L’OPINIONE / Carlo Guccione e Santo Gioffré: Il video di Occhiuto «confessione di fallimento»

di CARLO GUCCIONE E SANTO GIOFFRÈC’è da rimanere sinceramente e con grande preoccupazione, sbalorditi e perplessi di fronte all’ultimo video pubblicato dal Presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto. Video confezionato con ricercata professionalità tipica delle tecniche di distrazione di massa e con solo obiettivo di alimentare qualunquismo e populismo.
Ieri, il Presidente della Reazione Calabria, in sostanza, ha messo all’indice due pilastri strategici che ancora, e con fatica, reggono l’agonizzante Sistema Sanitario Regionale: gli Infermieri e i Medici.

Noi, dopo aver analizzato il messaggio video di ieri, riteniamo che Occhiuto, tentando di fare, ripetiamo, una operazione di distrazione di massa, ha reso evidente il suo totale fallimento nella capacità di gestione della Sanità Regionale dopo aver preteso e avuto, dal suo governo amico, poteri assoluti in quel campo. Poteri che lui ha gestito per creare consenso senza risolvere nulla, ma aggravando, e di molto, la situazione, come denunciato da tutte le agenzie che s’interessano del settore, compreso il cosiddetto tavolo Adduce.
Il relazione a quando il Presidente Occhiuto ha sostenuto, in modo così duro, nel suo video, sommessamente gli chiediamo di rispondere:

È a conoscenza, visto che ha denunciato alle autorità competenti, che la totalità delle Commissioni Mediche delle Asp e AO, a cui per legge spetta la dichiarazione certificata delle inidoneità alle mansioni nel comparto sanitario, quindi, degli infermieri, abbiano certificato falsamente? E chi sono?

Dal 2009, il Presidente sa bene che la Calabria è dentro I rigori del Piano di Rientro dal debito sanitario. Anche per risolvere questo problema, ha avuto i pieni poteri. Problemi di cui, dopo 5 anni di governo della sua compagine e dopo 2 anni e mezzo di poteri assoluti, non s’intravede alcuna risoluzione e uscita, a differenza delle altre 8 Regioni, entrati assieme alla Calabria e da tempo usciti dal Piano di Rientro. Lui deve dirci perché , veramente, la Calabria è tenuta dentro il Piano di Rientro, oltre l’ammontare dei debiti dei quali, non si riesce a venirne fuori.

In questi 15 anni, quanti infermieri sono andati in pensione o hanno lasciato il Servizio Pubblico, visto le condizioni lavorative da paesi sottosviluppati? Quanti? Pare più di 4 mila. Un eventuale piano di assunzione tiene conto dei posti mancanti non di chi è inidoneo.

Sarebbe stato, forse, opportuno, prima di lanciare accuse così gravi verso le Commissioni Mediche e gli Infermieri, andare a vedere l’età dei cosiddetti imboscati e le patologie riconosciute perché  il falso in atto pubblico è un reato gravissimo.


Se dal 2009 non si è assunto personale nel comparto della sanità, come impone il Piano di Rientro, tanto che, furbescamente, Occhiuto ha fatto venire bel 360 Medici Cubani per tenere in piedi la baracca ed evitare l’interruzione di pubblico servizi, non gli doveva sorgere il sospetto che, essendo la media degli attuali Operatori nel Comparto sanità superiore a 60 anni, la percentuale di inabili, per forza deve essere superiore alle altre Regioni, anche di 5 volte, che non hanno questo problema? O no?

Visto che il Sistema Sanitario Regionale subisce il dramma del l’inefficienza totale, con mancanza assoluta di prevenzione delle malattie, e che in Calabria si arriva alla malattia a 48 anni, mentre nelle Regioni governate dagli amici di Occhiuto a 62 anni, come fa il Presidente della Regione ad insinuare, platealmente, che ci sono più di mille infermieri imboscati e non considerare, in base a quello detto prima, che si possa trattare di veri ammalati, con limitazioni serie, dovuti, pure allo stress e all’età?

Questo è solo distrazione di massa, populismo e qualunquismo. Confessione di un fallimento. Presidente, ci risponda, senza retorica e abbia rispetto delle professioni e delle persone.

 

L’OPINIONE / Carlo Guccione: Ma che succede all’Asp di Cosenza?

di CARLO GUCCIONEDifficilmente ci si sorprende ormai rispetto a quello che accade e che può accadere all’interno dell’Asp di Cosenza. Tra bilanci che non vengono approvati dal 2018 e altri che sono sotto osservazione degli organi di magistratura contabile e inquirente, perché falsi, ci sembrava di aver visto tutto. E invece no. La notizia che l’area legale dell’Asp di Cosenza ha espresso parere negativo rispetto alla transazione da 39 milioni con il colosso factoring Bff Banca, parere che era stato richiesto con i dovuti documenti, se è possibile riesce ancora a stupirci.

