di PINO NANO – Finalmente un saggio che affronta un tema – quello della Calabria ebraica – per troppo tempo sottovalutato se non dimenticato e rimasto ai margini della storiografia benché la Calabria sia stata uno dei centri più notevoli e caratteristici della vita ebraica in Europa, un caposaldo dell’ebraismo mediterraneo e mondiale.
C’è un libro oggi che ci spiega in maniera straordinariamente efficace la presenza e il ruolo della comunità ebraica in Calabria. Il titolo è Ebrei di Calabria, 559 pagine, Grafiché editrice, con la prefazione di Giulio Disegni, vicepresidente dell’Ucei, e la postfazione di Klaus Davi. A scriverlo è stato Vincenzo Villella, giornalista, storico, socio della Deputazione di Storia Patria, già direttore della collana “Ricerche e Studi Storici sulla Calabria, e oggi direttore della Collana Mnemosine di memorie e storia locale e della rivista quadrimestrale Lamezia Storica.Siamo andati a cercarlo.
– Professore Villella, il libro che lei ha scritto prende per mano il lettore e lo conduce in una quantità di città, paesi, borghi calabresi in cui è disseminata la presenza ebraica. Quante sono esattamente queste realtà?
«Sono circa 130 le giudecche individuate e descritte, delle quali restano rilevanti segni nella toponomastica, nella cultura e nella tradizione della Calabria in cui la presenza ebraica nel XVI secolo ha raggiunto la cifra del 40% della popolazione. Le giudecche hanno segnato in modo inconfondibile le parti più significative dei centri storici in tutta la regione. Leggendo questo libro sfilano davanti agli occhi: Bova, Belvedere Marittimo, Catanzaro, Caulonia, Cittanova, Cosenza, Crotone, Gerace, Castrovillari, Girifalco, Nicotera, Serrastretta, Reggio… e tanti altri nomi di paesi e villaggi testimoni di un ebraismo capillare e diffuso. Ovunque vi era una fiera, una via di transito, un porto da lì transitavano o permanevano gli ebrei».
– Di che periodo parliamo?
«Vede, posso dirle con assoluta certezza che nuclei giudaici sono stati presenti in alcuni centri costieri della Calabria fin dai primi tempi dell’era volgare, cioè nei primissimi anni della diffusione del cristianesimo. E fin dal XIII secolo le comunità ebraiche calabresi acquistarono un ruolo fondamentale nella regione e molte attività economiche divennero appannaggio totale degli ebrei, in particolare la produzione e il commercio dei prodotti lattiero-caseari, le cave di salgemma e le saline nelle località costiere, la coltivazione delle cannamele per la produzione dello zucchero, la produzione e lavorazione della seta, la tintoria, alcune cartiere e tipografie, l’arte medica e della spezieria».
– Nel suo libro lei parla di “primati della Calabria ebraica”. A cosa fa riferimento?
«È vero, il libro fa luce su alcuni importanti primati della Calabria ebraica, a cominciare dalla primogenitura nella proposta della costituzione di uno Stato ebraico con l’opera del patriota, deputato e senatore del Regno d’Italia Benedetto Musolino (1809-1885) che va considerato come il vero precursore del sionismo. Pensi che il suo libro “Gerusalemme e il popolo ebreo”, scritto nel 1851, ma pubblicato un secolo dopo nel 1951 per iniziativa del rabbino Dante Lattes, fondatore della rivista “La Rassegna Mensile di Israel”, ha preceduto di ben 50 la più nota opera “Lo Stato ebraico” (Iudenstaat), considerata il manifesto programmatico del movimento sionistico, scritta e pubblicata nel 1896 da Theodor Herzl ritenuto il padre del sionismo moderno».
– Perché il suo libro dà così tanto spazio alla Sinagoga di Bova Marina?
«Perché la sinagoga di Bova Marina è considerata la seconda più antica dopo quella di Ostia. Ma a proposito di primati pensi che nel 1475 a Reggio Calabria fu stampato dal tipografo ebreo Abraham Garton per la prima volta sul continente europeo con caratteri ebraici mobili il Commentarius in Penthateucum di Rashi, conservato nella biblioteca palatina di Parma. Rashi è l’autore francese più letto e più tradotto in tutto il mondo. Il geniale tipografo Garton, per aver abbinato al testo originale biblico i commenti di Rashi può essere considerato l’inventore dell’ipertesto moderno. Grazie al tipografo Garton Reggio è stata definita la ‘capitale’ dell’editoria ebraica. Nel 1506 vi furono stampati gli Opuscoli che comprendevano anche le opere di Pico della Mirandola».
