Il consigliere Molinaro: Gli interventi sanitari e organizzativi per l’Ospedale di Acri

Sono tantissimi gli interventi sanitari e organizzativi in programma, a partire da domani, per l’Ospedale di Acri. È quanto ha annunciato il consigliere regionale Pietro Molinaro che, assieme al segretario Conf.All – Sanità Calabria, Antonio Bifano, ha incontrato il direttore sanitario dell’Asp di Cosenza, Martino Rizzo.

«Scelte concrete di politica e organizzazione sanitaria –ha spiegato Molinaro – che prevedono l’ammodernamento del pronto soccorso con tre posti Osservazione Breve Intensiva (OBI) dove il paziente può rimanere in osservazione fino a 72 ore. Il day surgery, la chirurgia di un solo giorno,  non subirà nessuno spostamento, quindi rimane allocato nella nuova ala dell’ospedale. E ancora: domani,  giovedì 18 aprile, sarà effettuato il primo intervento di otorinolaringoiatria a valere su Pacchetti Ambulatoriali Comlplessi di otorino laringoiatria (Pac Orl)».

«Martedì 23 aprile, il dott. e chirurgo Guglielmo Guzzo – ha illustrato Molinaro – farà un sopralluogo in sala operatoria per iniziare le attività chirurgiche.  Inizialmente, precisa, sarà presente due giorni a settimana; un giorno verrà dedicato all’attività chirurgica ed il secondo all’attività endoscopica ( gastroscopie e colonscopie)».

«È prevista ancora – ha detto ancora – l’apertura dell’ambulatorio di oncologia con quattro poltrone dove il paziente oncologico potrà eseguire la chemioterapia. Verrà in seguito, ristrutturato il reparto di medicina generale e potenziato il servizio di radiologia e di anestesia con l’arrivo di altri medici e l’incremento dell’Uo di medicina».

«Non ci sarà depotenziamento: gli ospedali del territorio svolgono un ruolo sempre più importante nel sistema sanitario regionale – ha concluso Molinaro – perché investire nella salute dei cittadini è sempre un buon affare!». (rcs)

A Catanzaro l’assemblea generale della Cgil Area Vasta CZ, KR, VV: Focus su sanità

Domani mattina, alle 10, alla Casa delle Culture della Provincia di Catanzaro, si terrà l’assemblea generale della Cgil Area Vasta Catanzaro Crotone e Vibo Valentia, guidata dal segretario generale Enzo Scalese.

Sul tavolo del confronto la tutela del diritto alla salute, la difesa del Servizio Sanitario Nazionale e un sistema socio-sanitario pubblico e universale.

«Per raggiungere questi obiettivi è necessario un adeguato finanziamento del Ssn, l’incremento delle risorse destinate al rinnovo del Ccnl 2022/2024 del personale, al fine di realizzare un piano straordinario pluriennale di assunzioni – ha detto Scalese –. È necessario superare i tetti alla spesa del personale e di rendere più attrattiva la formazione nelle professioni sanitarie. Sono solo alcuni degli argomenti su cui ci confronteremo, anche parlando del rilancio e del riadeguamento della rete ospedaliera per favorire accessibilità, sicurezza e qualità, a partire dalla rete dell’emergenza e dai Pronto Soccorso».

«Bisogna  trovare soluzioni per superare gli inaccettabili tempi d’attesa – ha aggiunto – che negano il diritto alla salute e per ridurre i divari e le diseguaglianze tra regioni e territori, oltre che puntare allo sviluppo dell’assistenza territoriale, con l’obiettivo di realizzare una rete capillare di servizi socio-sanitari, potenziando i Distretti, le Case e gli Ospedali di Comunità a gestione pubblica e investendo sulla salute mentale».

Parlando della sicurezza sui luoghi di lavoro, la Cgil Area vasta propone l’istituzione di un sistema di qualificazione per tutte le imprese e l’attuazione di un coordinamento permanente tra l’Ispettorato Nazionale del Lavoro e le Aziende Sanitarie Locali.

«Così come per una giusta riforma fiscale, si chiede di tassare equamente e di valorizzare chi produce ricchezza, garantendo un fisco progressivo su tutti i redditi personali – ha spiegato ancora Scalese –. Sanità, sicurezza ma anche salari: servono azioni concrete per contrastare la precarietà, ridurre l’orario di lavoro a parità di retribuzione, promuovere la parità di genere e garantire la partecipazione organizzativa dei lavoratori».

Nel corso dell’assemblea generale di mercoledì si avvierà anche il confronto sui quattro quesiti referendari, presentate dalla Cgil e pubblicate in Gazzetta ufficiale, per smontare alcune delle leggi che hanno portato a un mondo del lavoro selvaggio e per ridurre la precarietà e garantire più sicurezza negli appalti. Per questi referendum la Cgil si appresta a raccogliere entro l’estate le 500mila firme necessarie per andare poi al voto nella prossima primavera.

