A Steccato di Cutro inaugurato il monumento commemorativo del tragico naufragio

A Steccato di Cutro è stato inaugurato un monumento commemorativo del tragico naufragio a Steccato di Cutro. Presente, all’evento, il presidente del Consiglio regionale, Filippo Mancuso, sottolineando come «quanto accaduto il 26 febbraio resterà impresso nella memoria collettiva».

«Non solo perché – ha spiegato – è una delle pagine più drammatiche dei migranti affogati nel Mediterraneo, ma anche perché ci auguriamo che, dopo questa tragedia, si dia inizio ad una politica europea, per contrastare questo fenomeno, non più ideologica e saltuaria, ma unitaria, incessante, concreta».

«La generosa solidarietà che la Calabria – ha proseguito – ha dimostrato al mondo intero, in una circostanza in cui hanno perso la vita 89 migranti, mentre ancora si cercano i dispersi lungo la costa crotonese, chiede fortemente che non ci siano mai più altri Cutro. Sia questa la preoccupazione prioritaria di tutte le forze politiche, dinanzi all’aumento esponenziale delle cifre della disperazione (20mila arrivi a fronte dei 6.500 dell’uguale periodo nel 2022) destinate a lievitare con l’arrivo dell’estate».

«Ciò che è accaduto – ha detto ancora – a ridosso delle coste crotonesi, scuote le coscienze e chiede all’Unione Europea massima attenzione, per la salvaguardia di chi fugge da guerre civili e religiose. Il Governo ce la sta mettendo tutta, per sanzionare pesantemente i trafficanti di esseri umani e regolare i flussi migratori, dando risposte al bisogno di immigrati nel sistema economico. Ma è l’Europa che deve, se non si vogliono svilire i suoi valori fondanti, incaricarsi della protezione delle frontiere e dell’intera area Schengen, assicurare, assieme agli Stati più esposti, accoglienza e integrazione e dotarsi di una strategia per sostenere la cooperazione allo sviluppo dei Paesi da cui le persone fuggono».

«A fronte di un fenomeno così complesso, la cui governabilità non può essere scaricata solo sull’Italia e sulle regioni come la Calabria – ha ricordato – che nel 2022 ha accolto 18mila migranti, le polemiche andrebbero archiviate all’istante. Sfide come le migrazioni e il cambiamento climatico, come sostiene il presidente Mattarella, richiedono un comune impegno. In una visione di solidarietà internazionale, la Calabria ha fatto e continua a fare la propria parte».

«Ma è chiaro che – ha concluso –  visti i continui arrivi che fanno della Calabria terra di primo approdo, da soli a fronteggiare gli sbarchi, se l’Europa non supera lo scarto tra intenti enunciati e provvedimenti concreti, Comuni, Prefetture, Croce Rossa, Protezione Civile, Capitaneria di Porto e volontari, non possono reggere». (rkr)

Manifestazione a Cutro, Libera e Gruppo Abele aderiscono a “Fermate la strage, subito”

Ci saranno anche Libera Calabria e il Gruppo Abele, alla manifestazione nazionale in programma domani a Cutro, dal titolo Fermate la strage, subito, indossando una fascia bianca sul braccio.

«Saremo a Cutro – hanno dichiarato nella nota Libera e Gruppo Abele – insieme alle tante associazioni per  chiedere verità e giustizia per quanto accaduto sulle coste calabresi. Per fermare le deportazioni  indotte chiamate “migrazioni” non basta stabilire accordi economici con Paesi di provenienza il più  delle volte complici o addirittura agenti della logica di sfruttamento occidentale».

«Occorre ripartire  dalla “Dichiarazione Universale dei Diritti umani” – viene evidenziato – occorre ripartire dal valore inviolabile della  persona, dal suo diritto a una vita dignitosa, libera e anche liberamente nomade: nomadismo del  sentirsi ovunque a casa su una Terra dove abbiamo davvero imparato tutti a sentirci e ad agire  come passeggeri di un’unica barca che procede verso il bene comune, a cominciare da quello di  chi, ancora naufrago, chiede di essere riconosciuto e accolto come persona». (rvv)

L’OPINIONE / Franco Cimino: La Strage di Cutro, la questione migranti, l’Italia sempre divisa

di FRANCO CIMINOSergio Mattarella, il Capo dello Stato, è arrivato in Calabria, puntuale dopo la tragedia in mare. Giorgia Meloni, il Capo del Governo, arriverà oggi, giovedì, in ritardo. Il primo ha visto le quarantasette bare nel palasport, ha parlato poco e solo ai parenti delle vittime e ai pochi sopravvissuti presenti.

La seconda, ha parlato tanto e ha detto poco o nulla, di fatto. Ha parlato di più dall’estero per il viaggio che l’ha portata da New Delhi ad Abu Dhabi, com’è consuetudine dei governanti italiani, ai quali piace parlare dell’Italia quando sono all’estero, così da rendere più piccante la lotta politica. Quest’ultima è stata, per tutti i protagonisti della diatriba, più tragica della tragedia nel mare di Cutro, che è servita come miccia per riaccendere i fuochi dell’ancora attiva campagna elettorale, che, da quelle per le due regioni, conclusasi da poco, e l’altra in arrivo con le europee prossime, sarà destinata a trascinarsi, sempre più infuocata, per oltre un anno.

