Il nuovo libro di mons. Luigi Renzo oggi a Cosenza

Viene presnetato oggi pomeriggio (15 febbraio) alle 17.30  alla terrazza Pellegrini di Cosenza il nuovo libro di mons. Luigi Renzo La vendetta del Coduce Purpureo edito da Luigi Pellegrini Editore. Un avvincente racconto costruito attorno al Codex Purpureus, uno dei simboli della storia culturale, religiosa e artistica della Calabria.
Alla presentazione intervengono il prof. Enzo Bova, ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università della Calabria, e Mons. Giovanni Checchinato, Arcivescovo metropolita di Cosenza-Bisignano. L’evento sarà completato da un dialogo tra l’autore e Antoniezza Cozza, Delegata alla Cultura del Comune di Cosenza.
Dopo aver diretto per venti anni il Museo Diocesano di Rossano, dove il Codex Purpureus è conservato, e aver dedicato alla stessa struttura diversi studi scientifici, Mons. Renzo in questo romanzo storico, con competenza e con uno stile narrativo accattivante, accompagna questo meraviglioso Evangeliario greco del VI secolo in un “percorso esistenziale” ricco di piacevoli sorprese.
A conclusione del romanzo, Mons. Renzo, facendosi voce del prezioso manoscritto, annuncia che il percorso di rivendicazione non è ancora concluso perché l’arcano tesoro che si porta dentro, apparentemente imperscrutabile, non può non continuare ad appassionare e a spingere alla scoperta di indizi, di significati sempre nuovi e di risvolti per nulla finora definitivamente chiusi e, perciò, sempre febbrilmente da cercare. E’ proprio questo fascino enigmatico ed inafferrabile che anima, fomenta e stimola la fantasia di chiunque a lasciarsi avvolgere anche dai silenzi tutti singolari che ancora avvolgono il Codice rossanese.
Mons. Luigi Renzo è originario di Campana, in provincia di Cosenza. Dopo aver guidato per oltre trent’anni numerose parrocchie della diocesi di Rossano, ed esserne stato Vicario generale, dal 2007 al 2021 ha guidato la Diocesi di Mileto-Nicotera- Tropea, di cui è Vescovo Emerito. Giornalista e socio della Deputazione di Storia Patria della Calabria, ha al suo attivo decine di pubblicazioni di carattere religioso, storico, antropologico, letterario e poetico, per le quali ha ottenuto diversi ed importanti riconoscimenti. Con la Luigi Pellegrini Editore ha già pubblicato il saggio Sprazzi di Calabria. Società storia e cultura (1994) e Mamma Natuzza sulla strada della venerabilità (2023). (rcs)

Guida alle sculture di Cosenza, di Enzo Le Pera e Roberto Bilotti

Guida alle sculture è un manuale suggestivo che fa apprezzare ancor di più i tesori di Cosenza, non a caso definita l’Atene della Calabria: Enzo Le Pera (con la curatela scientifica di Roberto Bilotti) ha realizzato per le edizioni Luigi Pellegrini un avvincente percorso per far scoprire le mille meraviglie artistiche e storiche della città.

La città, com’è noto, possiede un tesoro di inestimabile valore artistico, storico e culturale, e il libro di Enzo le Pera in modo intelligente e proficuo lo valorizza adeguatamente, con un doveroso e necessario omaggio al MAB (Museo all’aperto Bilotti). Il libro è a doppia firma, due figure diverse, ma speculari: Enzo Le Pera e Roberto Bilotti. Il primo, autore dell’opera, protagonista di una cinquantennale esperienza tra quadri, dipinti, sculture che hanno fatto della Galleria “Il Triangolo” il quartier generale del suo innato talento, e un luogo obbligato per chi ama l’arte e crede nella sua fondamentale funzione nella vita dell’uomo e nella società. L’altro, a capo della Fondazione Bilotti, conosciuta in tutto il mondo (tra l’altro ogni anno finanzia progetti di ricerca fondamentali per curare la leucemia e consentire i trapianti del midollo osseo, necessari per salvare la vita a migliaia di persone), ma anche deus ex machina di realizzazioni entrate di diritto nella storia più recente della musealità contemporanea, dallo stesso MAB alle Sale “Boccioni” e della Scultura della Galleria nazionale di Cosenza, ai musei “Carlo Bilotti”, “Aranciera di Villa Borghese a Roma, “Miceli Magdalone” e del “Presente” di Rende, a tante altre iniziative, che hanno contribuito a scrivere pagine memorabili in questo campo.

E cosa poteva venir fuori da un connubio tanto qualificato e competente, se non, appunto, questa Guida alle sculture di Cosenza, il prezioso strumento che la Luigi Pellegrini mette a disposizione della città bruzia e delle sue enormi (ancora in buona parte inespresse) potenzialità attrattive, che affondano le radici, tra l’altro, in un vissuto storico, culturale e scientifico, antico e prestigioso? Poggia, dunque, su questi concreti presupposti questa nuova iniziativa editoriale, fresca di stampa, di cui giustamente il sindaco della città, Franz Caruso, che firma la prefazione, sottolinea l’importanza, sia per la capacità di “colmare una inaccettabile lacuna”, sia perché in grado “di ricostruire, per nella sua agilità e facilità di consultazione, la storia del MAB (il Museo all’aperto Bilotti) di Cosenza , e delle altre sculture presenti in città , corredandola con descrizioni, altrettanto puntuali e rigorose, sugli artisti autori delle opere custodite nel nostro Museo en plein air, con l’ulteriore arricchimento di commenti critici e testimonianze di storici dell’arte che hanno conosciuto e indagato a fondo le opere degli stessi maestri del XX secolo che popolano la città dei Bruzi”. Mai, come in questo caso, si tratta di parole azzeccate.

