse anche il Papa durante la sua visita a scomunicare i mafiosi».

«Proprio a dieci anni di distanza da quell’efferato atto di violenza – conclude la nota – scegliamo di scendere in strada con Libera e don Ciotti nella “passeggiata della legalità” per mostrare il volto pulito della città e della Calabria, il non voler sottostare a nessuna forma di sopraffazione e paura. Cassano e la Calabria devono essere libere!». (rcs)

Biondo (Uil): La Calabria non vuole morire di ‘ndrangheta

«La Uil Calabria sarà al fianco di don Luigi Ciotti e di tutti coloro che scenderanno in piazza a Cassano allo Ionio perché questa terra non vuole morire di ‘ndrangheta e vuole dire basta al giogo mafioso». È quanto ha dichiarato Santo Biondo, segretario generale di Uil Calabria, annunciando l’adesione alla mobilitazione contro la ‘ndrangheta organizzata da Libera per il 17 febbraio.

«Riteniamo quella della partecipazione un’arma importante nel contrasto alla criminalità organizzata – ha aggiunto – determinante per isolare tutti coloro che fanno della violenza lo strumento per esercitare la supremazia sul territorio, per distorcere le regole del vivere democratico, per metterne sotto scacco l’economia».

«Contro il malaffare – ha ribadito – è necessario alzare il muro della legalità e ogni componente della società, in Calabria soprattutto, deve operarsi per cementare il proprio mattone, rendere questo argine invalicabile».

«L’escalation criminale che si sta registrando sul territorio di Sibari e del suo comprensorio non ci lascia tranquilli – ha concluso –gli appetiti delle cosche sono diventati famelici anche alla luce degli importanti finanziamenti che vi sono stati indirizzati e per questo, nel chiedere allo Stato una rinnovata attenzione sulla Sibaritide in particolare ma su tutta la Calabria in generale,  intendiamo unirci a tutti coloro che non vogliono più tacere». (rcs)

Domani a Vibo l’iniziativa di Libera “Contro l’indifferenza, il nostro impegno”

Domani mattina, al Cimitero di Bivona a Vibo Valentia, si terrà l’iniziativa di Libera Vibo Valentia per un momento di ritrovo in ricordo dei migranti morti durante la traversata nel Mediterraneo e lì seppelliti. 

«Nella frenesia dei nostri giorni e delle festività – si legge nella nota – vogliamo poterci fermare un attimo per comprendere il senso di cose che troppo spesso diamo per scontato e attribuire loro il reale valore che esse racchiudono: il diritto al nome, ad una storia, il diritto ai sogni e soprattutto alla vita. Vogliamo poter chiudere gli occhi e immaginarci per un istante, come nati dalla parte sbagliata del mare e nella continua lotta a difesa di una vita migliore».

«I corpi di uomini e donne che, come tanti altri – si legge ancora – si sono messi in viaggio con la speranza di costruirsi un futuro diverso e dignitoso ma che purtroppo, hanno perso la vita tra le onde, ora giacciono in freddi loculi senza né foto né nome, senza neppure un piccolo vaso dove poter porgere un fiore o qualcuno che sussurri una preghiera. Lì sono sepolte le giovani speranze di chi dopo aver conosciuto la violenza e l’orrore della guerra, le brutture della povertà e della degenza, si avvicinava alle grandi e -ai loro occhi- salvifiche, porte dell’Europa rivendicando soltanto un tempo di pace, di diritti e di uguaglianza, un tempo in cui poter vivere senza paura, in cui poter essere finalmente protagoniste e protagonisti dei loro destini». 

«L’anno che abbiamo trascorso è stato segnato da diverse tragedie – viene ricordato –; le guerre e le migrazioni ci hanno mostrato la fragilità di un’umanità che fatica a riconoscersi uguale, le fatiche, gli ostacoli e le paure di chi si mette in cammino con il sogno di una vita nuova, lontana da distruzione e morte. I morti di Cutro sono venuti a bussare alle nostre coscienze, quelle di un Occidente sordo e cinico che si volta dall’altra parte». 

