IL MEDITERRANEO TEATRO DELL’ECONOMIA
MONDIALE: COLTIVARE LA VISIONE STORICA

di ERCOLE INCALZA – Il Mediterraneo è uno dei più grandi teatri della economia mondiale. Nel 1983, proprio agli inizi della stesura del Piano Generale dei Trasporti l’allora Ministro dei Trasporti Claudio Signorile ritenne opportuno che si affrontasse l’approccio alla redazione del Piano tenendo conto anche delle caratteristiche storiche, dei fattori esogeni ed endogeni che, direttamente o indirettamente, avevano condizionato la crescita e lo sviluppo del Paese e quelli che, in futuro, avrebbero potuto condizionare l’attuazione di alcune linee strategiche. Incontrammo, quindi, prima lo storico Fernand Braudel che ci indicò delle linee metodologiche utili per una lettura dei fenomeni che avevano, nel tempo, condizionato la crescita e ne avevano ritardato la sua naturale evoluzione. Dopo fu incaricato formalmente, tra gli esperti preposti alla redazione del Piano, il professor Valerio Castronovo. Trovammo, in particolare, interessante che i due storici erano convinti della importanza del teatro economico rappresentato dal bacino del Mediterraneo.

Fernand Braudel, quindi, prospettò solo una serie di approcci utili per una lettura organica delle evoluzioni che avevano caratterizzato la crescita e lo sviluppo dei commerci e delle logiche trasportistiche soprattutto nell’intero bacino del Mediterraneo. Un approfondimento che poi abbiamo trovato nella famosa pubblicazione del libro: “Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II”. L’opera ha innovato profondamente la nostra visione della vita europea e mediterranea nel Cinquecento: allo schema tradizionale della crisi sopraggiunta come conseguenza delle nuove vie di navigazione atlantica, Braudel contrapponeva – con la forza di convinzione che derivava da una conoscenza precisa di fonti sterminate – la  visione di un mondo ancora pieno di traffici e di contrasti, di tensioni e scambi, di cui erano partecipi, direttamente o indirettamente, non solo i Paesi rivieraschi, ma anche Stati lontani. In altre parole, la vitalità dell’area mediterranea risultava dirompente ed essenziale, per le civiltà del vecchio mondo, ancora per tutto il XVI secolo.

Valerio Castronovo invece, seguì tutti i lavori del Piano e approfondì le interazioni tra le grandi aziende industriali del Paese e la loro incidenza nelle fasi di crescita non solo del Paese ma del sistema di Paesi al contorno del nostro. Altro suo contributo fu quello relativo alla distinzione tra ambito continentale ed ambito insulare e, all’interno di tale distinzione, la difficile tematica territoriale: una continuità territoriale possibile quella con la Sicilia ed una impossibile quella con la Sardegna e poi il rapporto tra il nostro Paese ed i Paesi che si affacciano sul bacino.

Per Valerio Castronovo le interazioni politiche trovavano sempre il Mezzogiorno come cerniera capace di amplificare la crescita e lo sviluppo. In vari interventi Castronovo ribadiva sempre che il Regno delle due Sicilie conteneva nel nome già un chiaro riferimento sull’autonomia di un territorio che poteva diventare un ottimo spazio di autonomia governativa. Il Mediterraneo per quel Regno era una occasione per relazionarsi con tutti i Paesi che si affacciavano su tale bacino, ma senza dubbio anche un facile rischio per far crollare il ruolo e la funzione dello stesso Regno. Castronovo, poi, comparava sempre le due Italie quella del Centro Nord e quella del Sud in termini di potenzialità e di incisività logistica, ribadendo che “il Centro Nord ha interessi ben strutturati e si interfaccia con l’Europa e, quindi, con realtà economiche forti, il Mezzogiorno, invece, si interfaccia con un numero elevato di Paesi, quelli del Mediterraneo, che avevano forti potenzialità di crescita e forti evoluzioni proprio in alcune filiere commerciali”. Noi in realtà pur avendo disegnato una ottima Costituzione non abbiamo, sempre secondo Castronovo, inciso minimamente su un approccio organico sulla intera area che con i Borboni era la stessa di quello che ora chiamiamo Mezzogiorno.

Le iniziative industriali del Sud, tra le più importanti quella dei canteri navali di Palermo avviati nel 1897 su iniziativa della famiglia Florio, non erano state supportate da azioni dello Stato; bisogna arrivare al dopo guerra, addirittura negli anni ’60, per trovare interventi diretti dello Stato, alcuni fallimentari come le Aree di Sviluppo Industriale (ASI) (46 identificate e approvate urbanisticamente e solo 9 avviate concretamente) e i grandi complessi industriali come la FIAT a Termini Imerese, come la Liquichimica a Ferrandina, il centro siderurgico e poi il polo logistico a Gioia Tauro, come la Montedison a Brindisi e l’ILVA a Taranto.

In realtà, secondo Castronovo, avevamo perso nel Sud il riferimento geografico unitario borbonico ed avevamo solo ottenuto un impegno dello Stato a creare condizioni di sviluppo. In più occasioni Castronovo, nelle riunioni di lavoro del Piano Generale dei Trasporti, ricordava che forse l’approccio unitario all’intero Mezzogiorno, un approccio seguito fino alla fine della esperienza borbonica, era crollato con la istituzione delle otto Regioni. Castronovo non intendeva con questo invocare la istituzione di una macro regione ma voleva solo evidenziare la perdita di una visione unitaria di ciò che chiamavamo Mezzogiorno e quindi del suo ruolo strategico nel Mediterraneo.

Castronovo in modo lungimirante ribadì la opportunità di evitare un conflitto fra il Mar Mediterraneo ed il Mare del Nord; i due Mari dovevano invece essere una occasione di ricchezza della intera Unione Europea e ricordo che accolse con grande entusiasmo la istituzione nel 2005 del Corridoio comunitario delle Reti TEN – T Genova – Rotterdam. In fondo avendo seguito in modo capillare la evoluzione del sistema imprenditoriale del nostro Paese precisava sempre che per una impresa piccola, media, grande, la ubicazione di una offerta portuale, l’accesso e la qualità gestionale di un impianto portuale, devono essere slegate da logiche di schieramento e da principi puramente localistici. Ricordo che in un convegno avevo denunciato come una anomalia logistica quella dell’invio dei container dall’interporto “Quadrante Europa” di Verona a Rotterdam e non a Genova o a Trieste. Lui mi disse: “Sono porti della Unione Europea, convertiti alla efficienza della offerta logistica e non ai colori e alla storia del passato; il Mediterraneo ed il Mare del Nord sono occasioni da sfruttare e non possono in nessun modo essere occasioni di potere; la logistica insegue solo le offerte efficienti”.

