di MARIACHIARA MONACO – Da qui si è partiti, per poi narrare vicende che farebbero tremar le vene e i polsi anche ai più coraggiosi.
E proprio da qui, Giancarlo Costabile, docente di Pedagogia dell’Antimafia presso l’Università della Calabria, ha presentato, ai numerosi studenti presenti nell’aula “D.Dolci”, un uomo che si è battuto in prima persona, prima da giovane magistrato, poi da sindaco, per la legalità, e lo smembramento di un ingranaggio criminale, che continua a portare sul nostro territorio nazionale, e calabrese, un grigiore instancabile. Stiamo parlando di Luigi De Magistris, che nel suo ultimo libro intitolato “Fuori dal Sistema”, racconta la sua esperienza, in un mondo gerarchico, e complesso, come quello della magistratura.
Lo fa rivolgendosi ai giovani volti, che ha davanti, e che probabilmente non erano ancora nati, quando da ventiseienne, arrivò a ricoprire la carica di Pm presso la Procura di Catanzaro.
«Bisogna tradurre questo racconto attraverso parole come Democrazia, Costituzione, e come questo paese le ha ridotte. Perché esiste una Democrazia inquinata, una Costituzione tradita, e queste aggettivazioni hanno senso se noi proviamo a collegarle alla parola Massomafia, sinonimo di Sistema», introduce Costabile.
Gli anni spesi in Calabria dal dottor De Magistris, vanno studiati in una cornice interpretativa, come un tentativo di resistenza, partendo però dalla legalità. L’Homo novus, in poco tempo, aveva intuito un meccanismo di sottrazione di risorse pubbliche Europee e locali, a beneficio di una rete clientelare di matrice massomafiosa, che aveva, come i tentacoli della piovra, luoghi di espressione in ogni settore politico, sociale, imprenditoriale e giudiziario.
Si era aperto un vaso di Pandora, dal quale, negli anni è uscito il putrido, la materia grigia di questa regione.
«Sono entrato in magistratura nello stesso periodo in cui la mafia aveva ucciso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ricordo di aver consegnato gli scritti del concorso nelle mani di Francesca Morvillo il 22 maggio del ’92, il giorno prima dell’attentato di Capaci. Fu uno shock per me, che però mi fece capire l’importanza dell’andare in direzione ostinata e contraria, proprio come cantava De Andrè».
In Calabria, De Magistris, combatté per quindici anni, consapevole che il sistema criminale spesso sedeva accanto a lui. Nel libro, spiega infatti, che molte volte fu tradito da chi in realtà avrebbe dovuto proteggerlo, arrivando a scoprire mese dopo mese, che la corruzione ed il fare criminale, abitavano stabilmente nel cuore della res publica.
Un meccanismo fatto di luci e di ombre, dove il bene ed il male utilizzano gli stessi strumenti, che possono essere salvifici, o deleteri. Ma come si può stare all’interno delle istituzioni, stando fuori dal sistema? E poi, cos’è il sistema?
Il sistema è un gruppo di persone, le famose “mele marce”, che utilizzano i ruoli di potere non per perseguire il bene comune, ma per finalità criminali o eversive. Perché la mafia non spara più con la lupara, ma è diventata imprenditrice, agendo nel totale silenzio della società, che non la riconosce, in giacca e cravatta.
Tutto questo può essere arginato, secondo l’ex Pm, attraverso degli eventi imprevedibili.
«Io sono stato il cigno nero, avevo scoperto come diversi gruppi criminali, sottraevano miliardi di euro ai servizi di questa terra, come la depurazione, la raccolta dei rifiuti, la costruzione di infrastrutture digitali e materiali. Miliardi di euro nel 2005 -2007, che oggi sarebbero decine.
Le indagini avevano dimostrato che c’era un sistema occupato dalla politica e dai professionisti, legati a pezzi deviati dello Stato, che drenavano questi soldi. Ma proprio quando stavano venendo a galla queste cose, mi hanno fermato dai piani alti della magistratura. Con il tempo ho saputo discernere i comportamenti criminali che ho visto all’interno delle istituzioni, e quello che una parte importante del popolo calabrese fece, perché quando venni trasferito, circa 100.000 calabresi firmarono, per tenermi a Catanzaro».
I ricordi continuano ad emergere, in un uomo forte ma allo stesso tempo provato, che ha visto il sogno della sua vita, la magistratura, infrangersi in un tela ingarbugliata da un nemico troppo grande, che sa togliere e sa dare, come lo Stato.
«Ogni tanto mi ritorna alla mente, la domanda che un avvocato mi fece, durante il periodo alla procura di Catanzaro: “Ma lei a chi appartiene?” Ho dimostrato in questo libro – continua – che c’è gente come me, in questo paese strano, che non ha padroni, non ha prezzo. Preferisco la libertà, che viene concessa ad ogni cittadino, attraverso l’articolo 21 della Costituzione, che non rappresenta un alfabeto astratto dei diritti, ma una vera e propria grammatica pedagogica, da difendere, oggi più che mai».
Le mafie incidono sulla vita di ognuno di noi, e l’indifferenza è un male implacabile. Chi si gira dall’altra parte fa male a sé stesso, è complice e vittima allo stesso tempo, è luce ed ombra.
«In una delle inchieste più delicate, scoprimmo che in determinate scuole di una città calabrese, c’era stato un aumento esponenziale di ragazzi morti di tumore. La mafia con la collusione di politici e funzionari, realizzava interi poli scolastici smaltendo lì l’amianto. Nella stessa indagine scoprimmo, che una quantità immensa di ferriti di zinco veniva interrata nelle campagne dello Jonio, poi bonificate».
La ricetta per smuovere una situazione statica come questa, sta nello scuotere le coscienze, attraverso una sana ribellione culturale e pacifica, come quella tenutasi sui banchi dell’Unical in una mattinata di novembre.
La prefazione del volume, scritta da un esponente di spicco della magistratura italiana, Nino Di Matteo, è molto preziosa, come questa frase: «Il sistema pensa di comprare tutto e tutti, di poter attirare nella sua orbita ogni individuo, ma a volte può sbagliare, si può riuscire a stare con dignità e onore nelle istituzioni, ma stando fuori dal sistema».
L’ultima domanda del professor Costabile, è quella che probabilmente ognuno di noi farebbe: «Come si fa a resistere a tutto questo?»
«Attraverso gli ideali il sentimento della paura diventa meno forte, ed impari a conviverci, a volte ci litighi, altre volte no, ma l’importante è rimanere autentici e fedeli a sé stessi, senza trovare scorciatoie inutili. Io sono nato per fare questo, ed anche se oggi non faccio più il magistrato e non indosso più la toga, rifarei tutto daccapo senza ripensamenti», conclude De Magistris. (MM)