«Invitiamo, quindi, i lavoratori e le lavoratrici a partecipare attivamente all’assemblea per contribuire alla costruzione di un futuro più equo e giusto per tutti», ha concluso Scalese. (rcz)

LA SOLUZIONE TRIDICO: SPESA SANITARIA
SIA SOTTRATTA ALL’OBBLIGO DI PAREGGIO

di PASQUALE TRIDICOUn’incertezza fissa accomuna il ponte sullo Stretto e l’Alta velocità ferroviaria per la Calabria, che ancora non ha il proprio tracciato. Il ministro Salvini parla con enfasi smodata di entrambe le infrastrutture previste, segnate da una storia di rinvii in successione e finanziamenti aggiuntivi, di dubbi e problemi gravi ancora pendenti.

A dispetto delle tesi di Matteo Salvini, segretario di una Lega bifronte, secessionista nella sostanza e nazionalista nella forma verbale, ripensare i collegamenti all’interno del territorio calabrese costituisce una priorità assoluta, anzitutto per ragioni economiche e di tutela della salute. Migliorare la viabilità intraregionale è un’esigenza macroscopica, però non colta, tematizzata e discussa a dovere, né a livello locale né da parte del governo in carica, riluttante rispetto ai dati, all’analisi obiettiva.

Nel centrodestra prevale il discorso a effetto sul ponte di Messina, segnato da una retorica celebrativa di vecchio stampo, strumentale a eludere il dibattito sullo stato dei Servizi sanitari e sulle possibilità di sviluppo economico delle regioni che l’opera dovrebbe collegare. 

La sanità calabrese è vittima di una progettazione a tavolino delle reti assistenziali, strutturate a Roma sulla scorta di modelli che da quasi 15 anni prescindono dalle specificità delle aree costiere e interne della Calabria, dalle condizioni stradali e climatiche, dai dati epidemiologici e dalla maggiore insistenza, nella regione del Sud, di patologie croniche, con percentuali di comorbilità superiori alla media nazionale. 

Molte realtà locali della Calabria hanno risentito della suddetta impostazione standard, in parte ricavata su elementi delle regioni benchmark del Centro e del Nord, che però hanno minore isolamento geografico, viabilità migliore e mobilità agevolata. Tra le zone calabresi penalizzate, per esempio, si annoverano, oltre a quelle montane, di cui dirò più avanti, quelle disagiate di Trebisacce sullo Ionio e di Praia a Mare sul Tirreno, luoghi di frontiera, simboli di una sanità pubblica lungamente negata, nella fattispecie a due porzioni dell’Italia meridionale spinte negli anni verso un arretramento infondato, illogico, ingiusto: la prima servita dalla Statale 106 delle troppe morti per incidente; la seconda dalla Statale 18 della cementificazione selvaggia, simbolo di modernità apparente, ambigua, illusoria.

Queste due strade sono state lasciate al loro destino, al pericolo pubblico, alla percorrenza variabile in relazione al periodo, al traffico, al caso; abbandonate alle corse in auto, agli urti violenti tra i veicoli, agli inevitabili ritardi delle ambulanze e spesso all’impossibilità di soccorsi efficaci, come la cronaca ha riportato molte volte. 

Ubicati in territori con pesanti difficoltà di spostamento, i due ospedali di Trebisacce e Praia a Mare subirono la chiusura con l’avvio effettivo del Piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali. Questi presìdi hanno poi vissuto vicende giudiziarie e amministrative antitetiche: sentenze di riapertura sistematicamente ignorate nel concreto, con resistenze all’adempimento da parte dello Stato e della Regione, assieme a incredibili lungaggini che non hanno permesso di recuperare i servizi presenti prima del riassetto della rete ospedaliera, firmato nel 2010 dall’allora presidente regionale e delegato del governo, Giuseppe Scopelliti, che tagliò 18 dei 73 ospedali calabresi, un migliaio di posti letto nel pubblico e circa 1700 nel privato.

Tuttavia, nel tempo fu obnubilata, se non addirittura sepolta, la lezione – derivante dallo smantellamento degli stabilimenti ospedalieri di Trebisacce e Praia a Mare – sull’importanza di avere nosocomi attrezzati al servizio di aree disagiate e frontaliere in senso lato; da ultimo anche per la premura, a livello centrale dopo la pandemia da Covid-19, di rilanciare l’assistenza sanitaria territoriale. Tuttavia, per raggiungere tale obiettivo, sarebbe servita un’interlocuzione profonda in Conferenza Stato-Regioni, purtroppo mancata, volta a riordinare le reti ospedaliere e quelle territoriali sulla base delle peculiarità delle singole aree regionali: epidemiologia, viabilità, clima, deprivazione sociale e così via. 

Ancora, in sede di ultima definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, finanziato massicciamente dall’Ue grazie alla capacità negoziale del presidente Giuseppe Conte, non si è tenuto conto delle differenti condizioni tra le regioni italiane, che il centrodestra vorrebbe archiviare per sempre con il ddl Calderoli.

Per l’effetto, in Calabria si è prevista una nuova assistenza sanitaria territoriale che, oltre a essere stata concepita all’ultimo momento, letteralmente in «zona Cesarini» e solo per non perdere i circa 130 milioni disponibili al riguardo, non può soddisfare le esigenze e i bisogni primari dell’utenza. 