Ho preferito fare riferimento, parlando del Mediterraneo, a due storici e non a grandi economisti o a soggetti politici o istituzionali perché ritengo che forse la loro onestà mentale ci aiuti a capire tante scelte infelici che spesso hanno compromesso i successi del nostro Paese all’interno del Mediterraneo. (ei)

DESTINO MEDITERRANEO PER LA CALABRIA
LA NUOVA SFIDA DEL PORTO DI GIOIA TAURO

di MIMMO NUNNARI – Finalmente la Calabria sembra capire – anche se ancora timidamente – che il suo futuro è nel Mediterraneo, con Gioia Tauro e il suo porto dei “miracoli” in posizione dominante. Le recenti riunioni dei rappresentanti degli Stati generali mediterranei a Gizzeria e il contemporaneo dibattito a Gioia Tauro sul “miracolo” del porto più importante del Mediterraneo, propiziato dalla presentazione del libro Andata in porto. Gioia Tauro, la sfida vincente di Giuseppe Soriero (Rubbettino editore) aprono scenari nuovi e prospettive interessanti, che in passato le istituzioni regionali e i governi nazionali non hanno saputo cogliere. Eppure il Mediterraneo, con i suoi 280 milioni di abitanti, energia in quantità, economia in crescita e col suo traffico che rappresenta più di un terzo del commercio mondiale, è una sfida che la Calabria non può assolutamente permettersi di perdere.

Il legame tra Calabria e Mediterraneo è antico: non è circoscritto solo alle le correnti migratorie che dalle aree africane si sono sempre mosse verso la penisola italiana, ma riguarda anche le relazioni in verità poco conosciuto legate a un movimento in direzione contraria: che dal fondo dello stivale italico si è mosso verso lo spazio geopolitico mediterraneo, con operai, artigiani e maestranze specializzate impegnate nel passato nella costruzione  di reti viarie, ferrovie, bacini idrici e altre infrastrutture in diversi paesi. C’è stata anche una curiosa emigrazione al femminile dalla Calabria verso l’Egitto, formata da pattuglie di mamme nutrici di bambini dei colonizzatori inglesi in terra egiziana. Questa insolita migrazione la raccontò Corrado Alvaro, alla conferenza sul tema Calabria tenuta al Lyceum di Firenze nel 1931: “La prima emigrazione calabrese tentò le coste dell’Africa, durante i lavori per l’apertura del canale di Suez. Si determinò una emigrazione insolita: partirono anche le donne che le famiglie inglesi in Egitto reclutavano come nutrici”.

Questo è il passato, e oggi la realtà è un’altra, e gli scenari del futuro saranno difficili da gestire senza politica che abbia nella Calabria la sua piattaforma programmatica. Bisogna muoversi in fretta, però, prima che altri (Cina anzitutto) occupino gli spazi d’investimento lasciati liberi. La Calabria, se la politica regionale avrà le visioni giuste, e il Governo nazionale farà la sua parte, col suo tessuto di piccole e medie imprese, le università, e con il porto di Gioia Tauro, potrà svolgere un ruolo importante nel processo di sviluppo euro-mediterraneo, che comporterà dei costi, ma che avrà innegabili ritorni e durature convenienze.

L’Italia, il “suo” Mediterraneo lo ha in casa, proprio con la Calabria che rappresenta l’avanguardia dell’Occidente verso l’Oriente e l’Africa del Nord. La Calabria sente la “questione mediterranea” in senso fisico e sa (ma debbono capirlo tutti coloro che debbono prendere decisioni) di trovarsi nella condizione d’essere testa di ponte dell’Europa che guarda al Mediterraneo. Sa pure di avere ha un freno enorme al suo decollo nella carenza di infrastrutture e nella non buona qualità dei servizi. Sono mancanze a cui bisogna provvedere bene e in fretta, al di là dei roboanti annunci di opere, che non si sa se si faranno e se verranno saranno comunque benvenute. Intanto bisognerà accelerare sulle necessità più urgenti e inderogabili: alta velocità ferroviaria, statale 106 ionica, trasversali ionio tirreno, potenziamento di porti aeroporti e rete di servizi efficienti.

Solo con queste potenzialità reali la Calabria – storicamente e culturalmente il territorio più vicino al grande teatro di dimensioni mondiali che è il Mediterraneo – potrà cogliere l’occasione di essere testa di ponte dell’Italia intera verso il Mediterraneo e potrà ridurre le sue distanze dall’Italia del Nord, che negli ultimi anni si sono ancora più allargate, invece di ridursi. Conviene all’Italia e all’Europa, che la Calabria funzioni da “cinghia di trasmissione” per avvicinare l’economia europea alle regioni mediterranee che, per quanto in alcune regioni in lotta tra loro, costituiscono tuttavia quel continuum descritto nella lezione di Fernando Braudel: il primo e il più autorevole studioso di Mediterraneo ad aver sviluppato il concetto di “Mezzogiorno centro del Mediterraneo”. Tutte le ragioni suggeriscono, pertanto, rapporti non solo economici, con la realtà mediterranea, ma anzitutto dialettici culturali e di sfida sociale per recuperare innanzitutto quella qualità culturale mediterranea della quale si è persa memoria, ma di cui l’Italia ha bisogno e con essa l’Europa.

Rispetto ai Paesi mediterranei sudorientali la Calabria ha il vantaggio di appartenere ad un Paese come l’Italia, fortemente industrializzato e al tempo stesso lo svantaggio di essere ancora considerata un’area in prevalenza di consumo, che non produce sufficientemente: una riserva finanziaria a cui si attinge fin dai tempi delle rimesse degli emigranti. La modernizzazione, in questa regione, si è fermata all’apparenza, alla facciata, con l’omologazione di stili di vita e di mode che hanno stimolato l’assunzione dei modelli di consumo delle società occidentali, ma ha inciso poco sulla riorganizzazione della società e della macchina burocratica, non favorendo il suo inserimento nel tessuto produttivo nazionale. L’occasione Mediterraneo è perciò unica e non ammette ritardi.  Il Mediterraneo, al di là della questione migratoria, sta tornando ad essere elemento centrale della politica nel mondo e l’Africa sarà il continente del futuro. In questo contesto geografico, economico e politico futuro, la Calabria, con Gioia Tauro, in prima fila, può essere dominante. (mn)

La tre giorni del Mediterraneo: la Zes vera chiave di sviluppo

È la ZES la vera chiave dello sviluppo della Calabria, all’insegna della legalità e contro l’inquinamento delle aree industriali. La tre giorni sul Mediterraneo che si è tenuta a Gizzeria Lido porta un bilancio di buone intenzioni, soprattutto per la prevenzione dei reati legati all’industrializzazione.

Alla giornata di chiusura ha preso parte anche la sottosegretaria all’Interno Wanda Ferro: «La partita della sicurezza è fondamentale per la Calabria – ha detto –. È evidente che l’immagine di una terra non sicura abbia disincentivato nel corso degli anni la scelta di orientare qui investimenti produttivi».

