FERROVIA JONICA, LA VERGOGNA DEL SUD
SERVE UNA RADICALE RIQUALIFICAZIONE

di ROBERTO DI MARIA – Della Strada Statale 106 abbiamo tutti sentito parlare, con particolare riferimento alle traversie relative alla sua riqualificazione: da vecchia e pericolosa “strada nazionale” a moderna strada di grande comunicazione che non decolla, come invece è successo per strade come la pedemontana veneta o la BreBeMi, prima realizzate e poi rivelatesi molto meno utili (ed utilizzate) del previsto.

Ma accanto a questa strada dalle mille vicissitudini corre un’infrastruttura altrettanto sfortunata e dimenticata: la ferrovia Jonica. 

Una linea ancora oggi a binario unico, per la maggior parte non elettrificata, nonostante attraversi tre regioni italiane e tocchi quattro capoluoghi.

Sulle sue prestazioni, bastano soltanto alcuni dati: l’orario Trenitalia prevede, ogni giorno, due sole possibilità di percorrere l’intera linea per tutti i 472 km che separano Reggio Calabria Centrale da Taranto. Si tratta di viaggi effettuati con treni “Intercity”: la percorrenza migliore è quella del 564 che impiega 6 ore e 35 minuti, con una velocità media di 71,7 km/h. 

L’altro Intercity, il 562, riesce a fare di peggio: impiega 7 ore e 13 minuti (velocità media 65,4 km/h).

In realtà, Trenitalia dà la possibilità, al viaggiatore, di guadagnare qualche minuto, attraverso improbabili quanto avventurosi percorsi che non interessano interamente la Jonica. 

Il sito Trenitalia.com prevede altre quattro possibilità, infatti, per andare da Reggio Calabria a Taranto; di queste, due prevedono l’instradamento lungo la linea tirrenica fino a Paola. La più veloce prevede ben tre cambi: a Paola per prendere un treno verso Cosenza, quindi un secondo cambio a Castiglione Cosentino in direzione Sibari e poi un terzo cambio in quest’ultima stazione per “recuperare” l’Intercity 562 sulla Jonica. 

Nonostante queste peripezie, il viaggio consente di risparmiare la bellezza di 35 minuti (su oltre sette ore…!) ma questo vantaggio costa caro: il biglietto si paga più del doppio rispetto a quello del viaggio senza cambi (46,80€ contro 21,90 €), probabilmente perché coinvolge un “Frecciarossa” tra Reggio C. e Paola.

Ma le stranezze non finiscono qui: altre due opzioni di viaggio, tra le sei possibili, prevedono l’utilizzo del… pullman. Si, proprio il mezzo su gomma, che mai ci aspetteremmo sulle pagine del gestore ferroviario. Tralasciando quella che propone addirittura il cambio a Battipaglia (raggiunta da Reggio C. con un Frecciargento) per procedere da qui a Taranto, il potenziale cliente può scegliere di effettuare tutto il viaggio su gomma: l’opzione è quella più veloce di tutte (“solo” 5 ore e 45 minuti) a fronte di un extra-costo di 10 €; ma si parte alle 23:00 e si arriva alle 4:00… Tornando ai due lentissimi Intercity giornalieri, occorre aggiungere che il materiale rotabile con cui vengono formati appare spesso nella composizione dei “treni storici”. 

Se i vagoni risalgono agli anni ’80, con le opportune “revampizzazioni” ovvero riqualificazioni funzionali che li rendono più consoni al comfort richiesto dai passeggeri degli anni Duemila, le locomotive non possono che essere delle vecchie D445, che risalgono agli anni ’70 (le prime entrarono in esercizio nel 1975). Si, perché da allora, in Italia, non si sono più prodotte locomotive diesel per la trazione dei convogli.

Per quanto concerne i collegamenti di tipo regionale, nella maggior parte del tracciato, quella calabrese, vengono utilizzate automotrici modello ALn663/668, realizzate anch’esse, manco a dirlo, negli anni Settanta del secolo scorso. Materiale rotabile inadatto, spesso decrepito e fonte di innumerevoli disservizi per guasti e sostituzioni. Ma le prestazioni che si registrano sulla Jonica, invero, non dipendono tanto dai convogli, quanto dalla vetustà della linea: si consideri che questa ferrovia si presenta per la maggior parte nelle condizioni in cui fu inaugurata nel lontano 1875.

Fanno eccezione il tratto Taranto-Sibari (circa 122,2 km), elettrificato, ed il Reggio Calabria C.le-Melito di Porto Salvo (km 29,8), che, oltre ad essere stato elettrificato è anche stato raddoppiato alla fine del secolo scorso. Per il resto, l’andamento della linea rimane pertanto pressoché immutato da circa 150 anni, con tutte le sue criticità, raggi di curvatura in testa. In queste condizioni, non c’è materiale rotabile che tenga: le velocità massime di tracciato sono spesso limitate a 70 km/h. Senza contare che il singolo binario obbliga i treni a sostare in stazione, di tanto in tanto, per far passare i convogli in direzione opposta (i cosiddetti “incroci”); se solo uno dei due treni è in ritardo, salta la tabella di marcia anche per l’altro treno.

