Il racconto di Natale / Pasquale Amato, storico di Reggio

di PASQUALE AMATO – È la notte di Natale del terribile 2020 dominato dalla pandemia del CoronaVirus. Per la prima volta nella mia vita ho passato in solitudine, per autonoma scelta, la vigilia del 24 dicembre. Sono solo nella casa della mia amata Reggio. Si trova in quella Via Lia che conosco dagli anni dell’infanzia e della gioventù, quando nei mesi autunnali e invernali era la Fiumarella Lia che dalla cima della Collina di Pentimele confluiva nella Fiumara Annunziata, confine Nord del centro cittadino; e nei caldi mesi estivi si tramutava in una mulattiera che noi ragazzi scalavamo sino in cima, nel Fortino,  raccogliendo tante more selvatiche dai cespugli che delimitavano i Bergamotteti e gli Agrumeti ai loro fianchi. Immersi nei profumi che emanavano dai Fiori di Zagara, ci fermavamo finalmente, stanchi ma felici, in cima a consumare il panino preparato da nonne e madri (il mio preferito era quello con la frittata di patate che ancora oggi gradisco enormemente quando mia sorella Cettina me la porta ancora calda di buon mattino. Me la preparava la mia nonna paterna Concetta, cuoca provetta che trovò in mia madre Gioconda una bravissima allieva ed oggi in mia sorella una valida erede). Da lassù ci godevamo lo straordinario panorama della città che degradava lentamente verso il mare con la catena dei Monti Peloritani e il mastodontico e fumante vulcano Etna sullo sfondo. Aspettavamo, per iniziare la discesa, i primi colori stupendi che il sole forma mentre comincia a calare dietro quello scenario da favola. Oggi i Bergamotteti non ci sono più, sostituiti da palazzi e palazzine e dall’ex-Fiumarella-mulattiera trasformata in una delle Vie più frequentate di Reggio. Quando piove forte, però, la natura si prende la sua rivincita trasformando la Via Lia nella Fiumarella che storicamente è sempre stata.

In quegli Anni Cinquanta e Sessanta il Natale era un periodo magico. Era atteso tutto l’anno da tutti, giovani e adulti. Per noi più giovani era il periodo in cui i sogni coltivati per un anno si addensavano in momenti di vita collettiva vissuti con l’intera parentela. Aveva le sue anteprime nella Pasqua e Pasquetta e nel Ferragosto. Ma le Feste di Natale erano tutt’altra cosa. Erano il culmine dei sentimenti, delle emozioni attese e sognate per un anno. C’erano anche allora il Cenone della Vigilia e il Pranzo di Natale. E poi – nel breve giro di una settimana – la ripetizione di entrambi nella vigilia di fine anno e nel Capodanno. C’erano anche le crispelle, i petrali e i torroni, ancora oggi protagonisti delle tavole natalizie dei reggini, testimonianze di riti millenari che resistono ai segni del tempo. Fanno parte delle “Onde di lunga durata” della Storia che sono state l’intuizione geniale di Fernand Braudel nell’ambito della rivoluzione storiografica delle Annales di Parigi. Esse resistono per millenni, permanendo oltre qualsiasi evento o epoca.  Ma era il clima che era differente. Nella mia famiglia acquistava poi un sapore speciale.