E, a proposito di investimenti, l’ingegnere Francesca Marino, alla guida della Baker Hughes – Nuovo Pignone di Vibo Valentia, ha annunciato che la multinazionale ha presentato un piano di sviluppo per oltre venti milioni di euro connesso a una richiesta autorizzativa di ampliamento inoltrata all’ufficio del commissario Zes. «Una multinazionale – ha detto l’ingegnere Marino – è spinta ad investire in un luogo piuttosto che in un altro se trova la concorrenza di più condizioni favorevoli: facilitazioni, semplificazioni ma anche capitale umano. Queste condizioni, grazie anche alla collaborazione con l’Unical, in questo momento le abbiamo trovate qui. Abbiamo trovato una Calabria che va veloce, una regione, un ufficio Zes che vanno più veloci delle nostre stesse scelte. E per me, che sono calabrese di ritorno, è fonte di grande motivazione».

«Questa tre giorni non è stata una passerella», ha detto il commissario Giosy Romano in conclusione. «Volevamo mettere insieme un approdo e una partenza, strettamente coincidenti ragionando per ossimoro. La Calabria è una miniera, diceva ieri Callipo, c’è bisogno di una chiave per aprire la porta del Mediterraneo, suggeriva il ministro egiziano Ibrahim Ashmawy. Per dare un’immagine del cammino fatto finora posso dire che abbiamo trovato un terreno vergine e contaminanto allo stesso tempo. Abbiamo iniziato togliendo i sassi, per rendere fruibile la semina e renderla compatibile con il raccolto dello sviluppo. Tutto questo no sarebbe stato possibile senza interlocuzioni istituzionali, innanzitutto quella del presidente della Regione, Roberto Occhiuto, e del  presidente di Unindustria, Aldo Ferrara.

L’infrastruttura immateriale del progetto sicurezza che abbiamo presentato oggi è una semina ulteriore: mi sento di dire che entro un anno il progetto potrà essere attuato anche per i poteri in deroga al codice degli appalti di cui il commissario di governo è dotato. Il progetto (Pon legalità del Ministero dell’Interno) prevede il monitoraggio delle matrici ambientali (acqua, aria, suolo) e la videosorveglianza dei siti industriali per contribuire al contrasto degli illeciti e favorire interventi di prevenzione.

È all’ordine del giorno anche la questione dell’ampliamento del perimetro delle aree industriali ricadenti in area Zes che risale al documento strategico regionale del 2017 che ha delle lacune per evidenti errori progettuali. La linea è quella di provvedere alla sottrazione delle aree non edificabili dal computo delle aree suscettibili di insediamento.

Ora ci aspetta un salto. La sfida successiva è creare un corridoio privilegiato tra la Calabria e l’altra sponda del Mediterraneo. Deve esserci un interesse reciproco, è un principio economico e dobbiamo mettere a sistema questo rapporto. Ci sono tutte le condizioni per raggiungere l’obiettivo. Abbiamo un grande vantaggio, quello di non dover individuare una direzione, è certa, è verso Sud, dobbiamo solo trasformare la potenza delle braccia che vanno in una direzione in energia». (ed)

GIOIA TAURO E CALABRIA: MEDITERRANEO
LA CARTA STRATEGICA PER LO SVILUPPO

di FRANCESCO CANGEMIIl ruolo del Mediterraneo va consolidandosi sempre di più nonostante le diversità che caratterizzano i vari Paesi bagnati da questo mare. La Calabria, in questo contesto, ha una enorme possibilità: quella di assumere un importante ruolo strategico con le sue coste e, in particolare, con il porto di Gioia Tauro che sembra essere in perenne rampa di lancio verso lo sviluppo definitivo.

Sarà il porto di Gioia Tauro, ma non solo, al centro del dibattito internazionale che si terrà da domani a Gizzeria Lido per analizzare le prospettive che il Mediterraneo può sviluppare e quali sinergie possono essere utili per lo sviluppo della Calabria sia da un punto di vista economico che turistico, aspetto su cui la regione può puntare molto.

Dal 24 al 26 marzo, a Gizzeria Lido appunto, si terrà la seconda edizione degli Stati generali del Mediterraneo organizzati dall’Ufficio del Commissario straordinario di Governo della Zes Calabria, Giosy Romano, in collaborazione con la Regione Calabria, Unindustria Calabria e la Confederazione italiana per lo sviluppo economico (Cise).

Il primo giorno, alle ore 10, è previsto l’intervento introduttivo del presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto e un indirizzo di saluto del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi e del Ministro Adolfo Urso.

Un incontro che vede insieme istituzioni e imprenditori perché mira proprio a capire quanti e quali prospettive di sviluppo ci possono essere per questa area e le zone che la compongono. Un’occasione imperdibile per la Calabria, e per il porto di Gioia Tauro in particolare, che vuole e deve essere protagonista dell’area del Mediterraneo.

Tante sono le possibilità di sviluppo che si analizzeranno a Gizzeria Lido, molte le possibilità di finanziamento che si possono intercettare e realizzare progetti che possono fare della regione Calabria un faro per il Mediterraneo.

Sul porto di Gioia Tauro possono, infatti, convergere le intenzioni del mondo industriale non solo italiano ma di tutta l’area che sarà al centro del dibattito. Sviluppo è la parola d’ordine, è quasi un dovere quello di ampliare il raggio d’azione del grande porto calabrese al fine di portare nuove opportunità economiche in un territorio che ha fame di nuovi mercati.

Calabria centro del Mediterraneo, quindi, non solo come vuoto spot da ripetere nelle varie campagne elettorali ma un impegno concreto da realizzare da qui ai prossimi anni.

Nella tre giorni sono previste sessioni di lavoro tra esponenti istituzionali italiani e dei paesi ospiti (Egitto, Tunisia, Libia, Algeria, Iraq), imprenditori italiani ed esteri, rappresentanti del sistema bancario.

Prevista la presenza del vice presidente di Confindustria, Vito Grassi, del sottosegretario all’Interno, Wanda Ferro, e di Maria Tripodi sottosegretario agli Esteri, dell’assessore allo Sviluppo economico della Regione Calabria, Rosario Varì, del presidente di Confapi Calabria, Francesco Napoli, del responsabile del marketing strategico internazionale di Leonardo Spa, Corrado Falco, del responsabile Sud di Unicredit, Ferdinando Natali.

