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Pasquale Amato

Il racconto di Natale / Pasquale Amato, storico di Reggio

di PASQUALE AMATO – È la notte di Natale del terribile 2020 dominato dalla pandemia del CoronaVirus. Per la prima volta nella mia vita ho passato in solitudine, per autonoma scelta, la vigilia del 24 dicembre. Sono solo nella casa della mia amata Reggio. Si trova in quella Via Lia che conosco dagli anni dell’infanzia e della gioventù, quando nei mesi autunnali e invernali era la Fiumarella Lia che dalla cima della Collina di Pentimele confluiva nella Fiumara Annunziata, confine Nord del centro cittadino; e nei caldi mesi estivi si tramutava in una mulattiera che noi ragazzi scalavamo sino in cima, nel Fortino,  raccogliendo tante more selvatiche dai cespugli che delimitavano i Bergamotteti e gli Agrumeti ai loro fianchi. Immersi nei profumi che emanavano dai Fiori di Zagara, ci fermavamo finalmente, stanchi ma felici, in cima a consumare il panino preparato da nonne e madri (il mio preferito era quello con la frittata di patate che ancora oggi gradisco enormemente quando mia sorella Cettina me la porta ancora calda di buon mattino. Me la preparava la mia nonna paterna Concetta, cuoca provetta che trovò in mia madre Gioconda una bravissima allieva ed oggi in mia sorella una valida erede). Da lassù ci godevamo lo straordinario panorama della città che degradava lentamente verso il mare con la catena dei Monti Peloritani e il mastodontico e fumante vulcano Etna sullo sfondo. Aspettavamo, per iniziare la discesa, i primi colori stupendi che il sole forma mentre comincia a calare dietro quello scenario da favola. Oggi i Bergamotteti non ci sono più, sostituiti da palazzi e palazzine e dall’ex-Fiumarella-mulattiera trasformata in una delle Vie più frequentate di Reggio. Quando piove forte, però, la natura si prende la sua rivincita trasformando la Via Lia nella Fiumarella che storicamente è sempre stata.

In quegli Anni Cinquanta e Sessanta il Natale era un periodo magico. Era atteso tutto l’anno da tutti, giovani e adulti. Per noi più giovani era il periodo in cui i sogni coltivati per un anno si addensavano in momenti di vita collettiva vissuti con l’intera parentela. Aveva le sue anteprime nella Pasqua e Pasquetta e nel Ferragosto. Ma le Feste di Natale erano tutt’altra cosa. Erano il culmine dei sentimenti, delle emozioni attese e sognate per un anno. C’erano anche allora il Cenone della Vigilia e il Pranzo di Natale. E poi – nel breve giro di una settimana – la ripetizione di entrambi nella vigilia di fine anno e nel Capodanno. C’erano anche le crispelle, i petrali e i torroni, ancora oggi protagonisti delle tavole natalizie dei reggini, testimonianze di riti millenari che resistono ai segni del tempo. Fanno parte delle “Onde di lunga durata” della Storia che sono state l’intuizione geniale di Fernand Braudel nell’ambito della rivoluzione storiografica delle Annales di Parigi. Esse resistono per millenni, permanendo oltre qualsiasi evento o epoca.  Ma era il clima che era differente. Nella mia famiglia acquistava poi un sapore speciale.

