L’OPINIONE / Daniela Palaia: Per Occhiuto Calabria Straordinaria… tranne Catanzaro

di DANIELA PALAIA – Diciannove Comuni calabresi hanno visto riconosciuti i propri sforzi nell’accoglienza dei turisti per la stagione balneare e sono stati insigniti della prestigiosa Bandiera Blu. Ma per il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, a ottenere il riconoscimento sono stati diciotto Comuni e la frazione di un quartiere del Capoluogo di Regione.

Sì, perché nel video promozionale orgogliosamente diffuso sui suoi profili social, il presidente ha scelto di menzionare Giovino anziché Catanzaro.

Se fossimo a scuola, nell’ora di italiano, faremmo i complimenti a Occhiuto per aver fatto uso della sineddoche, una figura retorica in cui si usa una parte per riferirsi al tutto. Ma purtroppo la scuola è finita da un pezzo e qui bisogna guardare al dato oggettivo: per il presidente della Regione Calabria, Catanzaro non esiste e non ha neanche il pudore di confidarlo soltanto ai suoi più stretti collaboratori, ma anzi lo sottolinea apertamente.

D’altronde non c’era neanche bisogno di dirlo così chiaramente, visto che dall’agenda politica della Regione Calabria il capoluogo è sistematicamente escluso con scelte che ne ridimensionano il ruolo, le funzioni e le prospettive: si pensi al duplicazione della facoltà di Medicina, alla riduzione dei fondi ATO per le politiche sociali, alla individuazione penalizzante della sede di un concorso regionale.

Sarebbe troppo facile scaricare la responsabilità del fatto su chi cura la comunicazione del presidente e sarebbe anche vigliacco farlo. La verità – ed è giusto che lo si ammetta pubblicamente – è che Catanzaro e i suoi abitanti, i suoi rappresentanti politici e il suo territorio per Occhiuto, se va bene, vengono per ultimi.

Allora mi si permetta di suggerire al presidente un nuovo claim turistico più aderente alla sua visione: non più Calabria Straordinaria, ma Calabria (tranne Catanzaro) Straordinaria”. (dp)

[Daniela Palaia è consigliera comunale di Catanzaro]

L’OPINIONE / Vincenzo Speziali: Anniversario morte Moro sia vissuto all’insegna della sua devozione

di VINCENZO SPEZIALI – Questo ennesimo e doloroso anniversario della morte del Presidente Aldo Moro (sono passati ben quarantacinque lunghissimi e strazianti anni) lo si vive  – o così dovremmo tutti fare o almeno in tal modo sento io di farlo io! – all’insegna della sua devozione e cercando di essere come lui ci ha insegnato.
Moro, sempre Moro, solo Moro, è colui il quale rappresenta, da par suo, il patrimonio ideologico comune di questa indecente ed ingloriosa diaspora democristiana, la quale avverso con tutte le mie forze e che farò in modo, con tanti amici con cui sono in contatto e in stretto rapporto, di far cessare, al di là di quelle stupide e becere beghe, di qualcuno, per di più sobillatto da ‘servizi stranieri’, che tenta di ridicolizzare oltremodo, brandendo azioni giudiziarie (a loro volta, come si sa, non attinenti alla politica!).
È Moro, sempre Moro, solo Moro, che continua ad accompagnarmi, ogni giorno della mia vita, in qualsiasi momento, in qualunque iniziativa pubblica e privata, ma sempre all’insegna della passione e della coerenza, anzi, veglia su di me, come sempre è stato.
Difatti, nei miei ricordi di bambino, ho ben impresso la foto rituale di quei tragici ’55 giorni’, quando lo vedevo nei TG con il volto pensoso e al tempo stesso dolce e mite.
Fu lì, in quei momenti, che capì io stesso si essere un democristiano, quindi di appartenente alla più bella e grande storia del Novecento, non solo italiano, bensì mondiale.
Non un passo indietro, perciò, lungo il tracciato della nuova costituente democristiana, per la quale si sta spendendo anche il Presidente dell’Internazionale DC Amine Gemayel – che ringrazio per i suoi sforzi e per avermi delegato in sua vece a far si che io sovraintenda il tavolo nazionale – ma come non mai, tutto ciò lo dobbiamo al Presidente Moro, per il quale non mi stancherò di chiedere giustizia e verità.

L’OPINIONE / Franco Cimino: Il 45esimo di Aldo Moro nel 75esimo della Costituzione

di FRANCO CIMINO – Il Quarantacinquesimo anniversario della scomparsa di Aldo Moro coincide con il settantacinquesimo della nascita della Costituzione ( ancora in corso), di cui egli è stato uno dei padri benché fosse molto giovane quando si mise a lavorare all’Assemblea Costituente.

Trentuno anni, pensate. Il mio primo pensiero, pertanto, va innanzitutto ai giovani. A quelli che si ribellarono in armi per contribuire a liberare l’Italia, quelli che poterono scendere dalle montagne per mettersi alla testa del corteo che sfilò lungo le strade principali delle città liberate dai fascisti oppressori e dai nazisti invasori. Penso ai giovani che sulle montagne della Resistenza vi rimasero col fucile in mano e il petto squarciato, e nelle tasche due lettere, le solite dei nostri partigiani.

La prima alla propria madre, la seconda ai compagni assicurandoli che gli aguzzini che li avrebbero fatti prigionieri sarebbero rimasti senza speranza di un loro cedimento o di un loro tradimento degli ideali per cui già decisero, quei ragazzi, di poter sacrificare la vita. Mi piacerebbe averle adesso per poterle leggere tutte d’un fiato ai miei studenti di tutti gli anni della mia cattedra. E a quelli che incontrerò stamattina in un Istituto di Scuola Superiore di Lamezia, il Polo tecnologico C. Rambaldi. Ogni lettera, una poesia d’Amore. Per la famiglia. Per il Paese. Per i figli. Per la Libertà. Una poesia, tutte insieme quelle epistole, all’Amore, che ciascuno di quei beni contiene, ciascuno di quei valori rappresenta. Esalta. Difende.