Nella relazione trasmessa dall’ufficio legale si dichiara chiaramente che le cause contro Bff Banca in gran parte potevano essere vinte. Come stava già accadendo. Come mai allora si è proceduto nel segno della transazione senza tenere conto del parere legale negativo? Addirittura nella fretta pare siano state pagate e transate fatture emesse nei confronti dell’Asp di Crotone. Ma c’è di più. C’è un’altra transazione che è oggetto dell’interesse dell’ultimo tavolo interministeriale che chiede all’Asp chiarimenti risalenti all’anno 2017 ma con effetti contabili che si sono registrati nel bilancio del 2022. Transazione “non supportata da nota debito ma da documento fittizio, come si rileva dalla documentazione prodotta con protocollo 7 del 9/01/2024”, così come scrive il tavolo interministeriale. 

Ma se dovesse avere ragione l’area legale dell’Asp di Cosenza che per il bilancio 2023 le era stato richiesto un parere e che nel mese di marzo ha trasmesso tutti i file relativi al contenzioso e sulla base di una valutazione dell’area legale ha comunicato un accantonamento per il fondo rischi per un importo di circa 100 milioni di euro, come mai poi in bilancio risulta per il fondo rischi per contenzioso per l’anno 2023 un importo di 17 milioni? Ma se alla fine avesse ragione l’ufficio legale dell’Asp di Cosenza sull’importo da imputare al fondo rischi e contenzioso, che è 5 volte di meno rispetto a quello effettivamente presente nel bilancio 2023, si rischierebbe il default e la non attendibilità del bilancio 2023 che è stato qualche mese fa approvato dall’Asp. 

Al presidente e commissario Occhiuto una sola domanda. È a conoscenza di quanto sta accedendo all’Asp di Cosenza? Estirpare le “mele marce” va bene, come dice lei. Ma intervenire alla semina è meglio… (cg)

[Carlo Guccione è della direzione nazionale del PD]

PUR AVENDO INGRANATO LA MARCIA GIUSTA
IL MEZZOGIORNO FA I CONTI COL DIVARIO

di LIA ROMAGNO – C’è un Mezzogiorno che ha ingranato la marcia, guida la crescita del Paese – +1,3% il Pil nel 2023, a fronte dello 0,9% del Paese (nel Settentrione il +1% del Nord Ovest è il valore più alto) – e dà il contributo maggiore all’aumento dell’occupazione (+2,5% contro +1,8 la media italiana, +2% il Nord Est).

E c’è un Mezzogiorno che continua a fare i conti con divari che lo lasciano ancora lontano da quel Centro Nord su cui ha segnato il sorpasso. I numeri dell’Istat certificano l’uno e l’altro scenario. Sul gap territoriale, in particolare, l’Istituto ha puntato i riflettori in occasione dell’audizione in Commissione alla Camere nell’ambito dell’Attività conoscitiva sull’attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale. Dal reddito pro capite alla sanità, dall’accessibilità alle scuole agli asili nido e ai servizi di assistenza, dai trasporti all’erogazione dell’acqua la disparità tra le due Italie resta ancora grande – e il solco è destinato a diventare ancora più profondo con l’attuazione dell’autonomia differenziata -. Molte di queste voci spiegano anche il declino demografico che al Sud è più marcato che altrove, un dato su cui incidono le migrazioni interne, ovvero le partenze in cerca di fortuna al Nord: -4,7% a fronte del “trascurabile” – 0,3% del Centro Nord, -1,8% il dato italiano.

Pil e Reddito pro capite

La distanza la misura intanto il Pil pro capite che – come emerge dalle stime dei Conti territoriali del 2022 – nelle regioni del Nord Ovest è circa il doppio di quello del Mezzogiorno: 40,9mila euro contro 21,7mila euro: 11,3mila sotto la media nazionale che è pari a 33mila euro. Nel 2007 la differenza tra il dato meridionale e quello nazionale era pari a 9mila euro, segno, sottolinea Stefano Menghinello, direttore della Direzione centrale dell’Istat per l’analisi e la valorizzazione nell’area delle statistiche economiche e per i fabbisogni del Pnrr, che “le distanze tra il Mezzogiorno e il resto del Paese si sono ampliate”.

Nel Nord Est e nel Centro il Pil pro-capite è, rispettivamente, 39,3 e 35,1mila euro. In cima alla classifica la Provincia autonoma di Bolzano con 54,5mila euro. All’estremo opposto la Calabria con 19,4mila euro, un gradino più su la Sicilia con 20,1mila euro. Il Rapporto annuale 2024 mostra poi come negli ultimi 20 anni non ci sia stato un processo di convergenza dei territori italiani, quelli più svantaggiati soprattutto, verso il dato medio della Ue: tutti tra il 2000 e il 2022 hanno sperimentato tassi di crescita del Pil pro capite in parità di potere d’acquisto (Ppa) inferiori al dato europeo. La fotografia non cambia se si prende in considerazione il reddito disponibile delle famiglie: la media nazionale è pari a 21,1mila euro per abitante, le regioni del Nordovest raggiungono i 24,8mila euro contro un valore di 16,1mila euro nelle regioni del Mezzogiorno. La Provincia di Bolzano e la Lombardia vantano i differenziali positivi maggiori rispetto alla media (+7,4mila e +4,5mila euro), Calabria e Campani quelli negativi maggiori (-6,1mila euro e – 5,7mila euro).

