L’OPINIONE / Vincenzo Vitale: l’attualità dei Moti reggini del 1970, incompresi anticipatori della Storia

di VINCENZO VITALE – Viandante, tu entri in una città morta. In questa città la partitocrazia ha ucciso la democrazia”. Così un cartellone sui muri di una casa di Santa Caterina ai tempi del suo Granducato. Si sintetizzava in due frasi il comune sentire reggino: se la prima oggi suona retorica, la seconda ha la forza di esprimere “spirito del tempo”.

La partitocrazia uccide la democrazia: il concetto, posto dall’anonimo cartellonista nel 1970, diviene di scottante attualità per tutti gli italiani solo quando Tangentopoli nel 1992 pone la pietra tombale sulla Prima Repubblica. Oggi si può scorgere in quegli anni l’abbrivio della deriva involutiva che avrebbe portato il sistema alla sua implosione: gestione del potere fatta di accordi partitici nascosti e trasversali, operazioni occulte e spartitorie, muri di gomma e false aperture all’ascolto, obliqui clericalismi e ipocriti ideologismi.

Vi è un’altra espressione utile a decodificare il comune sentire di quei giorni: ha un autore, Antonio Di Terla, citato da Piefranco Bruni nel suo saggio introduttivo a “Reggio Calabria oltre la Rivolta” di Natino Aloi.

«La Rivolta di Reggio ha avuto tra i tanti meriti quello di aver anticipato la caduta delle ideologie». Non obbedendo a nessuna ideologia politica, i Moti del Settanta non sono stati capiti né dal centro né dalla sinistra, entrambi incapaci di concepire una sommossa popolare che non si rifacesse a questioni socio-economiche o di lotta di classe. Addirittura uno storico di sinistra spocchiosamente li definì come una lotta per un «pennacchio spagnolesco».

Non vennero capite le vere motivazioni della Rivolta, nonostante che alcuni inviati (Alfonso Madeo ed Egidio Sterpa, del Corriere della Sera; Francesco Fornari, de La Stampa) avessero già nei primi giorni evidenziato che: i Moti”non rispondevano a logiche precise, a pressioni razionali”; i sentimenti e gli stati d’animo di quei giorni “si ritrovavano a tutti i livelli, senza distinzione di classe sociale, di colore politico, di età”; partecipavano tutti i cittadini, “borghesi, proletari, giovani, vecchi, comunisti, neofascisti, socialisti, democristiani, repubblicani”.

I Moti anticipatori della Storia? Basta identificare nella loro spontaneità i fermenti di un nuovo modo di concepire un’insurrezione, quello che avrebbe portato alla fine del Secolo Breve e alla caduta del Muro di Berlino, icona delle opposte ideologie.

Ai primi anni Settanta, ancora immersi nell’analisi dei Moti del Quartiere Latino (maggio 1968) e di Praga (agosto 1968), gli analisti politici non seppero cogliere la novità di quanto stava accadendo in fondo allo Stivale: la rivendicazione della propria identità e il rifiuto dell’asfissiante cappa del decisionismo verticistico.

Fu così che si etichettò come lotta per un “pennacchio spagnolesco” quella che invece fu una spontanea, forse incosapevole, “romantica” anticipazione dei movimenti localistici e di rivalutazione delle singole identità territoriali che, in opposizione al trend globalizzante “illuminato”, oggi fanno parte a pieno titolo del dinamismo sociale postmoderno. (vv)

L’OPINIONE / Daniela Palaia: Con ricapitalizzazione Sacal rischio impostazione regione centrica

di DANIELA PALAIA – Il decreto “Coesione”, approvato nei giorni scorsi dal governo, consentirà il finanziamento del programma di investimenti previsto da Sacal e Sorical. Si tratta di aumenti di capitale da parte del socio pubblico nel limite massimo di 50 milioni di euro per l’anno 2024 e 25 milioni di euro per l’anno 2025 per ciascuna società.

Risorse destinate alla realizzazione di infrastrutture pubbliche o l’attuazione di un programma di investimenti già approvato, qualora le perdite, anche ultra annuali, risultino complessivamente assorbite in un piano economico finanziario approvato dall’autorità competente.

Una buona notizia, se non fosse che, per quel che riguarda Sacal in particolare, ad essa si accompagna una perplessità, per non dire un timore. Quello cioè di una impostazione regione centrica che rischierebbe di indebolire altri soggetti pubblici che fanno parte della compagine sociale e in particolare le Amministrazioni comunali. Perché, infatti, irrobustire la posizione della sola Regione piuttosto che spalmare il capitale?
La domanda appare legittima, anche perché essendo quello della popolazione il criterio del decreto per la ripartizione delle risorse tra le regioni, non si comprenderebbe la ragione per cui città come Lamezia e Catanzaro verrebbero ulteriormente indebolite sul piano delle scelte e della governance in generale. Parliamo di città popolose e in più connotate da fattori oggettivi, per cui l’una ospita sul proprio territorio l’aeroporto internazionale, l’altra è capoluogo di regione.
Ce n’è abbastanza, quindi, per chiedere alla regione di evitare la logica dell’Istituzione sola al comando, che è un principio tanto discutibile quanto dannoso per una realtà come la Calabria che più di altre ha bisogno di partecipazione e comunità di intenti tra Istituzioni nell’esclusivo interesse del territorio. (dp)
[Daniela Palaia è consigliera comunale di Catanzaro]

L’OPINIONE / Franco Cimino: Catanzaro, la città bella soffre. Il vescovo l’aiuti

di FRANCO CIMINO – Due anni fa, in occasione della campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio Comunale e della carica di Sindaco, mi sono posto, per porla di rimando, la domanda su cosa, tra le altre tante, cosa avesse bisogno Catanzaro. La nostra Città ha tutto, mi sono risposto. Ha la Bellezza tra le più attrattive. Una Bellezza bella, perché vera. Chi mi conosce sa della mia ricorrente definizione: è la più bella città del mondo. Ironia tanta e qualche indispettita reazione, hanno accompagnato questo mio dire a mantra. “Ma sì scemu o pacciu, Cimì?”, in estrema sintesi. Eh sì, perché solo uno scemo potrebbe dirlo. Ovvero, un fuori di testa, che ha l’insolazione anche d’inverno. Chi dice “è bella, però l’hanno rovinata”. Chi più duramente: “no, invece, è proprio brutta”.