Un beneaugurante “viatico” affinchè questa guida (di cui sarebbe utile una nuova edizione in inglese, ma anche la diffusione nelle scuole) diventi davvero ciò che è in grado di essere. Per i cosentini. I calabresi, in ogni parte del mondo. I tour operator. La borsa del turismo. E i tanti appuntamenti nei quali ogni anno si decidono le “sorti” e le “prospettive” dell’ingente patrimonio artistico-culturale del Bel Paese. E Cosenza, come dimostrano, o confermano Enzo Le Pera e Roberto Bilotti, ha tutto, ma proprio tutto, e forse anche qualcos’altro, per ben figurare. (dl)

GUIDA ALLE SCULTURE DI COSENZA
di Enzo Le Pera e Roberto Bilotti
Pellegrini Editore, ISBN 9791220502429

Il possibile / Il concreto – di Franco Pietramala e Francesco Kostner

Arriva oggi (martedì 10 ottobre), in libreria, Il possibile – Il concreto, appassionante testimonianza dell’ex manager dell’Asp di Cosenza e segretario regionale della Dc Franco Petramala scritta con il giornalista Francesco Kostner per Luigi Pellegrini Editore.

È un libro-intervista di Franco Petramala, segretario regionale della Dc dal 1976 al 1979, e protagonista indiscusso di una delle
stagioni più positive dall’azienda ospedaliera bruzia e dalla sanità provinciale, destinato a far discutere per il contenuto, denso di originali riflessioni, e per il racconto di vicende che si agganciano – e consentono un proficuo confronto – ad alcuni temi tuttora al centro del dibattito politico, a livello regionale e nazionale. L’intervista è stata raccolta da Francesco Kostner.
È il presidente dell’Ordine dei medici di Cosenza, Eugenio Corcioni, che ha firmato la prefazione, a sottolineare le peculiarità dell’intervista, sia in rapporto al recente passato (determinato il richiamo di Petramala alla necessità di andare “oltre” le figure di Giacomo Mancini e Riccardo Misasi per ridare linfa alla politica nella città e nella regione) che in relazione a numerosi temi di attualità: “Fra gli elementi importanti citati nel libro”, scrive Corcioni, “c’è l’affermazione secondo cui il sistema privato convenzionato delle cliniche e dei laboratori dovrebbe essere considerato come servizio pubblico a tutti gli effetti e come tale da governare a cominciare dalla scelta delle discipline convenzionate: non più solo quelle convenienti, poco costose e comunque poco rischiose, lasciando tutto il resto al pubblico a gestione diretta. A mio parere si tratta di un segnale forte: se solo vedessimo realizzato questo punto, si potrebbe riconoscere finalmente un vero cambiamento di rotta a differenza delle varie dirette social di oggi, che sono spesso divisive e non consentono di instaurare quel clima collaborativo che fu la vera arma della gestione di Franco. E poi che dire della
coraggiosa presa di posizione nella segnalazione dell’anomalia della spesa per il personale, alta rispetto alla media delle altre regioni(cosa ricordata sempre nei verbali dei tavoli ministeriali di verifica!), ciò si spiega in gran parte con un numero enorme di “imboscati”: aggiungo che in Calabria abbiamo approvato anche leggi (o se si vuole emendamenti passati in finanziarie regionali)
che favoriscono gli imboscamenti, anomalie mai corrette dai vari commissari succedutisi. E questo tema si incrocia con l’altro che sottolinea con forza il contrasto al precariato, non solo come riconoscimento di dignità del lavoro ma anche come riduzione degli spazi di possibile corruttela”.
Significative e adeguatamente motivate risultano, infine, le riflessioni di Petramala sull’area urbana cosentina, sull’autonomia differenziata, oltre che sul futuro della sanità regionale. (dl)

IL POSSIBILE / IL CONCRETO (in politica e in sanità)
di FRANCO PETRAMALA e FRANCESCO KOSTNER
Luigi Pellegrini Editore
ISBN 9791220502412

CASTROVILLARI – Presentazione oggi del libro Nel ventre della balena

oggi pomeriggio, giovedì 21 settembre, a Castrovilalri, presso la Parrocchia di San Francesco (Sala Varcasia) presentazione del libro Nel ventre della balena di Pietro Rende. Saluti istituzionali del sindaco Domenico Lo Polito e interventi di Domenico Iannibelli, Giovanni Donato e Peppino Aloise. Coordina Pasquale Pandolfi dell’Associazione Kontatto Production di Castrovillari.  Intermezzo musicale di Fabio Donato e Antonio Crescente.
Il libro riporta una conversazione a tutto campo con il politico Pietro Rende a cura di Attilio Sabato. Il libro è pubblicato Luigi Pellegrini Editore. (rcs)

Nel ventre della Balena di Attilio Sabato

di  PINO NANO  – Esce in questi giorni il nuovo libro del giornalista Attilio Sabato, Nel ventre della Balena (Luigi Pellegrini Editore) interamente dedicato alla storia della Democrazia Cristiana con i riflettori puntati sulle vicende più scottanti e anche più importanti del partito in Calabria. Uno spaccato inedito di storia politica e anche di sociologia politica che farà molto discutere per i contenuti e i risvolti che lo scrittore ricostruisce.

Cosa è stata la DC in Calabria? Cosa ha rappresentato la DC per il Paese? Quanto è pesato sulla storia del partito il delitto Moro? Cosa ha rappresentato per la Calabria la morte dell’ex Presidente delle Ferrovie dello Stato Vico Ligato? Quanto ha contato la politica al Sud? Quanto ha contato invece sulla gestione del consenso la criminalità organizzata? E quanto ha contato la Calabria nei palazzi del potere romano? E soprattutto, chi dei politici calabresi ha contato di più nell’immaginario collettivo e nella prassi reale del sistema potere?