– Lei scrive che gli ebrei in Calabria hanno avuto un ruolo fondamentale nella trasmissione del sapere.
«Molti non lo sanno, ma nelle giudecche di Crotone e Strongoli furono copiati nel XVI secolo diversi manoscritti ora conservati nella Biblioteca Nazionale di Francia e nel famoso Codice Sassoon. Il più importante è il Commentario medio di Averroè alla Phisica e al De Anima di Aristotele. Nel 1478, in piena età degli incunaboli, a Cosenza l’ebreo Salomonio apriva una tipografia e stampava il famoso Dialogo dell’origine e dell’immortalità dell’anima di Jacob Canphora del circolo neoplatonico e neopitagorico di Marsilio Ficino».
– Per non parlare della produzione dei Cedri…
«A Santa Maria del Cedro, lei lo sa meglio di me, ogni anno a decine i rabbini vengono da varie parti del mondo – Amburgo, Amsterdam, Budapest, Mosca, Odessa, Parigi, Praga, Vienna – a raccogliere il cedro, il frutto sacro perfetto, che cresce solo sulla riviera dei cedri in Calabria. Serve per la loro festa più importante il Sukkoth o Festa delle Capanne e lo spediscono via aerea alle varie comunità ebraiche in ogni angolo del mondo».
– Lei teorizza che “Non esiste una storia degli ebrei separata dalla storia calabrese”. Perché dice questo?
«Perché lo studio degli insediamenti ebraici non concorre soltanto alla storia degli ebrei e dell’ebraismo, ma, al tempo stesso, a quella dell’economia e della civiltà meridionali. Gli ebrei e la loro cultura ci appartengono pienamente. La loro presenza, tra convivenza e diffidenza, ha fatto la storia della Calabria. Ebraismo e Calabria si sono arricchiti reciprocamente. Non esiste una storia degli ebrei separata dalla storia calabrese. È auspicabile, pertanto, un serio e vasto piano di ricerca a largo raggio in tutti i comuni della regione per ricostruire questa storia straordinaria. Questo libro, dopo l’altro dedicato alle Giudecche di Calabria vuole essere uno stimolo alla riscoperta di che cosa oggi rimane della plurisecolare convivenza ebraica in Calabria».
– Lei teorizza anche che la Calabria ha svolto un ruolo fondamentale ed impensabile nella storia della diffusione del pensiero mistico ebraico. In che senso?
«Nel senso che tra i primi e meglio noti pensatori ebrei che percorsero in lungo e in largo il Sud della penisola e anche la Calabria dobbiamo segnalare innanzitutto Abraham Abulafia (1240-1292), la più grande figura della Cabala estatica o profetica del XIII secolo. Proclamandosi Messia e diffondendo il concetto di estasi come scioglimento dell’anima dai vincoli carnali e sensoriali e come successiva tensione verso la sfera della realtà metafisica, Abulafia intendeva la sua mistica come strumento per reinserire l’uomo nel flusso divino perché in fondo tutto quello che ci circonda è pervaso da questi segni della divinità. Altri pensatori ebraici giunsero dall’oriente, come Ben Shimuel di Acri, e dalla Catalogna, facendo della Calabria una felice terra di sintesi filosofica tra le varie correnti del pensiero e della mistica ebraica. Di incommensurabile spessore è, infatti, da considerare il contributo dei pensatori ebraici scacciati dalla Spagna e pervenuti in terra calabra, alla formazione di un pensiero mistico autoctono. Ad un certo punto la Calabria divenne esportatrice di un patrimonio di mistica e filosofia ebraica originalissima».
– E quale è stata la città calabrese che più ha assorbito questa filosofia?