Sono, quest’ultimi gli estranei al luogo, o perché forestieri o perché l’hanno da tempo abbandonato con quel sentimento negativo. E, invece, io nuovamente lo affermo: “Catanzaro è la Città più bella del mondo”. E ne spiego le sue ragioni di fondo. Catanzaro è Città del mare e dei monti. Insieme, lo è. Per l’eguale importanza della due ricchezze, lo è. Anche se il mare, il mio mare, di ricchezze aggiuntive ne ha tante da “annegarsi lui stesso”. I nostri monti sono quelli della piccola Sila, non i tre colli su cui Catanzaro è sorta, adagiandovisi, pur se noi abbiamo caricato sopra quelle brevi alture un milione di metri cubi di cemento. Il nostro mare è quello nel quale tutta intera la Città si tuffa. E con gli occhi lo accarezza, potendosi essi stessi affacciare dai cento terrazzi naturali. Pur dal loro punto più alto, lo sguardo sulla magnifica distesa di un celeste continuamente cangiante, è straordinario.

Il nostro mare si muove con dolcezza e “imperio” su quel tratto di costa cui si portano i paesi dell’antichità più classica, anche essi bellissimi, Borgia e Squillace, soprattutto. Questa articolata caratteristica fa immaginare che vi sia, per merito del mare e di quei monti e della storia che li attraversa, una nuova grande Città. Ricca e dotata di tutto, arte, cultura, religiosità, tradizioni, paesaggi. E territorio ancora inviolato accanto all’altro da salvare razionalizzando i nuovi interventi secondo una moderna architettura urbanistica. E una nuova filosofia della Città. Questa nuova realtà si potrebbe formare unendo, senza invasioni e senza accorpamenti innaturali, tutto quel ben di Dio che si muove da Borgia-Squillace, salendo da Catanzaro fino a Taverna. Avrei anche il nome già bell’e pronto: Catanzaro, la Città delle due M, Magna Graecia e Mattia Preti.

In questa nostra attuale bellezza, c’è che pochi luoghi al mondo hanno i monti leggeri e il mare profondo a distanza di soli venti minuti. E quella di un solo abbraccio. Pochi luoghi al mondo consentono a chiunque, dai bambini agli anziani, ai residenti e ai villeggianti, di poter stare al mare del lungo caldo mattino e vivere al fresco del lungo pomeriggio e della interminabile sera del Centro Storico e della Sila, passando da Pontegrande e le due piccole Sant’Elia, per non dire della Pineta di Siano. Basterebbe solo questo per testimoniare della nostra Bellezza. E della possibile ricchezza da essa producibile. Potrei dire molto di più. Della ricchezza del mare, anche. E lungamente. Potrei dire della bellezza, forse un po’ “messicana”, della sua gente. Tutta quella che abita quel vasto territorio.

Ma mi fermo qui. È tutto oro quel che c’è nelle mie parole?Il quadro così dipinto è reale? È perfetto? Assolutamente no! Catanzaro ha tanti problemi. I più sono gravi. Ha molte brutture, le più sono pesanti. Ha tanti graffi sulla pelle. Molti sono ferite. Quelli sul suo volto, autentici sfregi. Ha numerose contraddizioni, specialmente sociali. Alcune rappresentano il massimo dell’ingiustizia. Talune, il limite estremo ben oltre la legalità, di cui si discetta con ritualità scenica. Potrei agevolmente dire che tutte le località, piccole grandi, ce l’hanno. Ma i nostri sono più gravi. E inquietanti. Più pericolosi che altrove. Li abbiamo creati tutti noi, nella nostra insipienza e irresponsabilità. Noi, nessuno escluso, li stiamo facendo aggravare e crescere, con la nostra pigrizia e il cattivo spirito di rassegnazione. Di tutti questi problemi ho lungamente innumerevoli volte detto, denunciandoli con rigore. Oggi me, e ve, li risparmio.

Ciò che mi preme sottolineare è la risposta chiara alla domanda iniziale. A Catanzaro per essere degna della sua grande bellezza, trasformando i suoi problemi in occasione di sviluppo, ha bisogno della Politica. Ci eravamo ripromessi due anni fatti, tutti, di cambiare quella dominante per un paio di decenni almeno, in cui all’ignoranza e alla rozzezza culturale, all’assenza di ideali e idealità, di partiti e movimenti, si erano aggiunti l’egoismo sfrenato, il disamore per la Città, l’assoluta mancanza di senso delle istituzioni.

Le aule del Consiglio Comunale quasi sempre vuote per la discussione dei problemi, quasi sempre piene per la rissa sugli interessi personali interni e di gruppi di potere esterni, rappresentavano la spia luminosa di un degrado mai visto prima. E da noi. Poche volte, altrove. In questi due anni la situazione non è cambiata e quella Politica con la maiuscola ha perso persino il suo più lontano significato. Dalla campagna elettorale è uscito non il voto spaccato in due, falso problema, non un sindaco azzoppato, falso problema, non due maggioranze contrapposte, falso problema, non due proposte inconciliabili, falso problema, non partiti ferocemente antagonisti, falso problema.

