È QUANTO EMERGE DAL RAPPORTO "DIARIO DI BORDO" DI LIBERA, CHE PLAUDE AL CONTINUO LAVORO DI LEGALITÀ;
Uno dei tanti sequestri di cocaina al Porto di Gioia Tauro

«IL PORTO DI GIOIA TAURO È L’HUB DELLA
COCAINA», MA LO STATO C’È E SI SENTE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Le proiezioni della ‘ndrangheta sembrano manifestarsi sia nei piccoli porti calabresi (Amantea, Badolato, Cetraro, Corigliano Calabro, Isola di Capo Rizzuto, Tropea, Crotone), sia nell’importante hub di Gioia Tauro. È quanto emerso dal Rapporto Il Diario di Bordo. Storie, dati e meccanismi delle proiezioni criminali nei porti italiani di Libera.

E proprio Gioia Tauro, viene evidenziato nel Rapporto, oggi è uno dei porti strategici per l’importazione della cocaina in Europa. I numeri dei sequestri sono ingentissimi e danno l’idea dei guadagni enormi che fa la ndrangheta la quale, grazie a questi business sta comprando mezza Europa: ad Aprile del 2023 la Guardia di Finanza e le Dogane hanno comunicato che nei due anni precedenti erano stati sequestrati solo a Gioia Tauro, ben 38 tonnellate di cocaina, circa il 93,7% di quella sequestra in tutta Italia.

«Si comunicò che era stata alzata la percentuale dei sequestri da una media dell’8 – 10% al 20-22%. Ciò significa – viene spiegato – che se sono state sequestrate 38 tonnellate in due anni ne sono passate oltre 150 tonnellate, destinate in tutta Europa e non solo nel nostro paese. Basta fermarsi un attimo per calcolare il valore sulle piazze di spaccio di oltre 150 tonnellate di coca che una volta tagliate valgono ben 600 tonnellate per immaginare gli ingentissimi guadagni che stanno alla base del business. Miliardi e miliardi di euro, molti di più di una finanziaria dello Stato, che drogano il mercato legale con flussi di economia illegale, condizionando i sistemi delle relazioni economiche e sociali del nostro Paese e non solo».

«Questi dati – ha dichiarato Giuseppe Borrello, Referente regionale di Libera Calabria – confermano, anche, una sempre maggiore incisività dell’azione della magistratura e delle forze dell’ordine nel contrasto e nella prevenzione del malaffare nello scalo portuale di Gioia Tauro. Un’attività continua e costante la quale deve mirare a rendere ancora più sicuro, da qualsiasi tipo di infiltrazione mafiosa, un porto che, per le sue caratteristiche e posizione, continua ad essere strategico per lo sviluppo della Calabria e dell’intera area del Mediterraneo».

Ma l’ombra della ‘ndrangheta non si ferma solo nella regione: le attività illecite coinvolgono altri porti del Sud Italia (Napoli e Salerno), del Centro Italia (come Livorno) e del Nord-Est (Venezia e Trieste). Particolarmente significativo sembra il caso della Liguria dove proiezioni della ‘ndrangheta sembrano coinvolgere tutti i principali porti: Genova, La Spezia, Vado Ligure e Savona. Seppure le mafie giocano un ruolo rilevante non sono gli unici attori coinvolti, dato che, spesso è necessario il contributo di più soggetti, in molti casi appartenenti all’area dell’economia legale: lavoratori del porto, dipendenti pubblici, imprenditori e professionisti dell’economia marittima mentre per i traffici illegali, spesso è necessario il contributo di chi produce, chi imbarca, chi si occupa del trasferimento, chi recupera il carico, chi lo fa uscire dall’area portuale e chi si occupa della distribuzione.

Gli scali marittimi rappresentano per i gruppi criminali un’opportunità per incrementare i propri profitti e per rafforzare collusioni. I porti, infatti, possono essere considerati come un punto di arrivo, transito, scambio e intersezione, in cui persone e merci si muovono e vengono movimentate, generando ricchezza: da un lato i business creati dai traffici, dall’altro gli investimenti necessari per mantenere le infrastrutture operative, entrambi possibili campi di espansione degli interessi criminali. È stato evidenziato nel corso della presentazione del Rapporto, a cura di Francesca Rispoli, Marco Antonelli e Peppe Ruggiero, in cui sono stati elaborati i dati provenienti dalla rassegna stampa Assoporti, dalle relazioni della Commissione Parlamentare Antimafia, della DIA, della DNAA, dell’Agenzia delle Dogane e della Guardia di Finanzia. 

«Gli affari vanno in porto. Nel corso del 2022 all’interno dei porti italiani – commenta Libera – si sono registrati 140 casi di criminalità, circa un episodio ogni 3 giorni, che sono avvenuti in 29 porti, di cui 23 di rilievo nazionale, che corrispondono al 40%. Dei 140 casi, l’85,7% riguarda attività illegali di importazione di merce o prodotti, il 7,9% riguardano attività illegali di esportazione di merce o di prodotti, il 2,9%  riguarda sequestri di merce in transito, mentre il restante è relativo ad altri fenomeni illeciti non classificabili. Analizzando le attività portate avanti dagli attori criminali, possiamo notare che solo una minima parte riguardano la proiezione nell’economia legale del porto, mentre in 136 casi si tratta di attività illecite».

«In questo ultimo caso il dato – dice ancora l’Associazione – che spicca maggiormente riguarda il traffico di merce contraffatta, pari al 49,3% dei casi mappati, seguito dal traffico di stupefacenti con il 23,2% e il contrabbando con l’11,6%. In misura marginale seguono episodi relativi a illeciti valutari (5,8%), al traffico illecito di rifiuti (2,9%). Il maggior numero di casi di criminalità sono stati individuati nel Porto di Ancona(15 casi) segue il Porto di Genova con 14 casi e Napoli e Palermo con 11».