Non solo: se si dà una lettura veloce all’aggiornamento della rete ospedaliera predisposto di recente dal commissario governativo attuale, il presidente Roberto Occhiuto, si intuisce il destino delle aree più svantaggiate, cioè quelle montane, i cui ospedali – di Acri, San Giovanni in Fiore, Serra San Bruno e Soveria Mannelli – sono lasciati, anche in forza di una fiducia ideologica sulla telemedicina, alla progressiva dismissione finale; ridotti da anni a semplici strutture di Pronto soccorso con reparti di Medicina poco utilizzati e con pensionamenti in vista degli ultimi medici colà in servizio. 

Eppure, la normativa vigente sugli standard ospedalieri consentirebbe di attivare, proprio in questi ospedali montani unità operative che, trattenendo i Drg, potrebbero produrre salute ed economie sanitarie, a partire da reparti di Chirurgia con posti di degenza e terapia intensiva. Lo stesso ragionamento si può svolgere per l’ospedale di Cariati, che serve pure zone montane ed è ormai simbolo nazionale di lotta civile per il diritto alla salute, grazie alle battaglie dell’associazione locale “Le Lampare” e dei cittadini residenti, come al coinvolgimento del musicista internazionale Roger Waters.

Negli anni, invece, la Regione Calabria ha seguito politiche differenti, rinunciando a riqualificare tali presìdi montani – o, come quello di Cariati, utili ad aree montane – e strizzando l’occhio alle cliniche private, che in generale non danno molte prestazioni integrative nell’ambito del Servizio sanitario ma in larga misura si sostituiscono al pubblico, sino a supplirlo, per come il sistema è ciecamente organizzato. 

La verità, allora, è che le zone disagiate e montane della Calabria sono – e in prospettiva lo saranno sempre di più – private di un’assistenza sanitaria efficace sul posto, spesso indispensabile e insostituibile, di là dalle mistiche correnti sull’elisoccorso, che non può essere una soluzione strutturale, per quanto utile. Nel frattempo, le difficoltà dei cittadini, residenti nei riferiti territori, di spostarsi verso altri centri sanitari della regione restano tali e quali, ponte sullo Stretto e Alta velocità ferroviaria a parte. 

A questa ingiustizia inaccettabile, si aggiunge il vulnus della ripartizione del Fondo sanitario. Dal 1999, il criterio prevalente è fondato sul calcolo della popolazione pesata, che penalizza in generale le regioni meridionali, in particolare la Calabria, che, come qui già detto, ha molti più casi di patologie croniche e comorbilità.

Secondo i calcoli di Mediass, un’attiva Associazione di medici di famiglia che opera nel Catanzarese, per questo motivo la Calabria riceve circa 150 milioni in meno all’anno, rispetto al fabbisogno di cure per i pazienti cronici: cardiopatici, ipertesi, diabetici eccetera. A mia memoria, i dati di Mediass sono addirittura confermati da un decreto commissariale del 2015, in cui nero su bianco si riportano le maggiori percentuali di pazienti cronici che la Calabria ha in rapporto alla media nazionale. Allora c’è un problema di natura strutturale che viene sistematicamente eluso; rispetto al quale, come i fatti ci dimostrano, il commissariamento del Servizio sanitario regionale non è affatto una soluzione.

Per quanto qui esposto, bisognerebbe: 1) modificare i criteri di ripartizione del Fondo sanitario in base ai fabbisogni di cure nelle singole regioni; 2) riformare l’istituto del commissariamento sanitario, come già aveva proposto il Movimento 5 Stelle; 3) nelle aree montane, incentivare il lavoro nella sanità pubblica con misure e risorse statali aggiuntive; 4) sottrarre le spese sanitarie dall’obbligo del pareggio di bilancio, aspetto che andrebbe discusso nelle sedi europee e per cui è fondamentale avere parlamentari dell’Ue informati, avveduti e decisi; 5) modificare le reti assistenziali della Calabria sulla scorta delle omogeneità territoriali e non sulla base di schemi inutili del passato, per cui oggi vi sono ospedali funzionalmente collegati che distano addirittura 150 chilometri l’uno dall’altro.

6) Responsabilizzare e sostituire i dirigenti della sanità che non diano risultati o che a vario titolo risultino inadempienti, come nei casi di datato aggiornamento dei Registri dei tumori; 7) dare spazio, a livello dirigenziale, ai nuovi laureati, ai giovani, ma con trattamenti economici congrui e investimenti mirati, magari recuperando le somme occorrenti con una legge nazionale che riporti in Calabria – come nel resto del Sud, che ne condivide la sorte – parte degli importi che la regione non ha avuto in virtù del vigente criterio di riparto del Fondo sanitario. (pt)

[Pasquale Tridico è già presidente dell’Inps]

L’OPINIONE / Franz Caruso: Occhiuto ha eretto “il muro del silenzio” sui problemi della Calabria

di FRANZ CARUSO – Il commissario ad acta alla sanità e governatore della Calabria Roberto Occhiuto che ha eretto un vero e proprio “muro del silenzio” rispetto a tutti i problemi dei calabresi, abbia il coraggio e, soprattutto, la responsabilità di interloquire con le altre Istituzioni del territorio e di spiegare loro ed ai calabresi le motivazioni delle sue scelte, che io reputo scellerate, sulla gestione ed organizzazione del sistema sanitario regionale.