Da quella brutta campagna elettorale é venuta crescendo una guerra fratricida tra gruppi sempre più piccoli e persone sempre più incattivite. È venuta affermandosi una cultura di tipo personalistico in cui le istituzioni non hanno neppure la denominazione più generica. Un’idea dell’interesse che non oltrepasso lo spazio del proprio cortile. Una vista sulla città che non supera il metro quadro di pavimento sul quale attacchiamo i nostri occhi. È venuta imponendosi una concezione del potere sempre più cinica e ingannatrice intorno alla quale imperversano i mali peggiori: arrivismo, opportunismo, trasformismo e la compravendita di consensi molto transitori per la formazione di una sempre più posticcia maggioranza numerica. In questo drammatico contesto Catanzaro non può andare avanti. Occorre un immediato giro di boa. Un cambio radicale di intenti e comportamenti. Da soli non ce la facciamo più. Questa politica piccola da sola non ce la può fare.

Occorrerebbe un miracolo. Quello del nostro Santo patrono, con il quale non si è ancora realizzato quello stretto appassionato rapporto che ovunque si realizza tra la gente, non solo i fedeli, e il santo, cui formalmente il luogo è affidato. Probabilmente San Vitaliano è giustamente troppo arrabbiato con noi, per le tante volte in cui ci avrebbe aiutato senza che neppure ce ne fossimo accorti. Però, un aiuto alla sua Chiesa possiamo chiederlo. È il nostro Vescovo che ce lo può offrire, attraverso la Sua parola severa, ammonitrice, che oggi può dire a tutti perché si migliori, ciascuno nel proprio spazio. Non ci assolva pubblicamente dal peccato più imperdonabile, il danno alla Comunità, la ferita al territorio, l’abbandono di quanti si trovano nel più grave bisogno. L’offesa alle istituzioni, la chiesa laica della Democrazia. Non ci assolva per le divisioni feroci della politica.

Per lo spettacolo misero che essa diseducativamente offre ai giovani, allontanandoli vieppiù dall’impegno verso la comunità e i suoi spazi vitali. Il nostro Vescovo, personalità alta e credibile, uomo dalla parola nutrita, ci rivolga la pressante richiesta di unire la Città. Unirla nel Consiglio Comunale. Unirla nell’impegno dei cittadini verso di essa. Unirla nel rapporto ferreo tra cittadini e istituzioni. Tra istituzioni e Politica. Tra Politica ed etica. Tra etica e ideali. Tra ideali e idee. Tra idee e progetti. Catanzaro sia viva, oltre che bella! (fc)

L’OPINIONE / Salvatore De Biase: La sfida della sanità calabrese sotto la guida di Occhiuto

di SALVATORE DE BIASEIn una regione come la Calabria, dove la sanità ha vissuto anni di difficoltà e abbandono, il compito del Presidente Roberto Occhiuto appare particolarmente arduo. Con un impegno costante e una determinazione incrollabile, Occhiuto si è posto l’obiettivo di riequilibrare un sistema sanitario che per troppo tempo ha lasciato i cittadini calabresi senza risposte adeguate.

Dal 2007, ben quattordici anni di commissari straordinari si sono susseguiti in Calabria, ma la domanda rimane: la nostra sanità è migliorata? Nessuno può affermarlo con certezza. I commissari inviati dal governo centrale hanno lasciato una scia di servizi fragili, bilanci passivi e un aumento dei cosiddetti “viaggi della speranza”. La sfida attuale è frenare la tendenza verso una sanità riservata ai soli ricchi e ridefinire il ruolo dell’Azienda Zero, che dovrebbe concentrarsi sull’amministrazione piuttosto che sulla gestione diretta delle strutture.

Nell’Asp di Lamezia/Cz, è cruciale rafforzare il ruolo della conferenza dei sindaci e assicurare una presenza adeguata di medici nelle ambulanze del 118, sempre sotto la gestione di Azienda Zero. Le difficoltà sono tangibili: i cittadini spesso rinunciano a curarsi a causa di liste d’attesa infinite, emigrazioni sanitarie e costi proibitivi. Questo scenario impone un ripensamento delle strategie sanitarie per evitare che il più grande ospedale della Calabria continui a trovarsi fuori dai confini regionali, con un costo annuo di 300 milioni di euro.

A Lamezia Terme, il Presidente Occhiuto ha promosso un progetto ambizioso per aumentare i posti letto a 286 (rispetto agli attuali 248) e creare un totale di 17 strutture complesse e 2 semplici, come delineato nei Dca 69 del 16 marzo 2024 e Dca 78 del 26 marzo 2024. Tuttavia, la responsabilità della stesura del nuovo atto aziendale e della sua attuazione è affidata al Generale Battistini, il quale deve rispettare i parametri normativi che per Lamezia significano 22 strutture semplici e 4-5 strutture dipartimentali.

Un ulteriore passo avanti è rappresentato dalla creazione di un Trauma Center, in collaborazione con l’Inail, che fungerà da centro di riferimento per la riabilitazione, sperimentazione e applicazione di ausili e protesi. Questo sviluppo porterà a una maggiore sicurezza sanitaria per la popolazione calabrese.

Confidando che le riforme previste possano finalmente garantire una sanità più equa ed efficiente per tutti i cittadini calabresi, è essenziale però, che la collaborazione tra le istituzioni e i professionisti della sanità continui a rafforzarsi, affinché la Calabria possa voltare pagina e assicurare a tutti i suoi abitanti un servizio sanitario degno di questo nome. Solo attraverso uno sforzo congiunto e una visione condivisa sarà possibile costruire un sistema sanitario resiliente, capace di rispondere alle esigenze di tutti i cittadini e di offrire cure di qualità, accessibili e tempestive. Il futuro della sanità calabrese dipende dalla capacità di lavorare insieme, superando le difficoltà del passato e costruendo un presente e un futuro migliori per tutti. (sdb)

[Salvatore De Biase è coordinatore di FI a Lamezia]

L’OPINIONE / Giuseppe Falcomatà: Chi chiede dimissioni fa politica strumentale sulle spalle della città

di GIUSEPPE FALCOMATÀ – Rispetto alle richieste di dimissioni sottolineo l’atteggiamento rispettoso non a chiacchiere, ma coi fatti, non teso a prendere dalla giacchetta chi ha il compito di approfondire i fatti, ma dimostrando piena fiducia non solo a parole. Ci ritroviamo invece comportamenti che sono difformi e incoerenti con le dichiarazioni di pieno sostegno all’operato delle istituzioni.