Dai paesi ospiti arrivano: Ramadan Aboujanah, vicepresidente del Consiglio e Ministro della Sanità (Libia), Reham Mohamed Fahmy Abdelgawwad, Presidente del Consiglio delle donne d’affari egiziane (Egitto), Moustafa Ali Moussa, Ceo Connect International, Walid Gamal Al Din, Charmain General Authority Economic Zone Suez Canal (Egitto), Ibrahim Ashmawy, Viceministro per le forniture e il commercio (Egitto), Mohamed Badi Klibi, Ceo Bizerta Free Zone (Tunisia), Nejia Ben Hella Presidente Associazione UNFT (Tunisia), di Nuri Ali Mohamed Gatati, Viceministro dell’Economia e Commercio (Libia), Waleid Gamal El Dien, Charmain of Suez Canal (Egitto), Emad Khalil, membro del Parlamento (Egitto), Laura Mazza, Segretario Generale del Parlamento del Mediterraneo, Nermin Sharif, Responsabile Porti Bengasi e Tripoli (Libia), Mohamed Salah, Ministro governo locale con delega allo sviluppo (Libia), Ahmed Samir, Ministro del Commercio e dell’Industria (Egitto), Ibrahim Taha, CEO Express Porto di Alessandria d’Egitto, Fawzi Hmed Saad Wadi, Sottosegretario Ministro Economia (Libia)

L’obiettivo è creare un ponte di dialogo, in un momento cruciale ma strategico per l’area del Mediterraneo, tra decisori pubblici e mondo delle imprese per facilitare i rapporti imprenditoriali in corso e incentivarne di nuovi.

In questo contesto la regione Calabria, per la sua posizione, gioca un ruolo fondamentale. Nell’ambito delle facilitazioni previste per le Zone franche e per la Zes, saranno attivati percorsi di intervento e valorizzazione del sistema delle imprese delle due sponde del bacino dell’area Sud con appositi protocolli, con un focus sulle risorse destinate al sostegno industriale, alle infrastrutture, al rapporto finanza/impresa, alle opportunità dell’intermodalità logistica, per accrescere il valore di un Mediterraneo allargato. (fc)

PIATTAFORMA ENERGETICA PER L’EUROPA
LA CALABRIA GUARDA AL RIGASSIFICATORE

di PIETRO MASSIMO BUSETTAProporsi di diventare piattaforma energetica dell’Europa è una idea importante che Meloni sta portando avanti. Adesso anche Adolfo Urso, ministro delle imprese e del Made in Italy, ne ha parlato e sembra che il progetto stia entrando nella fase operativa. Ha nel Mezzogiorno e nel Nord Africa la sua base, ma tutto il Paese é coinvolto, come è giusto che sia. 

Le fonti che devono essere usate sono il gas con i collegamenti stabili, come gli impianti che collegheranno la Sicilia e il Nord Africa. Ma a fianco ad essi, per utilizzare anche lo stesso gas proveniente da più lontano, trasportato dalle navi gasiere, sono necessari i rigassificatori che trasformino il gas da liquido in gassoso. E Ravenna e Piombino sono già pronti ad entrare in funzione.                       

In realtà ne servono anche altri e la Calabria del presidente Occhiuto si è dichiarata pronta ad ospitarne uno fisso nella piana di Gioia Tauro. Fra l’altro in quell’aerea il freddo che proviene dal procedimento potrebbe essere usato per una catena per i prodotti agricoli della zona.        In realtà l’Enel ne vorrebbe costruire uno anche a Porto Empedocle. Ma tale impianto è molto contestato dalla popolazione locale che ritiene inconcepibile che si possa localizzare un rigassificatore a poche centinaia di metri dalla Valle dei Templi, il più grande ed interessante sito archeologico, complesso della Magna Grecia, esistente in Italia e nel Mondo. Utilizzando Porto Empedocle, che ha una vocazione turistica importante perché ai margini della Valle ma anche frontaliera delle isole Pelagie. Arcipelago che comprende Lampedusa, Linosa e la disabitata Lampione.     

D’altra parte considerato che vi é Gela , Pozzallo e anche Augusta, con vocazione prevalente  industriale, pensare di cambiare indirizzo ad una zona che oltre alla Valle possiede anche Punta Bianca é una forzatura inaccettabile. L’altro combustibile fossile  che fornisce energia é il petrolio, che trova nelle raffinerie presenti sopratutto in Sicilia  un complesso industriale importante, ma che nel tempo, per attuare la transizione ecologica, dovrà essere chiuso. Gli impianti eolici pare che possano trovare collocazione solo nel Sud, considerato che la Pianura Padana ha poco vento e che le Alpi si vogliono preservare dall’inquinamento estetico, oltre che acustico, che inevitabilmente esse portano, in una difesa inaccettabile che deturpa solo alcune parti.  

Vi é un grande investimento al largo delle Eolie, che ha  trovato l’approvazione della Lega Ambiente, ma é contrastato dai pescatori e dalle comunità locali. Vi sono tentativi di incanalare l’energia proveniente dal moto ondoso,  con un impianto sperimentale a Pantelleria di grande interesse. Ad agosto 2019 è stato ufficialmente inaugurato il, primo dispositivo italiano in scala 1:1 per la produzione di energia elettrica dal moto ondoso: il prototipo, ormeggiato a 800 m dalla costa dell’isola di Pantelleria e a 35 m di profondità, è il frutto del lavoro decennale sviluppato da Politecnico di Torino con il supporto di Enea e Iamc-Cnr.

Poi vi sono gli impianti che catturano l’energia solare che hanno due filoni. Il primo riguarda la possibilità di utilizzare grandi estensioni di campi e le superfici dei tetti per collocarvi pannelli solari. Questo sta avvenendo in modo massiccio e certamente daranno un contributo decisivo alla autonomia energetica del nostro Paese. In Europa le possibilità sono limitate dalla insufficiente insolazione. 

Per supportare tali impianti Enel Green Power ha aperte uno stabilimento a Catania che ha iniziato la produzione del pannello bifacciale nel sito del modulo 5, contribuendo alla costruzione di quel sistema virtuoso che remuneri il Sud per la disponibilità dei propri territori con impianti ad intensità di manodopera.

Il secondo riguarda la costruzione di cavi elettrici da posare sul fondo del mare per trasportare l’energia dalla sponda sud del mare nostrum. I cavi tra Europa ed Africa passeranno da Castelvetrano, in Sicilia. La Terna, società a prevalenza pubblica, sta investendo miliardi di euro per un collegamento con la Sardegna che poi arrivi con collegamenti stabili in Toscana. Inoltre con la Tyrrhenian Link, l’interconnessione sottomarina che collegherà Campania, Sicilia e Sardegna,

Pochi riferimenti all’energia proveniente dalle centrali nucleari, che la Francia saggiamente non ha mai abbandonato e invece altri Paesi stanno considerando seriamente, dopo la sbornia dell’abbandono degli anni 80, che tanto danno ha fatto, grazie  all’opera di ambientalisti improvvisati. Ma che ha il suo grande problema nello smaltimento delle scorie non ancora risolto. Problema che però hanno anche le raffinerie da dismettere come i pannelli solari e che hanno meno le pale eoliche. 