Fa specie, infatti, che dei circa cento morti e degli altrettanto povericristi salvatisi dalle onde incattivite dai ritardi dei soccorsi, la destra non ne parli e la sinistra li utilizzi come armi improprie. Fa specie anche che la battaglia tra le parti contrapposte si incentri sulla richiesta, pur legittima, di dimissioni del ministro dell’Interno per le assurde e gravi dichiarazioni pubbliche sull’etica della disperazione umana, da una parte e, dall’altra, sulla difesa netta del Ministro, che in mancanza di scuse sue personali o di “rimprovero” dei leader dei partiti della maggioranza, equivarrebbe alla condivisione dell’alto pensiero filosofico di Piantedosi. Fa specie, ancora, che nuovamente, a ruoli invertiti, la politica italiana si divida su questioni drammatiche riguardanti la vita e la sicurezza di esseri umani, come per due anni è accaduto per il dramma pandemia da Covid. Nessuna vera pietà per i morti, per quei tanti bambini uccisi dall’abbandono e dal cinismo. Non solo dagli scafisti. Non solo dai mercanti di carne umana.

Nessuna vera attenzione per i povericristi rimasti in vita. Si va ancora a cercare non le responsabilità per i ritardi e i mancati soccorsi, ma a come ciascun elemento della catena di comando possa escludere la propria. Accuse e contraccuse, insulti intrecciati tra «è colpa vostra» e  «ma dei morti di questi anni, assai più numerosi di questi ne rispondete voi della sinistra». Una vergognosa guerra locale sopra la guerra vera, più feroce delle guerre di tipo militare, che è la fame, le lotte tribali, la crudeltà dei regimi dittatoriali. Specialmente, quelli dominati dalla religione più estremista e ideologica. Questo balletto, che abbiamo già visto, a parti invertite in questi lunghi venticinque anni, finirà presto. Finirà non appena si saranno spente le luci che accompagnano, tra propaganda e cinismo, il valzer della politica intorno alle tragedie tanto gravi quanto assurde. Spente le luci, sparite le bare, richiusi cancelli dei cosiddetti centri di accoglienza, si chiuderà il sipario sul dolore e sulla morte più ingiusta che ci sia. Quest’ultima anche inconcepibile.

Cento morti annegati a cinquanta metri dalla riva del nostro mare buono, non si possono davvero accettare. La ragione non lo consente. Il cuore si ribella. È questa dinamica che rende responsabile lo Stato italiano( governi a prescindere e uomini di governo di certo non colpevoli in quanto persone che decidono) della tragedia di Steccato. Anche della tragedia di Steccato, come lo è stato per situazioni analoghe. Questa è la verità. Inutile giocarci sopra. Io non mi stancherò mai di ripetere che tutto ciò che accade in un determinato territorio, dentro quei confini, anche delle sedi fisiche in cui uno Stato deve occuparsi della sicurezza di ogni essere umano che si trova presso le sue attenzioni obbligate, ricade sulla responsabilità di quello Stato o delle istituzioni che lo rappresentano.

Da questa comune consapevolezza dovremmo tutti partire per avviare una nuova politica sugli arrivi improvvisati e non “autorizzati” nel nostro Paese. Una nuova politica che non distingua la questione migranti da quella dell’accoglienza. Quella dei cercatori di pane da quella dei cercatori di libertà. I fuggitivi dalla miseria dai fuggitivi dalla tirannia e dalle guerre degli altri. Per tutti occorrela stessa risposta, accoglienza. E ricollocazione in tutto il territorio della nostra Europa, governo autentico di una nuova realtà politica che, da una parte voglia essere più ricca e più democratica con il contributo fattivo di uomini e donne provenienti da regioni lontane e dall’oltre mare Mediterraneo. E, dall’altra, alleata agli Stati Uniti e perché no? anche della Cina, voglia essere protagonista di un nuovo piano Marshall, che, nell’arco stretto di un ventennio, possa creare sviluppo e democrazia nei paesi poveri da cui partono i povericristi di ogni razza e nazionalità. Tutto questo bel volume di idee e programmi va fatto con l’Europa in Europa e con l’intero Paese a Roma, nelle sue sedi deputate, il Parlamento e il Governo. E senza perdere tempo in tatticismi e propagandismi, che di tempo ne fanno perdere molto. Convocare un Consiglio dei Ministri a Cutro risponde rischiosamente a quella tentazione.