Il mio pensiero va anche a quei ragazzi che dopo la guerra e la caduta del regime nascosero la loro passiva, obbligata, fedeltà al fascismo, mescolandosi ai tanti altri non fascisti, ma non furono anti perché intimiditi dalla pigra paura di contrastarlo apertamente. A quei giovani, pure, che si rifiutarono di servire la dittatura evitando di esserne asserviti. Azione costante, questa, che svolsero con l’arma dello studio intenso, ovvero della fede, laica per la Libertà, e religiosa per il Dio della Pace e della Vita. Religiosità e studio, per farsi trovare pronti, dopo la guerra, a servire l’Italia con la Politica e per la sua immediata ricostruzione morale, civile, materiale. Le macerie della dittatura e della guerra erano lì, come innumerevoli montagne di calcinacci, pietre e mattoni, cattiverie e inganni. E non era per nulla facile rimuoverle. Non era per nulla facile sostituirle per metterci lo sviluppo e la ricchezza al loro posto.

Ci voleva una forza straordinaria a sostegno. Una forza che si facesse popolo ancora più unito. Una forza che fosse la più rapida iniezione di fiducia nell’avvenire. Ed energia, anche fisica e mentale, per portare instancabilmente carriola e libri, braccia e saggezza, martello, falce e pennello, aratro e cattedre, banchi di scuola e banco di falegname, terra e fabbrica, principi cristiani e ideali laici e socialisti, nel nuovo immenso cantiere dell’Italia democratica. Questa energia era la Costituzione appena varata. Ne bevevi un sorso e ti sentivi un leone. Ne bevevi ancora, e ti trasformavi in un lottatore imbattibile. Ne gustavi ancora e poi ancora, e ti sentivi di volare. Volare in alto fino a cielo. Come gli angeli. E volare più radente, come gli uccelli, per vedere la distruzione che via via si trasformava in ricostruzione. Volare sopra le miserie umane per sentire nelle ali l’aria fresca e pulita della Libertà. Il mio pensiero di questo quarantacinquesimo nove maggio “moroteo”, va anche ai ragazzi di oggi. A tutti i ragazzi di oggi, dai più piccoli fino ai giovani compresi tra gli anni del Moro costituente e quelli di quell’età più avanzata che vuole ancora lasciarli “giovani” lontani da un impegno politico consapevole e da una coscienza ribelle. A loro, soprattuto a loro, questo mio pensiero, affinché, abbandonino le verità ingannevoli del sistema globalizzato e totalizzante, e si impossessino degli spazi della democrazia in pericolo. E si battano per riaffermarla, viva e forte, sopra gli egoismi, gli egemonismi, anche nazionalistici, per instaurare una società in cui si realizzino pienamente i principi della nostra Carta Fondamentale. Soprattutto, uno, quello non codificato, ma che ha rappresentato il primo traguardo raggiunto.

Traguardo, poi dimenticato, abbandonato. Disturbato fino al suo progressivo indebolimento. Il traguardo che ha reso la nostra Democrazia la più originale tra le altre nel mondo. Pochi, o forse nessuno, nemmeno gli States, possono vantare di aver realizzato lo sviluppo economico senza aver diminuito di un grammo il peso della Libertà. L’Italia può vantarsi di aver messo in pratica questo principio. Qui, da noi, per tutta la lunga stagione della crescita economica, Libertà e Sviluppo hanno camminato di pari passo, mano nella mano, quale condizione necessaria al cammino progressivo della Civiltà. Democrazia e ricchezza sono rimaste intrecciate. Persona e godimento sociale della ricchezza, sono rimaste sempre l’una necessaria all’altra. Natura e cultura, le ancelle di un’economia fondata sul corretto rapporto tra chi può e deve fare e tra chi non può e deve avere, ciascuno secondo le proprie capacità, ciascuno secondo il proprio fondamentale bisogno. Creatività individuale e solidarietà sociale, cittadino e società, istituzioni e Politica, con al centro la Persona. La Persona da cui diramano tutti i più importanti valori da essa posseduti. La Libertà, che la Costituzione riconosce, non concede.

E il pluralismo, delle istituzioni, in particolare, quale mezzo per la “liberazione” dello spirito di autonomia dei territori e quale strumento privilegiato per la partecipazione dei cittadini alla vita del Paese e alla vitalità del luogo in cui vivono e operano con la propria famiglia, agenzia educativa che, con la scuola, concorre alla formazione del proprio giovane, il cittadino di lunga cittadinanza. Cittadinanza speciale, perché italiana ed europea nell’Europa dei senza confini e delle nuove frontiere. E di quella prateria sconfinata del bello arcobaleno che le colora il cielo. Ah, le istituzioni, le nostre, declinate sempre al plurale e senza aggettivazioni che determinino una sorta di classificazione di valori e importanza. Proprio come ieri, l’otto maggio del 1948, nasce il Parlamento democratico e nell’aula di Palazzo Madama, dove avrà sede, si riunisce per la prima seduta il Senato della Repubblica.

La Democrazia ha finalmente le gambe per camminare, la testa per pensare, la voce per parlare, il potere di decidere. È il Parlamento il luogo delle decisioni fondamentali per il funzionamento dello Stato e per l’azione del governo. È il Parlamento il custode più alto della Costituzione e dei suoi principi. È il Parlamento il luogo della sicurezza dell’impalcatura democratica, le sue fondamenta più profonde. Le riforme che la Politica e le forze che la rappresentano proprio in quel luogo, si dispongano alla prudenza e alla responsabilità e si nutrano, con i loro promotori, dello spirito costituzionale prima di confondere il bisogno di governabilità e di efficacia dell’azione dell’Esecutivo con la forza ineludibile parlamentare esercitata dalla più larga rappresentanza popolare “parlamentarizzata”. Il tentativo, che nuovamente ricorre, di ridurre gli spazi del Parlamento, quindi, per allargare quelli del Governo, a discapito della forza del primo, è pericoloso per la qualità della nostra Democrazia.

Ancora più pericoloso di quel sistema elettorale che da più di vent’anni consente ai capi partito senza partito, di nominare deputati e senatori e, di conseguenza, tutte le più altre cariche dello Stato. Ricordare Aldo Moro, oggi, rendergli omaggio al di là della sua morte tragica, di cui non parlo proprio per liberare il suo pensiero dall’orrore che ha investito la sua bella persona, significa onorare la Costituzione, difenderla da eventuali assalti indebitamente “riformatori”, vigilare sulla sua essenza, operare per renderla più libera di attuarsi in tutti i suoi principi. Specialmente, quelli a cui Moro teneva maggiormente, e di cui in sintesi ho detto in questa riflessione. Moro non è più il prigioniero delle Brigate Rosse che si dichiaravano rivoluzionari. Aldo Moro è il vero rivoluzionario. Colui che la storia ci consegnerà come il più grande statista europeo al pari di De Gasperi, è ciò che lui ha contribuito a fare per il suo popolo e per la Pace nel mondo. Aldo Moro è l’uomo della Costituzione.