Eppure la linea presenta potenzialità immense: il tratto Taranto-Sibari è importantissimo per il suo ruolo di collegamento est-ovest fra costa adriatica e costa tirrenica, in funzione merci: attraverso la Paola-Cosenza-Sibari la linea consente alle merci provenienti dal porto di Gioia Tauro di raggiungere il tarantino e da qui Bari, da dove vengono instradate sulla linea costiera adriatica. Con queste potenzialità, la sola elettrificazione rappresenta un semplice upgrade tecnologico, mentre si sarebbe dovuto prevedere, nell’immediato futuro, il suo raddoppio, per incrementarne la capacità.

La parte rimanente del tracciato, va ricordato, tocca due città, rispettivamente capoluoghi di provincia e di regione: Crotone e Catanzaro. Quest’ultima può essere annoverata, insieme a Matera, come la città italiana peggio servita dalle ferrovie. Non soltanto perché la jonica tocca soltanto il quartiere costiero di Catanzaro Lido, ma perché il centro cittadino è collegato ad essa attraverso una vecchia ferrovia a cremagliera.

Nonostante ciò, l’unico sforzo di riqualificazione attualmente in atto da parte di RFI, ente gestore dell’infrastruttura, consiste nella sola elettrificazione, limitatamente alla tratta Sibari-Catanzaro Lido di 172,5 km; nulla si sta facendo per i 147,7 km che separano Catanzaro Lido da Melito di Porto Salvo. I lavori, peraltro, sono in corso da oltre 4 anni ma si sono arenati su una serie di criticità che, per una linea vecchia oltre 150 anni, non sorprendono del tutto. 

La “grana” principale, che ha dell’incredibile, si è verificata dalle parti di Cutro: la galleria (2,722 km) che sottopassa la cittadina poco a sud di Crotone, nell’unico tratto di linea che si allontana dalla costa, andrebbe risagomata per ricavare lo spazio necessario all’installazione della linea aerea di alimentazione.  La galleria è già stata interessata da interventi di consolidamento nel 2017, ovvero un anno prima che si iniziasse a lavorare all’elettrificazione. Interventi che, a quanto pare, si sono rivelati insufficienti, anche perché, probabilmente, realizzati senza tenere conto del successivo, imminente intervento. Un capolavoro di programmazione, che riguarda, per di più, lavori complessi, da realizzare in spazi angusti ed in condizioni di sicurezza critiche: problematiche che hanno comportato un incremento dei costi preventivati, al punto da suggerire ai tecnici di RFI l’abbandono dell’attuale galleria, e la sua sostituzione con una nuova di zecca.  

Nel frattempo, però, tutto si è fermato, e la tanto attesa elettrificazione sarà completata chissà quando. Una situazione che dimostra quanto sarebbe preferibile, per RFI, procedere all’integrale accantonamento delle linee che, come la jonica, presentano opere d’arte talmente “anziane” (oltre un secolo e mezzo di onorata carriera…) che non vale più la pena lavorarci sopra, con inspiegabile accanimento terapeutico. 

Svincolandosi dal tracciato esistente, si potrebbe procedere ad una vera ricostruzione delle linee ferroviarie, ponendo la necessaria attenzione anche a tutti gli altri aspetti che ne incrementano le prestazioni, allineandole definitivamente agli standard del XXI secolo

Costerebbe molto, certo, ma i benefici sarebbero immensi, perché si doterebbero territori dalle altissime potenzialità di infrastrutture in grado di sollevarli, finalmente, dall’attuale condizione di isolamento. Altrove si è fatto, al Sud si ragiona sempre con la logica del “braccino corto”, madre di mille incompiute.

Ed il PNRR, cosa prevede per la ferrovia jonica? Poco o nula, inspiegabilmente: il completamento dell’elettrificazione da Catanzaro Lido a Melito di Porto Salvo, tratta destinata comunque a rimanere rigorosamente a binario unico, e qualche miglioramento nel sistema di controllo della marcia dei treni. 

L’orizzonte temporale è quello assegnato alle opere inserite nel Piano, ovvero il 2026; ma anche su questo, c’è da scommetterci, potrebbero maturare ritardi: per motivi analoghi a quelli verificatisi a Cutro ma anche per la cattiva gestione del PNRR stesso, che già dopo un anno di vita presenta non pochi sintomi di lentezza.