A quella perdita di tempo. Circa tre ore per gli spostamenti da Roma a Cutro e altri tre per il ritorno, il lungo corteo di pullman e auto blu per trasferire almeno cinquanta persone, tra ministri e collaboratori, dall’aeroporto al piccolo e vecchio municipio di Cutro, l’impegno di un centinaio di uomini delle Forze dell’Ordine per la sicurezza delle autorità e, soprattutto, del presidente del Consiglio, che come i suoi predecessori, è sempre nel mirino di forze ostili al nostro Paese, l’elevato costo economico per questa trasferta, sono fatti davvero inconcepibili. Insopportabili. Irragionevoli. Neppure comprensibili se non nell’ottica di cui ho detto. Brutta cosa, destinata ad acuire le tensioni, ovvero a distrarre la pubblica opinione dai problemi veri in atto, quello proprio dei “ migranti” e dei viaggi della speranza, e quelli più strettamente nazionali, quali la crisi economica aggravata dall’ impazzimento dei costi dell’energia e di tutti i beni di prima necessità. Per non dire del problema dei problemi, la gestione degli esiti della pandemia e la guerra in Ucraina. Se qualcosa di più specificamente calabrese il Governo vorrà fare per rendere più utile la sua presenza a Cutro, ecco, domani lo potrà definire, trattando qui l’altro problema strettamente legato ai viaggi della povertà e della fatica del vivere.

Si riconosca alla nostra regione, tutta, e in particolare ai paesi sulla costa ionica, lo status di territorio sovranazionale del coraggio e dell’accoglienza. E la si ripaghi del grande sforzo che davvero eroicamente hanno compiuti piccoli comuni, le loro popolazioni, e le amministrazioni locali povere di tutto. Ripaghi adeguatamente la loro generosità che non solo ha salvato migliaia di vite umane , ma anche l’onore del Nostro Paese e la faccia di questa Europa sempre in ritardo. Si vari una legge speciale che offra alla nostra regione diverse opportunità nelle politiche di sviluppo che stanno per essere avviate. Una legge che potenzi le sue Università e gli istituti di ricerca, che finanzi un piano per l’edilizia scolastica e per la costruzione e il completamento di infrastrutture che annullino le sue distanze e culturale e fisiche con il resto del Paese. E visto che ci siamo, trovi il modo di finanziare anche il ripiano almeno di una parte dei debiti che i Comuni hanno maturato e non hanno potuto saldare.

E, per non finire, un programma per la gestione dell’acqua attraverso e del suo costo, nonché la costruzione di moderni acquedotti che ne garantiscano la salubrità e la continuità per tutti i diversi territori. Per tutti i comuni. Specialmente, i più piccoli. E quelli che più di tutti si sono spesi per la salvezza di vite umane e per l’accoglienza dei povericristi. E non è finita: il Governo, crei qui, in uno di questi comuni a mare, quel centro nazionale organizzato di interforze civili e militari, di cui si avverte la necessità per affrontare con efficacia e senso politico e umanità la gestione della prima fase dell’emergenza migranti. Un’emergenza che non si arresterà con le risibili quanto cattive proposte di “bloccarli nel loro paese”, di impedire le partenze, o, addirittura, di distruggere le navi prima della partenza con quel pesante carico di scarti umani, che, in quel momento, avranno già pagato i mercanti di morte, i quali si arricchirebbero senza più neanche il rischio e la fatica della traversata. Ecco cosa dovrebbe fare il Governo per non rendere inutile e costosa, anche di credibilità, la sua trasferta cutrese. Ecco il modo migliore per rendere omaggio alle grandi antiche battaglie che Francesco, il Papa, va facendo da sempre a favore dei poveri e degli scartati di ogni parte del mondo.

Fatiche e battaglie, le Sue, che hanno nella fratellanza piena e nell’accoglienza senza condizioni, il loro unico aggancio al senso umano della vita e a quello cristiano che la vita difende sempre. In tutti. Come la dignità di ogni essere umano, da qualsiasi territorio o cultura o religione provenga. Ché l’uomo, per Francesco è sempre uguale a ogni altro uomo. E Dio è solo uno. Che guarda e giudica. Tutti. Specialmente chi si dice credente. (fc)

L’appello dell’Università delle Generazioni: Papa Francesco, venga a Crotone

È un invito a venire a Crotone, a seguito della tragedia dei migranti a Steccato di Cutro, quello che l’Università delle Generazioni ha rivolto a Papa Francesco.

«Pochi mesi prima che tu fossi eletto Pontefice il 13 marzo 2013, lo scrittore calabrese Salvatore Mongiardo aveva pubblicato per l’Editore Gangemi di Roma un libro che adesso ci sembra addirittura “profetico” sia per il titolo che per i contenuti: Cristo ritorna da Crotone. Semplice coincidenza? Adesso tu, immediatamente dopo i tanti morti nel mare di Cutro del 26 febbraio scorso, ti sei detto molto addolorato ed hai espresso la tua vicinanza e la tua preghiera. E questo ha confortato i parenti delle vittime, i superstiti di quel terribile naufragio ma pure noi calabresi, in particolare coloro che sono tanto impegnati nel salvataggio e nell’accoglienza dei profughi».