Dai primi giorni di dicembre cominciavano i preparativi nel laboratorio della Pasticceria di mio padre Lorenzo per la lavorazione dei torroni. Allora erano soprattutto di tre tipi: il torrone bianco all’ostia – il più antico -, il torrone Gelato e il torrone “a spoglia” ricoperto di glassa di vari gusti. Sto risentendo – nell’immaginario della mia mente – la sensazione olfattiva piacevolissima del torrone che usciva dal forno e inondava col suo profumo non solo il negozio ma anche l’aria attorno alla Pasticceria. Seguiva poi per noi più giovani la fase quasi avventurosa della confezione dei torroni “a spoglia” (“l’impogliamento”). Si realizzava una vera e propria mobilitazione di massa della famiglia, allargata ai parenti, con cugine e cugini, zie e zii. Era già l’anticipazione dei giorni centrali in cui davamo tutti una mano (a partire da noi tre gli: Sandro in laboratorio, Cettina alla cassa ed io nelle relazioni umane e vendite assieme a mia madre). Poi ci  ritrovavamo in tanti a tavola in alcune case che furono i luoghi d’incontro più ampi dopo le cene e i pranzi e negli altri giorni sino al 6 gennaio. Era il Giorno della Befana atteso con particolare ansia da noi più giovani, perché si ricevevano doni che ci avrebbero accompagnati per un anno. I giocattoli, i giochi, i libri illustrati venivano donati soprattutto in quel giorno, che segnava altresì l’ultimo delle vacanze natalizie con il ritorno a scuola il 7 gennaio.

I luoghi collettivi furono soprattutto due: la casa di mio nonno Alessandro Mastronardi sino a quando fu possibile. Poi la crescita delle famiglie rese impossibile che ci ritrovassimo tutti nella stessa casa del Rione Tremulini, i cui cortili brulicavano allora delle voci di tantissimi bambini mentre oggi sono vuoti e silenziosi. Così ci dividemmo in case diverse ma con una dove ci radunavamo tutti al di fuori dei cenoni e dei pranzi: la casa della famiglia La Bozzetta in viale Amendola, sempre a Tremulini. In essa dominava, con il piglio e l’autorità di una vera  leader, la maggiore delle cinque sorelle Mastronardi: la Zia Maria. Nei momenti conviviali ci ritrovavamo nel salone le famiglie La Bozzetta e Amato, con lo zio Giovanni grande esecutore di tutte le operazioni, dato che la mia famiglia era totalmente ingoiata dall’attività in Pasticceria. Nelle due Cene e Pranzi si ergeva nel ruolo principale la figura di mio padre Lorenzo. Giunto il tempo dei dolci “suoi” e dei “liquori fatti in casa” (tra cui predominavano lo “Strega” e in particolare il “Caffé”, specialità della padrona di casa), si esibiva nella sua seconda passione: le arie delle più popolari opere liriche. Il repertorio era vario e cangiante ma due pezzi erano fissi: quello di apertura ( la “Donna è mobile” dal Rigoletto) e quello di chiusura (il Brindisi dalla “Traviata”). A latere dei pranzi di Natale e Capodanno si verificò per alcuni anni un problema logistico. Al momento di iniziare si constatavano due assenze: la mia in Casa La Bozzetta e quella di mio zio Ninì Mastronardi, soprannominato “il Filosofo” per la sua passione culturale e politica e la sua indifferenza allo scorrere del tempo. Ci davamo appuntamento, per darci gli Auguri,  alla chiusura della sua officina in Viale Amendola, di fronte a Piazza del Popolo. Ma la passione per la storia, la cultura e la dialettica prendeva il sopravvento. Mentre il tempo scorreva inesorabile e le due famiglie incaricavano della ricerca dei “dispersi” due dei tanti cugini di nome Alessandro (il figlio di Ninì e Sandro La Bozzetta), noi ci accompagnavamo a vicenda più volte tra Piazza del Popolo e Piazza De Nava, rinviando costantemente il momento di salutarci, immersi in un dialogo intenso che annullava il tempo. Sino a quando accadde che sballammo tutti i tempi arrivando ad accumulare un’ora e mezza di ritardo rispetto all’ora dell’una. Da allora fummo accompagnati entrambi alla chiusura dell’Officina dai rispettivi angeli custodi. Chiudo il mio Amarcord con la parte più legata all’antica tradizione che si tramanda dai tempi di San Francesco d’Assisi: il Presepe. Specialista nella sua costruzione, nella vecchia casa di via Cardinale Portanova, fu la mia nonna paterna Concetta,  originaria  di Benevento. Fu molto presente nei miei primi dieci anni consentendo a mia madre di impegnarsi nel banco di vendita della Pasticceria. Mia madre riuscì comunque ad imparare da lei sia l’arte della cucina che quella del Presepe. Così, quando nonna Concetta si ammalò e non fu più in grado di raggiungere a piedi casa mia, il Presepe lo continuò a costruire mia madre nello stesso angolo della prima stanza, dove dormivo io. Il Presepe mi fece quindi compagnia nelle notti che fin da bambino erano accompagnate da assidue letture, ogni anno dall’8 dicembre (Festa dell’Immacolata) al 6 gennaio. E forse alimentò la mia vocazione a ricostruire la storia immaginando gli scenari degli eventi e rivedendoli nella mia mente come in un film.