A tutti questi interrogativi prova a rispondere un giornalista navigato e bravissimo come lo è Attilio Sabato, storico direttore di Teleuropa Network, e storico corrispondente dell’ANSA dalla provincia di Cosenza, e lo fa con un saggio molto articolato, pieno di domande e di risposte, un colloquio diretto con Pietro Rende, vecchio deputato democristiano e in passato anche uomo di grande potere all’interno della DC, protagonista di primo piano della sinistra democristiana, la corrente che allora riuniva il fior fiore degli intellettuali italiani al servizio di un progetto di democrazia per il paese che non sempre nel partito ha trovato consensi unanimi. Una intervista serrata, senza rete, dove il grande cronista prova a capire meglio i mille segreti che la Balena Bianca si porterà forse dietro per sempre, e che Pietro Rende svela solo in parte, riconfermandosi in questo un “pezzo fondamentale” della storia del partito, per cui non tutto si può raccontare e alcune cose è meglio non raccontarle mai. Ma non per paura, forse per il rispetto assoluto che i vecchi politici di un tempo avevano per il proprio partito di riferimento.

Questo però non toglie nulla a questo saggio in cui Attilio Sabato ricostruisce alla sua maniera, con un linguaggio moderno e freschissimo, gli anni più belli ma anche gli anni più bui della vita della Balena Bianca, dentro mille ricordi personali, tutti quasi intimi e privati, che Pietro Rende trasforma in capitoli di storia, dando al suo racconto un carisma che solo un intellettuale ed un economista come lui avrebbe potuto fare. C’è dentro questo libro un tocco di classe che forse il lettore comune non si aspetta, un racconto felpato delicato e sereno delle cose e degli avvenimenti di quegli anni, nessun astio, nessun rancore, nessun sassolino da togliere dalla scarpa del passato, ancora meglio: nessun nemico da colpire o da ricordare come tale, tranne la dichiarazione pubblica di un rapporto difficile, quasi impossibile, con Carlo Donatt Cattin, leader di Forze Nuove, una delle correnti che più ha fatto penare la sinistra che allora faceva capo a Bodrato Marcora Pisanu Zaccagnini De Mita e Misasi.

Così come felpata e appena accennata è l’analisi che “l’intellighenzia economica della DC calabrese” -era così che il partito allora giudicava Pietro Rende– riserva al capitolo “delicatissimo” dell’Università della Calabria, e alle prime rivolte studentesche, ai primi moti terroristici, ai primi blitz della polizia, che Pietro Rende giudica come pure “ragazzate” frutto magari di giovani esuberanti e un tantino scapestrati, mentre invece viene fuori prepotente in questo suo racconto il sogno irrealizzato di poter insegnare in questo Campus universitario appena nato sulle colline di Arcavacata, alle dirette dipendenze di un grande maestro come lo era Beniamino Andreatta. Un sogno spezzato però dalla sua elezione alla Camera dei Deputati, ma probabilmente rimasto ancora vivo fino ai giorni nostri.

Dettagli, nomi, location, eventi e avvenimenti, regionali e nazionali, che danno in questo saggio l’immagine reale di un grande partito politico, alimentato da mille passioni, da mille pulsioni sociali, da mille progetti da realizzare, una ideologia forte quanto la speranza che solo gli uomini di chiesa sanno avere, e in questo saggio troviamo un’attenzione speciale verso la Chiesa calabrese, che in realtà della DC è stata per lunghi anni anche la “schiava più fedele”. Perché non dirlo? Un saggio coraggioso questo che Attilio Sabato sforna in questi giorni, e che riapre in Calabria il dibattito sulla politica, sul ruolo della classe dirigente, e sulla tradizione che legava l’anima popolare ai partiti di un tempo. Pietro Rende lo confessa apertamente, i partiti di un tempo non ci sono più, e al loro posto hanno preso il sopravvento altre logiche e altre dinamiche, e mentre un tempo i cittadini conoscevano bene i nomi dei candidati da votare al Senato o al Parlamento, oggi invece nessuno conosce più i nomi degli eletti. Una involuzione bestiale, il fallimento e la negazione di un romanzo meraviglioso che per molti di noi ha accompagnato la nostra vita personale e professionale.

Vi invito a leggere prima di tutto l’indice di questo saggio, è un indice strano, assolutamente atipico rispetto a quello a cui ogni lettori è ormai abituato, ma qui l’indice anziché citare i capitoli trattati cita le domande chiave che il cronista rivolge al vecchio “animale politico”, e questo aiuta ancora meglio il lettore nella ricerca dei tempi e dei soggetti che più predilige o preferisce.

Molti protagonisti della vera storia della Balena Bianca in Calabria non si ritroveranno in questo saggio edito da Pellegrini Editore, non sono neanche stati citati, o se ne parla a mala pena -anche questo va detto, e me ne scuso con gli autori- ma forse perché Pietro Rende li ha conosciuti poco, o ha preferito non parlarne, o ha scelto di proposito di sorvolare, e forse questo è il vero grande limite di questo suo racconto, perché chi ha vissuto quegli anni non poteva non conoscere il peso politico debordante e totalizzante che aveva allora Carmelo Puja e la sua corrente, che a Cosenza era Franco Pietramala, e nella locride la famiglia Laganà, e a Vibo Tony Murmura, a Catanzaro Ernesto Pucci e Mario Tassone, e a Reggio Calabria Franco Quattrone, e sullo Jonio Peppino Aloise, e sul tirreno cosentino Franco Covello, per non dimenticare il ruolo di Dario Antoniozzi Guglielmo Nucci e Pasquale Perugini a Cosenza, Vito Napoli che non aveva collocazione geografica perché appena arrivato da Torino. Per non parlare della guerra fredda e spietata tra Riccardo Misasi e Carmelo Puija in una certa fase del loro rapporto di potere. Pietro Rende cita con ammirazione e sentimento per esempio Peppino Reale, deputato di Reggio Calabria che in realtà contava molto poco, ma che era legato a lui da vincoli di grande affetto personale, e questo conferma che il racconto che Pietro Rende fa ad Attilio Sabato serve soprattutto al vecchio parlamentare per ricordare a se stesso forse gli amici più cari che con lui avevano condiviso battaglie ideologiche di prima piano e di prima grandezza. 