«Il tema delle migrazioni divide il Paese quando invece, dovrebbe trovarci tutte e tutti dalla stessa parte – si legge ancora – quella di chi è pronto ad accogliere, di chi riflette con il desiderio di guardare lontano, di chi vive dell’amore riscoperto e ritrovato in una nuova umanità. Quello che abbiamo perso e che dovremmo riscoprire è il sentimento dell’empatia: guardare gli altri e riconoscere in loro noi stessi. Vogliamo iniziare il nuovo anno con la promessa di una solidarietà che si faccia concreto atto d’amore verso gli ultimi e derelitti, carichi di un’indignazione per ogni potere violento ed escludente che possa farsi impegno e responsabilità, bramosi di verità e attenti ricercatori oltre gli schemi e le categorie che ci vengono propinate, dubbiosi ed eretici».

«Solo così possiamo farci promotori e difensori di un vento che possa stravolgere l’indifferenza, che possa gettare giù i muri dell’intolleranza, che possa fermare l’eresia di chi di fronte a uomini e donne che sfuggono da fame, guerre e disperazione, parla di difesa dei confini e di “carico residuale” – si legge – un vento che possa trasportare le singole parole della nostra preghiera laica per una società a portata d’uomo qualsiasi sia il suo colore della pelle, il suo orientamento sessuale, politico o religioso, la sua etnia o il suo paese di appartenenza, oltre i confini del tempo, dello spazio e del silenzio».

«Vogliamo iniziare – conclude la nota – il nuovo anno chiedendoci che società siamo e che società vogliamo essere per trovare risposte alle nostre domande e senso al nostro impegno». (rvv)

 

«IL PORTO DI GIOIA TAURO È L’HUB DELLA
COCAINA», MA LO STATO C’È E SI SENTE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Le proiezioni della ‘ndrangheta sembrano manifestarsi sia nei piccoli porti calabresi (Amantea, Badolato, Cetraro, Corigliano Calabro, Isola di Capo Rizzuto, Tropea, Crotone), sia nell’importante hub di Gioia Tauro. È quanto emerso dal Rapporto Il Diario di Bordo. Storie, dati e meccanismi delle proiezioni criminali nei porti italiani di Libera.

E proprio Gioia Tauro, viene evidenziato nel Rapporto, oggi è uno dei porti strategici per l’importazione della cocaina in Europa. I numeri dei sequestri sono ingentissimi e danno l’idea dei guadagni enormi che fa la ndrangheta la quale, grazie a questi business sta comprando mezza Europa: ad Aprile del 2023 la Guardia di Finanza e le Dogane hanno comunicato che nei due anni precedenti erano stati sequestrati solo a Gioia Tauro, ben 38 tonnellate di cocaina, circa il 93,7% di quella sequestra in tutta Italia.

«Si comunicò che era stata alzata la percentuale dei sequestri da una media dell’8 – 10% al 20-22%. Ciò significa – viene spiegato – che se sono state sequestrate 38 tonnellate in due anni ne sono passate oltre 150 tonnellate, destinate in tutta Europa e non solo nel nostro paese. Basta fermarsi un attimo per calcolare il valore sulle piazze di spaccio di oltre 150 tonnellate di coca che una volta tagliate valgono ben 600 tonnellate per immaginare gli ingentissimi guadagni che stanno alla base del business. Miliardi e miliardi di euro, molti di più di una finanziaria dello Stato, che drogano il mercato legale con flussi di economia illegale, condizionando i sistemi delle relazioni economiche e sociali del nostro Paese e non solo».

«Questi dati – ha dichiarato Giuseppe Borrello, Referente regionale di Libera Calabria – confermano, anche, una sempre maggiore incisività dell’azione della magistratura e delle forze dell’ordine nel contrasto e nella prevenzione del malaffare nello scalo portuale di Gioia Tauro. Un’attività continua e costante la quale deve mirare a rendere ancora più sicuro, da qualsiasi tipo di infiltrazione mafiosa, un porto che, per le sue caratteristiche e posizione, continua ad essere strategico per lo sviluppo della Calabria e dell’intera area del Mediterraneo».