Il progetto di porsi come piattaforma energetica europea é nelle cose, dopo che si sono chiusi, probabilmente per sempre, gli approvvigionamenti dalla Federazione Russa. Ma evidentemente, cosi come il Sud pretende di avere dei ritorni dalla disponibilità del proprio territorio, anche l’Italia vuole che tale disponibilità abbia un ritorno da parte dell’Europa.

Per il Sud dovrebbe essere rappresentato  dalle localizzazioni di impianti manifatturieri, che utilizzino la grande quantità di capitale umano formato disponibile, senza costringerlo all’emigrazione  forzata, come avviene dalla fine della seconda guerra mondiale. Il passo dell’Enel con lo stabilimento di Catania va in tale direzione, ma rappresenta una goccia rispetto a quello che serve. 

Nei confronti dell’Europa quello che va chiesto attiene alla contribuzione agli investimenti strutturali necessari, con risorse a fondo perduto da destinare sia alla realizzazione dei collegamenti stabili necessari ma anche degli impianti. I destinatari dovrebbero essere le aziende pubbliche o private che intraprendono tale iniziative. Il rapporto dell’Italia dovrebbe capovolgersi e da predatorio diventare collaborativo rispetto alle aree del Nord Africa ed anche del Mezzogiorno. 

Così come l’Europa dovrebbe contribuire, come in parte sta facendo, con fondi straordinari nei confronti della infrastrutturazione e dell’industrializzazione del Sud, magari intervenendo con risorse importanti nella costruzione del ponte sullo stretto di Messina, dell’alta velocità ferroviaria, della messa regime dei porti dirimpettai di Suez come quelli di Gela, Augusta e Pozzallo. Credo che questa sia l’obiettivo e per la realizzazione di tale progetto conviene battersi. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

«TROPPI MURI E MAI ABBASTANZA PONTI»
STRETTO: IL PROBLEMA NON SONO I SOLDI

di PIETRO MASSIMO BUSETTA Per il Mose di Venezia, nel bilancio del Consorzio Venezia Nuova (concessionario dell’opera), sono stati iscritti lavori per un costo di quasi 7 miliardi di euro. Si stima poi che la manutenzione del Mose costerà 100 milioni di euro per ognuno dei 100 anni in cui dovrebbe restare in funzione.  E sono più di 800mila euro i costi di quattro giorni di funzionamento per salvare la città dall’acqua alta.  

Il costo della Tav si avvicina a 12 miliardi, solo nella parte italiana. Ma due studiosi Foietta ed Esposito hanno stimato che, se la Torino-Lione fosse costruita tutta insieme e quindi non per “fasi funzionali” avrebbe un costo totale di 24,7 miliardi di euro. Terna sta costruendo un elettrodotto che costa circa 4 miliardi per portare l’energia dal Marocco alla Sardegna, alla Campania e alla Sicilia. Considerata la rilevanza strategica del Tyrrhenian Link, uno dei principali interventi infrastrutturali del Paese, fondamentale per lo sviluppo e la sicurezza del sistema elettrico nazionale, l’iter autorizzativo dell’opera si è concluso in tempi record: sono infatti trascorsi 11 mesi tra l’avvio del procedimento e l’approvazione del progetto definitivo da parte del MiTE.

La Toto Holding Renexia vuole costruire un maxi parco eolico al largo delle isole Egadi, con un progetto da 9 miliardi. Vale 1 miliardo e 100 milioni di euro il bando di gara pubblicato da Rete Ferroviaria Italiana (Gruppo Fs Italiane) in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea per la realizzazione del passante e della stazione AV del nodo di Firenze. Un’opera, riporta un comunicato, considerata «strategica» per il Gruppo Fs e Rfi.

Bene perché questo elenco di opere pubbliche  e private con ordini di grandezza di parecchi miliardi, spesso superiori al costo previsto per il ponte sullo stretto? Perché si vuole dimostrare che il problema che è sorto con quest’opera pubblica non è quello del suo costo, considerato che opere con importi molto più elevati sono state decise da pochi amministratori talvolta e sono state portate avanti in tempi estremamente brevi.      Chiedersi allora perché vi è tanta attenzione su questa opera pubblica, tanto da  fare  annullare un bando di assegnazione, mettendo in discussione la credibilità dell’intero Paese e andando incontro alla possibilità che lo Stato sia condannato ad un maxi risarcimento di 700 milioni, considerato che è ancora in corso un procedimento da parte della società vincitrice, può essere molto interessante.  

Qualcuno sostiene che la motivazione principale sia stata quella che l’opera se l’è intestata Silvio Berlusconi, qualcuno la definì il suo mausoleo e per questo non doveva essere costruita. Se questa spiegazione fosse corretta stiamo facendo un errore analogo, in quanto adesso se la sta intestando Matteo Salvini,  con il rischio che si ripeta il percorso già compiuto.

A me pare che questa spiegazione non sia convincente, come non lo è quella del benaltrismo per cui con quelle risorse si potrebbero fare tante altre cose. A mio parere il motivo principale per cui l’opera continua ad avere grandi difficoltà ad essere realizzata, malgrado si è dimostrato addirittura che il suo costo verrebbe pagato in un anno dai risparmi che ne avrebbe l’economia siciliana, sono altre. Verrebbe pagata in un anno non per il parere di qualche buontempone, ma per le evidenze di uno studio non solo della Regione siciliana, ma fatto in collaborazione con Prometea, la cui credibilità scientifica nessuno mette in discussione. 

Ed allora  la spiegazione deve essere probabilmente più ampia e deve guardare alla geopolitica di quest’area del mondo. Se è vero che il 20% del traffico mondiale passa attraverso il Mediterraneo, se è vero che nella graduatoria dei mezzi trasporto più inquinanti dopo l’aereo, viene l’auto e dopo la nave e infine il treno, allora il ponte sullo stretto ed il corridoio che da Hong Kong, attraverso il Canale di Suez ed il porto di Augusta potrebbe portare le merci a Berlino sposterebbe interessi consistenti da una parte all’altra  dell’Europa.  Per avere dimensione ricordo che il solo porto di Rotterdam  occupa direttamente 1.100 persone e 384.500 posti di lavoro dipendono in qualche modo dal porto.

Genera un fatturato annuo di 707,2 milioni di euro con un valore aggiunto (diretto e indiretto) di oltre 45,6 miliardi di euro. É peraltro evidente che prima o  poi la stessa Unione, in presenza di un corridoio che evitasse di far attraversare le maxi navi porta container tutto il Mediterraneo, costeggiando l’Egitto, la Libia, la Tunisia, l’Algeria, passando lo stretto di Gibilterra, per poi risalire per le coste del Portogallo, della Spagna, della Francia, attraversare Calais, e poi costeggiare il Belgio per arrivare finalmente ai Paesi Bassi ed entrare nel porto di Rotterdam, potrebbe proibire o scoraggiare tale circumnavigazione fonte di tante emissioni di CO2. 