Il filosofo della Libertà. L’architetto della Democrazia. Il partigiano nuovo caduto sul campo di battaglia. L’uomo che ama fino all’ultimo respiro, tenendo in mano il Rosario della sua fede cristiana e sulle labbra le parole d’amore per la sua amata, Norina. (fc)

L’OPINIONE / Gregorio Corigliano: Scusi, lo Stato c’è? Intanto vada alla Regione

di GREGORIO CORIGLIANO“Scusi c’è lo Stato?”. “No, non c’è, chi lo cerca?” “Un vecchio giornalista calabrese”!” “Perché è venuto a Roma, vada a Catanzaro, non lo sa che lo Stato si è trasferito, forse lo trova lì”!

A Catanzaro, mi dico, in quella che chiamano la città dei tre colli, dove spesso non riescono a mettersi d’accordo, come a Palermo (una metropoli al confronto) neanche per eleggere uno “straccetto” di sindaco (diceva così Montanelli scrivendo che Emilio Colombo, non aveva avuto tempo per trovarsi, appunto, uno straccetto di moglie)? “Non lo so, provi…”  Mi addormento agitato, dopo lunga pezza e le immancabili preghiere della sera. Poi Morfeo mi abbraccia comunque, perché aveva fatto anche lassù quattro dosi di Pfizer e quindi non aveva alcun timore di prendere il Covid. Sta un po’ con me, poi corre dalla signora Morfea ed io mi sveglio.

È tutto buio e silenzioso intorno a me. I miei occhi si sono appena aperti, ma non vedo alcuna luce nelle tenebre, allora penso. Dove ho bussato, dove sto vivendo? In Calabria. In Calabria? E dov’è? C’è, c’è, mi rispondo. Mi riaddormento. Ed il subconscio, impersonificato da un usciere, mi aggiunge: “sono settanta anni che bussa alla porta per trovare lo Stato e non lo trova mai!” Bussi, certo che busso. E nessuno risponde? “No, anzi, qualcuno apre la porta, ma poi sparisce. L’usciere dice ancora” aspetti qui, che adesso lo Stato arriva!” Allora, ubbidisco ed educatamente, di fronte ad un impiegato del ministero, aspetto. Ho aspettato tanto a dire il vero, davvero anni, andando e tornando più volte, ma lo Stato non è arrivato. Cammino per i corridoi e reincontro lo stesso usciere, almeno così mi era sembrato, perchè gli assomigliava molto. Scusi bisogna attendere ancora? son qui che aspetto da tempo.

“E lei chi è?” Mi dice. Non ricorda? “No”! Le avevo chiesto di poter parlare con lo Stato. “A me non di certo, forse a mio padre, mi aggiunge. Era il figlio dell’usciere della prima volta. “Adesso ancora lo Stato non c’è, dice ancora, forse torna! Aspetti ancora, altrimenti vada a Catanzaro, se vuole sbrigarsi prima”! A Catanzaro, mi dico, a Catanzaro o a Reggio? Boh! “Scelga Lei, è lo stesso, là ci sono due regioni! “Due regioni? Parto più confuso che persuaso, e decido di andare a Reggio, che è la mia provincia di nascita. Cammino per il Lungomare e non vedo grandi palazzi, come immagino debba essere quello della Regione, chiedo e tutti mi dicono di andare avanti, poi a sinistra, quindi a destra, poi di passare per il centro.

Un altro mi vede guardingo e chiede di cosa cercassi. Lo dico, la Regione. “la Regione? “È proprio, lì, vede, indicandomi un palazzone nuovissimo (non sapendo che era già crollato un tetto) lì c’è un pezzo di regione!” Come un pezzo? “Sì, sì, chieda che glielo spiegheranno, quando entra.  Allora, ricordo da solo che ogni tanto si alza qualcuno che dice, facciamo tutto a Catanzaro! Mai nessuno che osi dire facciamo tutto a Reggio. Ed il bello è che qualcuno per vincere le elezioni e fare il Sindaco, insiste, e se non fosse per un amico di Bossi ,persona intelligente, sarebbe ancora lì a gridare “Catanzaro, caput mundi!”.

Nonostante gli osservatori politici dicano che ormai la città abbia perso ruolo e peso politico. Chiedere non costa, si guadagnano quattro righe sui giornali e due ai telegiornali.  Entro, dopo aver esposto il mio problema, mi indirizzano al secondo piano, busso alla porta, attendo l’arrivo di qualcuno, un funzionario, un dirigente! Niente. Passa una persona che ricordo di aver conosciuto, molti anni prima, spiego il problema. E subito mi dice, che sarei dovuto andare al quinto piano. Mi accompagna senza bisogno di ulteriore pass ma, per mia sfortuna, quella persona che mi avrebbe potuto dare delucidazioni era impegnata in Commissione.

Sì perché a Reggio, ci sono le commissioni permanenti, anche quella che studia il fenomeno della ‘ndrangheta. Nulla, devo tornare l’indomani perché il dirigente esperto mi avrebbe detto tutto sul problema della sanità, che mi stava a cuore, e non mi sarebbe convenuto perdere tempo. Intanto si erano fatte le 14. Scendo in ascensore e mi dirigo verso il bar! Fila lunghissima, mi metto in coda, riesco a beccare il vassoio, trovo ancora un panino e un dolce reggino. Che fortuna i dolci di Reggio, si sa sono una delizia. Rientro a casa, dopo aver incontrato un vecchio collega dell’Ept che mi conferma la necessità di tornare per avere le giuste informazioni. L’indomani, invece, decido di andare a Catanzaro, come pure mi era stato suggerito.