Dai primi giorni di dicembre cominciavano i preparativi nel laboratorio della Pasticceria di mio padre Lorenzo per la lavorazione dei torroni. Allora erano soprattutto di tre tipi: il torrone bianco all’ostia – il più antico -, il torrone Gelato e il torrone “a spoglia” ricoperto di glassa di vari gusti. Sto risentendo – nell’immaginario della mia mente – la sensazione olfattiva piacevolissima del torrone che usciva dal forno e inondava col suo profumo non solo il negozio ma anche l’aria attorno alla Pasticceria. Seguiva poi per noi più giovani la fase quasi avventurosa della confezione dei torroni “a spoglia” (“l’impogliamento”). Si realizzava una vera e propria mobilitazione di massa della famiglia, allargata ai parenti, con cugine e cugini, zie e zii. Era già l’anticipazione dei giorni centrali in cui davamo tutti una mano (a partire da noi tre gli: Sandro in laboratorio, Cettina alla cassa ed io nelle relazioni umane e vendite assieme a mia madre). Poi ci  ritrovavamo in tanti a tavola in alcune case che furono i luoghi d’incontro più ampi dopo le cene e i pranzi e negli altri giorni sino al 6 gennaio. Era il Giorno della Befana atteso con particolare ansia da noi più giovani, perché si ricevevano doni che ci avrebbero accompagnati per un anno. I giocattoli, i giochi, i libri illustrati venivano donati soprattutto in quel giorno, che segnava altresì l’ultimo delle vacanze natalizie con il ritorno a scuola il 7 gennaio.

I luoghi collettivi furono soprattutto due: la casa di mio nonno Alessandro Mastronardi sino a quando fu possibile. Poi la crescita delle famiglie rese impossibile che ci ritrovassimo tutti nella stessa casa del Rione Tremulini, i cui cortili brulicavano allora delle voci di tantissimi bambini mentre oggi sono vuoti e silenziosi. Così ci dividemmo in case diverse ma con una dove ci radunavamo tutti al di fuori dei cenoni e dei pranzi: la casa della famiglia La Bozzetta in viale Amendola, sempre a Tremulini. In essa dominava, con il piglio e l’autorità di una vera  leader, la maggiore delle cinque sorelle Mastronardi: la Zia Maria. Nei momenti conviviali ci ritrovavamo nel salone le famiglie La Bozzetta e Amato, con lo zio Giovanni grande esecutore di tutte le operazioni, dato che la mia famiglia era totalmente ingoiata dall’attività in Pasticceria. Nelle due Cene e Pranzi si ergeva nel ruolo principale la figura di mio padre Lorenzo. Giunto il tempo dei dolci “suoi” e dei “liquori fatti in casa” (tra cui predominavano lo “Strega” e in particolare il “Caffé”, specialità della padrona di casa), si esibiva nella sua seconda passione: le arie delle più popolari opere liriche. Il repertorio era vario e cangiante ma due pezzi erano fissi: quello di apertura ( la “Donna è mobile” dal Rigoletto) e quello di chiusura (il Brindisi dalla “Traviata”). A latere dei pranzi di Natale e Capodanno si verificò per alcuni anni un problema logistico. Al momento di iniziare si constatavano due assenze: la mia in Casa La Bozzetta e quella di mio zio Ninì Mastronardi, soprannominato “il Filosofo” per la sua passione culturale e politica e la sua indifferenza allo scorrere del tempo. Ci davamo appuntamento, per darci gli Auguri,  alla chiusura della sua officina in Viale Amendola, di fronte a Piazza del Popolo. Ma la passione per la storia, la cultura e la dialettica prendeva il sopravvento. Mentre il tempo scorreva inesorabile e le due famiglie incaricavano della ricerca dei “dispersi” due dei tanti cugini di nome Alessandro (il figlio di Ninì e Sandro La Bozzetta), noi ci accompagnavamo a vicenda più volte tra Piazza del Popolo e Piazza De Nava, rinviando costantemente il momento di salutarci, immersi in un dialogo intenso che annullava il tempo. Sino a quando accadde che sballammo tutti i tempi arrivando ad accumulare un’ora e mezza di ritardo rispetto all’ora dell’una. Da allora fummo accompagnati entrambi alla chiusura dell’Officina dai rispettivi angeli custodi. Chiudo il mio Amarcord con la parte più legata all’antica tradizione che si tramanda dai tempi di San Francesco d’Assisi: il Presepe. Specialista nella sua costruzione, nella vecchia casa di via Cardinale Portanova, fu la mia nonna paterna Concetta,  originaria  di Benevento. Fu molto presente nei miei primi dieci anni consentendo a mia madre di impegnarsi nel banco di vendita della Pasticceria. Mia madre riuscì comunque ad imparare da lei sia l’arte della cucina che quella del Presepe. Così, quando nonna Concetta si ammalò e non fu più in grado di raggiungere a piedi casa mia, il Presepe lo continuò a costruire mia madre nello stesso angolo della prima stanza, dove dormivo io. Il Presepe mi fece quindi compagnia nelle notti che fin da bambino erano accompagnate da assidue letture, ogni anno dall’8 dicembre (Festa dell’Immacolata) al 6 gennaio. E forse alimentò la mia vocazione a ricostruire la storia immaginando gli scenari degli eventi e rivedendoli nella mia mente come in un film.