Ospedali e Scuole

Se guardiamo all’accessibilità di servizi essenziali, come gli ospedali e le scuole, emerge che in Calabria, Basilicata, Molise, Sardegna, ma anche in Valle d’Aosta una quota di popolazione tra il 5,2% e il 20,3% impiega oltre 30 minuti per raggiungere una struttura ospedaliera. Divari tra Centro Nord e Mezzogiorno si rilevano anche per l’accessibilità degli edifici scolastici. Per il Mezzogiorno si osserva sia una maggiore consistenza di scuole con un livello critico di raggiungibilità (36,4% contro 19,5%), sia di scuole che possono essere raggiunte solo con il ricorso a mezzi di trasporto privati (20,9% contro 13,2%).

La qualità dei servizi

Una spaccatura profonda emerge anche dall’analisi degli indicatori Bes (Benessere equo e sostenibile) al dominio “Qualità dei servizi” che hanno per oggetto servizi d’interesse per l’attuazione del federalismo fiscale. Cominciamo dal servizio idrico. Calabria e Sicilia sono le regioni con i valori peggiori, le famiglie che dichiarano irregolarità nell’erogazione dell’acqua in Calabria (38,7%) superano di oltre quattro volte la media nazionale e in Sicilia il valore è più che triplo (29,5%); all’opposto si colloca la provincia autonoma di Bolzano, dove solo l’1,5% delle famiglie denunciano interruzioni del servizio idrico.

Una forte variabilità a scapito del Mezzogiorno si registra anche per l’accesso ai servizi essenziali per il cittadino: in Campania la quota di famiglie che hanno difficoltà ad accedere ai servizi essenziali è quasi doppia rispetto alla media delle famiglie italiane (8,8% rispetto a 4,9%), seguite dalle famiglie residenti in Calabria (7,7%) e in Puglia (7,1%); all’estremo opposto, tali difficoltà sono dichiarate solamente dal 2,5% delle famiglie della provincia autonoma di Bolzano Le regioni del Nord godono di migliori livelli di benessere anche per gli indicatori di mobilità, sia in termini di offerta di trasporto pubblico locale (Tpl) sia per la soddisfazione della domanda. Ad esempio, l’offerta di Tpl in Lombardia è più del doppio del dato nazionale, in Molise quasi 12 volte più bassa.

Per i servizi socio-sanitari e socioassistenziali la Campania, con 19,5 posti letto residenziali per 10.000 abitanti, si posiziona all’ultimo posto della graduatoria regionale (-70% di posti letto rispetto al dato Italia) mentre la provincia autonoma di Trento, con 152,8 posti letto per 10.000 abitanti, si attesta al primo posto.

Spesa per il Welfare

Importante anche il divario nella spesa per gli interventi e i servizi sociali (8,4 miliardi, di cui 1,3 per asili nido e servizi per la prima infanzia). Un tema centrale per il federalismo fiscale. Nel Sud la spesa pro-capite per il welfare territoriale è di 72 euro, al Centro 151, al Nord Ovest 156, Nord Est 197. A livello regionale le differenze sono ancora più marcate: in Calabria e Campania, ad esempio, la spesa è pari rispettivamente a 37 e 66 euro pro-capite, in Provincia Autonoma di Bolzano, 592 euro. Capitoli servizio sociale professionale e asili nido. Nel 2021 sono stati presi in carico dagli assistenti sociali oltre 2,185 milioni di utenti. Si va da un minimo di 2 su 100 abitanti al Sud a un massimo di 5 nel Nord Est, a fronte di una media nazionale di 4 utenti. Quanto agli asili nido nel Sud e nelle Isole (17,3 e 17,8 posti per 100 bambini residenti) la disponibilità pro capite è circa la metà di quella delle regioni del Nord (37,5 nel Nord Est, 35 nel Nord Ovest, 38,8 nel Centro). La spesa dei Comuni per i servizi di prima infanzia “varia notevolmente”, sottolinea Menghinello: in media per ogni bambino sotto i tre anni i comuni del Centro hanno speso 1.803 euro al Centro, 1.728 al Nord-est, 1.091 euro al Nord-ovest, 470 euro nelle Isole e 417 euro al Sud (1.116 euro la media nazionale). Per i servizi destinati agli anziani al Nord Est la spesa pro capite è quattro volte di più che al Sud: 166 a 38; 91 euro nel Centro, 85 nel Nord Ovest, 63 nelle isole.