Per quanto riguarda il processo Miramare, questo  è stato il modo in cui abbiamo vissuto la vicenda processuale che abbiamo affrontato in questi anni, nella piena consapevolezza che un imputato debba difendersi nel processo e non dal processo, per non prestare il fianco a quello che in città si era trasformato in una mera suggestione che non aveva nulla a che vedere con le contestazioni processuali, poi definitivamente confutate nell’ultimo grado di giudizio. E se non lo abbiamo fatto in quella fase che era di gran lunga più avanzata, come potremmo farlo oggi in una situazione ancora più embrionale? Questo è il modo in cui continueremo ad affrontare questa fare e chi non è d’accordo è il caso che se ne faccia una ragione.

Le dimissioni sono un fatto politico, non si minacciano, né si annunciano: si danno o non si danno. Se qualcuno nel contesto del civico consesso non ritiene questa istituzione legittimata a rappresentare le istanze dei cittadini e a programmare il futuro di un territorio prenda le distanze e dia le dimissioni. È già avvenuto con il consigliere Nicola Malaspina. O forse temiamo che, in seguito ad eventuali surroghe, gli altri dopo di noi non potrebbero ugualmente dimettersi? Se hai paura di perdere il tuo posto significa che quel consesso lo ritieni ancora legittimato. Quindi non ha alcun senso continuare ad agitare spettri.

A chi gioverebbero le dimissioni di cui parla Minicuci e, soprattutto, chi le chiede? La nostra città? di quale città si parla di Melito, di Massa Carrara, di Genova? Rispetto all’opportunità di una dimissione di massa e a quello che potrebbe succedere si manca di conoscenza dei percorsi amministrativi successivi. Peraltro la richiesta di dimissioni arriva da soggetti che hanno già annunciato di volersi candidare, da chi si è candidato e ha perso e da chi è stato condannato con sentenze passate in giudicato.

Non possiamo permettere che si utilizzi la richiesta di dimissioni per fare politica strumentale alle spalle della città, o peggio ancora sulle spalle delle città. La verità è che non c’è una proposta politica alternativa a quest’Amministrazione. Perché dovrebbe lasciare rispetto a una non meglio paventata fase di stallo e paludosa. E quando si parla di ipocrisia dovremmo guardare prima a noi stessi, perché non si possono chiedere le dimissioni rispetto a una situazione embrionale quando nessuno le ha chieste nei confronti di chi è arrivato a sentenza definitiva. Se si è garantisti lo si è sempre e con tutti.

Durante le note vicende del 2012, dalla minoranza in consiglio di cui io stesso facevo parte, nonostante la gravità dei fatti, nessuno aveva chiesto l’arrivo di commissari ma abbiamo solo chiesto che si facesse chiarezza sugli aspetti economici e contabili dell’Ente, quindi non mettiamo a paragone le due fasi. In questi mesi si è provato a cambiare la narrazione, affermando che il centrosinistra voleva lo scioglimento, ma è utile ricordare che la nostra parte politica a livello di governo nazionale era abbastanza marginale in quel momento, anzi i Commissari del Mef furono mandati dal centrodestra e l’ispezione dell’antimafia fu mandata dal governo, sì tecnico, ma a trazione di centrodestra, e i commissari furono mandati con il centrodestra al governo.

Io la ‘ndrangheta la conosco da bambino e la puzza di fumo di quando mi hanno bruciato casa ancora ce l’ho nel naso. So che cosa significa guardare in faccia la criminalità organizzata, so cosa significa vivere sotto scorta. Non più di un paio di settimane fa, quando abbiamo demolito l’ennesima baracca abusiva, io ero lì con la polizia locale a beccarmi le minacce del signorotto locale. A proposito di praticare le cose e non agitarle soltanto. Questi siamo noi, oltre quello che è stato già detto, oltre i protocolli, i beni confiscati, le costituzioni di parte civile, il riordino ai servizi sociali, gli appalti, le procedure. Questa è la storia della città e nessuno si può permettere di provare a cambiarla. (gf)

[Giuseppe Falcomatà è sindaco di Reggio]

L’OPINIONE / Rubens Curia: La Calabria non è una regione per vecchi e fragili

di RUBENS CURIA – Se I fratelli Coen nello sceneggiare il film Non è un Paese per vecchi fossero venuti in Calabria, avrebbero intitolato il film “Non è una Regione per vecchi e fragili”.

Infatti In questi ultimi giorni, purtroppo, abbiamo avuto dei riscontri come la paventata chiusura della Struttura Residenziale per anziani del Don Orione di Reggio Calabria, denunciata coraggiosamente dal Comitato delle famiglie degli ospiti del Don Orione o il mancato accreditamento di alcune Strutture Residenziali psichiatriche come scritto dalla Usb e dalla Colap.

Potremmo continuare con le resistenze dei Ministeri della Salute e dell’Economia perché si attivino in Calabria tre Unità Operative Complesse Ospedaliere di Neuropsichiatria Infantile di cui la nostra Regione è priva costringendo annualmente circa 800 famiglie a ricoverare i propri bambini fuori Regione!

I Ministeri si sono resi conto che in Calabria le famiglie mononucleari e le famiglie con 2 over 65 anni stanno aumentando continuamente a causa della forte emigrazione dei nostri giovani e che i bisogni assistenziali sono completamente mutati?