A Catanzaro sanno tutto. Parto per il capoluogo, arrivo al palazzo, pur lontano dal centro, ma non trovo parcheggio, Mi fermo ad una garitta dove c’è una guardia giurata. Scusi questa è la Regione, vero? “Oh, certo, ma, ma voi non “dicevate” il telegiornale? eravate bravo, mi ricordo che raccontavate i litigi di Palazzo San Giorgio (già perché la Regione di Reggio aveva sede, prima, nel palazzo del Sindaco, i giovani lo sanno?) qua che fate? Chi volete? Vorrei parlare col dirigen… “Lo chiamo e preannuncio la vostra visita”.

Il dirigente che aveva pensato lui non c’era. Prova con un altro, la guardia. Questo risponde e gli dice che c’è giù “quello del telegiornale” che vorrebbe parlare con lui. Mi scrive su un pezzo di carta nome, piano ed interno. Entro, vado verso l’ascensore. Occupato. Provo all’altro, pure occupato. Salgo attraverso le scale per andare al quinto piano, interno dieci. Busso alla porta della stanza indicatami mi riceve un funzionario, al quale chiedo cosa fare per risolvere la “questione” del pronto soccorso di Cosenza. Non era lui il funzionario responsabile, ma un altro. Vado dall’altro al sesto piano, parlo con un altro che mi rimanda ai cieli soprani. “Il Paradiso”. Lì se non hai l’autorizzazione del Buon Dio, difficilmente parli. Con la solita scusa che ero quello del telegiornale, la capo usciera mi riceve. Le espongo il problema a nome della collettività. Scusi, una donna usciere capo? “Non si preoccupi, ma i miei colleghi, in cinquant’anni sono diventati tutti dirigenti”.

Le spiego il problema e mi dice “signor giornalista, lei ha dimenticato i suoi stessi servizi al Tg3? Stanno dibattendo ancora, ma presto risolveranno il problema, a quel che so io, ma aspetti che adesso le passo il dirigente. Scusi, non c’è, attenda, arriva subito facendomi entrare nella stanza con divani, sedie, poltrone, piante, quadri. Mi accomodo e noto sulla scrivania la mazzetta dei giornali intonsa. La prendo, li apro, leggo prima l’uno, poi l’altro. Ed il dirigente non arriva. E’ ora di pranzo, ma il dirigente non arriverà più. Scendo, sconsolato e chiedo del bar. “Ca ccà non simu a Reggiu, bar ondavimu!” Triste e sconsolato me ne torno a casa, al mare. Prenoto per Roma per tornare al ministero. Ci vado allo stesso ufficio, trovo sempre il figlio dell’usciere di prima. Si ricorda e mi chiede. “Ha fatto tutto a Catanzaro?” No, purtroppo. E felice: “presto tutto tornerà qui ed io, proprio io, le risolverò il problema del prontissimo soccorso”! Continua il sogno o son desto? (gc)

L’OPINIONE / Franco Cimino: Ma che bel 25 aprile e che bel Presidente abbiamo!

di FRANCO CIMINO – Ma che bel Venticinque Aprile! Ma che bella festa! E che bel Presidente abbiamo. E che fortuna che un anno fa le forze politiche, sempre litigiose e inconcludenti, non abbiano trovato una maggioranza parlamentare per eleggere il successore di Sergio Mattarella.

Posso dire ancora, senza incorrere in qualche blasfemia? Bene, lo dico sommessamente: ma che straordinaria fortuna che la scadenza del precedente mandato presidenziale sia caduta nella passata legislatura, altrimenti il rischio che la nuova larga maggioranza, venuta fuori dal voto di ottobre scorso, chissà quale altro capolavoro di democratico antifascista con il vizio di correggere la storia avrebbe regalato al Paese!

Sergio Mattarella si rivela sempre di più un grande presidente della Repubblica. E dire che gli è facile esserlo, nonostante le grandi difficoltà che ha dovuto affrontare nel corso dei suoi otto anni al Quirinale e la complessità dell’attuale situazione politica. Una situazione per nulla rassicurante, a dimostrazione che i numeri e le alleanze intorno ad essi da soli non bastano a garantire un buon governo al Paese, come ha fatto intendere oggi il Capo dello Stato.

Occorre un altissimo senso delle istituzioni e il sentire profondo che esse siano i pilastri della Democrazia. I soldati pacifici della Libertà. La Libertà nata dalla lotta di Liberazione, e che è posta a fondamento della Costituzione, che la riconosce nella Persona in cui essa è radicata. Persona, il centro intorno a cui si muovono tutti i principi costituzionali. Mattarella è stato a Cuneo, la Città trentasette volte medaglia d’oro della Resistenza. Quel lunghissimo applauso che ha salutato il suo discorso è molto più che l’apprezzamento delle sue efficaci parole.

È il segno dell’affetto che il Paese nutre per una personalità su cui sa di poter contare in ogni avversità e nel bisogno di poter ancora sperare. Ancora sognare. Sperare nella Giustizia e nel Progresso. Nella crescita civile ed economica del Paese dell’eguaglianza e dei diritti garantiti a tutti. Un Paese libero e democratico, protagonista della nuova forza dell’Europa e sostenitore del Progresso in tutte le regioni del mondo.

Un mondo in cui siano debellate violenze e povertà. E nel quale ogni popolo possa vivere nella propria terra per mezzo di uno Stato autonomo che ne governi i confini senza più temere invasioni o furti di territorio. Un mondo nel quale ciascun essere umano sia libero di muoversi e di raggiungere il paese in cui conta di poter vivere e lavorare, recandovi la propria intelligenza e la propria cultura per aprirsi a quelle che incontra nel suo cammino. E sognare, sognare la Pace, vorrebbe l’Italia che si affida al Presidente. Su di lui il popolo italiano può contare perché è credibile. Non ha ombre nella vita, non ha scheletri nell’armadio. È credibile in quanto coerente portatore di quei valori democratici nei quali, iniziando dalla propria famiglia, si è formato, e ai quali ha dedicato tutta la vita, e politica e personale.

È credibile perché non solo è il più sicuro garante della Costituzione, ma perché egli stesso la incarna. Mattarella ama la Costituzione. Nel suo discorso odierno, parlando, anche all’Europa e al mondo intero, di Resistenza, ha fatto una lezione sulla Carta Costituzionale. Ha spiegato a chi non l’aveva capito e a quanti fanno ancora finta di non capire cosa sia stato, ieri, e cosa sia, oggi, il Venticinque Aprile. Ha, inoltre, con il suo garbo istituzionale e la sua finezza culturale e la sua eleganza personale, risposto alle polemiche di questi giorni, chiarendo a tutti, ma proprio a tutti, il significato profondo e inalterabile della lotta partigiana contro il nazi-fascismo.