Ma l’ombra della ‘ndrangheta non si ferma solo nella regione: le attività illecite coinvolgono altri porti del Sud Italia (Napoli e Salerno), del Centro Italia (come Livorno) e del Nord-Est (Venezia e Trieste). Particolarmente significativo sembra il caso della Liguria dove proiezioni della ‘ndrangheta sembrano coinvolgere tutti i principali porti: Genova, La Spezia, Vado Ligure e Savona. Seppure le mafie giocano un ruolo rilevante non sono gli unici attori coinvolti, dato che, spesso è necessario il contributo di più soggetti, in molti casi appartenenti all’area dell’economia legale: lavoratori del porto, dipendenti pubblici, imprenditori e professionisti dell’economia marittima mentre per i traffici illegali, spesso è necessario il contributo di chi produce, chi imbarca, chi si occupa del trasferimento, chi recupera il carico, chi lo fa uscire dall’area portuale e chi si occupa della distribuzione.

Gli scali marittimi rappresentano per i gruppi criminali un’opportunità per incrementare i propri profitti e per rafforzare collusioni. I porti, infatti, possono essere considerati come un punto di arrivo, transito, scambio e intersezione, in cui persone e merci si muovono e vengono movimentate, generando ricchezza: da un lato i business creati dai traffici, dall’altro gli investimenti necessari per mantenere le infrastrutture operative, entrambi possibili campi di espansione degli interessi criminali. È stato evidenziato nel corso della presentazione del Rapporto, a cura di Francesca Rispoli, Marco Antonelli e Peppe Ruggiero, in cui sono stati elaborati i dati provenienti dalla rassegna stampa Assoporti, dalle relazioni della Commissione Parlamentare Antimafia, della DIA, della DNAA, dell’Agenzia delle Dogane e della Guardia di Finanzia. 

«Gli affari vanno in porto. Nel corso del 2022 all’interno dei porti italiani – commenta Libera – si sono registrati 140 casi di criminalità, circa un episodio ogni 3 giorni, che sono avvenuti in 29 porti, di cui 23 di rilievo nazionale, che corrispondono al 40%. Dei 140 casi, l’85,7% riguarda attività illegali di importazione di merce o prodotti, il 7,9% riguardano attività illegali di esportazione di merce o di prodotti, il 2,9%  riguarda sequestri di merce in transito, mentre il restante è relativo ad altri fenomeni illeciti non classificabili. Analizzando le attività portate avanti dagli attori criminali, possiamo notare che solo una minima parte riguardano la proiezione nell’economia legale del porto, mentre in 136 casi si tratta di attività illecite».

«In questo ultimo caso il dato – dice ancora l’Associazione – che spicca maggiormente riguarda il traffico di merce contraffatta, pari al 49,3% dei casi mappati, seguito dal traffico di stupefacenti con il 23,2% e il contrabbando con l’11,6%. In misura marginale seguono episodi relativi a illeciti valutari (5,8%), al traffico illecito di rifiuti (2,9%). Il maggior numero di casi di criminalità sono stati individuati nel Porto di Ancona(15 casi) segue il Porto di Genova con 14 casi e Napoli e Palermo con 11».