I Ministeri sanno che in 20 anni la Calabria ha perduto oltre 200.000 persone, ovvero è scomparsa la città più grande della Regione?

Da quando è nata Comunità Competente a Lamezia Terme il 1° luglio 2019 ci siamo confrontati con alcuni dati drammatici dello stato di salute dei calabresi a cui, tramite nostre proposte, abbiamo cercato di contribuire per dare soluzioni prevedendo un modello assistenziale della sanità che ponesse al centro del ” Sistema Salute” la persona con le sue fragilità organiche ed esistenziali.

I dati sono impietosi perché ci dicono che in Calabria 171,5 persone per 10.000 residenti sono assistite? (vedi la carenza di personale) presso le Strutture Territoriali Psichiatriche contro la media nazionale di 143 persone per 10.000 residenti!

In Calabria abbiamo persone over 65 anni con almeno una limitazione funzionale grave 35,6% contro il 28,4% (media nazionale) ! In cifra assoluta 147.160 over 65.

Aspettativa di vita in buona salute nella nostra Regione è pari a 54 anni e 4 mesi versus la Provincia Autonoma di Bolzano di 67 anni e due mesi.

Queste cifre ed altre, che per brevità non cito, ci dicono che la tutela della salute ed il benessere delle persone devono essere poste “al centro di tutte le decisioni politiche, non solo sanitarie, ma anche ambientali, industriali, sociali, economiche, dell’ istruzione e della formazione, pertanto è fondamentale che le “classi dirigenti” di questa Regione a tutti i livelli siano protagoniste del cambiamento ormai improcrastinabile.

È tempo di dire basta al Commissariamento della sanità, che è durato 15 anni con generali della guardia di finanza, generali dei carabinieri e prefetti in pensione! È tempo di dire basta alla gestione economicistica del ministero dell’Economia che con i tagli lineari ha desertificato la nostra sanità!

È il tempo delle scelte forti e coraggiose di cui il Presidente Occhiuto, in qualità di Commissario ad acta, le Conferenze dei sindaci e le Forze Economiche e Sociali devono essere protagoniste contestando il ruolo dei Ministeri affiancanti perché la salute è un bene comune non una merce!

La nostra Regione presenta delle eccellenze in sanità da cui partire, un Terzo Settore in gran parte attento al cambiamento, un Volontariato diffuso; di contro una forte carenza negli organici della burocrazia regionale ed aziendale (vedi Edilizia Sanitaria e Tecnologie Sanitarie) che da anni denunciamo, una carenza nell’investire in formazione e nell’aggredire i “Determinanti Sociali di salute”.

La Rete Informale delle Associazioni, Fondazioni e cittadini che costituiscono Comunità Competente sarà presente al fianco di chi vuole che si affermi un nuovo paradigma della sanità di prossimità e d’iniziativa come è vicino al Comitato delle famiglie degli ospiti del Don Orione. (rc)

[Rubens Curia è portavoce di Comunità Competente]

L’OPINIONE / Franco Cimino: La pace che uccide le guerre e l’appello dalla Calabria

di FRANCO CIMINO – Due scienziati e un filosofo, il nostro Pino Nisticò, farmacologo di fama mondiale, Thomas Südhof, premio Nobel per la Medicina, e Salvatore Mongiardo, hanno redatto un appello per la Pace nel mondo. Più che un appello è un documento. Più che un documento è una lettera.

Più che un appello, un documento e una lettera, è un messaggio. Più che tutte queste cose, separate o insieme, è un atto politico e un pugno di polvere d’Utopia. Per tutte queste qualità quei due fogli, scritti a sei mani, con parole semplici e pensieri fanciulli, sta già facendo il giro del pianeta. Anche in questo potendosi avvicinare alla famosa lettera ai potenti che Giorgio La Pira, il sindaco santo di Firenze, inviò, lui gigante del pensiero e del senso umano della storia, con i mezzi “postali” di allora, ai “grandi”nani della Terra nel 1963, fortemente ispirato dalla illuminata tensione morale del Concilio. Per le suddette qualità, profondità di pensiero, larghezza di visione, semplicità di espressione, questi fogli stanno arrivando sulla scrivania dei capi di Stato e dei responsabili delle diplomazie nazionali, su quella dei pensatori e ricercatori di ogni ambito del sapere.

E, quanto di più importante, molto vicino alla coscienza delle singole persone. Di certo, sono già arrivati su quella del più “accanito” e testardo “Vescovo” chiamato da “molto lontano”. È Francesco il Papa, che non si stanca mai di cercare la Pace, secondo il principio contenuto anche nella lettera documento odierna. Principio Evangelico, quello di Francesco. E, perciò, non negoziabile. È questo: la distruzione delle armi. Tutte. Dappertutto. Senza limiti e condizioni. Il pensiero dei più “adulti”, facilmente ricorre ai punti salienti degli interventi e dei documenti “Conciliari”, che valgono per credenti e non credenti, per quella “sua prima volta” in cui la Chiesa di Roma, abbia così apertamente parlato a tutti. Proprio a tutti. Sul terreno politico, basterebbero le parole del De Gasperi del primo dopoguerra, e di Sandro Pertini nel discorso del giuramento davanti al Parlamento della sua elezione a presidente della Repubblica. Chi non le ricorda! “Si svuotino gli arsenali di guerra e si riempiano i granai!”.