«Sicuri di interpretare l’aspirazione di tutti i calabresi, ma anche di tutti i migranti e dei cosiddetti ultimi del mondo – si legge – noi dell’Università delle Generazioni ti chiediamo di venire a Crotone, come sei già andato a Lampedusa lunedì 8 luglio 2013 nella prima assai significativa uscita del tuo Pontificato. Vieni a a rafforzare il sostegno ai sofferenti, ma anche ai volontari e a quei servitori dello Stato che cercano in tutti i modi (spesso eroicamente) di aiutare e salvare specialmente i disperati e coloro che fuggono da troppe e invivibili situazioni esistenziali. Vieni ad incoraggiare la grande umanità della Calabria la quale è una terra di sbarchi da oltre quattromila anni ed ha ospitato genti e popoli in fuga dall’inferno di dittature, guerre, persecuzioni e calamità naturali».

«Torna in Calabria, fratello Francesco, dopo quasi dieci anni, sulle orme di San Paolo e di tanti altri santi, per sostenere quel cristianesimo che qui ha premesse e radici culturali già nei “sissizi” di Re Italo di 3500 anni fa e nella filosofia di Pitagora, come ha dimostrato Salvatore Mongiardo, scolarca della Nuova Scuola Pitagorica di Crotone nel suddetto libro “Cristo ritorna da Crotone”».

«Torna in Calabria, terra di approdo dal Sud del mondo e di passaggio verso l’Europa – si legge – pure per dare coraggio a coloro i quali dovranno ancora sostenere sfide difficili nell’accoglienza, poiché possiamo immaginare che gli approdi continueranno a ritmi sostenuti per chissà quanti decenni! Torna in Calabria, in una terra sofferente essa stessa, dimenticata, snobbata e vessata per millenni, depredata e in particolare spogliata dei tantissimi suoi figli dispersi (a loro volta) per le tante vie del mondo! Noi te ne saremo grati per sempre e il Signore Iddio benedirà i tuoi passi. Specialmente se Crotone divenisse sede di un incontro tra tutte le Religioni per l’Umanità». (rrm)

 

 

L’OPINIONE / Ruggero Pegna: Aver abbandonato i migranti di Cutro al loro destino è inaccettabile

di RUGGERO PEGNAInutile nascondere la realtà: questa tragedia di Cutro si poteva evitare o, perlomeno, dal momento dell’individuazione, era un obbligo morale, etico, civile, cristiano, semplicemente umano, monitorare l’imbarcazione, avvicinarsi, capire la situazione, intervenire, soccorrere. 

Averli abbandonati al loro destino, viste anche le condizioni del mare, è inaccettabile, crudele, da miserabili. Le dichiarazioni del ministro sono penose e impietose. L’autodifesa del comandante della Guardia Costiera che, comunque, ingenuamente ma spudoratamente ammette che si potessero salvare, aggiungendo di “essere provato umanamente ma professionalmente a posto”, è triste e imbarazzante. Ha affermato, secondo un linguaggio in questo caso incomprensibile, di aver rispettato “le regole d’ingaggio”, come se fosse una battaglia, un’azione militare o di polizia. In realtà, piuttosto, si trattava di aiutare centinaia di persone a raggiungere la costa ormai vicina in modo sicuro, un’autentica operazione di salvataggio e carità.

Quanto meno, sarebbe stato del tutto naturale, logico, anche emotivamente istintivo, fare il possibile per scongiurare la sciagura, ma barbaramente non lo è stato. La notizia dell’avvistamento molte ore prima dell’immane tragedia aumenta il dolore e la rabbia, quanto l’indifferenza sentita o subita di chi poteva e doveva intervenire. Non ci possono essere scuse, ragioni o attenuanti. Ormai centinaia di uomini, donne e bambini erano là, a pochi metri dall’urlare di gioia per avercela fatta, invece sono morti. 

Stare a discutere se non dovessero proprio partire, o di altri argomenti da talk show, mentre dovevano essere aiutati e salvati, è privo di alcun senso, da qualsivoglia posizione di pensiero si guardi questa storia.  A tutti gli effetti, potrebbe trattarsi di omissione di soccorso. Un’omissione ignobile, vergognosa, raccapricciante, da parte di chi è messo lì anche per salvare vite umane e non recuperare corpi esanimi. Quello che è accaduto a pochi metri dal traguardo sognato è una ferita profonda alla nostra umanità, alla civiltà, alle loro e nostre coscienze, annegate insieme alle vite d’intere famiglie con la speranza negli occhi.

Quando ho terminato di scrivere Il cacciatore di meduse, cercando di immedesimarmi in uno di loro, dopo qualche giorno l’ho letto e mi sono commosso più volte, pensando che si trattava di una storia vera, talmente vera da restarci un po’ male, ma sperando che potesse rimanere come la testimonianza di fatti del passato, irripetibili, mai più accaduti. Quando si scrive un romanzo, col tempo resta quasi un ricordo in uno scaffale, invece, queste foto di oggi, che arrivano da un luogo molto vicino, mi hanno riportato in quelle pagine, su quel barcone spezzato a pochi metri dal traguardo cercato e sognato di una nuova vita. 