Alla manifestazione I diritti dei bambini e degli adolescenti in ospedale si è affrontato un tema di assoluta rilevanza e, per quanto mi riguarda, particolarmente sentito che interessa la tutela della salute pubblica con particolare riferimento a quella dei nostri bimbi. Un settore che si sta ulteriormente depauperando nella nostra città e provincia, con una incidenza negativa nell’intero territorio regionale, a seguito della chiusura, all’Annunziata, del reparto di terapia Intensiva pediatrica  e con la mancata codificazione del pronto soccorso pediatrico, solo per fare pochi esempi.

Due servizi che sono stati sottratti a Cosenza  e per i quali sto portando avanti, da giorni, una vibrata protesta  nei confronti della Regione Calabria che ha deciso questo scempio. Ritengo infatti che ciò  rappresenti  uno scippo al nostro territorio ed anche una violazione del diritto dei bambini della nostra comunità ad avere una importante tutela sanitaria. La Tip, in particolare, rappresenta un servizio  fondamentale, presente all’Annunziata da alcuni anni, che ha dato risultati importanti, grazie alla professionalità di quanti in essa hanno operato, in difesa ed a tutela, appunto, della salute dei nostri bimbi. A queste mie legittime proteste, a quelle di diverse associazioni e di tanti cittadini il governatore della Calabria e commissario ad acta alla sanità ha risposto con un assordante silenzio, che io reputo imbarazzante per lui quanto offensivo per la nostre popolazioni.

Se io, da sindaco della città capoluogo, ho il diritto e soprattutto il dovere di difendere il diritto alla  salute dei miei concittadini e, quindi, di intervenire quando, a mio giudizio, ritengo che lo si leda questo diritto, chi ha la responsabilità di effettuare scelte nel settore sanitario, come il commissario Occhiuto, dovrebbe sentire il dovere di spiegare le sue scelte e decisioni perché ricadono sulla pelle dei calabresi e di chi ha bisogno di curarsi. Per cui presidente Occhiuto abbia il coraggio di dare risposte chiare alla popolazione soprattutto su un tema fondamentale qual è quello della sanità e della salute dei bambini.

All’associazione De Maria ed alla Fiagop rivolgo i miei più sentiti ringraziamenti per avere organizzato l’iniziativa e, soprattutto, per quanto fanno quotidianamente a difesa del diritto alla salute dei nostri bambini malati ed a sostegno delle loro famiglie. È un’opera meritoria a cui guardo con profondo rispetto ed attenzione. (fc)

[Franz Caruso è sindaco di Cosenza]

All’Università Magna Graecia si è parlato dell’assistenza territoriale

Si è parlato delle nuove sfide per disegnare il futuro della sanità nel corso del convegno La riforma dell’assistenza territoriale: Tra disegno e sfide dell’implementazione, svoltosi nei giorni scorsi all’Università Magna Graecia di Catanzaro.

Si è trattato di un importante evento scientifico, promosso dal Centro di Ricerca in Health and Innovation dell’Ateneo di Catanzaro, che ha focalizzato l’attenzione sul Dm. 77/2022, che è stato aperto dal Rettore, Giovanni Cuda e coordinato dalla responsabile del Convegno scientifico, prof.ssa Marianna Mauro.

 La riforma dell’assistenza territoriale definisce un nuovo modello organizzativo del Servizio Sanitario Nazionale mirando a una sanità più vicina alle persone e al superamento delle disuguaglianze e sono tante le sfide emerse nell’ambito del convegno in termini di implementazione e di riorganizzazione. 

Nel corso del convegno si è posta l’attenzione sulle aree di indeterminatezza che riguardano la vocazione e il target dei servizi delle strutture sanitarie e i modelli organizzativi, le responsabilità nella gestione dei nuovi setting di cura, il ruolo delle case di comunità, la telemedicina e le problematiche connesse alle cure di transizione. 

All’esito del convegno, anche grazie alle relazioni e alla tavola rotonda, coordinata dalla dott.ssa Cristina Matranga (Direttore generale dell’ASL Roma 4), è emersa la necessità delle regioni di ridisegnare il sistema.  Le finalità principali sono: assicurare cure a bassa intensità assistenziale sempre più capillari e corrispondenti ai reali bisogni territoriali, ragionare e superare le criticità connesse allo sviluppo dei modelli territoriali, rispondere agli standard previsti dal D.M. 77/2022, reperire personale specializzato con particolare riferimento alla figura degli infermieri. 

L’impatto del Dm 77 è qualificabile attraverso il raggiungimento di diversi standard, tra questi si segnalano: la creazione di un distretto sanitario ogni 100,000 abitanti, la creazione di una Casa della Comunità Hub (CdC), intesa quale primo luogo di cura, ogni 40,000-50,000 abitanti, le case della Comunità spoke e gli ambulatori di medici di medicina generale e pediatri di libera scelta; un consultorio di Famiglia ogni 20.000 abitanti; un infermiere di Famiglia o di Comunità ogni 3.000 abitanti; un’unità di continuità assistenziale ogni 100.000 abitanti; un Ospedale di Comunità con 20 posti letto ogni 100.000 abitanti; 1 Hospice con almeno 8 posti letto ogni 10.000 abitanti. 