Risorse per la sanità

Per il Servizio sanitario nazionale le Regioni nel 2022 hanno potuto contare – in termini di finanziamento effettivo – su 127,5 miliardi di euro, con un aumento medio dal 2017 dell’1,8%. Dall’analisi  regionale emergono “discrete differenze” in termini di risorse economiche disponibili: Emilia-Romagna e Liguria sono le regioni con il finanziamento pro capite più elevato, rispettivamente 2.298 e 2.261 euro. In generale i livelli più bassi di finanziamento effettivo si riscontrano nelle regioni del Mezzogiorno, in particolare in Campania e Sicilia, con 1.994 e 2.035 euro pro capite. (lr)

(Courtesy Il Quotidiano del Sud / L’Altravoce dell’Italia)

L’OPINIONE / Luigi Sbarra: Occorre rivoluzionare il vecchio modello sanitario

Bisogna mettere intorno ad un tavolo Regioni, istituzioni locali, imprese e sindacati per considerare le criticità maggiori e valutare con attenzione ogni singola risorsa disponibile e quelle ulteriormente attivabili. Occorre rivoluzionare il vecchio modello sanitario focalizzato sulla patologia e disegnarne uno nuovo centrato sulla salute e sulla prevenzione.

Dobbiamo ripensare l’assistenza, puntando allo sviluppo di una rete di servizi mirati, in grado di rispondere ai bisogni specifici delle persone. Sul terreno dei diritti e della tutela della salute delle persone non accetteremo compromessi al ribasso nella prossima legge di bilancio.

Di fronte alle enormi sfide poste dalle grandi transizioni in atto, da quella demografica a quella climatica e a quella tecnologica, bisogna considerare la spesa sociale orientata a soluzioni durevoli come un vero e proprio investimento. Dobbiamo voltare pagina e recuperare il terreno perduto. Vanno sbloccate assunzioni e stabilizzazioni, sviluppare i servizi socio-sanitari, estendere la medicina di prossimità, azzerare le liste di attesa, rilanciare gli investimenti su telemedicina e ricerca, digitalizzare i servizi, ammodernare strumentazioni e plessi ospedalieri, garantire la sicurezza nei posti di lavoro.

Vanno rinnovati i Ccnl per la Sanità pubblica e privata. Va supportata la non autosufficienza, che a livello nazionale coinvolge quasi 4 milioni di persone, non solo anziani. (ls)

[Luigi Sbarra è segretario nazionale della Cisl]

La consigliera Straface: Al lavoro per riapertura Raporto di Medicina all’ospedale Chidichimo

«Si sta lavorando per la riapertura del reparto di medicina dell’Ospedale Chidichimo di Trebisacce attraverso il completamento dell’organico e, allo stesso tempo per la realizzazione dell’eli-superficie a supporto prezioso di tutte le esigenze salva-vita delle nostre aree, soprattutto interne». È quanto ha reso noto la consigliera regionale Pasqualina Straface, nel corso di un sopralluogo al nosocomio di Trebisacce al quale sono intervenuti anche il sindaco Franco Mundo e Francesco Laviola, dirigente dell’Azienda Provinciale di Cosenza, addetto alla programmazione ed al controllo.

«Non stiamo lesinando sforzi in questa direzione – ha sottolineato la Straface – tenendo fede a tutti gli impegni che il Presidente Occhiuto ha assunto con i calabresi e che sta portando avanti insieme alla dirigenza dell’Asp, rispetto alla riapertura degli ospedali chiusi, al potenziamento delle loro specifiche funzionalità ed alla capacità di risposta alla domanda territoriale, a garanzia del fondamentale diritto alla salute».

Nel ringraziare il primo cittadino per la disponibilità e la collaborazione confermate, la Straface ha colto, quindi, l’occasione per ribadire la massima sensibilità del Presidente e della Commissione Sanità rispetto alle legittime attese della comunità di Trebisacce e di tutto l’alto jonio cosentino. (rcs)

L’OPINIONE / Amalia Bruni: Sistema sanitario calabrese sottofinanziato e a rischio

di AMALIA BRUNI – Il titolo che avete scelto per questa due giorni di approfondimento, “Sanità pubblica a rischio: priorità e sicurezza delle cure, quale riforma della colpa professionale medica?”, ci impone accurate riflessioni e strategie d’intervento. Da buoni medici non possiamo individuare la giusta terapia da mettere in campo se prima non condividiamo la diagnosi. Per deformazione professionale sono sempre partita dai dati, dai riscontri analitici, dagli indicatori: e sulla base di quelli che abbiamo a disposizione possiamo pienamente affermare che ormai da tempo il nostro Sistema sanitario nazionale attraversa la crisi più profonda dalla sua istituzione.