Nella nuova casa del Rione San Brunello mia madre continuò la tradizione del Presepe, con la soddisfazione di aver trovato in mio fratello Sandro dapprima un appassionato allievo, poi il collaboratore e dopo la sua partenza dalla vita terrena il continuatore. sino a farlo diventare un vero e proprio esperto. E quando i suoi problemi di salute si aggravarono si accrebbe la ricerca di soluzioni meccaniche avanzate e di “pastori” sempre più connessi alla tradizione storica. Ne parlava sempre con entusiasmo assieme all’altra passione del modellismo navale. Passione di cui, soprattutto negli ultimi anni, divenni il committente esclusivo. Tentai più volte di convincerlo a ufficializzare e promuovere i suoi Presepi. Ma era di facile vincere la sua tradizionale riservatezza. Non amava stare in prima fila. Quando se n’è andato il 14 giugno del 2018 ho evidenziato che per decenni è stato il mio più assiduo e concreto collaboratore in Eventi sportivi e culturali. Ma quando si arrivava davanti al pubblico aveva sempre preferito stare seduto in fondo alla sala o comunque non in prima fila. Salvo poi, alla fine di ogni Evento, mentre tanti collaboratori si dileguavano, ad essere il primo a raggiungere il tavolo della presidenza o il palco per la parte meno visibile: quella dello sgombero e del ritiro di tutto ciò che era servito per l’Evento. Si comprende così perché Sandro non volle mai saperne di accettare una proiezione esterna del suo Presepe. Preferiva che la visione di esso fosse riservata ai familiari e alla ristretta cerchia degli amici più vicini. Due di essi, i due più cari per una vita – Luigi Calabrò e Luciano Costarella – riuscirono a organizzare nell’ottobre del 2017 il viaggio che sognava da anni: la visita a Napoli della famosa via degli artisti del Presepe: “San Gregorio Armeno”. Entusiasta per gli acquisti di alcune statue animate che gli mancavano, si concentrò moltissimo sul Presepe del dicembre 2017. Fu il suo canto del cigno. Il Presepe di Sandro è finito con lui. Anche questo è mancato in questo Natale 2020 e Capodanno 2021. Per fortuna nella mia casa ho la compagnia di tre modelli navali che costruì per me: la nave Ammiraglia della flotta del Re Sole Luigi XIV dell’inizio del ‘700; la  “USS Constitution” della fine del ‘700; e una Nave da Guerra Romana. Aveva in corso la costruzione dell’Amerigo Vespucci” e del vascello svedese Vasa. Sono rimasti incompiuti. Tuttavia quei tre modelli, realizzati per soddisfare la mia passione infinita per la Storia globale, mi fanno compagnia e mi fanno sentire meno solo. Mentre lui, Sandro, non ha smesso mai un momento di essere con me, col suo spirito, con i suoi consigli, con la sua vena di ironia. Anche in questi giorni che, tutto sommato, hanno avuto il merito di dare vita a questo Amarcord. (amp)

[courtesy www.profpasqualeamato.it]