Nell’ambito del convegno scientifico, è stata, inoltre, evidenziata l’importanza e l’efficacia della Telemedicina e l’esperienza di grande successo della piattaforma di telemedicina avviata dall’Azienda Ospedaliera Universitaria per fornire un migliore supporto ai pazienti attraverso gli innovativi servizi di televisita, teleconsulto, teleconsulenza medico-sanitaria, teleassistenza, telemonitoraggio, telecontrollo e teleriabilitazione. (rcz)

LA SANITÀ CALABRESE TRA CRITICITÀ E LA
MANCANZA DI UNA “VISIONE” STRATEGICA

di ANTONIO DI VIRGILIO – La crisi del nostro sistema sanitario, iniziata col suo definanziamento decennale, attestatosi secondo le stime della Fondazione Gimbe a 37 miliardi di euro, è ormai chiara a tutti. L’accesso alle cure e la prevenzione sono negate soprattutto nelle regioni più deboli, tanto che la salute è ormai un diritto differenziato per residenza. La Regione Calabria  dopo 13 anni è ancora sottoposta al Piano di Rientro dai Disavanzi Sanitari Regionali ed al Commissariamento per l’attuazione del suddetto piano, che ha prodotto solo disastri.

Abbiamo assistito a tagli indiscriminati dei posti letto, alla chiusura di 18 ospedali, al blocco del turnover del personale sanitario, all’impoverimento dell’offerta di salute. Risultato? Allungamento delle liste d’attesa, aumento della emigrazione sanitaria, e ciò che più fa male, una riduzione inaccettabile dell’aspettativa di vita. L’attuazione inoltre della autonomia differenziata rischia di acuire ulteriormente tale emergenza al Sud.

La struttura commissariale in Calabria non ha perso la capacità di produrre, come per gli anni passati, decreti (Dca) zeppi di dati, analisi, tabelle complicatissime, criptiche per i non esperti, senza concretezza programmatica né una visione strategica della sanità regionale valida per almeno i prossimi 5 anni.  Sono di questi giorni la polemica e gli attacchi trasversali sulla questione del riordino della rete ospedaliera, il Dca n° 78 pubblicato dal Commissario ad Acta il 26 marzo 2024, avrebbe integrato con 2 tabelle (prese dal Dca 198/2023!) il Dca n°69 del 14 marzo 2024, intervenuto a modifica del Dca n°64/2016 e del Dca n°198/2023. Questo decreto rischia concretamente di diventare il libro dei sogni, tra proposte contraddittorie, posti letto immaginari, Unità Operative fittizie, dotazioni organiche sulla carta, mancanza di coperture finanziarie, con una rete assistenziale territoriale inesistente, che dipingono una realtà sanitaria drammatica.

Mancano 951 posti letto ancora da attivare rispetto al Dca del 2016, e oltre 2000 operatori sanitari e come se non bastasse abbiamo appreso di chiusure e riaperture parziali di reparti qua e là, accorpamenti incomprensibili, ridimensionamenti di unità operative e demansionamenti di dirigenti medici, con la scomparsa di decine di unità semplici, in una regione da cui i giovani medici scappano dal pubblico, rimpiazzati da medici stranieri. Saltano all’occhio il depotenziamento della Nefrologia e della Pneumologia di Corigliano, il ridimensionamento del ruolo strategico del polo ospedaliero di Lamezia Terme e dell’ospedale di Acri, il sottodimensionamento della Cardiochirurgia della Dulbecco di Catanzaro, priva della rianimazione cardiochirurgica dedicata, la chiusura della Terapia Intensiva Neonatale a Cosenza, l’allocazione di reparti di Orto-geriatria in Dea di II livello senza prevedere reparti di Riabilitazione e recupero fisico, il reparto di Recupero e riabilitazione a Cosenza con 11 posti letto senza Primario, mentre si confermano altrove reparti con 2 posti letto ed un primario.

Confermata anche la chiusura progressiva di 35 reparti. Nessun accenno, infine, alla nuova Facoltà di Medicina di Cosenza, dove procede il reclutamento dei professori e che dovrebbe garantire ai laureandi l’accesso ai reparti di degenza; ne saranno istituiti altri nell’ospedale, fotocopia di quelli esistenti? Saranno clinicizzati quelli esistenti, ovverossia diventeranno a direzione universitaria, mortificando, come avvenuto a Catanzaro le legittime aspirazioni di dirigenti medici di chiara esperienza? Vogliamo che anche questi emigrino alla ricerca di migliori condizioni di lavoro e prospettive di carriera? È arrivata l’ora di investire sul personale sanitario.

La programmazione della rete ospedaliera è avvenuta in ossequio al parametro ministeriale del numero di posti letto per 1000 abitanti ed ai vincoli di bilancio imposti dal costoso Advisor Kpmg per il rientro dal deficit sanitario.  Nessuna valutazione è stata fatta riguardo ai bacini   di   utenza, ed alle loro specificità, non si è tenuto conto delle risultanze epidemiologiche delle popolazioni, della prevalenza e distribuzione delle patologie acute e croniche e delle configurazioni geomorfologiche dei territori. È da considerarsi positivo il lavoro fatto sull’analisi dei flussi migratori sanitari, ma preoccupa la totale assenza di una strategia di contrasto. Le questioni aperte sono ancora molte, cosi come gli attacchi continui alla nostra sanità.