Il Forum delle 75 società scientifiche dei Clinici ospedalieri e universitari italiani ha lanciato un appello con cui denuncia la carenza di personale, cittadini sfiduciati, emigrazione ospedaliera. È necessario aumentare la spesa sanitaria.

Attualmente, l’Italia spende molto meno rispetto ad altri paesi europei come Germania e Francia. Questo divario si riflette in una drammatica rinuncia alle cure da parte di circa 4 milioni di persone, il 7,2% della popolazione italiana, secondo l’ultimo rapporto Istat: una percentuale che è ancora più alta in Calabria. I dati sulla nostra sanità non potranno andare a migliorare se la spesa sanitaria pubblica in relazione al Pil invece di aumentare si riduce.

Ad oggi siamo ben lontani dai principi ispiratori della legge 833/1978 con cui è stato istituito il Sistema sanitario nazionale: parliamo di una legge per cui si rende necessario un aggiornamento normativo alla luce della nuova domanda di salute e del mutato scenario sanitario. I commissariamenti e i piani di rientro sono sentenze di morte per il nostro sistema sanitario. Per garantire risorse stabili e adeguate alla sanità sono imprescindibili due proposte nel quadro nazionale: l’innalzamento della spesa sanitaria almeno al 7,5% del Pil e il superamento dei vincoli attuali di spesa sul personale, visto che il “tetto” all’assunzione di medici e professionisti sanitari e sociosanitari con contratti di lavoro subordinato a tempo determinato o con contratti flessibili è imposto da una legge che risale al 2004.La mancanza di risorse umane adeguate rende difficile gestire il carico di lavoro: il peso grava sugli operatori sanitari, considerati eroi durante la pandemia ma ora dimenticati.

E nonostante l’urgenza di aumentare le risorse da mettere a disposizione del sistema sanitario, la Camera ha bocciato la proposta di legge della segretaria nazionale del Pd Elly Schlein sull’aumento delle risorse per la sanità: perché “senza copertura”, si è giustificata la maggioranza. Eppure con un’evasione fiscale di 90 miliardi e profitti esorbitanti delle aziende farmaceutiche non tassati, le risorse potrebbero essere reperite se ci fosse la volontà politica.

Mancano i servizi, manca l’efficientamento, manca l’innovazione tecnologica, mancano investimenti in ricerca e formazione, ma mancano addirittura le cose più ovvie e indispensabili come i posti letto. Diminuisce anche il numero degli ospedali e in Calabria l’insieme della rete ospedaliera non offre le attività previste producendo una disarticolazione della risposta che spinge i cittadini verso la sanità privata. All’elenco delle carenze aggiungiamo la prevenzione, sempre poco rilevante nella programmazione socio-sanitaria registra inadeguate fonti di finanziamento: eppure il 60% del carico della malattia, in Europa e in Italia, è riconducibile a fattori di rischio che potrebbero essere modificabili con l’adozione di stili di vita salutari e una diagnosi precoce.

Dove stiamo andando? Il fondo lo abbiamo già toccato e la nostra responsabilità deve scuotere le nostre coscienze: non possiamo accettare che la legge sull’autonomia differenziata possa ancora più ingigantire i già enormi divari esistenti tra Nord e Sud. È necessaria una mobilitazione collettiva che su più fronti possa spingere verso una presa in carico innovativa, misurata e determinante della sanità pubblica: se c’è necessità di tagli nel nostro Paese, tutto può essere toccato, tranne che la sanità. (ab)

[Amalia Bruni è consigliera regionale del Pd]

Dipartimento Salute Regione: Dimissione Ospedale di Polistena fake news

In una nota il Dipartimento Salute e Welfare della Regione Calabria ha evidenziato come la notizia della dimissione dell’Ospedale di Polistena è una fake news e che, ibvece, per il nosocomio «sono in corso costanti e importanti investimenti, grazie alle risorse assegnate dalla Regione Calabria, per garantire il miglioramento assistenziale della struttura attraverso progressivi e tangibili incrementi professionali, tecnologici, infrastrutturali e l’avvio del percorso Inail».

«L’ospedale di Polistena è, infatti – viene ricordato – inserito nella programmazione del Piano triennale degli investimenti Inail per un importo totale del progetto euro pari a 35,7 milioni di euro. E dal 2022 ad oggi sono state messe in atto numerose azioni per il miglioramento infrastrutturale del nosocomio. Ristrutturazione del Pronto Soccorso e dei locali della Farmacia, ripristino e messa in sicurezza delle facciate, sistemazione e igienizzazione dei locali Laboratorio analisi, restyling del reparto di Pediatria, interventi manutentivi per i reparti di Rianimazione e Terapia Intensiva, solo per citarne alcune. Nel 2024, tra le altre cose, verranno ristrutturate le sale operatorie e il reparto di Cardiologia, verrà adeguata l’area del Cup, e verrà realizzato un nuovo punto prelievi».