Se si pensa che è bastato collegare Gioia Tauro con “un’idea” di ferrovia per farla diventare il primo porto merci italiano si capiscono gli interessi in campo. E come molti porti, compresi Trieste e Venezia, avrebbero da temere la concorrenza di nuove vie. Allora forse tante cose si spiegano anche il costo, attribuito al progetto di 1,2 miliardi dal pezzo scritto da Milena Gabanelli sul Corriere della Sera, che commette già l’errore nel titolo stesso, visto che non è costato 1,2 miliardi ma molto meno addirittura un quarto o la fiction The Bud Guy che, con una tempistica eccezionale arriva su Amazon Prime, raccontando il  crollo catastrofico, proprio quando si rimette in funzione la società ponte sullo stretto. 

Può essere poi che fare il ponte obbligherebbe il sistema Italia a collegare con l’alta velocità ferroviaria tutto il Sud del Paese, con costi evidentemente importanti, che non possono incidere sulle altre opere pubbliche che potrebbero non trovare i finanziamenti necessari soprattutto al Nord? 

Alla favola del blocco perché ci sono i “no ponte”, o perché il progetto non è adeguato, o perché la faglia sismica tra le due coste si allontana, o perché le balene potrebbero soffrire dell’ombra dei piloni o gli uccelli potrebbero andare a sbattere contro essi, consentitemi, non ci crede più nessuno. 

Adesso è l’ora di fare i conti e capire se finalmente il Paese vuole sfruttare quel dono che la natura gli ha dato ponendolo al centro del Mediterraneo, oppure in una visione eurocentrica vuole dimenticare la sua vocazione mediterranea. (pmb)

(Courtesy Il Quotidiano del Sud / L’Altravoce dell’Italia)

L’europarlamentare Nesci (Fdi): Politica del Mediterraneo grande assente dell’agenda europea negli ultimi anni

L’eurodeputato di Fratelli d’ItaliaDenis Nesci, ha evidenziato come «il Mediterraneo e una politica del Mediterraneo sono stati tra i grandi assenti dell’agenda europea negli ultimi anni, non solo dal punto di vista geopolitico ma anche rispetto ad altre importanti dimensioni».

Nesci, infatti, è intervenuto in Commissione Regi alla presentazione della relazione sul Ruolo della politica di coesione nell’affrontare le sfide ambientali multidimensionali nel bacino del Mediterraneo.

«La relazione, pur presentando dei validi punti di partenza come la promozione di una gestione integrata delle zone costiere, l’interconnessione dei fondi del Feamp con i fondi di coesione – ha continuato l’esponente di Fdi – deve puntare ad una governance più efficace e condivisa del Mediterraneo attraverso l’attuazione di una strategia macroregionale per il bacino che rappresenta un trait d’union tra Europa, Africa e Medio Oriente, innanzitutto per prevenire e gestire flussi migratori incontrollati, ma anche per individuare un piano strutturale per la mitigazione dei cambiamenti climatici, per contribuire alla nostra autonomia energetica, e per lo sviluppo dell’economia blu attraverso la valorizzazione della filiera economica del mare fortemente connessa alle realtà portuali del Mediterraneo».

«Per questo, già nei prossimi giorni come delegazione Fdi – ha concluso Nesci – lavoreremo a delle modifiche che possano migliorare il testo per arrivare all’approvazione di una relazione in grado, effettivamente, di favorire una politica di coesione per il Mediterraneo». (rrm)

PONTE, RUOLO FONDAMENTALE PER MERCI
E COSÌ PREFERISCONO PENALIZZARE IL SUD

di ROBERTO DI MARIA – Al Ponte di Messina si pensa soprattutto come infrastruttura utile al passaggio delle persone da una sponda all’altra dello Stretto, trascurandone il ruolo, fondamentale per lo sviluppo economico di entrambe le regioni nell’ambito del trasporto merci.

Anche i più agguerriti nemici del Ponte non possono negare che un sistema di traghettamento, per quanto ben organizzato, rappresenta un oneroso collo di bottiglia per camion, tir, autoarticolati e per il cosiddetto trasporto Ro-Ro che tanto è cresciuto negli ultimi anni attraverso l’Adriatico. Con l’aggravante che imbarchi e sbarchi dei mezzi commerciali avvengono in maggioranza dal nuovo porto di Tremestieri, infelicissima e costosissima scelta a causa di prevedibili insabbiamenti che ne limitano l’utilizzo. 

Il trasporto dei pochi carri merci – oltre il 90% del trasporto merci si svolge su gomma, a dispetto delle raccomandazioni dell’Ue – è curato dalla flotta Rfi e subisce i rallentamenti derivanti dalla scomposizione e ricomposizione dei convogli prima dell’imbarco e dopo lo sbarco. Un traffico talmente limitato da risultare ormai residuale. Non potrebbe essere altrimenti: l’inevitabile lentezza delle operazioni e la relativa rottura di carico appesantiscono il sistema, sia in termini di tempo che, soprattutto, in termini di costo.

Proprio questo è il principale obolo che la Sicilia paga quotidianamente per un’insularità facilmente superabile, determinando quel “buco” di sei miliardi annui sottratti alle tasche dei siciliani, secondo le stime dell’istituto Prometeia. Questa “tassa” sul trasporto merci determina conseguenze nefaste per Sicilia e Calabria, tali da rendere oggettivamente impossibile rispettare la prescrizione dell’Ue di trasferire da gomma a ferro il 30% del trasporto merci entro il 2030. E il 50% entro il 2050.
Per l’incomprensibile gioia degli ambientalisti italiani, evidentemente lieti di inquinare pur di evitare la costruzione del Ponte.

Quanto esposto è un quadro ancora parziale delle conseguenze negative della discontinuità territoriale tra Sicilia ed Europa. È l’intero sistema logistico meridionale a pagarne le spese. Si pensi all’impossibilità di esercitare la funzione gateway agli scali siciliani perché il traghettamento “strozza” il flusso dei container. Rendendo irridente la definizione di “Sicilia hub del Mediterraneo”.

Porti come il Pireo, Algeciras e Valencia, che “guardano” verso Suez e il Nord Africa, analogamente a quelli del nostro Mezzogiorno, sono riusciti ad attrarre quantitativi di merci doppi o tripli rispetto a quelli di Genova e Trieste. Intorno a questi scali si va sviluppando la Logistica connessa alle nuove “catene del valore corte”, che attraendo i grandi Edc (European Distribution Centre) e la manifattura ad essi sempre più collegata, finiranno per dare un colpo mortale alla Pmi lombardo-veneto-emiliana. Un disastro economico facilmente prevedibile già anni or sono, verso il quale i governi nazionali conducono il Paese con colpevole incoscienza. 