Nella nuova casa del Rione San Brunello mia madre continuò la tradizione del Presepe, con la soddisfazione di aver trovato in mio fratello Sandro dapprima un appassionato allievo, poi il collaboratore e dopo la sua partenza dalla vita terrena il continuatore. sino a farlo diventare un vero e proprio esperto. E quando i suoi problemi di salute si aggravarono si accrebbe la ricerca di soluzioni meccaniche avanzate e di “pastori” sempre più connessi alla tradizione storica. Ne parlava sempre con entusiasmo assieme all’altra passione del modellismo navale. Passione di cui, soprattutto negli ultimi anni, divenni il committente esclusivo. Tentai più volte di convincerlo a ufficializzare e promuovere i suoi Presepi. Ma era di facile vincere la sua tradizionale riservatezza. Non amava stare in prima fila. Quando se n’è andato il 14 giugno del 2018 ho evidenziato che per decenni è stato il mio più assiduo e concreto collaboratore in Eventi sportivi e culturali. Ma quando si arrivava davanti al pubblico aveva sempre preferito stare seduto in fondo alla sala o comunque non in prima fila. Salvo poi, alla fine di ogni Evento, mentre tanti collaboratori si dileguavano, ad essere il primo a raggiungere il tavolo della presidenza o il palco per la parte meno visibile: quella dello sgombero e del ritiro di tutto ciò che era servito per l’Evento. Si comprende così perché Sandro non volle mai saperne di accettare una proiezione esterna del suo Presepe. Preferiva che la visione di esso fosse riservata ai familiari e alla ristretta cerchia degli amici più vicini. Due di essi, i due più cari per una vita – Luigi Calabrò e Luciano Costarella – riuscirono a organizzare nell’ottobre del 2017 il viaggio che sognava da anni: la visita a Napoli della famosa via degli artisti del Presepe: “San Gregorio Armeno”. Entusiasta per gli acquisti di alcune statue animate che gli mancavano, si concentrò moltissimo sul Presepe del dicembre 2017. Fu il suo canto del cigno. Il Presepe di Sandro è finito con lui. Anche questo è mancato in questo Natale 2020 e Capodanno 2021. Per fortuna nella mia casa ho la compagnia di tre modelli navali che costruì per me: la nave Ammiraglia della flotta del Re Sole Luigi XIV dell’inizio del ‘700; la  “USS Constitution” della fine del ‘700; e una Nave da Guerra Romana. Aveva in corso la costruzione dell’Amerigo Vespucci” e del vascello svedese Vasa. Sono rimasti incompiuti. Tuttavia quei tre modelli, realizzati per soddisfare la mia passione infinita per la Storia globale, mi fanno compagnia e mi fanno sentire meno solo. Mentre lui, Sandro, non ha smesso mai un momento di essere con me, col suo spirito, con i suoi consigli, con la sua vena di ironia. Anche in questi giorni che, tutto sommato, hanno avuto il merito di dare vita a questo Amarcord. (amp)

[courtesy www.profpasqualeamato.it]