I porti sono Cosa nostra. Analizzando le relazioni della Direzione Nazionale Antimafia e della Direzione Investigativa Antimafia, pubblicate tra il 2006 e il 2022  più di un porto italiano su sette è stato oggetto degli interessi della criminalità organizzata Sono almeno 54 i porti italiani che sono stati oggetto di proiezioni criminali, con la partecipazione di almeno 66 clan, che hanno operato in attività di business illegali e legali. Tra di esse, spiccano le tradizionali mafie italiane: ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra. Compaiono, però, anche altre organizzazioni criminali di origine italiana: banda della Magliana, Sacra Corona Unita e gruppi criminali baresi. Si trovano, inoltre, le proiezioni di diversi gruppi di cui viene indicata esclusivamente la provenienza geografica (o perché dove svolgono le principali attività, o per l’origine territoriale dei membri) come asiatici, dell’Est Europa, del Nord Africa, o oppure precisando la nazione di provenienza, Albania, Cina, Messico e Nigeria.  Su 66 clan ben 41 sono gruppi di ‘ndrangheta che  operano in diversi mercati illeciti: traffico di rifiuti, traffico di armi, contrabbando sigarette e TLE, traffico di prodotti contraffatti, estorsioni e usura, e soprattutto traffico di stupefacenti.

«Il report – commentano Marco Antonelli e Francesca Rispoli di Libera  ha come obiettivo generale quello di realizzare una fotografia delle modalità e degli andamenti con cui i fenomeni criminali si manifestano in ambito portuale, con una particolare attenzione al caso italiano e al ruolo delle organizzazioni mafiose. La prospettiva di analisi utilizzata prova a mettere in luce le dinamiche di interazione tra fenomeni illegali e attori dell’economia legale, per mettere in evidenza non solo l’azione dei gruppi criminali, ma soprattutto le condizioni di contesto che permettono ai gruppi di operare».

«In Italia, alcune istituzioni se ne sono occupate, ma, nonostante la centralità del sistema portuale per l’economia del Paese e la rilevanza della criminalità organizzata italiana nello scacchiere internazionale – hanno evidenziato – manca un’analisi più ampia del fenomeno. Nel dibattito pubblico, infatti, le riflessioni sul tema emergono solitamente in concomitanza con i grandi arresti condotti dalle forze dell’ordine o in occasione dei maxi-sequestri di stupefacenti o altri materiali illegali. La narrazione, però, risulta essere spesso allarmista, mentre sembra essere necessaria un’analisi puntuale che metta in mostra non solo l’azione dei gruppi criminali, ma anche le criticità degli stessi porti».

«In conclusione – hanno detto gli esponenti di Libera – gli scali sembrano essere uno snodo strategico e di fondamentale importanza per i gruppi criminali, che possono sfruttare l’infrastruttura e i collegamenti per svariati scopi. Un tema su cui, però, il dibattito politico sembra ancora troppo timido. In questo senso, il rafforzamento del coordinamento tra autorità giudiziaria, forze dell’ordine, autorità pubbliche presenti nel porto e imprese private che lì operano sembra essere una delle principali esigenze su cui intervenire, non solo in ottica repressiva, ma, soprattutto, preventiva. Una maggiore consapevolezza da parte degli attori che operano in ambito portuale – pubblici e privati – dei rischi criminali e corruttivi che caratterizzano la vita degli scali, sembra essere la precondizione per la promozione di contesti meno predisposti a scambi illeciti, nonché per la predisposizione di politiche di sviluppo coerenti con queste finalità».

La centralità nelle rotte commerciali, così come la permeabilità del tessuto socioeconomico, hanno reso alcuni scali più attrattivi di altri. Inoltre, negli ultimi anni possiamo riscontrare come alcuni porti – ad esempio Vado Ligure – abbiano trovato sempre maggiore spazio. Questo può far ipotizzare un processo di diversificazione ed espansione delle attività della criminalità organizzata anche in differenti scali. Una tendenza che può avvenire per diversi motivi, sicuramente legati al funzionamento stesso del porto: la dimensione economica, il contesto politico e istituzionale, le opportunità criminali create dagli attori operanti all’interno dell’area. Non è solo l’elemento geografico a fare la differenza, ma il contesto portuale.

Non solo Italia. La DCSA nella relazione del 2023 ha riservato un approfondimento sull’analisi dei traffici internazionali di cocaina via mare. Secondo quanto ricostruito, «nel 2020, in particolare, sono stati realizzati 520 sequestri di cocaina, segnalati da 12 Stati Membri dell’UE (Belgio, Bulgaria, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Spagna) e da 3 Paesi al di fuori dell’UE (Russia, Ucraina, Regno Unito)».