La revisione di luglio scorso del Pnrr, Missione 6, riduce le Case della Salute da 1350 a 936 e gli Ospedali di Comunità da 435 a 304, limitando la realizzazione a quelle strutture già esistenti, cosa che si abbatte in modo drammatico sulla Calabria dove la gran parte di esse sarebbe da costruire ex novo. In questo caso nessuna voce si è levata contro questo scippo. Ed ancora il taglio di 1,5 miliardi del fondo per la messa in sicurezza delle strutture ospedaliere che mette a rischio numerose opere in una Regione che grazie alla inettitudine di una classe dirigente, attende da oltre 20 anni la realizzazione dei nuovi ospedali di Catanzaro e Cosenza, tra ipotesi progettuali, protocolli di legalità e pose delle prime pietre.

Noi riteniamo che la riorganizzazione del Sistema Sanitario Regionale vada affrontata con competenza, con una visione organica e soprattutto con coraggio. Col coraggio che occorre per opporsi agli scippi perpetrati da oltre 20 anni a danno di questa Regione, per pretendere, in seno alla Conferenza Stato-Regione la revisione dei criteri di redistribuzione del finanziamento statale dei sistemi sanitari regionali, cosi come da noi proposto da tempo, affinché i divari accumulati possano essere recuperati.

Ma che cosa si richiede alla rappresentanza politica se non il coraggio di difendere con le unghie e con i denti le richieste di salute provenienti dai propri territori? Sulla difesa di questi diritti “Italia del Meridione” non intende accettare compromessi la nostra attenzione sarà massima affinché la salute non sia un diritto differenziato. (adv)

[Antonio di Virgilio è del Dipartimento Federale Sanità]

Bruni (PD): Garantire servizio al 118 con assegnazione di nuovo personale all’Asp di CZ

La consigliera regionale Amalia Bruni, pur esprimendo soddisfazione per «l’assunzione di trenta professionisti e l’approvazione della graduatoria dei 106 medici» nell’Asp di Catanzaro, ha evidenziato come tutto questo «non basta a rassicurarci sul fatto che un servizio fondamentale per la tutela del diritto alla salute come l’emergenza territoriale sarà effettivamente garantito».

«Esaminando fatti e numeri – ha spiegato – vediamo che l’Asp di Catanzaro procede verso le assegnazioni dei medici di medicina d’urgenza assunti con l’ultimo concorso indetto dalla struttura commissariale. Ma su 30 medici, alcuni sono ex convenzionati che già lavoravano sulle ambulanze e da quanto sappiamo rimarranno a prestare servizio sulle ambulanze mentre altri medici prenderanno servizio nei reparti».

«Gli altri 10 vincitori del concorso – ha aggiunto – sono medici specializzandi e saranno diretti al Pronto soccorso dell’Ospedale Pugliese di Catanzaro e ai presidi di Soverato, Lamezia Terme e Soveria Mannelli. In questo quadro complessivo il saldo per il 118 catanzarese resta comunque negativo: in 18 resteranno a bordo delle ambulanze, ma lo erano anche prima benché con un contratto diverso, da convenzionati».

Secondo la consigliera regionale del Pd «resta da vedere se tra i dieci specializzandi inseriti in graduatoria qualcuno opterà per l’esperienza nel 118. La situazione resta preoccupante, soprattutto con l’approssimarsi della stagione estiva: parliamo di un territorio che sconta già le conseguenze di postazioni demedicalizzate da anni».

«A conti fatti – ha proseguito – il 118 potrà contare su circa 45 medici per 11 ambulanze i turni scoperti rimarranno e la situazione andrà a peggiorare in estate quando aumenterà la domanda di prestazioni, oltre alla necessità di garantire almeno un turno di ferie. Insomma, il servizio di prima emergenza catanzarese non potrà quindi contare su un concreto ricambio di personale».

«La situazione è già drammatica – ha rimarcato Bruni –. Sono continue le segnalazioni e i resoconti giornalistici di ambulanze arrivate in soccorso prive di medico a bordo, di ritardi che mettono a rischio la sopravvivenza delle persone colte da malore, nei momenti concitati del primo intervento».

«Riteniamo, quindi, che il commissario straordinario dell’Asp di Catanzaro, generale Battistini, debba pensare all’assegnazione di nuovo personale al 118 e predisporre un piano organico – ha concluso Amalia Bruni – anche per le prestazioni aggiuntive che vanno rese organiche fino a quando il servizio non sarà reso effettivamente “appetibile” per altri medici che saranno disposti a salire sulle ambulanze, e restarci. E in questo modo garantire un servizio di emergenza adeguato a tutelare i pazienti e gli stessi operatori». (rcz)

Sanità, il presidente Occhiuto riprogramma le risorse per l’edilizia sanitaria

Il presidente della Regione e Commissario ad acta, Roberto Occhiuto, ha riprogrammato le risorse statali per l’edilizia sanitaria.