La riflessione sul Natale dell’arcivescovo di Cosenza mons. Francescantonio Nolè

Carissimi Fratelli e sorelle nel Signore: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore!» (Lc 2, 14).
Anche quest’anno, seppure non a mezzanotte, per i motivi che conosciamo, risuoneranno le gioiose parole degli Angeli alla nascita del Salvatore.
La gloria, la pace, l’amore, per il tempo che viviamo sembrano parole distanti dalla nostra vita impaurita e preoccupata del presente e del futuro, avvolta da un velo di tristezza che non ci fa guardare in alto e non ci apre alla speranza del futuro.
Eppure, anche quest’anno festeggeremo il Natale!   Diverso, ma sempre Natale!
Il paragone non dobbiamo farlo con il Natale degli ultimi decenni, segnati dal consumismo, dalla superficialità e dalla mondanità, ma con il Natale vero, quello di Betlemme.
Lì, a Betlemme, troveremo la genuinità e la bellezza del mistero dell’Incarnazione, che Francesco di Assisi ha voluto rappresentare a Greccio e che è giunto fino a noi con il nome di “Presepe”.
Come i pastori, diciamo anche noi: «andiamo fino a Betlemme, vediamo questo evento che il Signore ci ha fatto conoscere’» (Lc 2, 15).
Betlemme, che significa “casa del pane”, ci ricorda l’Eucaristia; Betlemme, la più piccola tra le città di Giuda; Betlemme, modesto paese agricolo e dedito alla pastorizia, con tanti pastori e greggi che ne costituivano l’unica.  Paese costellato di capanne e di grotte per accogliere pecore e pastori… Sì, propri qui è nato il Salvatore del mondo!
Ed è a Betlemme che dobbiamo recarci con la mente e con il cuore, per riscoprire e rivivere ciò che abbiamo perduto. E cosa troviamo, con nostro grande stupore?
Incontriamo una giovanissima coppia di sposi  in attesa del primo figlio.
Maria, dopo aver dialogato con Dio, attraverso l’Angelo Gabriele, come solo le mamme in attesa sanno fare, accoglie la Sua Parola che nel suo seno diventa carne e sangue nostro!
Come tutte le mamme, anche lei prepara la nascita del figlio con le poche cose che aveva portato con sé, proprio perché era al compimento dei giorni. Il resto è già pronto per accogliere il Figlio di Dio: paglia, fieno, una mangiatoia, l’alito degli animali per riscaldare il bambino e la luna, le stelle, gli Angeli che assistono attoniti a un evento così normale eppure così diverso da tutti gli altri.
Quanti sacrifici e quanto amore per accogliere e proteggere una nuova vita !
In  Maria tutte le mamme saranno benedette dal Signore, anche quelle che rifiutano la maternità, anche le mamme che la vita ha reso tristi e infelici, perché sole e abbandonate dagli uomini, ma non da Maria, icona di tutte le mamme.
Poi troviamo Giuseppe che spesso, come ci ricorda Papa Francesco, viene rappresentato con un bastone o con una lampada,  per proteggere Gesù e sua Madre Maria.
Sente che Dio gli ha affidato un compito troppo gravoso per la sua piccolezza, e allora si affida docilmente alla Parola di Dio, in obbedienza e umiltà, silenzio e laboriosità, per proteggere e nutrire la famiglia. E queste virtù lo hanno reso forte e fedele custode della sacra famiglia. Non ha mai abbandonato Maria, fin dall’inizio, quando l’ha presa in sposa già incinta, e neppure quando Lei e il Bambino Gesù devono fuggire in Egitto perché Erode voleva ucciderlo.  Che esempio di paternità fedele  e responsabile !
Perciò la Chiesa lo invoca come Custode e tutti i papà trovano in lui un ideale di fedeltà a Dio e alla famiglia, mai debole e mai fuggiasco di fronte alle difficoltà o ai richiami effimeri di sirene accattivanti.
E infine, quando tutto è pronto, il Padre compiacente e lo Spirito adorante  depongono il Verbo fatto carne nella mangiatoia per mezzo di Maria e di Giuseppe. E il Verbo si chiama Gesù, Figlio di Maria e fratello nostro.
Ecco che la nuova famiglia, così come Dio l’aveva creata e deposta nel giardino della felicità con Adamo ed Eva, viene ora ricostruita ancora da Lui, ma questa volta coinvolgendo se stesso, non più nel giardino, ma in una grotta, non più con alberi e frutti di ogni genere, ma circondata da pastori e animali, Angeli e creature che sanno riconoscere finalmente, nelle sembianze di un bambino, il vero volto di Dio.
E i Pastori, gli ultimi e gli emarginati di allora, diventano i primi testimoni del Natale e i primi a dare il lieto annuncio della nascita di Gesù.
Come è semplice incontrare il Signore!
 Basta mettersi in cammino con la bisaccia della carità sulle spalle e il cuore di un bambino nel petto e lo incontreremo in ogni volto, a cominciare da chi vive con noi, fino agli ultimi della terra, perché il Regno dove vive Dio è dei semplici e dei puri di cuore, dei forti nella fedeltà e dei miti che amano il creato e le creature, proprio come colui che ha voluto amare tutti, come fratelli e sorelle donati dal Signore.
Auguri a tutti voi, per un Natale diverso ma ancor più fecondo, ricco di gioia, di speranza e di solidarietà.
+ Francesco Nolè
Arcivescoco Metropolita di Cosenza-Bisignano