Ma forse è più giusto così, perché c’è un tempo per le guerre e un tempo per la riconciliazione, e questo racconto va letto anche in questa chiave. (pn)

NEL VENTRE DELLA BALENA
di Attilio Sabato
Luigi Pellegrini Editore, 2023

Tre colpi al cuore – di Sandro Principe

di PINO NANO – Appena uscito, appena presentato dal giornalista Francesco Kostner in una assemblea di mille persone, è già un grande successo editoriale. Tre colpi al cuore –  Una vita difficile al servizio delle Istituzioni” è questo il titolo del libro scritto da Sandro Principe per la Pellegrini editore, ed in cui l’ex Sottosegretario di Stato, socialista della prima ora, ex parlamentare, ex sindaco di Rende, ex studente di Giurisprudenza alla Sapienza di Roma ai tempi in cui suo padre Cecchino dominava la scena politica italiana, racconta se stesso come nessuno avrebbe mai potuto immaginare da un uomo riservato e schivo come lui, caratterialmente forte, apparentemente scontroso, coriaceo, intollerante e “superbo”, almeno negli atteggiamenti esteriori della sua lunga militanza politica.

Un diario di bordo, forse è meglio dire un diario personale, senza dubbio è il racconto viscerale meticoloso attento severo intimo della sua vita, con dettagli nomi e location che nessuno in realtà ha mai conosciuto per intero, neanche i suoi amici più cari e più antichi, una sorta di confessione plateale, pubblica, completamente libera e coraggiosa, un volersi mettere a nudo davanti alla società che lo segue, nel bene e nel male, da sempre.

Un libro che ci offre di Sandro Principe un profilo inedito, per altro molto affascinante della sua infanzia e della sua giovinezza, diviso tra la vecchia casa di Rende e il primo anno in collegio a Roma, combattuto tra il desiderio di studiare lettere classiche e i consigli del padre “statista” che alla fine lo convince a fare giurisprudenza per non rischiare di dover fare il professore per tutta la vita, un padre dalla personalità dirompente, eternamente scomodo per lui, e con cui Sandro convive, combatte, riflette e dissente, due strade le loro diverse e lontane, che alla fine però si ritrovano e si riincontrano nel grande e unico crocevia rendese.

Una saga, come tale piena di amori e di emozioni, di conflitti e di contraddizioni, ma anche di incomprensione ataviche, ma questa è la vita di ogni famiglia piccola o grande che sia, borghese come la sua o meno borghese come tante altre. Un Sandro Principe che si rivela in questa occasione uno straordinario narratore di se stesso.

Quasi un romanzo della sua esistenza, come se all’età di 70 anni il vero protagonista della nostra storia volesse lasciare alle nuove generazioni il segno del suo lungo percorso affrontato tra gli scranni del Parlamento e la vecchia Rende, meravigliosa roccaforte di tempi passati.

I suoi amici, le sue scampagnate, le sue serate mondane, i suoi impegni istituzionali, il rapporto privilegiato con il mondo della Chiesa, due vescovi importanti che hanno attraversato e segnato la sua vita in positivo, mons. Dino Trabalzini, poi ancora mons.Salvatore Nunnari, vescovi e sacerdoti alla vecchia maniera, che non lo hanno mai lasciato solo con se stesso, neanche nei momenti di maggiore solitudine per lui.

Nel “cuore” del suo libro l’autore racconta con una lucidità che è parte integrante del suo carattere il giorno dell’attentato, un colpo di pistola secco al centro del viso, la disperazione del suo popolo, i lunghi mesi di degenza in ospedale, al Careggi di Firenze, e infine la carezza finale di Natuzza Evolo che rispetto ai medici che lo avevano dato per “spacciato” conforta la moglie rassisurandola che “Sandro si sarebbe ripreso”.

Un racconto emozionante, commovente, a tratti assolutamente coinvolgente.

Prefazione illustre per questo libro, la firma è di Claudio Signorile, uno dei “principi” del socialismo italiano di questi ultimi 60 anni di storia politica italiana, e che dopo aver tessuto le lodi di “Sandro suo vecchio amico di sempre”, usa per il libro parole ben definite: “Un libro molto importante- scrive il vecchio ministro socialista-  perché credo si inserisca a pieno titolo in quella preziosa pubblicistica che aiuta a non dimenticare fatti e persone; quanti, come senza dubbio è possibile affermare dell’autore, hanno contribuito a scrivere la storia migliore del nostro Paese”

Claudio Signorile non ha nessun dubbio in merito, e lo scrive anche con assoluta chiarezza: “I giovani devono essere aiutati a comprendere come la politica non sia un oggetto misterioso e, come strumentalmente è stato fatto credere negli ultimi decenni, uno strumento finalizzato unicamente a compiere scelte di potere o a perseguire interessi poco leciti. Al contrario, essa è l’arte nobile, ma difficile, del pensare e dell’agire in funzione degli interessi collettivi”.

Il libro si apre con un capitolo “amaro”, dal titolo “La Tragedia”, non è altro che il racconto angosciante drammatico disperato e terribile del giorno in cui alla porta di casa Principe bussano i carabinieri.

“Alle 6,15 del mattino di mercoledì 23 marzo 2016 vengo svegliato dal suono del citofono. Balzo dal letto mentre mia moglie, che ha già risposto, mi dice: “Sono i Carabinieri! Che è successo?” Ed io di rimando: “Può succedere di tutto in questo Paese”. I militari mi notificano un’ordinanza del GIP, presso il Tribunale di Catanzaro, che dispone, “bontà sua”, gli arresti domiciliari, dopo che il PM aveva chiesto la custodia in carcere. Vengo accompagnato presso il Comando Provinciale di Cosenza per il rito umiliante della fotografia e della registrazione delle impronte digitali, che oggi avviene strumentalmente”.

Vittima o carnefice?

La risposta che il romanzo ci riserva riapre il grande dibattito insoluto sui pentiti di mafia: “Ma più di ogni altra cosa valgono le chiacchiere dei pentiti (“in questo Paese che di pentiti e ripentiti ha avuto sempre abbondanza”), tutti dichiaranti de relato, a sostegno del teorema che poggia sul nulla: il niente che è niente!”