L’ha spiegato specialmente a coloro che ancora parlano strumentalmente di pacificazione nazionale, chiedendo di trasformare il Venticinque Aprile in festa della libertà pur di non pronunciare la parola antifascista. Ovvero, a quanti si ritengono rivoluzionari per aver accettato la comodità della democrazia con le conseguenti convenienze politiche, ovvero dichiarando l’ovvio dell’ovvio. E cioè, che la libertà si contrappone alla dittatura e al fascismo e viceversa. Ma ha parlato anche ai pigri. Agli antifascisti di maniera. A chi pensa che l’adesione semplicistica ai valori della Resistenza gli conferisca un titolo di superiorità verso gli altri o la comoda posizione di rendita con cui nei salotti radical borghesi giudica senza fare, pretende senza lottare, usa la libertà per le proprie convenienze, si serve della Democrazia per trarre profitto dal proprio egoismo.
Sintetizzo le parti salienti del discorso del Presidente.

Il Venticinque Aprile è festa di Libertà e Democrazia, ma soprattutto festa della Liberazione senza la quale “oggi, e tutti i giorni, non festeggeremmo la Libertà e la Democrazia così come l’hanno concepita e costruita i nostri padri costituenti”. La forza della Costituzione è nel pluralismo e nell’autorevolezza del Parlamento. È in quel meccanismo che impedisce all’uomo forte di rompere l’equilibrio democratico e lo stesso pluralismo. La Costituzione, figlia della Resistenza, è contro il mito del capo, il mito della violenza e delle guerre, il mito dell’egemonia dell’Italia nel mondo, il mito di togliere la libertà agli altri per affermare la propria superiorità. E, ancora, la Resistenza è stata un moto irrefrenabile di popolo per sconfiggere il fascismo e costruire la libertà. La Resistenza è uno degli atti su cui si fonda l’identità della Nazione. Le sue testuali parole: “domandiamoci oggi dove saremmo se non avessimo sconfitto il fascismo”

E noi con lui, dove sarebbe l’Europa, e in mano di chi, se non ci fosse stato il Venticinque Aprile. La vittoria partigiana, dice Mattarella, ha consentito che l’Europa si liberasse dall’incubo della guerra. La Costituzione afferma il principio del rispetto della vita, della dignità umana e della persona, anche nei confronti dello Stato che vi si volesse sovrapporre. Un discorso bellissimo, iniziato e chiuso con le famosi frasi di Piero Calamendrei, grande protagonista della Resistenza con Duccio Galimberti oggi richiamato più volte, «se volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati…».

E, infine: «ora e sempre Resistenza», scolpita nella lapide di Cuneo. Non è una chiusura da poco. Non è una frase di niente. Detta oggi significa che il Venticinque Aprile non si tocca. Ché la lotta per difendere, per riconquistarla ogni giorno, la Libertà, non è finita. Non deve finire mai, pena l’assuefazione alla sua progressiva mancanza. Da parte mia mia aggiungo, con prudenza e umiltà, che la Libertà è come l’abito e la coscienza.

La si può indossare come un bel vestito, magari quando si ricopre una carica istituzionale, oppure la si vive all’interno della propria anima, in cui matura come coscienza indivisibile e non negoziabile. Sergio Mattarella è una figura bellissima, esemplare, perché in lui la Libertà è abito e coscienza. È Resistenza e Costituzione. È lotta partigiana e Quirinale. È Politica e Morale. (fc)

L’OPINIONE / Gregorio Corigliano: L’autonomia differenziata e il prof. Jorio

di GREGORIO CORIGLIANOPuntiglioso e preciso, anche se vago nei fatti, l’illustre cattedratico, Ettore Jorio, con mia grande meraviglia, si pronuncia a favore del ddl Calderoli, sulla autonomia differenziata. Anche se lui, il bravissimo docente, preferisce chiamarlo regionalismo differenziato. E forse fa bene, perché almeno è di più facile comprensione. In una intervista, e non capisco perché, si dilunga, da par suo su questioni di puntiglio ma non affonda il bisturi sulle specificità del ddl, come avrebbe potuto e dovuto.

Ricama attorno al disegno Calderoli, approvato in quattro e quattr’otto dal governo in vista delle scorse elezioni regionali in Lombardia e Lazio, poi, com’è noto, vinte dal centro destra, ma non ci dice esattamente cosa il testo prevede, anche se assume, giustamente, che in molti non lo abbiamo letto. Il governo lo ha approvato, come pure è risaputo, per conquistare o tener fermi i voti della Lega, principali fautori del ddl Calderoli. Non ho capito bene perché Jorio, si è detto d’accordo.

Colpa mia indubbiamente, chè non sono un cultore del diritto, manco allievo del professore. Ho letto, come tutti, i resoconti giornalistici, di destra, centro e di sinistra. Possibile che, a parte il destra-centro, non ci sia una presa di posizione in favore, da parte del centro-sinistra? Una, dico una. Pur considerando che Jorio parla di “mio Pd contrario” non sia venuto in mente al docente di Arcavacata che forse ci sia quanto meno da pensare, prima di dire no alle critiche, accusando quanti sono contrari di non aver letto il decreto? Possibile, per restare alle ultimissime prese di posizione, che neanche l’ex presidente della Camera, Roberto Fico, abbia letto Calderoli? Possibile mai? Fico, a Cosenza, non chissà dove, di fronte ad un uditorio numeroso, come raramente accade, ha parlato di ddl trappola, sostenendo che la “partita è truccata”.

Al pari di altri esponenti politici di centro sinistra, Fico ha ribadito che con questo disegno Calderoli «chi ha di più potrà avere di più” e “chi ha meno, avrà sempre meno». Ed ancora «non ci prendiamo in giro sui livelli essenziali di prestazione, abbiamo chiesto ed ottenuto il Pnrr perché il Sud potesse crescere come il Nord». Ed ancora. Fico si è detto del parere che l’autonomia differenziata faccia male al Sud, ma faccia male anche al Nord perché si cristallizza una situazione rendendola peggiore. Come tutti sappiamo ci sono di gap territoriali pesanti, diversità territoriali gravi. Sia che si tratti di sanità, di lavoro, di servizi, di assistenza sociale o di infrastrutture.