In una delle più belle canzoni di sempre, Ivano Fossati canta: «Mio fratello che guardi il mondo e il mondo non somiglia a te, mio fratello che guardi il cielo e il cielo non ti guarda, se non c’è strada dentro il cuore degli altri, prima o poi si traccerà…». Ci rimane da sperare che da tragedie così terribili si traggano lezioni di umanità e si possano tracciare anche nei cuori dei più indifferenti e cinici quelle strade che, almeno in questo caso, si sono perse nel buio di “una notte terribile”, una notte senza stelle che ha riempito i nostri occhi e i nostri cuori di bare scure e bianche. 

Tanto dolore per tutte queste tante, troppe, nuove vittime di un sogno ed auguri a chi da oggi è con noi, nella nostra terra già difficile, ma capace di non essere indifferente ed essere piu’ generosa di altre nell’accoglienza e nel bisogno. (rp)

 

Strage migranti, la Premier Meloni: «valuto prossimo Cdm a Cutro»

Ho valutato di celebrare il prossimo Cdm a Cutro sull’immigrazione». È quanto ha dichiarato il presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, in un punto stampa ad Abu Dhabi.

«La situazione è semplice nella sua drammaticità: non ci sono arrivate indicazioni di emergenza da Frontex», ha spiegato la premier ai microfoni, aggiungendo che «la rotta, inoltre, non è coperta dalle organizzazioni non governative e nulla dunque hanno a che fare con le politiche del governo. Nonostante noi lavoriamo per fermare i flussi illegali, abbiamo continuato a salvare tutte le persone. Questa è la storia. Io davvero non credo ci siano materie su cui esagerare così per colpire ciò che si considera un proprio avversario».

«Noi siamo molto abituati – ha detto ancora – ad accorgerci dei problemi quando c’è una tragedia ed invece c’è chi ne parla da quando è a palazzo Chigi nel disinteresse generale. Io cerco soluzioni, l’Italia non può risolvere la questione da sola, ma per evitare che altra gente muoia vanno fermate le partenze illegali. Un modo per onorare la morte di persone innocenti è cercare una soluzione».

Giorgia Meloni ha ribadito che il Governo «ha sempre fatto tutto quello che potevamo fare per salvare vite umane quando eravamo consapevoli che c’era un problema, in questo caso non siamo stati consapevoli perché non siamo stati avvertiti, voi avete tutte le evidenze a conferma di questo fatto e se qualcuno sa qualcosa di diverso è bene che ce lo dica».

«Noi, dall’inizio – ha spiegato ancora – continuiamo a fare tutto quello che possiamo per impedire che il lavoro degli scafisti continui a mettere a repentaglio le vite umane».

Il presidente Meloni, poi, ha detto di aver parlato con Bin Zayed (sovrano di Abu Dhabi ndr) di immigrazione, di come favorire flussi legali impedendo flussi illegali, di come fermare una tratta vergognosa e cinica che mette a repentaglio la vita delle persone e credo non sia passato un solo giorno senza che mi sia occupata di questa materia».

Meloni, poi, ha parlato della lettera scritta dal sindaco di Crotone, Vincenzo Voce, in cui ha scritto che se Meloni «non ha ritenuto di portare la sua vicinanza come presidente del Consiglio, venga a portarla da mamma».

«La lettera del sindaco di Crotone non l’ho letta tutta», ha spiegato Meloni, aggiungendo che «posso solo dire che io sono rimasta colpita dalle ricostruzioni di questi giorni. . Ma davvero, in coscienza, c’è qualcuno che ritiene che il governo abbia volutamente fatto morire 60 persone? Vi chiedo se qualcuno pensa che se si fosse potuto salvare 60 persone, non lo avremmo fatto. Vi prego, siamo un minimo seri». 

Il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, ha giudicato «positivamente l’iniziativa del premier Meloni, che ha manifestato l’intenzione di celebrare il prossimo Cdm sul tema immigrazione a Cutro. Un gesto di grande attenzione per le vittime della tragedia di domenica scorsa, per la comunità cutrese, e per la Calabria intera».

«A caldo posso dire che se il governo viene qui solo per fare passerella, allora sarebbe meglio di no. Ma non credo», ha detto il sindaco di Cutro, Antonio Ceraso, all’Adnkronos.

«Io lo interpreto questo annuncio come un gesto di solidarietà a di attenzione», ha spiegato, ricordando che «è venuto nei giorni scorsi il presidente della Repubblica, vuol dire che non possiamo essere lasciati soli. Non si tratta solo dei morti, mi chiedo le mamme che hanno perso i figli o il marito, che vita faranno? Un dramma nel dramma. Lo ritengo un fatto positivo che il governo venga qui in massa, questa comunità è come se avessi perso i propri figli».

«Anche se io ritengo che non è solo un fatto di governo nazionale ma europeo…», ha detto ancora Ceraso, ribadendo che «non penso si tratti di una passerella».