Con il nuovo decreto, infatti, il commissario ha «programmato l’impiego di tutte le risorse disponibili nel capitolo cosiddetto ex articolo 20 della legge n. 67/88», stanziato oltre 171 milioni per le varianti progettuali agli interventi per la realizzazione dei nuovi ospedali di Vibo Valentia e della Piana di Gioia Tauro.

Di queste risorse, «30 milioni per l’approvazione del progetto esecutivo del nuovo ospedale di Vibo Valentia e i 141 milioni 518 mila 700 euro per l’approvazione del progetto definitivo del nuovo ospedale della Piana di Gioia Tauro, debbano, prioritariamente, trovare copertura sulle risorse disponibili per la Regione Calabria a valere sui fondi ex art. 20 della legge n. 67/88, in coerenza con la nuova programmazione della rete ospedaliera».

Il consigliere comunale di Catanzaro, Vincenzo Capellupo, ha chiesto al presidente Occhiuto di chiarire «circa la sussistenza reale dei fondi ex art. 20 destinati alle strutture ospedaliere del Capoluogo».

Una richiesta che arriva dopo che, come ha ricordato lo stesso Capellupo, «lo scorso 9 febbraio il Presidente del Consiglio Regionale Filippo Mancuso aveva positivamente annunciato che: la programmazione dei fondi ex art. 20 della legge n. 67/88 prevede 170 milioni per il nuovo Ospedale di Catanzaro, 40 milioni per la riqualificazione del presidio Pugliese e 25 milioni per l’adeguamento del Policlinico».

«Ci auguriamo, infatti – ha proseguito – che nella destinazione dei fondi residui agli ospedali di Vibo Valentia e della Piana siano stati risparmiati e salvaguardati i finanziamenti per la sanità pubblica nel Capoluogo di Regione».

«È fondamentale chiarire la questione – ha concluso – anche perché un eventuale dirottamento dei finanziamenti, a cui ci rifiutiamo di credere, significherebbe rinviare a data da destinarsi ogni programma di potenziamento del sistema ospedaliero e sanitario pubblico del Capoluogo di Regione con grave danno per l’intera Calabria». (rcz)

Tutti i disastri nella sanità in salsa calabrese

di FILIPPO VELTRINei giorni scorsi ci siamo soffermati a lungo sui guasti che provocherebbe nel sistema sanitario italiano, e calabrese in particolare, il Ddl Calderoli sull’autonomia differenziata: una frattura strutturale Nord-Sud, che vedrà inesorabilmente aumentare le diseguaglianze già esistenti, con l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione.

Il Ddl Calderoli, cioè, non farà altro che aumentare il divario tra Nord e Sud del Paese in termini di servizi sanitari, distruggendo di fatto il nostro Servizio sanitario nazionale.

Tutto giusto e corretto e moltissimi hanno, infatti, apprezzato. Ma moltissimi sono stati anche i lettori che sollecitano a fare nel contempo, se non prima, una critica tutta calabrese sui guasti del nostro sistema sanitario a prescindere cioè da quelli che provocherebbe il Ddl Calderoli. Moltissimi hanno scritto in privato per denunciare altri clamorosi casi di disastri e di ruberie varie, di un malaffare che ha fatto penetrare la ‘ndrangheta, della sanità usata come bancomat dalla classe politica calabrese per arricchimenti clamorosi e/o clientele a raffica financo nella scelta dei primari, che hanno alla fine solo impoverito lo stesso sistema della tutela della salute dei calabresi.

Come a dire: guardiamo prima in casa nostra e proviamo a vedere il disastro in salsa calabrese, che già esisteva prima di Calderoli. Del resto 14 anni di commissariamento della sanità hanno pure una ragione, o no? E lo Stato, mandando in tutti questi anni gente che con la sanità non aveva alcun rapporto ha peggiorato la situazione, con la domanda che resta sullo sfondo ma che diventa centrale ai fini del ragionamento: perché Roma ha inviato al capezzale del servizio sanitario regionale persone sicuramente rispettabili ma che con la sanità non c’entravano praticamente nulla (e spesso persino in pensione pure dai loro lavori)? Risposta: per tutelare i grandi interessi nazionali, politici e non, che stanno dietro, davanti, sopra e sotto il settore. Un magma di società, corporazioni, aziende, ditte, potentati di vario genere.

 Di fatto l’emergenza della sanità in Calabria è diventata quindi endemica e dai buchi disastrosi dovuti alla clientela politica nel settore si è passati alle voragini. Il commissariamento doveva in teoria servire a rimettere ordine nel disordine gestionale e contabile, a migliorare la qualità delle prestazioni negli ospedali pubblici della Calabria, a porre un freno al pagamento delle doppie e delle triple fatture e all’insinuarsi della ‘ndrangheta e della corruzione ma nulla di tutto questo e’ avvenuto, nemmeno dopo la coraggiosa denuncia di Santo Gioffrè da responsabile dell’Asp reggina, al momento unico episodio di una pubblica e forte denuncia sul malaffare che aveva portato al commissariamento. 

Su quella poltrona di commissario si sono via via seduti carabinieri, prefetti, finanzieri, manager, generali, ingegneri etc. Gente che, però, arrivò addirittura ad ammettere dinanzi alle telecamere della Tv di Stato che si era persino scordato di varare il piano anticovid chiesto dal Governo, tanto per capirci! La verità è, dunque, quella di un fallimento totale, dietro cui sono continuate quelle ruberie, quel malaffare e quella malagestione, che hanno avuto come effetto solo quello di moltiplicare diseguaglianze e privazioni, in una regione che già scontava condizioni di sanità diseguale. 