La relazione prosegue sostenendo che: «L’entità della cocaina sequestrata ammonta a 282 tonnellate, rinvenuta in 75 porti diversi, distribuiti come segue: 301 sequestri (171 tonnellate) in 35 porti dell’UE; 11 sequestri (2 tonnellate) in 6 porti in Paesi extra UE; 206 sequestri (108 tonnellate) in 32 porti dell’America Latina;1 sequestro (0,5 tonnellate) in un porto dell’Africa;1 sequestro (0,5 tonnellate) in un porto del Nord America. In sostanza, nel 2020, 108 tonnellate di cocaina, dirette in Europa, sono state sequestrate in porti di partenza situati in America Latina e circa 171 tonnellate (circa l’80% della cocaina intercettata in Europa, pari a 213 tonnellate) sono state sequestrate nei principali porti container dell’Unione Europea». (ams)

PNRR, MANCANO I DATI DELLA CALABRIA E SOLO CROTONE E VIBO SONO “VIRTUOSI”

di FRANCESCO CANGEMIIn Calabria il 100% dei capoluoghi di provincia non ha fornito dati sui progetti del Pnnr attraverso domanda di accesso civico “generalizzato” (la cosiddetta Foia). Il drammatico dato emerge dalla seconda edizione del Rapporto che fotografa l’attivazione e la conoscibilità dei progetti del Pnnr presentato da Libera e Gruppo Abele.

«In Calabria – commenta Giuseppe Borrello, referente regionale di Libera Calabria – considerando l’assenza dei dati dei capoluoghi di provincia, i calabresi non sono posti nelle condizioni di sapere dove il Pnrr si stia concretizzando in Calabria. Chiediamo trasparenza e inclusione nelle scelte e nella rendicontazione del Pnrr a livello locale. Per capire davvero dove sia il Pnrr, il rispetto dei principi della completezza e della certezza dei dati dovrebbe essere un’indispensabile premessa. Tuttavia, i risultati che presentiamo vanno nella direzione opposta e la trasparenza è ancora una chimera, nonostante l’allarme lanciato dalle procure calabresi sul pericolo delle infiltrazioni della ‘ndrangheta sui fondi del Pnrr. In una situazione molto delicata, come quella calabrese, solo la trasparenza, presupposto essenziale per il monitoraggio “dal basso”, può rappresentare l’antidoto più efficace contro ogni forma di corruzione e infiltrazione. Non possiamo perdere l’occasione del Pnrr. Il cambiamento passa per la capacità dello Stato di garantire partecipazione e rendicontabilità».

Libera e Gruppo Abele spiegano che da mesi si parla di Pnrr di bandi, di riformulazione di progetti ma la verità è che il Pnrr continua ad essere un piano misterioso: siti istituzionali incompleti, dati che non coincidono, una trasparenza che viaggi su binari diversi e mai coincidenti.

Il rapporto curato Progetto Common – Comunità monitoranti di Libera e Gruppo Abele in collaborazione con la rivista “lavialibera” è un monitoraggio civico che ha visto la partecipazione di 124 volontarie e volontari dei presidi territoriali di Libera.

In Calabria, è stato possibile mappare solo 4 progetti, per una spesa totale di circa 1 milione e 700mila euro, nei soli comuni di Crotone e Vibo Valentia attraverso la pubblicazione dei dati in Amministrazione Trasparente. Confrontando il dataset di Libera con i dati sui progetti di Pnrr rilasciato in Italia Domani (giugno 2023) in Calabria: 2 progetti dei 4 mappati da Libera non sono presenti (o almeno non sono coincidenti) nel database istituzionale.