«Io ho visto un Capo dello Stato molto provato e addolorato – ha concluso – credo che non la sia solita visita di rito. È la prima volta che un presidente del consiglio tiene sotto attenzione la nostra comunità, che non è solo ‘ndrangheta». (rrm)

Il sindaco Vincenzo Voce alla Premier Meloni: Presidente, venga a Crotone nelle vesti di madre

È un invito a venire a Crotone in veste di madre e non di Premier, quello che il sindaco di Crotone, Vincenzo Voce, ha rivolto al presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni.

Una lettera pesante, quella del primo cittadino, in cui “accusa” il Governo di non essere stato presente a Crotone, al PalaMilone, trasformato in camera ardente per quei migranti morti nel tragico naufragio del 26 febbraio.

Una lettera affidata all’Adnkronos e che riportiamo interamente

Gentile presidente Meloni, abbiamo aspettato una settimana, la comunità crotonese colpita da un dolore enorme, ha aspettato un suo messaggio, una sua telefonata, un suo cenno, che non sono arrivati. In questa settimana i crotonesi si sono stretti nel dolore per le vittime di una tragedia immane ed in ogni modo, anche con una semplice preghiera, portando un fiore o un biglietto hanno voluto manifestare la loro vicinanza e solidarietà.

L’umanità probabilmente non farà risalire le classifiche della qualità della vita ma sicuramente rende orgogliosi di appartenere ad una comunità che ha saputo dimostrare come la solidarietà e l’apertura verso l’altro siano valori inalienabili ed irrinunciabili. Questo popolo aspettava una testimonianza della presenza dello Stato, che è arrivata altissima dal Capo dello Stato.

Ma è mancato il Governo, è mancata lei presidente. Allora le chiedo, se non ha ritenuto portare la sua vicinanza come presidente del Consiglio, venga a Crotone a portarla da mamma. Venga a conoscere cosa si è vissuto in un palazzetto dello Sport destinato alla vita e che è si è trasformato in un luogo di dolore e lacrime. Venga a condividere, da mamma, il dolore di altre mamme, dei figli senza più genitori, di donne, uomini, bambini che avevano una speranza ed ora non hanno neppure più quella.

Non le faccio colpa di non essere venuta da presidente del Consiglio, sicuramente avrà avuto altri importanti impegni. Allora venga in forma privata, se ritiene, da cittadina di questo paese. Venga in questa città che ha espresso fortissimo il sentimento di restare umani. Di guardare alle persone come tali e non come numeri. Perché quelle bare che non hanno ancora nome non sono numeri. L’aspettiamo. (rkr)

L’OPINIONE / Franco Cimino: Quei morti nel mare prossimo alla riva e alla nostra ipocrisia

di FRANCO CIMINO – No, non posso tacere. Per rabbia, per dolore rabbioso, per rabbiosa vergogna, per paura di sentire rabbia, dolore e vergogna, non ho scritto e non ho detto nulla della strage di povericristi sul mare davanti alla spiaggia di Steccato di Cutro.

Morte assurda, incontrata a soli cento metri, forse meno, dalla riva. Ma, dopo la lotta politica intrisa di verbosità sterile e di accesa propaganda su quegli stessi morti, che saranno molto più dei sessantasette finora contati, (anche se fosse stato uno soltanto) dopo il rimpallo di responsabilità seguenti alle prime dichiarazioni che le negavano tutte, dopo le dichiarazioni assurde di incerti uomini di governo e quel pietismo opportunistico che ha compreso anche la gara a prendersi nei propri cimiteri già saturi il cadavere più bello, non posso restare in silenzio.

Non posso io, che da lontani anni mi batto per un mondo più giusto in cui sia finalmente debellata ogni sorta di violenza. Specialmente di quella che, nascendo dai nostri egoismi e dalle più becere lotte di potere, genera continuamente le guerre mondiali di diverso genere. Anche quelle che facciamo finta di non vedere, quali la fame, la siccità e le carestie, le dittature sanguinarie, i terremoti che squarciano la terra e ne polverizzano tutto ciò che vi sta sopra. Queste, le guerre che chiamiamo con un altro nome. Di chi è la colpa dell’ultima strage? È la domanda per la distrazione dei popoli.

Degli stessi delle prime e delle precedenti, è la risposta. Ed è una, una soltanto e senza ombra di dubbio. Per esserne più sicuro, applico un principio che ho già richiamato nelle morti delle piazze delle manifestazioni e nelle carceri delle detenzioni. Oppure, negli “incidenti” ferroviari e similari. E nei crolli di ponti e di strade. E di palazzi. Questo il mio principio: quando in un luogo sottoposto al pieno controllo dello Stato, cittadini e persone tutte, cadono vittime innocenti di un qualsiasi atto violento, quelle morti si appartengono, quale prima responsabilità, allo Stato. A quel determinato Stato. Dire che le morti in mare sono procurate dagli scafisti o addirittura degli stessi migranti che hanno la doppia responsabilità di portare a morire i figli, sia pure per disperazione, e di aver abbandonato il proprio Paese senza essersi posti neppure la domanda kennedyana di cosa potessero fare loro per aiutarlo, equivale ad affermare che responsabili di un assassinio sono il coltello o la pistola che hanno ucciso.