Lo ha scritto bene Eleonora Strano, riportando fedelmente la tesi Fico. E, quindi la novità, dell’esponente Cinquestelle. «Se il Sud fa sistema col Nord è più forte, un Paese che fa sistema non ha bisogno dell’autonomia (o del Joriano regionalismo) differenziata. A me pare da giornalista e non da cattedratico, che con Calderoli si fissino i diritti di una regione, non in relazione ai loro bisogni, ma in base a quante risorse hanno avuto fino a quel momento. Come dire che chi ha avuto poco, continuerà ad aver poco, se non meno. Chi ha avuto tanto, avrà di più. Ecco che, a parere mio, non sbaglia chi ha parlato di “secessione dei ricchi”».

In un intervento pubblico, il sindaco di Reggio, Giuseppe Falcomatà, ha sostenuto che col disegno del governo, “un bambino che oggi nasce in Calabria avrà sicuramente meno diritti di un neonato veneto o lombardo. Un anziano ricoverato in Calabria avrà un’aspettativa di vita inferiore rispetto ad un ricoverato in Piemonte. Falcomatà ha, peraltro, espresso dure critiche al presidente della Regione Occhiuto, di cui Jorio è stato collaboratore, poi dimissionario, che dopo critiche iniziali, ha dato un «equilibristico parere favorevole all’avvio di questo percorso, per ordini di scuderia e favori politici!».

“Ettarù” come il mio amico Filippo Veltri chiama il professor Jorio, dovrebbe, perché noi si possa capire meglio, spiegare concretamente, i lati positivi di quell’autonomia differenziata che, ai tempi di Loiero si chiamava devolution e che lo stesso ex presidente della giunta regionale, aveva fortemente criticato, nel corso di un dibattito a Plataci, promosso dall’on. Mario Brunetti.

«Perfino il mio computer, aveva detto Loiero non lo condivide, tanto è che me lo scrive in rosso!».

All’idea di avere a che fare con questo signore che è pure ministro mi “arrizzicanu” i carni!  Professore: mi chiarisca le idee, se vuole! (gc)

L’OPINIONE / Franco Cimino: Il 25 aprile è la Festa della Libertà che si libera da sè stessa e con la Costituzione

di FRANCO CIMINO – Abbiamo ritrovato il Venticinque Aprile! Grazie alle brutte polemiche di questi giorni l’Italia si riappropria della data più importante del suo calendario civile. Da molto tempo, infatti, questa festa della Democrazia non si celebra con gli accesi sentimenti e proponimenti che conoscevamo.

Intere generazioni la mia tra queste, si sono formate politicamente e culturalmente anche su questa giornata, sulle piazze che riempite di gente e sui valori in essa contenuti. Nelle sezioni di partito, nelle aule scolastiche e delle università, nelle fabbriche e nelle officine e nei campi, la si attendeva per mesi. E la si preparava per settimane. Ad essa ci si predisponeva per giorni interi. Dibattiti dentro le sezioni di partito a non finire, discussioni vivaci nelle vie e nei bar. Cos’era a quel tempo, e per noi e tutti i giovani e meno giovani e anziani e donne, il Venticinque Aprile al di là della retorica e degli orgogli e tattiche dei partiti? Cos’era al di là delle ideologie e delle stesse antipatiche gare per appropriarsi del primato della lotta partigiana, in cui i comunisti apparivano i più determinati? Era la rappresentazione plastica della corale voglia di partecipazione. Alla Politica, con la maiuscola. E al farsi della Politica da quel momento storico eternizzato.

Era di più: l’orgoglio individuale e collettivo di un’appartenenza. E poi ancora, il sentirsi parte di una storia collettiva, di un cammino di popolo che dalle montagne della Resistenza è sceso, via via gonfiandosi e crescendo a dismisura, per colline e valli e Città. Era di più, ancora: il collo, il proprio, per legarvi, anche idealmente, quel distintivo fazzoletto, celeste o rosso, per sentirsi partigiano due volte. La prima, nella immaginazione di essere tra quei combattenti che liberarono l’Italia, fucile in spalla, parole al cuore, voce di canto al vento. La seconda, nel vivere quotidiano della battaglia che tutti i giorni ciascuno, da solo o con altri, deve compiere a difesa della Libertà. Ché Libertà è più che il primo dei diritti umani. È elemento vitale, fondante l’essere umano, lo spirito stesso che soffia sulla vita. Battersi quotidianamente per la Libertà, difendendone l’esistente ma lavorando per raggiungerla nella sua pienezza ancora non attuata, per fortuna, significa dirci, dire a noi stessi, puntualmente al risveglio e alla sera del dormire: «ecco, io ti riconosco ché sei parte di me. E ti riconosco negli altri, senza alcuna distinzione o condizione, perché, possedendoti naturalmente tutti, tu sei ciò che ci fa uguali nella pregevole individualità, fonte limpida della diversità».

Alla Libertà si parla, come a una persona. Anzi, alla Persona, il luogo in cui essa non dimora ma si muove, si agita, si gratifica. Si esalta. E da lì, quasi come luogo privilegiato, cammina spedita verso l’altro da sé, incontrandosi anche quando quegli ha difficoltà a sentirla, a farla muovere. Ad agitarla fuori e dentro di sé. La Libertà è come l’Amore, non esiste senza la forza che la libera. Libertà è liberazioni continua si sé stessa. Non è immobile. Mai. Come l’Amore, appunto, il quale non avrebbe senso se restasse fermo nell’illusione di esserci e di bastarsi. L’Amore, come la Libertà, si dona senza limiti e prudenze. Amare significa andare, cercare, venirti incontro. Al prezzo della stessa vita. I partigiani tutti, quelli che diedero la propria vita e gli altri che la rischiarono senza arretrare di un metro, prima che allo stesso Paese occupato dalla dittatura e dal nazista straniero, pensarono alla Libertà. La Democrazia, come organizzazione del nuovo Stato e la Repubblica come migliore forma per realizzarla, ne sono stati la naturale conseguenza.