Dovrebbero, queste parole, con altre di Moro e di La Malfa e di Spinelli e ben numerosi altri politici-pensatori, teologi e filosofi, economisti e umanisti, essere impresse nelle pareti d’ingresso delle scuole. Magari, al posto di quelle targhe grandi e celesti che “ propagandano ordinativamemente” i progetti finanziati dalla Comunità Europea o dei Governi o delle Regioni, come se fossero un regalo straordinario agli studenti e non un dovere elementare, per giunta tardivo, nei confronti degli istituti della fondamentale formazione dei giovani. Ma di questi appelli son piene le più nascoste bacheche dell’impegno civile! Si dice. Vero. È facile pensarlo. È ancor più facile dirlo. Conviene pure, perché su questa scia possiamo meglio nasconderci nel vecchio alibi, che suona pressappoco così: “e io che posso farci per fermare la guerra? Se la facciano loro. Di certo, non è affar mio. Tra l’altro, è così lontana, che neppure il crepitio delle armi o i “tuoni” di cannoni io sento da qui.” Che stupidaggine! Essere stupidi così è più dannoso, a volte, che essere cattivi.

La stupidità della guerra e di chi la muove e la mia scuola

Ed è su questa stupidità “globalizzata”, che da prof ho tenuto, e tengo, le mie più appassionate “lezioni” ai ragazzi affidatimi. La sintetizzo, con la stessa efficacia, dell’appello dei tre cultori della Pace:” la guerra, e con essa tutte le guerre a decine in atto, è partorita dagli interessi logistici e illeciti e dall’odio. La Politica, nata dallo spirito primario di risolvere ogni contesa riducendole tutte all’interesse generale nella promozione del Bene comune, deviata da questo, oggi, viene utilizzata come arma di guerra. Specialmente, nella parte in cui si annebbia la coscienza dei cittadini sotto la spessa coltre dell’interesse nazionale. Se noi, singolarmente, come individui, compagni, gruppi, famiglie, etnie, tifosi accesi della nostra squadra, fanatici militanti di un qualche credo o fede, trasformiamo, come facciamo purtroppo, la diffidenza verso l’altro in paura e, questa, in rancore e via di seguito nell’odio, e da qui muoviamo prima la nostra maldicenza, poi l’aggressività, quindi la lite e quindi lo scontro fisico e via a seguire verso quello più violento e sanguinario, la guerra, piccola e via via più grande, parte da qui. Da noi. Le guerre “belliggerate” sono identiche a queste. Seguono la stessa dinamica. Non hanno alcunché di diverso. Solo gli effetti distruttivi. Quanto alle guerre lontane, le guerre degli altri, queste riguardano tanto noi quasi quanto i cittadini di quei territori che le subiscono.

Il costo della guerra

Tranne le morti e le mutilazioni delle persone, di peso quasi uguali a quelle delle città e delle terre, il costo della guerra lo paghiamo anche tutti noi, che non ne sentiamo il tragico rumore. È un costo enorme. Se non avvertiamo quello morale, quello materiale dovremmo avvertirlo per l’impoverimento progressivo delle economie nazionali. Per questa consapevolezza, io continuo a battermi contro la guerra. Lo faccio anche per conto di quei ragazzi che, di certo per colpa mia, non hanno pienamente riflettuto sul tema.

Il valore nuovo di un appello antico. Oggi e non domani

Ma veniamo all’appello. Perché quest’ultimo è oggi più significativo e importante? Perché dovrebbe essere sottoscritto da tutti? Perché Francesco, il Papa, e Sergio, il Presidente, ancora una volta insieme, di certo, lo sosterranno? Le ragioni sono molteplici. Ne rappresento alcune. La prima è nell’avverbio di tempo “oggi”. È in questa contemporaneità, in cui le guerre sembrano insuperabili per via della crescita di contrasti e dello spirito di vendetta, che la cessazione della guerra va imposta. Oggi, non domani, cronologicamente intesi. Domani saranno morti altre migliaia di esseri umani e centinaia di bambini. Oggi, domani saranno stati uccisi migliaia di civili inermi e centinaia di donne, la maggior parte, sopravvissute o no, ancor più violentemente stuprate come bestiale istinto maschile e come oltraggio al nemico. Oggi, domani, saranno stati già distrutti centinaia di palazzi, scuole, strade, chiese, piazze, ponti, teatri, stadi. E i campi di grano e di fiori. Oggi, domani saranno spesi in armamenti decine di miliardi di euro, dollari, sterline, per sostituire le armi e le flotte aere distrutti. Armi nuove per armi vecchie. Un calcolo approssimativo segnala che solo per il conflitto in terra Ucraina, tra la Russia aggredente e il paese aggredito, sono già stati bruciati circa quattrocento miliardi.

Solo lì, pensate. E solo in questi due anni. Oggi e non domani, significa tutto ciò che ho detto, riprodotto appena adesso mentre scrivo dalle notizie che giungono dalla Striscia di Gaza e dalle tragiche immagini televisive che le accompagnano. Nuovo attacco del potente esercito israeliano. Questa volta, distrutte per intero le Città di Gaza e quelle lungo la stretta striscia di terra al confine tra due civiltà negate, rinnegate e cancellate. Come la fede nei due Dio unici, assurdamente celebrati e difesi e in nome dei quali si arma il reciproco odio dei fedeli, cittadini. Genti e popoli.

L’attacco di Netanyahu al campo profughi

Per uccidere il numero due di Hamas e il suo luogotenente, il governo di Israele ha ordinato una strage. Un’altra delle tante consumate in questi mesi mesi che ci separano dal quel dannato sette ottobre dal quale, per responsabilità ultima di Hamas, questa nuova follia ha avuto inizio. “Oggi” su quel campo si contano ottanta morti. Sono quelli finora accertati e centinaia di feriti. Intere famiglie distrutte. Il fumo acre si vede da qui. Le urla di paura. Di dolore di mamme e padri e di bambini, si sentono da qui. Non lo vedete quel fumo? Non lo sentite quel grido? È uno. Corale di una voce sola, il cuore straziato dell’Umanità perduta. Sono già quarantamila i civili palestinesi uccisi, in questa strage che finirà “quando ogni pericolo per Israele sarà estirpato”.