I vescovi calabresi: «Non disperare mai, immaginando con fiducia il futuro del mondo»

Ecco il messaggio che la Conferenza Episcopale Calabrese ha diffuso per la solennità del Natale: è una riflessione che invita al coraggio e alla speranza, ma anche un sollecito a dare vita ad una sana discussione su progetti a lungo termine per costruire un bene comune duraturo, che è un modo di fare politica. La Calabria ne ha proprio bisogno.

Sorelle e fratelli carissimi,
1. Saluto e benedizione nel Signore. All’inizio del nuovo anno liturgico e alla vigilia delle festività natalizie, vi giungano il nostro saluto e l’augurio di ogni bene: «Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio» (2Cor 3,5). Mentre ci prepariamo con le opere di bene e con la preghiera, a celebrare la venuta del Figlio di Dio tra noi, corroboriamo lo spirito di fede e alimentiamo la speranza! Sentiamoci tutti sotto lo scudo della Provvidenza divina, della Beata Vergine Maria, di san Giuseppe e, come ha ribadito papa Francesco: «durante questi mesi di pandemia, in cui possiamo sperimentare, in mezzo alla crisi che ci sta colpendo, che “le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni -solitamente dimenticate- che stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. […] Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità […]. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti”. Tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà» (Patris corde, Introduzione).
2. Persistenti situazioni di sofferenza da pandemia. Mentre scriviamo, continuano a giungerci tante notizie di lutti, afflizioni, sofferenze, disagi e stenti. Lo riconosciamo, come padri e pastori del popolo a noi affidato: quando il corpo di uno solo soffre, soffre l’intero corpo ecclesiale e l’intera umanità. Del resto, «[…] se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1Cor 12,26 a). Ebbene, noi soffriamo con voi, ammalati e contagiati, isolati e lontani dagli affetti più cari; con quanti condannati a non poter lasciare i luoghi di reclusione; con voi, persone sole per scelta di vita o per necessità esistenziale, che ogni giorno correte il rischio di vedere trasformata la solitudine in isolamento; con voi, persone senza fissa dimora e/o prive di una dignitosa abitazione, che attendete la mano tesa di chi sta meglio. Siamo vicino a voi, che avete dovuto fare a meno delle vostre attività professionali, commerciali, artistiche, sportive, con gravi danni economici. Siamo solidali con voi, medici, infermieri, operatori sanitari e socioassistenziali, punta avanzata del soccorso e della cura agli ammalati, che rischiate il contagio e la vita spendendovi senza se e senza ma. Siamo solidali con voi fratelli e sorelle, che in silenzio, svolgete i servizi più utili per la collettività: quali la formazione scolastica in ambito statale e paritario e lo siamo anche con tutti coloro che cooperano per il corretto funzionamento del ciclo dei rifiuti, della catena alimentare, della prevenzione e del controllo geologico e sociale del territorio. A tutti diciamo di avere fiducia nel Signore che viene a liberare la terra. Non disperate, mai, carissimi, anche di fronte alle angosce per il domani.
3. Riflessione generale sul “destino” sociale della Calabria. Guardando alla situazione sanitaria della Calabria, non da oggi drammaticamente al centro dell’interesse nazionale, ci domandiamo se potrà mai esistere un progetto di sviluppo grazie al quale essa diventi finalmente un territorio normale quanto a diritto alla salute. A tutti, vogliamo ripetere le parole di Gesù: «Tuo fratello risorgerà» (Gv 11,23). Invochiamo insieme Cristo medico, che ci addita il vero rapporto tra medico e sofferente e ammonendoci che il vero “medico” è proprio lui. Pur nel rispetto dei ruoli, in un’ottica generale e con la mente ed il cuore rivolti alle prospettive della Calabria, la CEC non può dimenticare, il dovere di dar voce ai cattolici calabresi, che costituiscono la tradizione costante della nostra