La Costituzione più bella del mondo, la nostra, nasce da lì, da quella lotta partigiana, dove lo scontro non era fra italiani che la pensavano in maniera diversa, ma tra uomini che credevano nella Libertà e uomini che si batterono, al servizio della dittatura, contro la Libertà. Su questa verità inoppugnabile non serve impiegare la retorica della conciliazione per fare pari e patta tra ragioni e torti. Questo è un giochino non solo degli sciocchi revisionisti di bassa maniera, ma dei furbetti che cercano di utilizzare la Democrazia e la Libertà che essa garantisce a tutti, per coprire la propria resistenza ideologica nei confronti dell’inalienabile principio affermato con la vittoriosa lotta della Resistenza. La cosiddetta “pacificazione nazionale” è stata offerta già nel 1947 con la promulgazione della Costituzione. In essa c’è tutto. Anche il superamento delle colpe gravi compiute, anche ideologicamente, dagli avversari della libertà. C’è non solo l’assoluzione laica, ma il perdono per gli errori e le responsabilità pregresse e quelle che ideologicamente si sarebbero portate nel futuro. C’è la comprensione e riconversione. C’è, soprattutto, l’insegnamento più alto, quello che può educarci ininterrottamente non soltanto ad amare la Patria ma la Vita, nella sua integralità, attraverso l’impiego in essa dell’idea che Libertà è bella se, come per la felicità, è Libertà per tutti. Anche per quei paesi che non ce l’hanno e immensamente la desiderano.

Nella Costituzione non c’è la parola Resistenza, o Venticinque Aprile, o antifascismo, o anti qualsiasi cosa. Non può esserci per la semplice ragione che c’è di più. Ci sono due valori per i quali l’Italia non potrebbe più temere alcun fascismo e nessuna forma di dittatura. Anche quella che in diversi paesi già si sta realizzando sotto mentite spoglie, in modo indolore e progressivo, che si rivela sempre più come limitazione della libertà personale e sociale. E politica. Questi valori sono Libertà e Persona. E Amore per la libertà e per la Persona. Amore come forza che li mette in movimento per realizzare la liberazione continua della Libertà e della Persona. E quell’incontro fra persone che realizza, nello spirito più alto di solidarietà, la giustizia e l’eguaglianza. E la Pace, nel Paese e nel mondo. La Nostra Costituzione, infatti, non concede, poco o molto, una o più libertà. Ma riconosce sia la Persona sia la Libertà di essa costitutiva.

Le istituzioni sono il luogo in cui molto di tutto questo continuo divenire “ avviene”. Ed è proprio sul significato di istituzione che oggi facilmente si misura la sensibilità e la sincerità democratica dei cittadini e, in particolare, di quanti occupano cariche istituzionali. Per i democratici le istituzioni sono la casa di tutti e, quando affidate nelle mani degli eletti, sedi provvisorie da curare con molta attenzione affinché esse vengano restituite più salde e pulite di prima del loro avvento. Per i “ fascisti, di tutte le forme, soprattutto se mascherate di perbenismo opportunistico, le istituzioni sono strumenti di potere, da utilizzare, in quanto vincitori delle elezioni, come forza della propria parte se non addirittura come cosa propria. Da casa comune a cosa personale, questa la differenza.

È su questa contrapposizione di valore, ancorché nascosta, che va tenuta alta la vigilanza e operare insieme per evitare che le istituzioni subiscano danni irreparabili, che deformerebbero la Democrazia. La nostra, fondata sulla Libertà. (fc)

L’OPINIONE / Franz Caruso: Valorizzazione Biblioteca Civica al centro della nostra azione

di FRANZ CARUSO – La tutela, la salvaguardia e la valorizzazione della Biblioteca Civica sono al centro delle politiche culturali della mia Amministrazione Comunale. Sin dal nostro insediamento, infatti, abbiamo provveduto a fare un planning delle condizioni di criticità, che ora stiamo risolvendo.

Siamo al governo della città da appena 16 mesi e rispetto alla Biblioteca Civica, sempre in stretto contatto con il suo Presidente, Antonio D’Elia, abbiamo fatto tantissimo seguendo doverosamente le procedure burocratico/amministrative che ci impone la normativa vigente. Non abbiamo la bacchetta magica e non potevamo risolvere una problematica enorme e che insiste da anni, in così poco tempo. Peraltro, di emergenze ne abbiamo avute e ne abbiamo tantissime da risolvere, in ogni ambito ed in tutti i settori dell’Ente e risulta veramente difficile il solo tentare di dare delle priorità. Ciononostante abbiamo cominciato a muovere tutti i passi necessari alla salvaguardia del nostro presidio culturale di eccellenza.

Abbiamo provveduto, innanzitutto, a nominare i due consiglieri di amministrazione spettanti all’Ente nelle persone dell’assessore Maria Teresa De Marco e del consigliere delegato al centro storico, Francesco Alimena e, contestualmente, la figura del revisore dei conti. Abbiamo, poi, deliberato, sin dallo scorso mese di dicembre di ripristinare la rata dovuta come Ente fondatore della Biblioteca Civica, pari a 100 mila euro in due rate biennali.

Una risorsa sospesa da anni e che, per quanto ci riguarda, non è stato facile impegnare atteso il dissesto del Comune ed il Piano di Riequilibrio che ci siamo accollati. Per quanto riguarda, poi, la parte strutturale della Biblioteca ricordo che essa è parte di uno dei più ambiziosi progetti del Cis, per complessivi 5 milioni di euro, il cui cantiere partirà a breve.  Da pochi giorni si è conclusa, infatti, la gara di affidamento dei lavori dell’intero intervento che prevede l’adeguamento sismico della struttura, il suo efficientamento energetico con l’obiettivo di ridurne le spese e migliorarne la salubrità dell’ambiente, la rifunzionalizzazione dei servizi informatici, necessari per una fruibilità più completa, e la realizzazione, per come proposto per la coprogettazione con le associazioni di riferimento, della terrazza dei poeti.

Il tutto è stato portato avanti in stretta sinergia con la soprintendenza archivistica, unico soggetto titolato a stabilire la bontà o meno delle condizioni di conservazione del patrimonio librario. Se tutto questo lavoro è sinonimo di disinteresse da parte dell’amministrazione comunale, mi chiedo come si dimostra l’interesse, forse solo con denunce tardive e populiste? Non è questa la mia cultura, per fortuna, aggiungo.