E adesso – si chiede Sandro Principe in questo suo romanzo autobiografico- chi mi restituirà l’onore?

“Chi risarcirà la mia famiglia, mia moglie, le mie figlie dagli incalcolabili danni morali ed anche materiali, quando, ne sono certo, sarà riconosciuta la mia innocenza?”

E qui, il vecchio parlamentare socialista chiede aiuto a Voltaire riportando quello che Voltaire scriveva nel suo Traité sur la tolérance à l’occasion de la mort de Jean Calas: “…Ma se un padre di famiglia innocente è caduto nelle mani dell’errore, o della passione, o del fanatismo; se l’accusato non ha altra difesa che la propria virtù, se gli arbitri della sua vita non corrono altro rischio, facendolo sgozzare, che quello di sbagliarsi; se possono impunemente uccidere con una sentenza…”.

È spietata l’analisi che Sandro Principe fa della giustizia. Scrive testualmente: “Tutto può succedere quando in una democrazia esistono poteri irresponsabili, che la rendono di fatto autoritaria”. Poi si chiede: “E se non vedessi il giorno in cui verrà proclamata la mia innocenza?”.

Ancora più impietosa è la risposta che si dà: “Tutti ricorderebbero Sandro Principe presunto mafioso, poiché Sandro Principe costruttore di città, uomo buono, colto e sensibile sarebbe vaporizzato nell’oblio. A ingiustizia seguirebbe ingiustizia. E sarebbe molto di più di ciò che già sono costretto a subire. L’onta di una mortificazione senza pari: la damnatio memoriae”.

Ecco il vero perché di questo saggio.

Sandro Principe vuole affidare alle generazioni future la storia vera del suo impegno politico, e rinvia il racconto della sua vicenda giudiziaria ad un saggio successivo: “Non parlerò  della vicenda giudiziaria che ingiustamente mi affligge. Se ne avrò forza ad essa dedicherò un altro libro. Forse l’ultimo della mia vita, che lascerò ai posteri, affinché comprendano e riflettano sui tanti modi attraverso cui può essere ingiustamente inferta una sofferenza. Un dolore. Una mortificazione. E perché, fino a quando ciò accadrà, nessuno potrà ritenere di vivere in una società degna di questo nome. In una democrazia vera. In un mondo in cui giustizia e libertà sono pilastri fondanti del vivere civile”.

Un libro dai toni forti, 267 pagine ricche di informazioni, un indice meticoloso dei personaggi incontrati e qui raccontati, dentro c’è tutta la prima e la seconda Repubblica, copia di vecchie delibere, di atti municipali, di appunti privati, e tra le tante foto storiche, bellissime quelle insieme a Sandro Pertini, una in particolare commuove più di tutto il resto, è lui insieme alle sue figlie Carolina e Rosamaria e a cui, insieme alla moglie Wally e ai nipotini Federico e Ginevra, Sandro Principe dedica questa suo testamento. Da leggere tutto, e si legge in un fiato, dalla prima all’ultima pagina.

 

TRE COLPI AL CUORE
di SANDRO PRINCIPE
Luigi Pellegrini Editore, ISBN 9791220501354

“Leader al contrario”: esce il libro del sindacalista Roberto Castagna

Da domani, martedì 28 giugno, arriva in libreria l’attesa, vivida, testimonianza di uno storico rappresentante sindacale della Uil, Roberto Castagna, che ha raccolto sotto forma di intervista al giornalista Francesco Kostner nel libro Leader al contrario (Luigi Pellegrini Editore).

Anima. Cuore. Concretezza. Tanta passione. E un’invidiabile conoscenza dei problemi, passati e presenti, della regione, del Mezzogiorno e del Paese. Il tutto, sullo sfondo delle drammatiche vicende ucraine, delle ripercussioni geopolitiche causate (e prefigurabili) a causa della guerra, e di altri avvenimenti, che rendono incandescente lo scenario internazionale in questo momento storico. 

Sono questi e mille altri gli argomenti, di carattere economico, sociale, culturale, politico-istituzionale, che caratterizzano Leader al contrariolibertà, giustizia sociale, tutela dei lavoratori -, la corposa intervista, che Roberto Castagna, storico esponente della Uil calabrese con importanti incarichi ricoperti anche a livello nazionale, ha scritto con il giornalista Francesco Kostner. 

«Un dirigente di lungo corso, apprezzato e riconosciuto, con grande capacità di ascolto, di unire e fare squadra», lo definisce il segretario generale della UIL PierPaolo Bombardieri nella prefazione, secondo il quale nel libro, «letto con assoluto gradimento e soffermandomi a più riprese in analoghe riflessioni», è possibile «rintracciare non soltanto le qualità dell’uomo Roberto, ma anche le direttrici dell’esperienza sindacale e socialista, che ha trasmesso al nostro Paese inequivocabili impulsi di progresso, emancipazione, innovazione e giustizia sociale». 

Un’importante sottolineatura che fa il paio con le lusinghiere valutazioni nella postfazione di Giorgio Benvenuto, segretario generale della UIL negli anni ’80 del secolo scorso e attuale presidente della Fondazione “Bruno Buozzi”, secondo il quale Castagna è un «leader vero, autentico, competente, appassionato» e il libro, «che si legge e si rilegge con grande interesse, il colloquio tra un grande giornalista e un leader politico e sindacale carismatico».