Spagna, Grecia, Turchia, Egitto, Marocco e Cina lavorano alacremente per interfacciare i corridoi Ten-T europei con i futuri grandi assi trasportistici africani e mediorientali, che irradieranno sviluppo in territori abitati da centinaia di milioni di giovani ansiosi di crescere economicamente, socialmente e culturalmente. Ci vorranno decine di anni ma la programmazione geoeconomica va fatta ora, considerati i tempi lunghi necessari per realizzare le reti infrastrutturali necessarie.
I porti siciliani senza Ponte e quelli calabresi e pugliesi senza Av/Ac ferroviaria sono tagliati fuori da questi progetti planetari. 

Appare persino superfluo spiegare che nessun armatore, sano di mente, scaricherebbe i propri containers in un qualsiasi porto siciliano, sapendo che gli stessi dovrebbero essere re-imbarcati a Messina e re-sbarcati a Villa S. Giovanni per proseguire il loro viaggio verso l’Europa. Operazione che renderebbe impraticabile, dal punto di vista economico, questa soluzione, senza considerare le complicazioni in termini di strutture e navi da coinvolgere.

Possono comprendersi, in questo modo, le conseguenze che l’assenza del Ponte comporta non soltanto per la Sicilia, ma per l’intera Nazione, che perde l’occasione di sfruttare appieno le proprie regioni meridionali, protese come un enorme molo verso il Mediterraneo, su cui transita il 25% del traffico mondiale di containers.

La pianificazione della logistica sposata dall’attuale governo e dai precedenti, ha invece cristallizzato la sua attenzione su Genova e Trieste, destinandovi la quasi totalità dei fondi previsti del Pnrr per la portualità su tutto il territorio nazionale.

Per far piovere alcuni miliardi su Genova, l’Italia rinuncia a tentare di rivestire un ruolo chiave nell’ambito del sistema mediterraneo, condannando all’irrilevanza aree potenzialmente straordinarie come Augusta, Gioia Tauro e Taranto. Scali che – inseriti in un contesto locale ricco di opportunità (nuove Zes) – potrebbero generare un enorme valore aggiunto sia in fase di realizzazione che in esercizio. Valore aggiunto che, senza Ponte, resterebbe in buona parte inespresso. 

Ancora una volta, quindi, ci rendiamo conto di quanto assurdo e miope sia il benaltrismo del “prima le strade” o “prima le ferrovie” se non addirittura “prima i porti del Nord”. Perché tali infrastrutture hanno un senso soltanto se danno continuità al sistema infrastrutturale continentale. Condizione molto, ma molto più importante di quanto non si creda. 

Ciò che sorprende è che, in un mondo che resterà globalizzato ancora per tutto questo secolo – pur se in modalità più evolute di quelle viste alla fine del secolo scorso – l’Italia non riesca a cogliere l’importanza della connettività e qualcuno arrivi a considerare l’isolamento come un valore da mantenere. Un’idea che sta scavando la fossa alla Sicilia, coinvolgendo, come abbiamo visto, l’intero Paese. (rdm)

(Roberto Di Maria è ingegnere dei Trasporti)

Biennale dello Stretto: siglato in traghetto il protocollo d’intesa per il via

Nata dal progetto Mediterranei invisibili dell’archistar Alfonso Femia la Biennale dello Stretto, alla sua prima edizione, è pronta a vedere la luce: ieri a bordo della nave Telepass di Caronte-Tourist, in navigazione nello Stretto è stato siglato il protocollo d’intesa con le città metropolitane di Reggio e Messina, da rispettivi sindaci Federico Basile e il ff Carmelo Versace. A firmare il protocollo anche il presidente degli architetti di Reggio Ilario Tassone e il presidente della società benefit 500×100 arch. Alfonso Femia.

La Biennale dello Stretto vuole invitare a scoprire il Mediterraneo, la sua storia, il paesaggio e l’abitare nelle due sponde che si specchiano là dove il mito colloca Scilla e Cariddi. Ovviamente non sarà soltanto limitata ai territori di Reggio e Messina, bensì coinvolgerà tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, quindi Europa e Africa, per racocntare l’urbanizzazione dell’ambiente, la storia e la cultura del Mare Nostrum.

Secondo Carmelo Versace «La Biennale dello Stretto è una straordinaria opportunità per il nostro territorio una occasione per costruire attraverso il confronto e l’incontro tra i tecnici e la comunità territoriale, una visione d’insieme sul futuro di quest’area che contiene nel suo Dna geografico, paesaggistico e culturale un bagaglio di potenzialità davvero unico al mondo. Oggi proseguiamo sul cammino avviato, mettendo a frutto i risultati raggiunti in questi anni e continuando ad offrire la nostra piena collaborazione, in sinergia con gli altri enti territoriali, per la creazione di una visione omogenea delle politiche dello sviluppo sull’area metropolitana dello Stretto». Gli ha fatto eco il sindaco metropolitano di Messina Federico Basile che ha auspicato una «conurbazione di Messina e Reggio Calabria, condivisa da tutti e fondata sulla qualità delle proprie produzioni, su una rinnovata identità culturale e su un progetto di rinascita credibile e raggiungibile, che possa coinvolgere tutti i cittadini».

L’ideatore dle progetto, arch. Femia ha voluto sottolineare che non si tratta semplicemente di un evento «ma la tappa importante di un percorso intrapreso cinque anni fa, che ha permesso di incontrare, osservare e ascoltare in diretta le voci dei territori mediterranei, particolarmente di quelli celati. Il progetto vuole essere un’occasione di proiezione nel futuro, attraverso l’attivazione di un laboratorio internazionale sulle tre rive del Mediterraneo e sulle relazioni tra il Mediterraneo e il resto del mondo, costruendo un dialogo che il mutante contesto ambientale rende sempre più necessario e urgente».

Ilario Tassone, presidente degli Architetti della provincia reggina, ha rimarcato come la Biennale dello Stretto sia  «uno scenario ideale per spiegare come l’architettura sia attivatrice di valori sociali, etici, ambientali ed economici alla scala urbana e territoriale, che attraverso l’impegno progettuale genera processi internazionali di scambio e riflessione».

Il taglio del nastro ha visto la partecipazione anche della prof.ssa Francesca Moraci curatrice della Biennale che, insieme con l’architetta Mariangela Cama, coordinatrice del progetto, ha espresso un pensiero comune: «C’è una condizione culturale che si sta evolvendo – ha detto la Morace – unita ad una capacità sociale di pensare al futuro dello Stretto nella duplice dimensione di baricentro del Mediterraneo». La coordinatrice Cama ha, quindi, sottolineato che il progetto «è frutto di una profonda condivisione di idee e di intenti e il processo virtuoso che la Biennale ha già iniziato ad innescare, sono un risultato straordinario che riattribuisce allo Stretto e a tutto il Sud la storica dimensione internazionale che gli appartiene». (rrc)

PONTE: CON UN PAIO D’ORE RISPARMIATE
SICILIA, CALABRIA E ITALIA PIÙ “VICINE”

di ROBERTO DI MARIA – Del Ponte sullo Stretto, in campagna elettorale, è giusto che si parli, data l’importanza che esso assume per l’intero Mezzogiorno. L’opinione pubblica italiana lo vede come l’infrastruttura più complessa mai costruita, che stabilirà una serie di record tra i quali spicca la campata sospesa più lunga del mondo (3300 m). Una dimensione che finisce per nascondere l’importanza trasportistica, sociale e perfino politica dell’opera stessa.