Dire inoltre, cosa cervellotica, che chi lascia il proprio Paese è un vile traditore punibile magari penalmente per il reato di evasione dalla propria responsabilità civica, è come accusare chi viene colpito duramente del dolore che prova. Se hai fame e i tuoi figli la soffrono fino a morirne, devi restare nel tuo paese. Se il tuo paese è in guerra da decenni, la tua casa é stata distrutta dai bombardamenti, i tuoi cari uccisi, i tuoi figli non hanno scuole ma come unica prospettiva solo uno di quei campi profughi in cui manca tutto e dove a milioni sono costretti esseri umani provenienti da diverse regioni di quel continente già devastato da guerre, terremoti e povertà, tu non devi spostarti da lì.

Questo è il motivo leggero, che viene recitato nelle politiche dure dei respingimenti o delle chiusure di porti e confini a quanti vengono chiamati clandestini o irregolari, o in altro similar modo. Quest’ultima strage di povericristi mi sembra un banco dell’ipocrisia, posto davanti alle bare e nelle piazze o davanti alle chiese e i portoni chiusi delle istituzioni. Ci sono i morti, e tanti e ne ne parla. Diffusamente. E questi morti, nello stesso tavolo dell’ipocrisia, vengono utilizzati come strumento di pressione di una politica debole, quella italiana, presso Bruxelles, ancora sorda al richiamo di quella stessa Europa dell’antica cultura democratica perché umanista e viceversa. I morti, ecco i morti, i povericristi necessari per testimoniare il dramma più grave che possa esistere sulla terra, mi ricordano le parole pronunciate da una vittima della mafia-‘ndrangheta in un recente incontro pubblico.

L’imprenditore, ferito alcuni anni fa in un attentato per essersi rifiutato di pagare il pizzo, ha detto testualmente: «come per i magistrati più valorosi, per essere considerati, dallo Stato e dalla gente, vittime della mafia, bisogna morire uccisi». Ecco, per capire il dramma di chi lascia tutto, paga una cifra enorme ai mercanti di carne umana, per poter raggiungere una costa  “pacifica” e umanizzata, e la speranza, soltanto la speranza, di una vita diversa per i propri figli, ci vogliono i morti annegati o quelli bruciati sulle carrette del mare che prendono fuoco. Ogni volta di più tanti più morti ne occorrono per superare l’assuefazione di quelli già contati precedentemente.

Altrimenti, di quei povericristi che hanno avuto la fortuna, e sono migliaia e migliaia, di raggiungere la terra ferma della vita nuova, non ne parla nessuno. Soltanto quei politici da salotti televisivi che li usano per le contrapposizioni delle loro ridicole propagande. Osserviamo meglio le scene di questi giorni, e le ultime di stamattina con la visita del presidente della Repubblica. Tutti dietro di lui, il nostro pur sincero capo dello Stato e uomo onesto e profondamente sensibile. Ma dove siamo stati, tutti noi anche attraverso i nostri occhi puntati sulle televisioni? Siamo stati al palazzetto dello sport, quella nuda chiesa areligiosa di fredde alte pareti, dove sembra non esserci entrato l’unico Dio di tutte le fedi. Qui c’erano le sessantasette bare, di cui le cinque bianche dei bambini.

E un po’ di parenti a piangerle. Subito dopo, il lungo corteo si è spostato all’ospedale dove stavano ricoverati quei povericristi feriti, che, io credo, non vorrebbero più spostarsi da lì. Da quelle amorevoli cure, da quei letti. Da quelle stanze calde. Da quei pasti completi e sicuri. E caldi. Un rapido saluto di Mattarella e il corteo si scioglie via via che le auto presidenziali raggiungessero l’aeroporto. Al Care di Isola di Capo Rizzuto, dove stipati come sardine a quelli che c’erano già da prima, si trovano i sopravvissuti a quella inspiegabile e, perciò, inaccettabile tragedia dell’altro ieri, i circa cento povericristi più terrorizzati che contenti, più disperati che sollevati, non vi è andato ancora nessuno. Eppure, sono loro quelli che hanno più bisogno di aiuto. Il primo, quello della garanzia di restare in Italia, e di non essere rinviati ai lager da cui sono fuggiti, come vorrebbe, per la gran parte di quei povericristi, la nostra legge.

In quei lager, “stazione” finale della lunghissima attesa dopo la “ traversata del deserto”, dentro i quali si consuma su tutti ogni crudeltà, mentre si aggrava la violenza indicibile su quei poveri corpi, specialmente femminili e infantili, attrattivi delle peggiori e disumane forme di pulsioni. Nelle guerre classiche d’occupazione si chiamano elegantemente stupri di guerra. In quest’altra guerra, potremmo chiamarli il diritto acquisito dei mercanti di carne umana, che in quel luogo incontrollato si fanno carcerieri dei prigionieri, padroni degli schiavi, titolari della vita e della morte di ciascuno di quei povericristi.