Sono le parole che Netanyahu, premier israeliano, ripete continuamente, nella quasi totale distrazione dell’opinione pubblica mondiale, nella riaffermata indifferenza dei paesi occidentale e delle diplomazia internazionale. Lo sapremo alla fine se, come io penso da tempo, questo atteggiamento e quelle stragi non si configurino come “genocidio”. Ovvero stragi di massa, con l’intento cancellatorio di un popolo in quanto tale, che è la stessa cosa, pur se diversamente trattata dal Diritto internazionale. Oggi, pertanto, non è avverbio o sostantivo. È attimo della Vita che non ha più un attimo di tempo. Il documento contro le armi, è importante anche perché fa la guerra alla guerra, nell’unico modo possibile, distruggere le fabbriche di guerra. Quelle che fabbricano le armi. E quelle che producono odio e ignoranza.

La Calabria capitale dei Sud

L’appello dei tre proponenti è più forte dei precedenti, perché nasce in Calabria( non a caso reca la firma del presidente della Regione), delle capitali di ogni Sud del mondo. Una regione del mondo cosiddetto civile, che con il carico enorme delle sue contraddizioni, il Sud globale meglio rappresenta. In essa, infatti, c’è la miseria e la ricchezza, la violenza dei pochi e la bontà dei più. C’è l’ignoranza e la cultura. Le mani insanguinate dei pochi, quelle lorde d’egoismo dei pochissimi, e il pensiero illuminato dal cuore dei calabresi veri. C’è la disperazione e la speranza. L’indifferenza e la passione.

C’è, soprattuto, il sentimento suo più antico, l’Amore per gli altri, e lo spirito sconfinato di solidarietà che lo correda. C’è la ricerca del Bene e il sentire profondo la Pace. Quella che viene dal Mare Nostro, quale rimprovero all’Europa in questa triste attualità. E come dovere di costruire la Pace proprio da qui, dal Mediterraneo, dolente inerme testimone delle morti atroci causate dalla nuova guerra mondiale, la fame e la povertà estrema di interi popoli. La Pace vera, perché fondata sulla giustizia e sui diritti fondamentali della persona. Una patria libera nel proprio paese liberato, tra questi. Giustizia e diritti, senza i quali né Libertà né Democrazia avrebbero vita alcuna. E le stesse religioni sarebbero più ingannevoli di questa politica divenuta brutta, totalmente altro da sé stessa. Io ho firmato l’appello. Firmalo anche tu. E con questo mio stesso sentire. (fc)

L’OPINIONE / Gerardo Pontecorvo: Anche l’ambiente nel mirino dell’autonomia

di GERARDO PONTECORVO – C’è preoccupazione, da parte della Federazione Metropolitana di Europa Verde/Verdi per l’approvazione alla Camera dei Deputati della legge che introduce in Italia l’autonomia differenziata delle regioni. Senza giri di parole definiamola pure una secessione silenziosa che ha visto nel corso di due decenni un percorso continuo e ambiguo anche per “merito” di alcune forze politiche che oggi se ne dicono indignate. Sarebbe quasi superfluo ribadirne la pericolosità sociale a discapito dei cittadini calabresi che vedranno l’inizio di ulteriori diseguaglianze nei confronti degli altri italiani delle regioni più ricche.

Disuguaglianze che si avvertiranno sul lavoro, l’istruzione, la salute e sulla tutela dell’ambiente e del paesaggio. Infatti, da un punto finanziario, la norma sull’autonomia regionale differenziata permetterà di far rimanere nelle regioni una buona parte dei tributi maturati per il finanziamento delle funzioni trasferite. Risorse che dunque non saranno più a disposizione dello Stato per soddisfare anche le regioni a minore gettito fiscale, a meno che non siano previste aliquote di prelievo fiscale diverse e dunque un maggiore prelievo per quelle più ricche. È decisamente più probabile, invece, che aumenti il peso fiscale a livello regionale per il Sud! I Lep (livelli essenziali di assistenza) secondo la norma dovrebbero compensare la più marcata deficienza di fondi per regioni come la Calabria, e comunque, per la loro definizione in un Paese dai forti divari interni come l’Italia sembra un’impresa impossibile. 

Non è difficile immaginare quali possano essere le conseguenze pure per il settore ambientale in Calabria che come è noto soffre di una secondarietà (marginalità) ormai cronica. Basti pensare ai problemi relativi all’inquinamento delle coste, allo smaltimento dei rifiuti e, soprattutto, all’abbandono delle aree interne che ha conseguenze devastanti sulla stabilità idrogeologica e gli incendi boschivi e di interfaccia (nel 2023 sono stati oltre 2200). Dove sono finiti gli operatori idraulico forestali che, oltre a garantire la manutenzione delle opere idrauliche e dei boschi, erano il cardine del servizio antincendio, e che quest’anno saranno appena 510 tra avvistatori e componenti delle squadre addette allo spegnimento?

Dunque, in Calabria l’autonomia ridurrà ancora di più le risorse per la tutela ambientale che invece avrebbe bisogno di una centralità decisionale e finanziaria perfino sovranazionale anche per un’efficace lotta ai cambiamenti climatici di cui le frane sempre più diffuse e gli incendi sempre più numerosi sono già effetti evidenti.

Il 26 febbraio u.s. è stata approvata dal Consiglio Comunale di Reggio una mozione sull’autonomia differenziata. Il testo impegnava il sindaco e la giunta comunale a promuovere un Consiglio Comunale aperto alla cittadinanza attiva. La federazione metropolitana di Europa Verde/Verdi chiede che si dia seguito al più presto a quanto deciso dalla mozione perché in quella sede si possa aprire un dibattito sull’autonomia, e si dia inizio a un movimento di opinione che veda partecipi tutte le forze sociali e politiche realmente contrarie all’attuazione di questa riforma deleteria per il futuro della Calabria e dell’Italia intera. (gp)

[Gerardo Pontecorvo è portavoce della Federazione metropolitana di Europa Verde/Verdi Reggio Calabria]

L’OPINIONE / Michele Comito: Nessuna sforbiciata a Vibo su sanità da parte della Regione

di MICHELE COMITO – Nessuna sforbiciata e nessun benservito ai cittadini della provincia di Vibo Valentia da parte della Regione. Appare davvero superficiale e poco approfondita la lettura sui criteri di ripartizione del fondo sanitario regionale da parte del parlamentare M5S, Riccardo Tucci.