I porti sono Cosa nostra. Analizzando le relazioni della Direzione Nazionale Antimafia e della Direzione Investigativa Antimafia, pubblicate tra il 2006 e il 2022  più di un porto italiano su sette è stato oggetto degli interessi della criminalità organizzata Sono almeno 54 i porti italiani che sono stati oggetto di proiezioni criminali, con la partecipazione di almeno 66 clan, che hanno operato in attività di business illegali e legali. Tra di esse, spiccano le tradizionali mafie italiane: ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra. Compaiono, però, anche altre organizzazioni criminali di origine italiana: banda della Magliana, Sacra Corona Unita e gruppi criminali baresi. Si trovano, inoltre, le proiezioni di diversi gruppi di cui viene indicata esclusivamente la provenienza geografica (o perché dove svolgono le principali attività, o per l’origine territoriale dei membri) come asiatici, dell’Est Europa, del Nord Africa, o oppure precisando la nazione di provenienza, Albania, Cina, Messico e Nigeria.  Su 66 clan ben 41 sono gruppi di ‘ndrangheta che  operano in diversi mercati illeciti: traffico di rifiuti, traffico di armi, contrabbando sigarette e TLE, traffico di prodotti contraffatti, estorsioni e usura, e soprattutto traffico di stupefacenti.

«Il report – commentano Marco Antonelli e Francesca Rispoli di Libera  ha come obiettivo generale quello di realizzare una fotografia delle modalità e degli andamenti con cui i fenomeni criminali si manifestano in ambito portuale, con una particolare attenzione al caso italiano e al ruolo delle organizzazioni mafiose. La prospettiva di analisi utilizzata prova a mettere in luce le dinamiche di interazione tra fenomeni illegali e attori dell’economia legale, per mettere in evidenza non solo l’azione dei gruppi criminali, ma soprattutto le condizioni di contesto che permettono ai gruppi di operare».

«In Italia, alcune istituzioni se ne sono occupate, ma, nonostante la centralità del sistema portuale per l’economia del Paese e la rilevanza della criminalità organizzata italiana nello scacchiere internazionale – hanno evidenziato – manca un’analisi più ampia del fenomeno. Nel dibattito pubblico, infatti, le riflessioni sul tema emergono solitamente in concomitanza con i grandi arresti condotti dalle forze dell’ordine o in occasione dei maxi-sequestri di stupefacenti o altri materiali illegali. La narrazione, però, risulta essere spesso allarmista, mentre sembra essere necessaria un’analisi puntuale che metta in mostra non solo l’azione dei gruppi criminali, ma anche le criticità degli stessi porti».

«In conclusione – hanno detto gli esponenti di Libera – gli scali sembrano essere uno snodo strategico e di fondamentale importanza per i gruppi criminali, che possono sfruttare l’infrastruttura e i collegamenti per svariati scopi. Un tema su cui, però, il dibattito politico sembra ancora troppo timido. In questo senso, il rafforzamento del coordinamento tra autorità giudiziaria, forze dell’ordine, autorità pubbliche presenti nel porto e imprese private che lì operano sembra essere una delle principali esigenze su cui intervenire, non solo in ottica repressiva, ma, soprattutto, preventiva. Una maggiore consapevolezza da parte degli attori che operano in ambito portuale – pubblici e privati – dei rischi criminali e corruttivi che caratterizzano la vita degli scali, sembra essere la precondizione per la promozione di contesti meno predisposti a scambi illeciti, nonché per la predisposizione di politiche di sviluppo coerenti con queste finalità».

La centralità nelle rotte commerciali, così come la permeabilità del tessuto socioeconomico, hanno reso alcuni scali più attrattivi di altri. Inoltre, negli ultimi anni possiamo riscontrare come alcuni porti – ad esempio Vado Ligure – abbiano trovato sempre maggiore spazio. Questo può far ipotizzare un processo di diversificazione ed espansione delle attività della criminalità organizzata anche in differenti scali. Una tendenza che può avvenire per diversi motivi, sicuramente legati al funzionamento stesso del porto: la dimensione economica, il contesto politico e istituzionale, le opportunità criminali create dagli attori operanti all’interno dell’area. Non è solo l’elemento geografico a fare la differenza, ma il contesto portuale.

Non solo Italia. La DCSA nella relazione del 2023 ha riservato un approfondimento sull’analisi dei traffici internazionali di cocaina via mare. Secondo quanto ricostruito, «nel 2020, in particolare, sono stati realizzati 520 sequestri di cocaina, segnalati da 12 Stati Membri dell’UE (Belgio, Bulgaria, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Spagna) e da 3 Paesi al di fuori dell’UE (Russia, Ucraina, Regno Unito)».

La relazione prosegue sostenendo che: «L’entità della cocaina sequestrata ammonta a 282 tonnellate, rinvenuta in 75 porti diversi, distribuiti come segue: 301 sequestri (171 tonnellate) in 35 porti dell’UE; 11 sequestri (2 tonnellate) in 6 porti in Paesi extra UE; 206 sequestri (108 tonnellate) in 32 porti dell’America Latina;1 sequestro (0,5 tonnellate) in un porto dell’Africa;1 sequestro (0,5 tonnellate) in un porto del Nord America. In sostanza, nel 2020, 108 tonnellate di cocaina, dirette in Europa, sono state sequestrate in porti di partenza situati in America Latina e circa 171 tonnellate (circa l’80% della cocaina intercettata in Europa, pari a 213 tonnellate) sono state sequestrate nei principali porti container dell’Unione Europea». (ams)