Ai capoluoghi di provincia è stato chiesto, attraverso la domanda di accesso civico “generalizzato” (cosiddetta Foia, acronimo di Freedom of information act), di fornire informazioni e dati circa la quantità di denaro speso per singolo progetto, l’origine di quel denaro (chi è il soggetto titolare) e l’obiettivo di ogni progetto. In Calabria nessun capoluogo di provincia ha risposto positivamente inviando i documenti richiesti. Un triste primato assoluto, unico caso in Italia, che evidenzia nella nostra regione la grandissima difficoltà di raccogliere dati utili sugli interventi concreti del Pnrr.

«Davanti questa fotografia – scrivono le due organizzazioni – non ci sorprende se secondo una recente indagine di Demos per Libera il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) viene dipinto come un oggetto misterioso nella percezione delle cittadine e dei cittadini. Circa sette intervistati su dieci (68%) affermano di averne “nessuna” o “scarsa conoscenza”. Contestualmente, la stessa indagine mostra che è alta la preoccupazione che la grande mole di denaro impiegata in investimenti pubblici possa favorire infiltrazioni mafiose. Infatti, ben l’88% degli intervistati ritiene che il Pnrr – per quanto avvolto in una nebbia di incertezza sulla sua reale natura – sia comunque a rischio di corruzione e infiltrazioni mafiose, presumibilmente al pari di ogni altra forma di investimento di risorse pubbliche in Italia».

Cinque le questioni sollevate dal rapporto di Libera e Gruppo Abele al decisore nazionale e locale, rispetto al Pnrr: «Perché i dati da noi raccolti interpellando i Comuni non coincidono con quelli istituzionali? E che ne è dell’unicità del dato per i progetti di Pnrr? Come facciamo a ricostruire la filiera informativa dei progetti di Pnrr fin dalla fase decisionale, se vengono cambiati in corsa gli elementi tramite i quali poter confrontare i dati? Quando è prevista la pubblicazione del portale di Pnrr fondato su “trasparenza, semplicità, immediatezza e personalizzazione”, per come promesso nel Pnrr stesso? Perché questo duplice rilascio con tempistiche inusuali? E con quale frequenza saranno aggiornati i dati d’ora in avanti? Quanti e quali sono quindi i progetti di Pnrr oggi attivi in Italia?».

In seguito alla gran confusione e l’impossibilità di ottenere informazioni pulite e chiare in un clima politico insofferente a qualsiasi forma di controllo esterno, Libera e Gruppo Abele avanzano al Governo due proposte: istituire un portale unico nazionale che diffonda i dati aggiornati e trasparenti sul Piano; alle amministrazioni comunali di dotarsi di pagine specifiche per i progetti, così che non possano esserci dubbi sul come e il perché un comune decida di utilizzare le risorse del Piano.

«Come Libera e Gruppo Abele – scrivono nel rapporto – riteniamo che un buon modo per generare un modello di attuazione del Pnrr che risulti più resistente all’infiltrazione corruttiva e dei clan è nella ricerca di risposte alle cinque domande che presentiamo in questo report, capaci di attivare un processo virtuoso che può e deve tradursi in soluzioni organizzative concrete da parte dei decisori, tanto a livello nazionale che locale». (fc)

Legambiente e Libera insieme nella Giornata della Memoria e dell’Impegno del 21 marzo

A Piazza Castello di Reggio Calabria si è svolta una cerimonia per ricordare tutte le vittime di mafia, promossa dal Circolo di Reggio Calabria “Città dello Stretto” di Legambiente insieme a Libera.

Un momento che ha visto la lettura dei nomi delle vittime di tutte le mafie, come di consueto, e che è stato dedicato in maniera particolare al vigile urbano Giuseppe Macheda e all’ispettore del lavoro Demetrio Quattrone. Barbaramente uccisi per avere adempiuto alle loro funzioni, rispettivamente nel 1985 e nel 1991, proprio a Reggio Calabria, le loro sono storie di ordinario coraggio in una città piegata allora dal clima mafioso e dal malaffare. Esempi di correttezza e rettitudine che meritano di essere ricordati sempre, per questo motivo in loro memoria sarà piantato un albero di ciliegio nello spazio verde della piazza.