Condivido e sostengo, infine, la proposta del presidente D’Elia di trasferire la proprietà della Biblioteca Civica, ma non la sede ed il patrimonio librario in essa contenuta, allo Stato. Ciò al fine di salvaguardarne la stabilità economica, avendo la struttura accumulato un debito   di circa un milione e 600mila di euro e facendo registrare una spesa di funzionamento annuo di oltre 400mila euro che Comune e Provincia da soli, attese le attuali condizioni storiche, non potranno mai garantire. È questa una decisione certamente poco populista, ma di grande responsabilità perché volta a tutelare la Biblioteca Civica e, soprattutto, a renderla autonoma. (fc)

[Franz Caruso è sindaco di Cosenza] 

L’OPINIONE / Emilio Errigo: Allontanare le discariche di rifiuti dagli aeroporti

di EMILIO ERRIGO – Ieri (venerdì ndr) presso la sede di Civitavecchia, della nota Università della Tuscia (VT), nel corso delle relazioni tenute al Master universitario in materia di: Security Transport, Safety and Cyber Protection, uno dei docenti, dopo aver ascoltato con molta attenzione la lectio magistralis del Presidente di Enac, l’Avvocato dello Stato, Pierluigi Di Palma e la brillante e importante relazione dell’Ing. Mario Tortorici, il terzo relatore in ordine di presentazione, il prof. ing. Sebastiano Veccia, nel corso del Suo significativo e molto costruttivo intervento, ha raccomandato a quanti a diverso titolo si occupano di sicurezza igienico-sanitaria, connessa con la raccolta, trasporto e smaltimento in discarica di rifiuti, di porre molta attenzione a non localizzare e autorizzare, l’apertura di discariche di rifiuti solidi urbani, in prossimità degli Aeroporti e relativi coni di decollo e atterraggio, da e in pista aeroportuale.

Lì per lì sembrava un consiglio igienico-sanitario a tutela e salvaguardia della salute pubblica. Proseguendo nella lezione l’ing. Veccia di Enac, ha arricchito di particolari quante e quali insicurezze si devono prima conoscere, allo scopo poi di individuare le soluzioni più appropriate, per rendere sempre più sicura la navigazione aerea. La vita e la sicurezza dei passeggeri e del volo, rimarrà il compito più importante dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile.

Così grazie ai prestigiosi relatori di Enac, dal Presidente di Palma, l’ing. Mario Tortorici e l’ing. Veccia, abbiamo compreso molto bene e chiaramente, chi, fa, cosa, come e perché, per garantire la protezione dei passeggeri e loro beni personali, la sicurezza aerea e aeroportuale in Italia, in Europa e nel mondo.

Quello che non sapevamo e ora ne abbiamo conoscenza, che la presenza di cumuli e discariche abusive o autorizzate di rifiuti alimentari e solidi urbani di ogni genere, abbandonati e situati in prossimità e immediate adiacenze degli Aeroporti, possono creare una forte pericolosa attrazione di animali e volatili, in vicinanza del sedime aeroportuale, comprese le inopportune invasioni in pista di decollo e atterraggio degli aerei e altri velivoli.

Il termine tecnico che sintetizza tutto si definisce, “Bird and wildlife Strike”, si tratta di impatti violenti di animali selvatici e stormi di uccelli, contro i velivoli, che possono creare danni alle alette delle turbine e alle eliche.

Subito mi è venuta in pensiero la mega discarica di rifiuti di ogni natura e consistenza, oramai da anni utilizzata abusivamente da quanti non amano la propria salute e ambiente della Città Metropolitana di Reggio Calabria. Scrivo ancora una volta a chi dovrebbe intendere (i Cittadini di Reggio centro e periferia) della strada – discarica di rifiuti realizzata abusivamente, in località San Leo -San Gregorio-Mortara.
Periodicamente gli scienziati cittadini reggini e dintorni, si divertono col fuoco, amano vedere le alte colonne di maleodorante e asfissiante fumo nero intenso, sprigionarsi dalla termocomustione dei rifiuti.

Cosa ci provano costoro, non ci è dato sapere, neanche la vera causa di queste insane anzioni illecite, pericolose per la salute dei bambini e degli adulti. I reiterati Interventi di Vigili Urbani, Vigili del Fuoco, Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza e Autorità Giudiziaria, ad oggi non hanno sortito l’effetto deterrente da tutti sperato e desiderato.

In più ora sapere che animali vari, cinghiali, gabbiani reali e altri volatili stanziali, possano nuocere alla sicurezza del volo e alla vita delle persone, impone una drastica e definitiva decisione istituzionale: allontanare subito e senza alcun ritardo, le discariche abusive di rifiuti dagli aeroporti e piste aeroportuali di Reggio Calabria. (ee)

[Emilio Errigo è nato a Reggio di Calabria, docente universitario e generale in riserva della GdiF, attuale Commissario Strsordinario di Arpa Calabria]

L’OPINIONE / Molinaro: Mappatura delle coste permetterà di fare le cose che è giusto fare

di PIETRO MOLINARO – Le concessioni balneari in Calabria hanno numeri significativi:  circa duemila imprese con ventimila lavoratori. Il Governo, su impulso della Lega che sull’argomento ha mantenuto sempre una linea di coerenza e dopo la pronuncia dei giudici europei, procederà concretamente  a una nuova mappatura omogenea delle spiagge che è la strada giusta.

La nuova mappatura, sarà fatta dal Ministero Infrastrutture e Trasporti  e verranno utilizzati criteri di buonsenso. Un adempimento che era previsto anche dal Milleproroghe e che chiedono insistentemente le diverse associazioni dei balneari con le quali si apre un confronto per giungere finalmente ad un punto di equilibrio, nel rispetto delle regole europee e a tutela del valore delle imprese.  Infatti, ciò che ha sempre orientato la Lega su questa vicenda non è un braccio di ferro con l’Unione Europea, bensì allinearsi al diritto comunitario ma tutelare imprenditori e lavoratori delle strutture balneari con procedure imparziali, trasparenti ed equilibrate.

In Calabria soltanto il 30% circa della costa è attualmente impegnata con oltre il 40% ancora concedibile, da ciò è facile dedurre che non c’è scarsità di risorsa. La mappatura, come è giusto che sia, permetterà di fare le cose che si devono fare. (pm)