storia e la speranza del nostro futuro. È dunque dovere morale del popolo calabrese analizzare i non pochi punti dolenti della realtà, proponendo soluzioni, non utopiche, ma realistiche e praticabili nel breve periodo. Auspichiamo una mobilitazione degli intelletti: da noi non mancano, ma troppo spesso o si mettono o sono messi da parte. La CEC suggerisce ai calabresi, che si preparano a tornare alle urne di dare il loro apporto alla Regione, sperando che dal canto suo, essa rinunci ai vecchi vizi di favoritismi e comparaggi, accetti tale servizio partecipativo e ne faccia tesoro per l’avvenire. Preghiamo il Signore della storia per i nostri futuri governanti! Ricordiamo le parole di papa Francesco nella meditazione di santa Marta del 16 settembre del 2019: «Io sono sicuro che non si prega per i governanti. Sì, li si insulta, sì, quello sì. Sembrerebbe che la preghiera ai governanti sia insultarli perché “non mi piace quello che fa”, perché “è un corrotto”… Chi di noi ha pregato per i parlamentari? Perché possano mettersi d’accordo e portare avanti la patria? Sembra che lo spirito patriottico non arrivi alla preghiera; sì, alle squalificazioni, all’odio, alle liti, e finisce così».
4. Sorelle e fratelli tutti. In quest’anno liturgico, siamo particolarmente sollecitati dalla recentissima Enciclica Fratelli tutti e dalla discussione collegata alla “Settimana sociale dei cattolici”, che si terrà a Taranto nell’ottobre 2021 su “Ambiente, lavoro, futuro”. Proprio mentre soffriamo per il presente universale e locale, possiamo e dobbiamo immaginare con maggiore fiducia il futuro delle persone, del pianeta e dell’attività che nobilita l’essere umano: il lavoro. Il Natale ci sollecita a pregare di fronte al presepe, per quanti sono feriti, abbattuti, in ansia, in cerca di aiuto… Come Chiesa, durante la pandemia, stiamo vivendo davvero come “ospedale da campo”: ecco perché vogliamo continuare a guardare a quei moribondi e a quei feriti che non possono essere neppure inventariati a livello pubblico per ottenere le provvidenze e i ristori governativi. La chiara indicazione del Papa è riscoprirci sorelle e fratelli tutti. Ma come sentirsi tutti corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere davvero come popolo? Come praticare un’ecologia integrale, per unire l’istanza ambientale a quella socioculturale ed umana della vita quotidiana? Siamo convinti che per costruire il bene comune, che include anche la nostra casa comune, i fedeli cristiani laici debbono riscoprire gli effetti sociali e politici della loro fede: fare politica vuol dire anche dare vita ad una sana discussione su progetti a lungo termine per costruire un bene comune duraturo. A tutti vogliamo ricordare le parole del Papa: «[…] senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento […] la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere» (FT, 103). Ecco perché la Chiesa, con più entusiasmo in questi giorni di festa, si adopera su più fronti sociali e culturali per alimentare la fiducia perché siamo nelle mani di Dio, incrementando solidarietà, assistenza e prossimità in favore dei non abbienti, il cui numero è smisuratamente aumentato.
5. Saluto finale. Carissime e carissimi, ci avviciniamo alla Veglia del Natale del Signore in compagnia della nuova edizione del Messale romano, che invita le nostre assemblee liturgiche a rinnovare l’impalcatura celebrativa della comunità cristiana, perché divenga il luogo al quale riferire non solo l’eucologia, ma una spiritualità effettivamente ecclesiale.
6. Sorelle e fratelli tutti, il Signore viene! Accogliamolo con gioia: «Nel mistero adorabile del Natale egli, Verbo invisibile, apparve visibilmente nella nostra carne, per assumere in sé tutto il creato e sollevarlo dalla sua caduta. Generato prima dei secoli, cominciò a esistere nel tempo, per reintegrare l’universo nel tuo disegno, o Padre, e ricondurre a te l’umanità dispersa» (dal prefazio di Natale II).
+ Vi benediciamo tutti, uno ad uno e una ad una.