Nel 2022 è inutile ripetere che l’aspetto trasportistico, con la logistica ad esso strettamente connessa, ha ormai un’importanza fondamentale ai fini dello sviluppo dei territori: l’intero pianeta si va ridisegnando in base ai nuovi parametri che fanno della connettività uno strumento di crescita ancora più importante della geografia (Parag Khanna). A negarlo sono rimasti solo i pochi irriducibili sostenitori della “decrescita felice” di Latouche, in quotidiano arretramento a causa di crisi energetiche, alimentari, delle materie prime e, purtroppo, anche dei conflitti in atto.

Peraltro, guardando ai tanti problemi del trasporto viaggiatori su ferro in Sicilia, anche l’osservatore più sprovveduto deve ammettere che gli interventi in corso e quelli previsti si riveleranno pressoché ininfluenti, se dovesse permanere l’attuale condizione di isolamento della nostra Regione.

 Il Ponte sullo Stretto, da solo, consentirebbe una riduzione dei tempi di viaggio nella relazione Sicilia-Continente quantificabile almeno in un paio d’ore: tanto è il tempo che passa tra l’arrivo di un treno Intercity a Villa S. Giovanni e la sua partenza da Messina, o viceversa. Una penale da pagare per pochi km di mare che gli orari attualmente in vigore ci rivelano variabile tra 1 h: 50’ e 2 h: 15’: quanto basta per raggiungere almeno Bologna da Roma: 400 km con treni ad Alta Velocità.

 Nel caso della Sicilia, di AV è meglio non parlarne: senza Ponte, essa continuerà a fermarsi a Salerno, lasciando inattuato il corridoio TEN-T Scandinavo-Mediterraneo, che dovrebbe arrivare fino a Palermo. Il motivo è semplice: i collegamenti AV comportano costi di costruzione molto elevati, e devono garantire benefici economici di entità ancora maggiore per superare la fiera opposizione di chi vuole riservare tali risorse al di sopra di Roma. Dove i vantaggi immediati sono molto più evidenti.

 Di fronte a questa mentalità – che è contemporaneamente neo liberista e bottegaia – non serve parlare di benefici sociali e di sviluppo a medio-lungo termine in quanto ciò che conta è solo l’immediato utile economico locale, non la crescita equilibrata del Paese. E i risultati di tale politica economica sono sotto gli occhi di tutti.

Realizzare qualche tratta ed AV per un paio di centinaia di km, lasciandole separate dalla rete europea non serve a nulla. Le differenze nei tempi di percorrenza non giustificano l’investimento, ovvero “il gioco non vale la candela”. Non avrebbe senso, quindi, realizzare una AV limitata al solo territorio siciliano, dove le distanze tra le città principali sono inferiori alla metà del limite dei 500km generalmente considerato lo spartiacque tra i collegamenti da rendere veramente “veloci” e quelli che si possono lasciare “lenti”. Perché il loro sviluppo non interessa ai decisori politici. Ergo, le città della Sicilia saranno servite da treni ad AV soltanto qualora la rete ferroviaria siciliana fosse messa in continuità con la rete continentale.

Inutile, poi, perdere tempo a esaminare il tanto celebrato “traghettamento veloce” ottenuto realizzando elettrotreni ad alta velocità su misura (non potendo essere scomposti come gli attuali Intercity) per entrare nelle navi traghetto: le manovre per entrare ed uscire dal traghetto, seppur semplificate, sarebbero comunque necessarie, e il risparmio di tempo limitato a un paio di decine di minuti a fronte delle attuali due ore ed oltre. Con costi assolutamente non giustificabili.

 In queste condizioni, non potrebbe mai verificarsi quella svolta che comporterebbe per l’estremo Meridione i benefici registrati dall’AV che, dovunque è stata realizzata, ha portato incrementi di PIL che raggiungono il 10% e riducono drasticamente l’uso dell’aereo, con tangibili riduzioni dell’inquinamento.

 Un nostro studio, pubblicato nel Novembre 2019 confronta i tempi di percorrenza in treno dalla Sicilia al continente con quelli dell’aereo, considerando anche i tempi necessari agli spostamenti dalla città all’aeroporto e viceversa, nonché i tempi di imbarco e di sbarco. Si scopre che sulla relazione Catania-Roma i tempi del viaggio sarebbero praticamente identici: circa quattro ore e mezza.. Sulla Palermo-Roma la differenza sarebbe meno di un’ora a favore del vettore aereo (5h30’ contro 4h38’).

Non è un cambiamento da poco: secondo le leggi dell’economia la concorrenza fra gli operatori abbassa il prezzo del prodotto. I viaggiatori siciliani non dovrebbero più sobbarcarsi i salassi a cui sono sistematicamente sottoposti dalle compagnie aeree per rientrare in Sicilia dopo le vacanze. A prezzi improvvisamente raddoppiati.

Naturalmente per gli spostamenti su gomma vale lo stesso discorso, ma trasferito al rapporto di concorrenza che si verrebbe ad instaurare tra traghettamento e Ponte. Il primo, che oggi opera praticamente in monopolio, ha costi altissimi per l’utente e la presenza dei traghetti RFI, in affiancamento al gestore privato, non ha mai determinato una vera concorrenza. Come avviene con le compagnie aeree.

 Il Ponte non solo ridurrebbe di oltre un’ora i tempi di attraversamento, ma il pedaggio sarebbe molto più basso, considerato l’orientamento consolidato di un finanziamento della costruzione interamente pubblico.

Tutto fingendo di non vedere l’incredibile mancata risposta delle massime Istituzioni (inclusi i Presidenti Mattarella e Draghi) alla richiesta, avanzata nell’Aprile 2021, del rispetto delle Norme di Sicurezza in Mare durante il traghettamento dei treni passeggeri. Stendiamo un velo pietoso su questa omissione.

In sintesi, pochi, comprensibili ragionamenti mostrano i benefici che consentirebbero ai siciliani di recuperare una buona fetta dei sei miliardi di costi aggiuntivi che, secondo l’istituto Prometeia, soffocano l’economia e la vita dei siciliani. Ma pare che non importi a nessuno. (rdm)

(Roberto Di Maria è un ingegnere dei Trasporti)