Un protagonista della realtà, dunque, ma nel senso giusto del termine: «Cioè serio, responsabile, fidato, disinteressato», scrive l’autore, “sempre al servizio della propria organizzazione, dei propri iscritti, dei più deboli. Un testimone del proprio tempo, ma anche dei ‘tempi’ che, attraverso un impegno diuturno a difesa del lavoro e dei diritti dei lavoratori, ha modo di vivere, a diretto contatto con i suoi interlocutori. Le altre organizzazioni sindacali. Le controparti. I rappresentanti delle Istituzioni. Custode e testimone di un vissuto storico, culturale, economico, sociale, di momenti che hanno segnato la storia di un territorio. Di comunità e cittadini. Di operai alle prese con il rischio di perdere il lavoro, di imprese in crisi, contingenze difficili, cicli economici sfavorevoli. È ciò che è capitato anche a me”, prosegue Castagna, «in quarant’anni di impegno e di passione nella UIL, organizzazione sindacale cui sono grato per il percorso che mi ha consentito di fare. Un’esperienza fantastica, non facile, ma entusiasmante, che mi ha regalato momenti indimenticabili. Esperienze uniche. Incancellabili. Insieme con compagni inseparabili, amici sinceri e leali, riferimenti imprescindibili e preziosi di un pezzo di storia della nostra provincia, della nostra Regione. Tutto questo ho provato a raccontare in questo libro che dedico a mia moglie Mirella, ai nipoti e ai pronipoti Mario, Flavia e Giorgia. A questi ultimi, in particolare, perché sappiano che ogni esperienza nella vita va affrontata con onestà, lealtà e correttezza. E che, se è certamente possibile fare errori, mai bisogna anteporre i propri interessi a quelli, più importanti, del Paese e delle Istituzioni nelle quali si opera». 

I diritti degli autori saranno finalizzati alla realizzazione di iniziative di carattere socio-culturale, in particolare nel mondo della scuola, nel ricordo del Vigile del Fuoco e dirigente Uil Angelo Bonaventura Ferri, prematuramente scomparso nel 2020. (rcs)

Roberto Castagna, è stato Segretario nazionale della UILTE dal 1985 al 1990, Segretario provinciale della UIL di Cosenza dal 1990 al 2000, Segretario regionale della UIL Calabria dal 2000 al 2014, Segretario territoriale della UIL Cosenza dal 2014 al 2022. Attualmente è Segretario territoriale della UIL Pensionati di Cosenza.

Francesco Kostner, giornalista, già responsabile Relazioni esterne e Comunicazione e capo Ufficio stampa dell’Università della Calabria, ha pubblicato con Gianni De Michelis La lunga ombra di Yalta (3a ed. Marsilio, 2003) e La lezione della Storia – Sul futuro dell’Italia e le prospettive dell’Europa (Marsilio, 2013); con Enzo Paolini Agguato a Giacomo Mancini – Storia di un processo per ’ndrangheta senza prove (Rubbettino, 2011); con Costantino Belluscio Con Saragat al Quirinale e Il Vangelo secondo don Stilo – Il prete scomodo che per forza doveva essere mafioso (Pellegrini, 2020). Per Pellegrini ha pubblicato anche A tu per tu con la Scienza – Ritratti e testimonianze del nostro tempo (2022), La borsa o la vita? (2020), Confessioni di un Gran Maestro (2020) e il pamphlet Faccio quel che voglio e della legge me ne fotto! Intorno al concetto di delinquenza istituzionale (3a ed. 2021). Suo è anche il volume, scritto con Gerardo Sacco, Come l’Araba fenice – Rinascere dopo il Covid-19 (2a ed. 2021). Si occupa di educazione ai rischi naturali, tema al quale ha dedicato numerosi approfondimenti.  

Giustizia è fatta! di Luigi Mazzei

di FRANCESCO KOSTNER – Luigi Mazzei, con la collaborazione della giornalista Velia Iacovino, racconta la drammatica vicenda giudiziaria in cui è rimasto coinvolto e rispetto alla quale, dopo quattordici anni di indicibili sofferenze personali e familiari, è stato assolto con formula piena.

Il titolo del libro, in prima battuta, e come sommaria ma significativa rappresentazione del suo contenuto, dovrebbe essere sufficiente ad evidenziare che le gravissime accuse mosse nel 2007 dalla procura della Repubblica di Lamezia a carico dell’imprenditore Luigi Mazzei (truffa ai danni dello Stato, falso ideologico, evasione fiscale, esportazione di capitali all’estero, bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale e false fatturazioni), alla fine di una storia assurda e per molti aspetti inquietante, si sono rivelate infondate.

In secondo luogo, le poco più di centoquaranta pagine (presentate dal giornalista Piero Sansonetti), attraverso cui si sviluppa il racconto di questa incredibile vicenda, dovrebbero riuscire a dar conto di ciò che è accaduto fino al 22 giugno 2021, quando la seconda Sezione penale della Corte d’Appello di Catanzaro ha posto fine all’odissea giudiziaria di Mazzei, assolvendolo perché il fatto non sussiste.

Vorremmo, a questo punto, proporre una breve riflessione, che potrebbe arricchire il confronto, sia su quanto accaduto, sia, più in generale, sul tema della Giustizia. Il punto di partenza riguarda il titolo del volume. O, per meglio dire, il segno di interpunzione che lo completa. Con una domanda di fondo: va bene il punto esclamativo in copertina, o sarebbe stato più efficace, e giusto, di fronte a questa ennesima storia di ordinaria ingiustizia, un punto di domanda?

La questione non è di secondaria importanza. Il punto interrogativo, a nostro parere, avrebbe consentito di mettere a fuoco un aspetto rilevante. Mazzei, come si diceva, è stato assolto da ogni addebito. E ha dovuto aspettare un tempo infinito, fuori da ogni logica in linea con i nostri principi costituzionali, prima di poter ascoltare il verdetto che lo ha riabilitato agli occhi della Giustizia, visto che l’opinione pubblica non ha mai smesso di considerarlo come era conosciuto prima dei fatti. Cioè, una persona perbene oltre che un bravo imprenditore.

L’interrogativo cui stiamo facendo riferimento, riguarda le conseguenze legate all’assoluzione di Mazzei. E cioè: visto che, secondo la Corte d’Appello di Catanzaro, non avrebbe dovuto subire quel che è stato, il riconoscimento della sua innocenza fino a che punto può essere considerato espressione di una condizione – appunto la Giustizia fatta! – tanto importante quanto insacrificabile? Può bastare, non solo all’imputato, ma alla società, alla comunità, ai cittadini?