«Credo che un notevole sviluppo di studi cabalistici riguardò soprattutto Reggio Calabria. Ne furono dotti esponenti David Vital e Hayim Vital (1543-1620), figlio quest’ultimo del più noto cabalista Joseph Vital Calabrese, così detto per l’origine della sua famiglia, scrittore di pergamene apprezzate e conosciute in tutto il mondo. Hayim è considerato il depositario della cabala lurianica, tradizione esoterica del misticismo ebraico che fa capo a Isaac Luria (1534-1572) di cui Vital fu il migliore allievo e l’interprete ufficiale e diffusore della sua dottrina (nell’opera L’albero della vita) in cui si sosteneva una concezione dinamica della creazione e della storia in tre tempi, attribuendo un ruolo attivo all’uomo nella lotta contro il male. Ma si ricorda pure Alonzo Nunez, marrano di origine spagnola poi di nuovo convertito all’ebraismo col nome di Abrahana Herrera da identificarsi forse col misterioso individuo, rabbino ed astrologo, istigatore di Campanella (affiliato alla Rosa-Croce) alla congiura antispagnola del 1599. Filosofo neoplatonico, mago e teologo, Nunez, rifugiatosi a Cosenza, fu uno dei maestri di Telesio».
– Quand’è invece che le Giudecche finiscono con il morire per sempre?
«La fine delle giudecche calabresi cominciò nel 1510 in seguito al primo decreto di espulsione voluto e firmato dai sovrani spagnoli Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. L’espulsione definitiva avvenne con la prammatica emanata da Carlo V nel 1539».
– E questo cosa comportò per la Calabria?
«Tutti gli studiosi sono concordi nel sottolineare i danni che si verificarono in Calabria dalla cacciata degli ebrei. La loro espulsione è considerata dagli storici come una delle ragioni della decadenza non solo economica, ma anche culturale della regione. Infatti, erano soprattutto ebrei i principali professionisti e gli uomini di cultura (banchieri, notai, speziali, librai, tipografi, medici, esegeti, filosofi, astronomi) che con la loro operosità e il loro dinamismo avevano contribuito tantissimo all’elevazione sociale, economica e culturale di tutto il regno di Napoli. Decaddero le fiere, ci fu un sensibile calo demografico e, soprattutto, la crisi dell’artigianato e della sericoltura. Per la Calabria e tutto il Meridione la perdita della componente ebraica ha significato lo sradicamento di una fetta importante della propria identità. Le giudecche, andati via gli ebrei, furono date in concessione ai cristiani e i loro beni furono venduti all’incanto. Le sinagoghe vennero in gran parte assorbite all’interno delle chiese cristiane. Manca però ancora una narrazione sulle risorse umane, culturali ed economiche che la Calabria e il Mezzogiorno persero per sempre con l’espulsione degli ebrei».
– Gli Ebrei sparirono nel nulla, non so se i può dire così, ma mi sembra di capire che nessuno se ne fosse mai accorto sul serio. È vero?
«Quello che mi sento di dirle è che la cacciata degli ebrei ha determinato un totale oblio sulla loro plurisecolare presenza nella nostra regione».
– Una brutta pagina di storia, non crede?
«La verità è che c’è stata una sorta di rimozione della storia di questa presenza per cui non abbiamo una documentazione adeguata ai contributi culturali ed economici che pure gli ebrei hanno offerto alle comunità calabresi come a tante altre dell’Italia meridionale. Attorno alla presenza degli ebrei, anche dove essa è stata più attiva, si è creta una sorta di concorde cortina di silenzio. La consegna non solo per gli uomini di chiesa, ma anche per intellettuali, artisti, cronisti, scrittori è stata quella di ignorare il problema della loro presenza. Dovevano essere senza storia, non dovevano lasciare tracce nelle memorie patrie. Di conseguenza si è venuta a creare una secolare rappresentazione degli ebrei come un’appendice casuale e silente della società calabrese. Perciò in tanti paesi della Calabria, allo stato attuale delle ricerche, la presenza ebraica trova testimonianza innanzitutto da quanto tramandato dalla memoria popolare».
– Oggi molte cose per fortuna sono cambiate non crede?
La Calabria è ormai giustamente inserita annualmente nella programmazione della giornata europea della cultura ebraica, promossa e coordinata dall’Ucei, che si è celebrata quest’anno il 15 settembre in circa trenta paesi europei e un centinaio di località italiane legate alla storia dell’ebraismo. In Calabria sono state ben 50 le località protagoniste di visite nelle giudecche, mostre, allestimenti, dibattiti a conferma di un interesse in crescita verso il mondo ebraico calabrese. E già questo è importante per riscoprire il passato». (pn)