L’altro aiuto che chiedono è di poter vivere degnamente, di non essere costretti, le giovani donne alla prostituzione e i bambini all’accattonaggio, a una vita non meno miserevole di quella lasciata nel paese d’origine. Di non essere scelti, come si fa al mercato degli animali, sui criteri di convenienza del potere economico, per i quali, come è stato recentemente richiesto da alcuni vertici aziendali al governo, è necessario una certa quantità di forza lavoro per poter mantenere o accrescere la produttività delle proprie aziende. Anche questo quei povericristi, nella lingua che presto dimenticheranno, chiedono all’Italia.

Chiedono all’Europa. E alle società democratiche. Lo chiedono alla nostra cultura e tradizione cristiana, che sono patrimonio e guida della nostra civiltà. Dalle risposte che sapremo dare a quei vivi, avremo la dignità di rispettare i loro morti. Se daremo “pane” buono ai sopravvissuti, avremo donato la più degna sepoltura a chi non ce l’ha fatta a raggiungere la spiaggia di Steccato di Cutro. E non per colpa del mare agitato. Ché il mare non è mai assassino. (fc)

La Rete 26 febbraio – La Calabria per i diritti umani: Urge politica europea di soccorso

La Rete 26 febbraio – La Calabria per i diritti Umani, chiede non solo giustizia per i familiari delle vittime e i superstiti del naufragio di Steccato di Cutro, ma anche una politica comune europea di soccorso, accoglienza e asilo.

«Davanti alle 64 bare temporaneamente ospitate all’interno del PalaMilone di Crotone – si legge in una nota – l’unico messaggio doveroso da rivolgere al governo Italiano e all’Europa tutta è questo: la Calabria e tutto il sud Italia, non possono e non vogliono più essere il cimitero d’Europa.  Oltre al dolore, enorme, registriamo anche l’assurdo rimpallo di responsabilità tra autorità competenti, su chi poteva e doveva dare il segnale di soccorso nella notte di domenica e anche il vuoto istituzionale nel dare risposte immediate e concrete alle istanze dei familiari».

«In questi giorni il clima al Palazzetto dello Sport pitagorico è drammatico – viene evidenziato –. Stiamo assistendo inermi allo strazio di file di parenti disperati, costretti a dover riconoscere i volti dei loro cari. Su molte delle bare c’è solo un codice, neanche un nome su cui piangere.   Per questo, come enti del terzo settore, sindacati, associazioni, comitati, ong, scuole, libere cittadine e cittadini chiediamo a gran voce che le autorità inquirenti facciano presto chiarezza e giustizia. Continuiamo a garantire supporto ai familiari e ai superstiti, e pretendiamo finalmente una politica comune europea di soccorso, accoglienza e asilo congiunta ed effettiva tra tutti i Paesi. E che non ci siano più disparità nell’accoglienza dei profughi, da qualsiasi parte del mondo e guerra scappino». 

«Noi continueremo a presidiare il PalaMilone – conclude la nota – e chiamiamo una grande mobilitazione con un calendario di iniziative sui territori e con un appuntamento nazionale a Crotone. Si inizia da questo sabato 4 marzo, con presidi in diverse città d’Italia e, in Calabria, davanti alla Prefettura di Crotone alle ore 15, in previsione di una grande manifestazione nazionale che sarà comunicata nei prossimi giorni». (rkr)

L’OPINIONE / Filippo Mancuso: Le bare a Crotone interrogano le coscienze della comunità internazionale

di FILIPPO MANCUSOLe bare allineate al PalaMilone di Crotone annebbiano lo sguardo e smorzano il fiato.

La visione di uomini, donne e bambini, per i quali la speranza di una vita migliore è precipitata nella tragedia, non può lasciare nessuno nell’indifferenza. Ma non è con la strumentalizzazione politica, imbarazzante di fronte al disastro umanitario di domenica, che si onorano le vittime del naufragio a poche centinaia di metri dalla costa calabrese.

È necessario, se non si vuole che tutto finisca con le rituali commemorazioni, che questa ennesima strage di migranti sia uno spartiacque tra il passato e il prossimo futuro. E ciò sarà possibile se l’Unione europea, i singoli Stati aderenti e la comunità internazionale, decideranno di governare il fenomeno migratorio e si assumeranno la responsabilità di evitare che le morti nel Mediterraneo si ripetano.

Si chiede, come sta facendo il Governo italiano e come ha sollecitato il presidente Mattarella, che Europa si doti di una strategia rigorosa, per sostenere la cooperazione allo sviluppo dei Paesi devastati da guerre e povertà da cui le persone fuggono. Soltanto così si potrà incidere sulle cause di un fenomeno epocale e complesso. Smantellando, al contempo, la rete dei trafficanti di esseri umani e organizzando l’accoglienza in una logica che coniughi la solidarietà con la necessità di assicurare i diritti primari dei migranti nel rispetto della legalità. (fm)

[Filippo Mancuso è presidente del Consiglio regionale della Calabria]