«Grazie alle risorse Pnrr – continua la nota del Dipartimento – sono stati acquisiti, collaudati, e risultano regolarmente utilizzati sin dalla fine del 2022, 4 ecotomografi multidisciplinari, 1 ecotomografo Cardiologico 3D ed un ecotomografo ginecologico, per un investimento complessivo pari ad oltre 280mila euro. È stato, inoltre, già formalizzato l’acquisto di un Telecomandato RX per esami di reparto.
Con i fondi Por-Fesr Calabria 2014-2020 sono state acquisiti altri 3 ecotomografi multidisciplinari, 4 ventilatori polmonari pediatrici ed un apparecchio per le emissioni otoacustiche».

«Sul versante del personale, nel corso del 2023 e 2024 – si legge – sono stati assunti in totale 152 professionisti, e durante il 2023 è stata incrementata la quantità degli assistiti, passando da 5.844 ricoveri a 6.813 ricoveri. Per quanto attiene infine all’attività di Pronto Soccorso, il numero di accessi ha registrato un incremento nel 2023 rispetto al 2022 pari al 15,49%».

«In conclusione, come si evince dagli investimenti professionali, tecnologici, infrastrutturali e dall’avvio del percorso Inail, si ribadisce che la dismissione del nosocomio è una fake news – conclude la nota –. L’incremento di attività assistenziale testimonia che l’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria e la Regione Calabria stanno investendo in maniera significativa per migliorare il livello di efficienza e di assistenza relativi alla struttura ospedaliera di Polistena». (rcz)

Domenico Minniti è il nuovo direttore sanitario di Azienda Zero

Prestigioso incarico per Domenico Minniti, che è stato nominato, dal commissario straordinario Gandolfo Miserendino, direttore sanitario di Azienda Zero.

L’ente di governance, sul quale il presidente della Regione e commissario ad acta, Roberto Occhiuto, sta puntando per mettere ordine nel sistema sanitario in Calabria, completa la sua direzione strategica mettendo, così, un altro importantissimo tassello nel percorso tracciato, sin dal suo insediamento, dal commissario straordinario Miserendino.

«La nomina del direttore sanitario si inquadra nel percorso di strutturazione messo in campo per dare corpo all’ente – ha dichiarato il commissario straordinario Miserendino –, e rappresenta un’altra tappa importante nel suo processo organizzativo».

«Sono certo che, con l’arrivo di Minniti – ha concluso –, Azienda Zero potrà contare su una professionalità valida che, per la sua profonda conoscenza del sistema sanitario calabrese, rappresenterà un valore aggiunto per l’azione che l’ente è chiamato a svolgere».

Nativo di Napoli ma cresciuto in Calabria, precisamente a Reggio Calabria, 63 anni, Domenico Minniti, medico anestesista-rianimatore, per la sua vasta competenza in materia di Emergenza-Urgenza, ha maturato diverse e importanti esperienze professionali negli enti sanitari della nostra Regione. (rcz)

Trame 13, Francesca Nava: In Calabria non si ricorre più alla sanità pubblica

Concorsi deserti, emigrazione sanitaria, privatizzazione: è questo il quadro sconcertante sulla sanità pubblica sempre più simile a una società per azioni anche in Calabria, che è stato portato sul palco di Trame 13, attraverso un dibattito a più voci per fare il punto sul sistema sanitario calabrese.

«La Calabria è commissariata da quattordici anni, il debito è inquantificabile, non è più un territorio attrattivo. I medici non vogliono più lavorare in Calabria. I cittadini sono rassegnati, non ricorrono più alla sanità pubblica. Non c’è più consapevolezza dei propri diritti». È quanto ha detto la giornalista Francesca Nava sul palco di Trame 13, facendo il punto sulla sanità in Calabria.

Nava, assieme ad Antonella BottiniMarianna De Marzi, a marzo hanno curato l’inchiesta andata in onda a marzo su Rai 3 nel programma Presadiretta, dal titolo Sanità spa. E, di questa inchiesta, fa parte la storia di Salvatore Naccari, a cui era stata diagnosticata una sinusite cronica in una struttura sanitaria di Vibo, senza alcun controllo approfondito, anche per una mancanza di macchinari, rivelatasi, poi, un carcinoma nasofaringeo mai notato precedentemente dopo una visita a Legnano.

«Dal 2010 c’è stato un progressivo disinvestimento sulla sanità pubblica, che ha fatto crescere l’investimento sulla sanità privata dal 12 al 25%.  La Calabria non ha diritto ai diritti essenziali. Rimborsa le regioni del nord con ulteriori risorse per chi va via», ha denunciato Luca Bianchi, direttore della Svimez.