Alla cerimonia hanno preso parte Elena Crucitti, referente di Libera, Daniele Cartisano, per il circolo reggino di Legambiente, Simona Spagna dell’Agesci, la viceprefetto Maria Stefania Caracciolo, il presidente della Corte d’Appello Bruno Muscolo.

Nella mattina a Palmi un altro momento importante, il ricordo di Giuseppe Bova, giornalista e ambientalista prematuramente scomparso lo scorso febbraio. In sua memoria, grazie alla sensibilità del Comune di Palmi e alla partecipazione della famiglia e degli amici, è stato piantato un albero di melograno in un terreno confiscato alla mafia, in contrada Scinà. Un piccolo gesto per una persona generosa e appassionata, che amava la Calabria e si dedicava alla sua difesa e valorizzazione.

Nel ricordo di tutti quelli che hanno sancito con la loro vita l’impegno per la bellezza, la verità e la giustizia, il circolo reggino di Legambiente continua le sue attività, accanto alle numerose realtà e alle persone che negli anni e oggi ancora ne condividono i valori e gli obiettivi. (rrc)

Le Scuole reggine abbracciano le vittime innocenti di mafia

È con il lancio, verso il cielo, dei palloncini colorati, che i ragazzi delle scuole reggine hanno espresso la loro vicinanza alle vittime innocenti di mafia. Un gesto che ha chiuso la manifestazione svoltasi a Piazza Castello di Reggio Calabria, organizzata dal Centro Comunitario Agape insieme a Pesce Rosso e Libera, per vivere un momento di memoria collettiva di persone che hanno pagato con la vita la violenza mafiosa.

Le prime a raccogliere l’appello sono state l’istituto comprensivo Galilei Galilei ed il convitto Campanella, i più vicini  anche geograficamente allo spazio di piazza castello dedicato ad alcune vittime calabresi attraverso dello opere in legno che sono state restaurate.A seguire  il De Amicis, lo Spanò Bolani, i Licei Vinci e Tommaso Campanella, il Panella Vallauri, il Carducci, Lazzarini, il Piria,il Fermi Boccioni.
Lucia Lipari, presidente di Agape, dopo avere ringraziato le forze dell’ordine presenti, ha ricordato che la giornata della memoria che vede la lettura dei nomi delle vittime innocenti di mafia è nata su input di quei  familiari che non accettavano che i loro congiunti fossero definiti in modo anonimo come “uomini della scorta” del magistrato ucciso, senza che avessero un nome ed un riconoscimento del loro sacrificio.
Mimmo Nasone di Libera ha chiesto ai ragazzi di continuare ad approfondire assieme ai loro insegnanti la conoscenza delle storie di chi ha perso la vita per mano mafiosa, un dovere da onorare per diventare uomini che rifiutano le logiche dell’omertà e della indifferenza. Stefania Caracciolo, vice prefetto, ha sottolineato che la grande partecipazione dei ragazzi a questo evento è un segno di speranza che le cose possono cambiare se le nuove generazioni si sentono protagonisti nella lotta contro questo male che soffoca la nostra terra scoraggiando anche gli imprenditori ha investire per creare lavoro.
Il momento più importante è stato quello della lettura dei nomi delle vittime calabresi da parte dei ragazzi delle scuole partecipanti e da Adriana Musella figlia dell’imprenditore caduto nella guerra che  mafia ha dichiarato a chi si oppone ai suoi disegni criminosi.
Un minuto di silenzio è stato dedicato alle vittime del naufragio di Cutro, anch’essi vittime di un sistema criminale che li sfrutta e che non garantisce accoglienza e integrazione. Quasi cinquecento i ragazzi che hanno partecipato portando una ventata di freschezza a questo momento di memoria che diventa impegno con la scuola che li aiuta a vivere con gli occhi aperti il loro cammino formativo educandoli alla cittadinanza ed alla responsabilità. (rrc)