Anche se materia forse un po’ complessa, crediamo che con un minimo di onestà intellettuale si possano comprendere alcuni meccanismi di riparto dei fondi presenti del Dca. Nel riparto, infatti, oltre a tenere in considerazione la quota pro capite della popolazione, bisogna tenere presente anche il criterio della produzione di un’azienda sanitaria. A parità di popolazione e a parità anche di dipendenti di un’Azienda sanitaria, bisogna poi ipotizzare anche un riconoscimento a chi oggettivamente produce di più in termini di prestazioni. Inoltre l’Asp di Vibo ha una mobilità infra Regione più alta di altre aziende, ossia più gente di Vibo va a curarsi fuori provincia, creando dunque una passività.
Ad ogni modo, tenuto conto di tali criteri restrittivi – previsti dalla legge e non inventati dalla Regione – relativi al riparto, il presidente Occhiuto ha già provveduto a compensare tale gap, con una assegnazione provvisoria ulteriore di circa 4,6 milioni di euro, ed è in corso di definizione il budget complessivo per l’anno 2024 relativo all’assistenza territoriale, in cui si provvederà a eliminare il divario.
Per quanto riguarda i 400 milioni del fondo di gestione sanitaria accentrata (Gsa), quello che Tucci omette di dire è che tali fondi sono stati ridotti di oltre il 60% da quando la gestione della sanità è nelle mani del presidente Occhiuto. Infatti prima ammontavano a circa un miliardo di euro. Un miliardo che giaceva in cassa e che non era stato distribuito alle aziende.
La Regione, invece, ha provveduto a erogare quasi 600 milioni, e quelli che restano in cassa, in realtà sono legati a progetti già finanziati e vincolati come ad esempio i fondi relativi ai progetti del Pnrr. Fondi, in questo caso, che possono essere distribuiti solo quando le azioni previste dallo stesso Piano vengono realizzate in tutte le varie aziende.
Ragion per cui, i 400 milioni che sono ancora nel Fondo di gestione sanitaria accentrata, sono risorse destinate a progetti vincolati e che verranno liberati alle aziende nel momento in cui quelle determinate azioni verranno effettuate e realizzate.
Quindi stia sereno il parlamentare Tucci che fin quando il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, sarà anche il Commissario della sanità calabrese, non un solo euro andrà perduto per le cure e l’assistenza dei cittadini calabresi e mai si potranno verificare ingiusti squilibri nelle assegnazioni nei confronti dei diversi territori e aziende calabresi.
Non come in passato, ahimè, quando con governi guidati anche dal partito del parlamentare Tucci, la sanità calabrese era completamente trascurata e affidata a personaggi senza alcuna competenza. (mc)

L’OPINIONE / Franz Caruso: Il nostro Paese cresce se si offre una reale possibilità di sviluppo al Sud

di FRANZ CARUSO – Arriva anche sulla grande stampa nazionale e sull’agenzia nazionale Ferpress la battaglia del Comitato politico scientifico per l’Alta velocità in Calabria. Insieme alla mia intervista sulla rivista MP Mobility magazine, il Corriere della Sera si chiede se arriverà mai l’AV in Calabria all’interno di un interessante approfondimento sul tema. Mi auguro che ciò, insieme ai tanti articoli delle nostre testate locali, possa far comprendere al Governatore Roberto Occhiuto e, soprattutto, al Governo Meloni che la nuova infrastruttura è indispensabile certamente per lo sviluppo della Calabria, ma anche per quello del Mezzogiorno e dell’Italia tutta.

Penso, infatti, per come ho sempre affermato, che complessivamente il nostro Paese cresce se si offre una reale possibilità di sviluppo al Sud. Un concetto che difficilmente questo centro destra, a trazione leghista, potrà comprendere attesa la scellerata legge sull’Autonomia Differenziata, ma per il quale le forze migliori in campo, da Nord a Sud, devono continuare a combattere senza se e senza ma.

Il nostro presidente di Regione, dopo aver dirottato quasi tutti i Fondi Coesione della Regione Calabria verso la realizzazione del ponte sullo Stretto, nel momento in cui sono cominciate a circolare le voci di un abbandono dell’itinerario interno si è limitato a dichiarare che Rfi adotterà la scelta migliore in ordine al tracciato, erigendo un ‘muro del silenzio’.

Il presidente Occhiuto, in sintesi, non opta, non indica, non offre una proposta di crescita, preferendo affidare al comitato tecnico di RFfi la scelta di un tracciato che avrà ricadute, in termini di sviluppo, sulle popolazioni e sui territori. Parlano, invece e meno male, in Sindaci del territorio perché  la Calabria oggi teme lo scippo più grosso, cioè che si propagandi la realizzazione di un’opera di straordinaria importanza come il ponte sullo Stretto e che l’Alta Velocità si fermi in Campania, una beffa enorme per tutto il territorio calabrese ma anche per tutto il Mezzogiorno.

Il progetto faraonico del Ponte sullo Stretto, con cui ogni ministro vorrebbe lasciare traccia nella storia del Paese, non servirà a nulla senza la realizzazione dell’AV attraverso un percorso interno che metta a sistema le località principali del territorio per valorizzarne peculiarità e caratteristiche. (fc)

[Franz Caruso è sindaco di Cosenza]