Il nostro parere è no!!! E i tre segni di interpunzione, questa volta, sono senza alcuna incertezza collocati al termine della frase. Non può soddisfare Mazzei, e nemmeno un Paese che si aspetta e deve pretendere un esercizio equilibrato, puntuale, responsabile (a questo punto verrebbe da dire anche non cervellotico) della Giustizia. Perché, di fatto – ed è la questione che più ci preme – non può parlarsi di una condizione con siffatte caratteristiche. Un punto rilevante, in quel che è accaduto, risalta nel libro. Casi giudiziari come quello di Luigi Mazzei, che fa la sua apparizione sulla scena come imputato di reati gravissimi e, solo dopo quattordici anni, con la famiglia e l’attività imprenditoriale a pezzi, scende dal palcoscenico tritacarne sul quale, suo malgrado, è stato costretto ad esibirsi, mettono in luce una Giustizia che (almeno in questo caso) non funziona. Una Giustizia, come si dice, ingiusta. Anche, con ogni probabilità, inadeguata. Il che comporta la negazione di una fondamentale funzione del nostro sistema democratico, e il venir meno di un presupposto basilare dello Stato di diritto.

Per dirla in modo ancora più chiaro, e conclusivamente: se Mazzei ha avuto quel che gli spettava e attendeva, cioè l’assoluzione perché il fatto non sussiste, lo stesso non può dirsi per chi parrebbe aver clamorosamente sbagliato nell’esercizio della propria attività. E, dunque: il punto esclamativo da cui siamo partiti è corretto? O sarebbe stato preferibile un bel punto di domanda, che avrebbe lasciato sul campo i dubbi, le preoccupazioni, gli inquietanti interrogativi di una vicenda assurda e inquietante?

La nostra idea dovrebbe essere chiara. La vostra, cari lettori?

GIUSTIZIA È FATTA!
di Luigi Mazzei
Luigi Pellegrini Editore

Il giudice, sua madre e il basilisco – di Pantaleone Sergi

di FRANCESCA RAIMONDI – Il romanzo Il giudice, sua madre e il basilisco (Pellegrini, Cosenza 2022, pp. 168) con il quale Pantaleone Sergi torna in libreria a cinque anni dal successo di Liberandisdomini, descrive con delicatezza e senza calcare la mano, un fenomeno articolato e complesso come quello della mafia calabrese, mediante un linguaggio sapientemente costruito e profondamente immaginifico.

La scelta di narrare l’inferno della Santa ’ndrangheta per il tramite della tenerezza familiare – come ha scritto Alessandro Gaudio, docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università della Calabria – restituisce con maestria cosa può arrivare a essere un territorio che su quell’inferno è costruito.

Gli elementi di originalità presenti, infatti, permettono al racconto di staccarsi da modelli standardizzati e stereotipati di storie di ’ndrangheta, senza mettere in campo i soliti colpi di scena dei romanzi “tradizionali” sull’argomento.

Al fondo di questo racconto, non c’è tanto la solita storia di mafia, con tutti i suoi connotati tipici, quanto una storia sul destino dell’individuo che, in parte, ciascuno si costruisce da sé ─ come la protagonista Marelina ─ in parte è determinato dal passato  ─ il figlio Enrico Zanda, il giudice  ─  e in parte deriva da una combinazione di elementi accidentali ─ dalle circostanze, dai luoghi, dalla società, dal contesto ─  come si ricava dalla storia del capomafia don Sarazzo Borrello, “il Basilisco”, la cui vita s’incrocia drammaticamente con quella del giudice e della madre.

Il passato si ripresenta alla generazione del presente che, a prima vista, non lo riconosce ─ non nei termini tragici e ineluttabili della tradizione calabrese (che poi risale alla tragedia greca) ─ bensì lo avverte come “destino incompiuto”. Nel susseguirsi delle vicende, s’intravede un disegno superiore, non necessariamente divino e neppure religioso, volto a dare un assetto (o riassetto) complessivo all’intera storia.

Quando tutto finisce, tutto ricomincia, con un flebile motivo di speranza anche per la Calabria, individuato, senza troppa retorica, nelle donne, tanto nella loro delicata disposizione al sentimento quanto nella loro pervicacia e intelligenza, mediante un’appropriata descrizione dell’agire femminile nelle varie situazioni di vita. Marelina, la sua amica Melinna, Giuliana figlia ed erede del boss, la sorella Roberta e Luisanna sua figlia sono altrettante icone di una concezione diversa della vita e dei suoi valori e ciascuna di esse trasmette al lettore un messaggio forte e chiaro: la vita è sempre e comunque frutto di una libera scelta. Questa speranza chiude il cerchio che, all’inizio, si era aperto sulle speranze di Marelina che abbandonava la mitica Mambrici, luogo della fantasia letteraria in cui Sergi ambienta i suoi racconti.

Speranza che è necessaria e rende esplicite, una volta di più, le capacità di narratore di Sergi, attento anche alla struttura della storia che sta raccontando.

L’autore è stato inviato speciale de “la Repubblica” per trent’anni e quindi docente di Storia del Giornalismo e di tematiche sulla Comunicazione presso l’Università della Calabria. Il suo primo romanzo, Liberandisdomini, pubblicato sempre da Pellegrini, è stato ben accolto dalla critica (ha ricevuto il Premio Letterario nazionale Amaro Silano, il Premio Padula e il premio Carlo Alberto Dalla Chiesa), dalla stampa nazionale e dal pubblico dei lettori. (frr)

IL GIUDICE, SUA MADRE E IL BASILISCO
di PANTALEONE SERGI
Luigi Pellegrini Editore ISBN 9791220500906

di FRANCESCO KOSTNER – Con tutto il rispetto per l’ambizioso proposito di “Giuseppi” Conte, di diventare rappresentante e difensore degli italiani nelle istituzioni del Paese, il titolo e il contenuto del pamphlet Giacomo Mancini. Un avvocato del Sud, edito da Luigi Pellegrini Editore, omaggio di Paride Leporace all’ex leader socialista, in occasione del ventennale della morte (2002/2022), è un’altra Storia. Con la consonante maiuscola, non a caso. Anzi è la Storia, che il vice direttore de “il Quotidiano del Sud” riprende al momento giusto, puntuale all’appuntamento con un anniversario di rilievo nazionale. 