Gli auguri da Armonie d’Arte Festival: i migliori link musica, danza e video sul Natale

Davvero un Buon Natale di Armonie  d’Arte Festival diretto dall’infaticabile Chiara Giordano: una magnifica selezione di link di musica, danza e teatro legati al Natale. Un modo di ritrovare sul computer, sul tablet, sul telefonino, quell’atmosfera che il maledetto Covid ci ha negato quest’anno. (rrm)

https://www.armoniedarte.com/festival/il-dono-natale-2020/

CATANZARO – La IV edizione del concorso “Il Messaggio dei Presepi”

20 dicembre 2018 – Oggi a Catanzaro, alle 15.30, presso la Casa Circondariale “Ugo Caridi”, la premiazione della quarta edizione del concorso Il Messaggio dei presepi.

L’iniziativa – che prevede la realizzazione di lavori da parte dei detenuti –  rientra nell’ambito de Il Natale, fraternità senza barriere, ed è un progetto realizzato in collaborazione con l’Istituto, diretto da Angela Paravati, e l’Associazione Nazionale di Promozione Sociale Consolidal, ente del terzo settore, sezione di Catanzaro, presieduto da Teresa Gualtieri.

«Il Natale in carcere – si legge in una nota degli organizzatori – ha un significato particolarmente importante: realizzare il presepe vuol dire riscoprire, anche attraverso un’attività manuale, l’importanza dell’idea di famiglia, sia nel senso cristiano che laico del termine».

La giuria sarà composta da Rosetta Alberto, direttore del Parco della Biodiversità, Concetta Carrozza, Assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di Catanzaro, Antonio Montuoro, vicepresidente della Provincia di Catanzaro, l’orafo Gerardo Sacco, dal giornalista Filippo Veltri, e da Mario Vallone, vicepresidente dell’Associazione Nazionale Partigiani Italiani. (rcz)

REGGIO – “Aspettando il Natale” con il Cis della Calabria

19 dicembre 2018 – Oggi a Reggio, alle 18.00, presso il Salone della Chiesa di San Giorgio al Corso, l’incontro Aspettando il Natale – Riflessioni e letture: Musica, Immagine, Poesia.

L’evento è stato organizzato dal Centro Internazionale Scrittori della Calabria, in collaborazione con la Scuola di Musica “G. Verdi”, diretta dal Maestro Sergio Romeo, in occasione dell’avvicinarsi del Santo Natale.

Introducono l’incontro don Antonio Cannizzaro, parroco della Chiesa di San Giorgio al Corso, Maria Florinda Minniti, docente di Lettere e componente del Comitato Scientifico del Cis. Ad arricchire l’incontro, l’intervento degli allievi della Scuola di Musica “G. Verdi”. I presenti, nel corso dell’evento, potranno leggere e commentare le proprie opere, o di altri autori, purché abbiano come tema il Natale. (rrc)