«L’emigrazione sanitaria toglie ai territori – ha ribadito –. Se perdiamo il faro della sanità, rinunciamo alla Costituzione. L’autonomia differenziata rinuncia al sogno di erogare a tutti i cittadini. L’autonomia differenziata. Non è previsto finanziamento per i livelli essenziali di assistenza. Stiamo discutendo. L’autonomia è una tassa per tutti, una tassa doppia per i cittadini del Sud».

Come si deduce dal report promosso da Svimez,  “Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute” nel 2022, dei 629 mila migranti sanitari (volume di ricoveri), il 44% era residente in una regione del Mezzogiorno. E secondo le valutazioni dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), nel biennio 2021-2022, in Italia circa il 70% delle donne di 50-69 anni si è sottoposta ai controlli: circa due su tre lo ha fatto aderendo ai programmi di screening gratuiti. La copertura complessiva è dell’80% al Nord, del 76% al Centro, ma scende ad appena il 58% nel Mezzogiorno.

Al dibattito, moderato dalla giornalista di LA7 Patty Torchia, ha partecipato anche la vicepresidente della commissione sanità Amalia Cecilia Bruni che sulla “fuga” dal Sud per ricevere assistenza in strutture sanitarie del Nord, soprattutto per le patologie più gravi, ha detto: «il Gemelli è fatto per 1/3 di personale calabrese. Va fuori però chi può, tutti gli altri rinunciano alle cure». Bruni si è scagliata duramente contro l’autonomia differenziata definendola “un’insulsaggine inaccettabile di questo Governo». (rcz)

CALABRIA PRIMA PER CHI SI CURA FUORI
ORA STOP ALLE “MIGRAZIONI SANITARIE”

di GIOVANNI MACCARRONEPrenotare una prestazione sanitaria all’interno del nostro Paese è abbastanza semplice. Una volta ricevuta la prescrizione medica dal proprio medico di base, è possibile contattare telefonicamente il Centro Unico di Prenotazione (Cup) e verificare così la lista d’attesa. 

Per le visite specialistiche e gli esami diagnostici con la lettera D (differibile), gli esami o le visite specialistiche dovrebbero essere fatte tra i 30 e i 60 giorni, mentre per quelle con la lettera U (urgente) gli esami o visite specialistiche dovrebbero essere fatte entro le 72 ore.

Sta di fatto che frequentemente per queste ed altre categorie la lista d’attesa supera di gran lunga questi tempi.

Per cui, il cittadino, per ricevere il servizio con tempi più rapidi, ricorre spesso ai servizi intramoenia (o in regime “intramurario”): l’attività libero-professionale che avviene all’interno delle strutture sanitarie, senza dover pagare il medico come “privato”, corrispondendo solo il ticket.

Altre volte, invece, preferisce utilizzare le strutture private convenzionate che possano offrire lo stesso servizio nei tempi previsti o comunque di qualità superiore a quello fornito da istituzioni pubbliche (Asl, Ao ecc.).

Altre volte ancora si preferisce, invece, andare lontani da casa per curarsi, quasi sempre dal Sud in direzione Nord, nella speranza di ricevere le cure migliori per la propria malattia.

Si stima che i «viaggi della salute» interessino, in un anno, circa un milione di italiani. Nel 2022, solo i ricoveri effettuati fuori Regione sono stati quasi 630 mila (contro i 498 mila nel 2020, anno della pandemia) come rilevano i dati dell’Ufficio statistica e flussi informativi sanitari di Agenas, l’Agenzia nazionale dei servizi sanitari regionali.

Quindi, approssimando i conti, senza voler far delle vere stime, potremmo tranquillamente dire che le spese sanitarie per le famiglie sono annualmente molto elevate.

È vero che, per rispetto del dettato dell’articolo 32 della Costituzione, agli indigenti devono essere comunque in ogni caso garantite le prestazioni sanitarie gratuite, ma è anche vero però che, per quanto detto sopra, costantemente i cittadini sono tenuti ad affrontare ingenti spese per la salute.  

Le famiglie già finanziano il sistema sanitario italiano tramite il fisco e, in particolare, per il 36% dall’Iva e dalle accise sulle benzine, il 28% dall’Irap e dall’addizionale Irpef, il 14% dai pagamenti diretti (prezzi), il 3% dai ticket e un altro 5% da premi di assicurazioni e mutue integrative; il restante 11% da altri tipi di tributi.

Tra l’altro, a seguito della crisi finanziaria in atto e` molto probabile che le famiglie saranno chiamate in futuro a un maggiore sforzo fiscale per finanziare il Ssn, sia sotto forma di aumento dell’addizionale Irpef (prevista fino al 3% dal D. Lgs. 68/11 sul federalismo fiscale), sia di maggiori compartecipazioni alla spesa sanitaria (+2 miliardi di euro, secondo la L. 111/11).