Ora c’è Roberto Occhiuto alla guida del commissariamento ma di strada da fare ancora ce n’è tantissima, come del resto lo stesso presidente di Regione riconosce.  In questo quadro già terremotato per i motivi suddetti interverrebbe il Ddl Calderoli: un motivo in più per allontanarlo e respingerlo ma un motivo in più per aprire una vera operazione verità sul pozzo senza fondo in cui le classi dirigenti calabresi hanno trascinato in tutti questi decenni il settore primario per la vita di tutti noi. Un pozzo senza fondo – ultima ma non ultima notazione su cui anche qui andrebbe fatto un serio ragionamento per capirne le ragioni – su cui troppo poco si è indagato anche da parte di chi ha e aveva il dovere di farlo. Anzi, si è fatto l’esatto contrario se solo ricordiamo (e sempre occorre farlo) l’incredibile vicenda proprio di Gioffrè: appena nominato Commissario, il 13 marzo 2015, si è imbattuto nel sistema di furti che per decenni hanno saccheggiato l’Asp di Reggio, denunciando transazioni false, il sistema di furti in vari modi delle risorse e cercato di ricostruire i bilanci dell’Asp che da anni non esistevano.

Scoprì per primo il termine “contabilità” orale, che, in sostanza, tutt’ora tiene dentro il Piano di Rientro la Calabria. Ostacolato, isolato e strenuamente lottato, fu sollevato dall’Anac per un cavillo in quanto, anni prima, era stato candidato a Sindaco, sconfitto, di Seminara. Assolto alla fine per non aver commesso il fatto: nelle motivazioni venne scritto che Santo Gioffrè ha difeso l’Asp di Reggio Calabria con “diligenza’’. Sul resto del malaffare vero invece tutto tace. (fv)

 

L’OPINIONE / Franz Caruso: Occhiuto prosegue la sua opera di devastazione dei servizi sanitari

di FRANZ CARUSO – Con la chiusura del punto nascita presso la Casa di Cura Sacro Cuore, il governatore Occhiuto prosegue la sua opera di devastazione dei servizi sanitari nella città di Cosenza e nella sua vasta provincia, con una incidenza fortemente negativa per l’intero territorio calabrese.

Il  Dca n.69 della Regione Calabria del 14 marzo scorso, che riorganizza la rete ospedaliera, la rete dell’emergenza urgenza e le reti tempo-dipendenti, depotenzia ulteriormente l’offerta sanitaria nel cosentino in maniera inopinata ed assurda. E così dopo la chiusura della Terapia Intensiva Pediatrica e la mancata codificazione del pronto soccorso pediatrico presso l’Annunziata, da noi auspicato e mai effettuato, oggi si arriva a chiudere il punto nascita del Sacro Cuore, struttura accreditata e convenzionata con il Ssn, che provocherà inevitabilmente un forte aumento di carico di lavoro per il reparto di Ostetricia del nostro ospedale cittadino, già in forte affanno perché da tempo oberato di lavoro, con carenza di personale e liste di attesa di molti mesi soprattutto per la patologia benigna ginecologica.
Tenendo conto di ciò, la stessa Asp di Cosenza, già nel 2023 dopo la prima pubblicazione della nuova rete ospedaliera in cui si ipotizzava la chiusura del Punto Nascita del Sacro Cuore, si era prodigata per ottenerne la modifica ritenendo che tale taglio di servizio avrebbe comportato da un lato inevitabili licenziamenti e dall’altro un maggior carico di lavoro per l’ospedale di Cosenza, che sarebbe rimasto l’unico punto nascita attivo in città. Rimostranze che non sono, evidentemente, servite a nulla tanto che il governatore Occhiuto ha confermato la sua decisione che è essenzialmente politica ed a danno dei cittadini/utenti.
Se, infatti, si riconosce la necessità di riaprire il punto nascita sulla costa tirrenica (Cetraro), non si comprende il motivo della chiusura del punto nascita del Sacro Cuore, che con circa 1000 parti l’anno riesce a soddisfare, e non poco, le esigenze delle donne cosentine e della provincia. Peraltro, com’è pensabile che una partoriente di Montalto o di Rogliano possa decidere di andare a partorire a Cetraro? Costoro saranno private della libertà di poter scegliere un’altra struttura nella quale avevano confidato e si vedranno “costrette” a rivolgersi all’Annunziata, dove lo straordinario personale medico e sanitario opera, per come detto, con un carico di lavoro enorme che si andrà ad accrescere ulteriormente”.
Tutto ciò è gravissimo, Roberto Occhiuto continua ad operare a fini elettoralistici e propagandistici, giocando sulla pelle dei calabresi ai quali non viene assolutamente assicurato il diritto alla salute che dovrebbe, invece, essere universalmente garantito sopra ogni cosa e tenuto ben distante da calcoli di natura eminentemente ragionieristica. (fc)
[Franz Caruso è sindaco di Cosenza]