A differenza di Conte, però, il vissuto politico e amministrativo di Giacomo Mancini, in Italia, nel Mezzogiorno, in Calabria, e nella sua Cosenza, ha lasciato il segno. Al punto non solo di rappresentare ancora oggi un esempio di capacità, pragmatismo e efficienza da emulare, ma mettendo tutti d’accordo una volta tanto. Come è stato, a suo tempo, per i suoi avversari nelle elezioni amministrative del 1993 – ex dc, ex comunisti in modo precipuo – e del 1997 (nelle quali ottenne un consenso ancora più ampio), disorientati dall’efficienza, dal pragmatismo e dalla determinazione del vecchio Leone socialista. Caratteristiche e qualità nemmeno lontanamente scalfite anche dalla vicenda giudiziaria per concorso esterno in associazione mafiosa in cui Mancini rimase coinvolto nel 1994, accusa gravissima dalla quale venne completamente scagionato. 

Ebbene, il merito principale del pamphlet pubblicato da Leporace crediamo consista nella restituzione alla memoria collettiva, in particolare ai giovani, di alcune tappe fondamentali dell’azione politica e di governo di Giacomo Mancini, che oltre ad essere stato parlamentare ininterrottamente dal 1948 al 1992, fu anche ministro della Sanità, dei Lavori Pubblici e del Mezzogiorno. E se, per esempio, è cosa buona e giusta ricordare il suo impegno a favore dei disabili, e la sua azione finalizzata ad abbattere ogni barriera che ne impedisse l’accesso nei luoghi pubblici, anche alla luce delle vicende che hanno caratterizzato la pandemia nel nostro Paese, è inevitabile ricordare la determinata iniziativa del ministro della Sanità Mancini che decise, infischiandosene del parere contrario di molti funzionari e dirigenti, di rendere obbligatoria la somministrazione a milioni di bambini del vaccino contro la poliomelite sviluppato dal medico polacco naturalizzato americano Albert Bruce Sabin, evitando così la morte di chissà quanti piccoli italiani. Una vicenda che non si trova sui libri di storia usati nei licei e all’università, e che anche i grandi giornali continuano a ignorare, come è successo di recente sul Corriere della Sera, che in una pagina intitolata “La lezione dimenticata della polio” ha ritenuto ininfluente ricordare il principale protagonista di quel passaggio per molti aspetti nodale della storia Repubblicana, risoltosi come abbiamo detto. 

L’altra faccia del decisionismo manciniano è tutta di marca siciliana e risale all’estate del 1966, quando una gigantesca frana investì la città di Agrigento lasciando migliaia di famiglie senza casa. L’evento fu conseguenza delle dissennate politiche urbanistiche degli amministratori locali sulle quali il ministro Mancini decise di vederci chiaro. E quando la Commissione da lui insediata per accertare le cause di quanto accaduto mise nero su bianco l’assenza dell’interesse pubblico nell’azione comunale, “la quale appare dominata soltanto dalla preoccupazione di favorire – comunque ed a qualunque prezzo – le singole iniziative costruttive” e che “la gravità della situazione urbanistico-edilizia del paese ha trovato in Agrigento la sua espressione limite”, il ministro socialista decise immediatamente di agire. E a parte le iniziative giudiziarie che riguarderanno molti amministratori della città, Mancini riuscirà ad impedire ulteriori sfregi in quell’area, salvando la valle dei Templi dal rischio di inaccettabili speculazioni edilizie e ispirando l’approvazione della cosiddetta “legge ponte”. Un intervento provvidenziale definito dal giornalista Francesco Erbani “un baluardo del riformismo praticato dal centrosinistra di quegli anni, esemplare non solo nel campo dell’urbanistica, ma per altri settori della vita pubblica, in virtù dei molti elementi di programmazione e di pianificazione che intendeva introdurre nel sistema”. 

Non meno importante è la vicenda relativa alla costruzione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, che agganciò la nostra regione al resto del Paese e nella quale Mancini ebbe un ruolo fondamentale, sfoderando ancora una volta le sue qualità politiche e l’idiosincrasia per tutto ciò che rappresentasse un ostacolo o una limitazione alla sua azione al servizio del Paese. Direttori generali compresi, rimossi in un batter d’occhio per manifesto, intollerabile ostruzionismo, forse, chissà, in qualche modo ammantato anche di pensieri e pregiudizi antimeridionalisti.

Si potrebbe scrivere chissà quanto ancora di queste e altre vicende, ma crediamo sia giusto lasciare al lettore il gusto di scoprire direttamente il contenuto del pamphlet di Leporace, che traccia un quadro storico e biografico, snello e di agevole lettura, “del politico calabrese che meglio rappresentò le ragioni della sua terra in un’ottica meridionalista e di difesa della democrazia”. 

Un focus utilissimo, dunque, in vista di ulteriori approfondimenti, a partire da quello che il figlio dell’indimenticato leader socialista, Pietro, ha pubblicato nel 2016, sempre per i tipi di Luigi Pellegrini Editore, intitolato “…mi pare si chiamasse Mancini…”. Un riconoscimento all’importante genitore, alla centralità della politica e ai superiori interessi dei cittadini, di cui Mancini è stato lungamente interprete e sui quali oggi, in tempi di magra in questo fondamentale campo d’azione, è utile soffermarsi. Allontanando così il rischio, ahinoi molto concreto, che anche la Storia migliore, alla quale certamente Mancini ha offerto un contributo, possa essere in qualche modo trascurata se non finanche dimenticata.  (fk)

GIACOMO MANCINI, UN AVVOCATO DEL SUD
di Paride Leporace
Luigi Pellegrini Editore, ISBN 9791220500968