Va poi considerato che, data la consistenza dell’evasione e dell’elusione fiscale che ancora permangono nel nostro sistema tributario, i costi della sanità sono sopportati essenzialmente dal mondo del lavoro, che – come si è appena potuto notare – è quello che fornisce essenzialmente gli utenti della sanità pubblica

Insomma, è come il “cane che si morde la coda”, che è un modo elegante per dire che è un circolo vizioso, una situazione senza via d’uscita.

A questo proposito, bisogna considerare che quasi venti milioni non fanno la denuncia dei redditi. Il 48 % non versa neppure un euro. Quasi il 90% dell’Irpef è pagato da lavoratori dipendenti e pensionati. Dal 2024 la no tax area salirà a 13 mila euro. Sarà un aiuto per i veri poveri ma un paradiso fiscale per i finti poveri. Viene tartassato chi guadagna 50 mila euro lordi (poco più di duemila euro netti), con una tassa del 43% più le varie addizionali comunali e regionali, mentre i ricchi portano all’estero la sede delle aziende e la loro residenza fiscale. Solo 35 mila persone dichiarano più di 300.000 euro all’anno. 

Quindi – stando a quanto sopra – attualmente il Servizio Sanitario Nazionale si regge grazie al finanziamento dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, i quali, tra l’altro, ricevono spesso un salario annuo lordo medio inferiore a 11.000 euro (secondo uno studio condotto dall’Ufficio Economia dell’Area Politiche per lo Sviluppo della Cgil Nazionale, più di 5,7 milioni di lavoratori si trovano in questa situazione).

Con questo salario devono pagare soprattutto tasse, luce e gas, spese di locazione, spese condominiali, spese per mantenere una macchina, spese per la benzina (il prezzo della benzina in Italia come in tutto il mondo ha subito fortissimi rialzi nel 2022 a causa della guerra in Ucraina, arrivando anche a sfondare il tetto dei 2 euro al litro), ecc.

Se a queste spese aggiungiamo anche le spese per curarsi, si capisce il vero motivo per cui frequentemente qualcuno rinuncia alle cure (l’aumento delle spese per la salute riguarda tutte le macro-aree del Paese: al Centro e al Sud si registrano aumenti di oltre 100 euro a famiglia).

Purtroppo, questo fenomeno è molto più frequente nelle Regioni del Mezzogiorno, proprio quelle dove l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza è inadeguata: di conseguenza, l’insufficiente offerta pubblica di servizi sanitari associata alla minore capacità di spesa delle famiglie del Sud condiziona negativamente lo stato di salute e l’aspettativa di vita alla nascita, un indicatore che vede tutte le Regioni del Mezzogiorno al di sotto della media nazionale.

Un indicatore che – come viene solitamente commentato sulla stampa – è il risultato del “monitoraggio Lea”; si tratta di una serie di indicatori (perlopiù di struttura e di processo) volti a cogliere il rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza nelle Regioni italiane (il monitoraggio viene effettuato dal c.d. Comitato Lea, Comitato permanente per l’erogazione dei Lea, istituito presso il Ministero della Salute).

L’indicatore non consente di tornare a vent’anni fa ma, dal 2012 al 2019 (l’anno pre-pandemia), il “punteggio Lea” è sensibilmente migliorato in tutte le Regioni a Statuto Ordinario, ad esclusione della Calabria (che ha avuto un calo da 133 a 125), ed in tutte le Regioni a Statuto Speciale, ad esclusione della Sardegna (per la quale i dati si raccolgono dal 2017 e che ha visto un calo da 140 a 111 in tre anni). 

Sulla base di questo indicatore non sarebbe quindi azzardato concludere che la qualità delle cure sia peggiorato, soprattutto nelle regioni sottoposte a piano di rientro e commissariamento (le procedure di commissariamento riguardano ben quattro regioni, tra cui la Calabria dal luglio 2010).

Ecco perché il 55% delle persone che negli ultimi anni hanno ricevuto una visita specialistica e il 40% di quelle che hanno avuto accesso a un trattamento riabilitativo abbiano coperto completamente a proprie spese il costo della prestazione. 

Questa è una situazione inaccettabile che può essere superata solo ed esclusivamente con una nuova governance delle aziende sanitarie, con maggiori assunzioni di responsabilità economica da parte di amministratori regionali e direttori aziendali e maggiore flessibilità nella sfera operativa. 

Inoltre, maggiori controlli sui manager delle Asl e delle Ao potrebbe in particolare agevolare l’attuazione delle misure di contenimento della spesa assunte ai vertici del governo centrale e regionale.

Senza dimenticare, infine, che il Pnrr ha destinato alla Missione Salute 15,63 miliardi, pari all’8,16% dell’importo totale, per sostenere importanti riforme e investimenti a beneficio del Servizio sanitario nazionale, da realizzare entro il 2026.

Poi “Tutto il resto è noia”, come dice Califano. 

Speriamo bene. (gm)