Con buona pace di chi assegna all’estremità meridionale d’Italia un ruolo prioritario, in chiave europea, nello sviluppo della portualità, strettamente legata ai collegamenti ferroviari. 

La  jonica, infatti, costituirebbe insieme alla tirrenica, una indispensabile infrastruttura costiera, di collegamento di tutti i porti calabresi, consentendo loro di guardare a prospettiva molto ambiziose: i porti di Corigliano Rossano, potenzialmente, della stessa Crotone e di altre località della fascia ionica calabrese potrebbero assumere un ruolo fondamentale per la movimentazione del traffico containers su scala internazionale. 

Quindi non soltanto occorrerebbe una radicale riqualificazione della linea, ma l’estensione dei raddoppi, almeno alle tratte che necessitano una capacità maggiore, insieme la realizzazione dei raccordi portuali ed all’adeguamento del binario e delle opere d’arte ai pesi assiali più alti ed alla maggiore lunghezza dei treni merci.

Le ricadute sul territorio sarebbero facilmente immaginabili, non soltanto in termini di benefici diretti, ma anche per la quantità non trascurabile di benefici indotti dalla presenza di una linea ferroviaria rapida ed adeguata alle esigenze del XXI secolo: si pensi al traffico pendolare nelle aree attigue ai grandi capoluoghi ma anche alla facilitata penetrazione turistica verso le aree più affascinanti della Magna Grecia. 

Una visione minimamente lungimirante disegnerebbe un futuro di questo tipo per la ferrovia jonica. Le sue attuali condizioni la dicono lunga sull’attenzione che la politica ha riservato a questo territorio bellissimo e sfortunato. (rdm)

La sottosegretaria Nesci: Il Pnrr al Sud sarà prova del nove

La sottosegretaria per il Sud, Dalila Nesci, ha spiegato che il «Pnrr può dare molte opportunità se però si riesce a comprendere che la ripresa ed il rilancio del nostro territorio dipendono da un lavoro in stretta collaborazione tra tutte le Istituzioni e le imprese».

«È una sfida – ha aggiunto – che dobbiamo saper cogliere: proprio ieri l’Italia ha raggiunto i 45 obiettivi previsti nel primo semestre del 2022 e ciò ci fa capire che non possiamo disperdere tutto il lavoro fatto fino ad oggi, ma anzi continuare a lavorare per attuare le riforme e rispettare gli impegni presi».

«Al Sud  – ha concluso –sarà una prova del nove perchè se uno degli obiettivi del Pnrr sarà quello di superare i divari che ancora sussistono nel nostro Paese servirà la messa a terra dei progetti nel Mezzogiorno per comprendere il successo del Pnrr». (rrm)

TORNA IL FEDERALISMO DIFFERENZIATO
UNA SCELTA CHE PENALIZZA TUTTO IL SUD

di DOMENICO MAZZA E GIOVANNI LENTINIC’era d’aspettarselo! Noi ce l’aspettavamo. Prima o poi sarebbe dovuto succedere. Non pensavamo potesse accadere adesso, in questo momento particolare. Dopo due anni di pandemia ed a tre mesi dall’inizio di una guerra rovinosa e dolorosa per gli ucraini, ma anche per tutti i popoli europei. Ne prendiamo atto e non faremo mancare le nostre parole di dissenso e di opposizione. 

Ci riferiamo al federalismo differenziato. L’agognato obiettivo perseguito e ricercato sin dalle prime manifestazioni elettorali dai Rappresentanti della Lega Nord. Ebbene oggi, questo, potrebbe realizzarsi grazie al Ministro agli affari regionali che, a seguito lo strappo consumatosi con il leader di Forza Italia, risponde in toto ai Governatori del Nord.

Un tentativo maldestro, l’ennesimo, per tentare di stravolgere la Costituzione. 

E questa volta, con il disegno di legge già pronto e preconfezionato dalle solite scrivanie venete, lombarde ed emiliane, alle quali si sono aggiunte le bramosie di Piemonte e Toscana.                               

L’articolato è un disegno di legge composto da cinque punti. Il primo definisce i principi generali, e dunque il riconoscimento di “particolari forme di autonomia ai sensi dell’art.116 e le modalità di intesa tra le Regioni e lo Stato”. Tuttavia è l’articolo quattro quello destinato a scardinare il principio fondante della Carta Costituzionale. Questo prevede che le risorse finanziarie necessarie all’esercizio da parte della Regione delle funzioni trasferite — “siano determinate nell’intesa dall’ammontare della spesa storica sostenuta dalle Amministrazioni statali della Regione interessata per l’erogazione dei servizi pubblici oggetto di devoluzione”— e, continua, con l’affermazione che le Regioni —“ricevendo esattamente la quota corrispondente alla spesa storica saranno incentivate ad efficientare l’esercizio delle funzioni trasferite al fine di trattenere le risorse risparmiate”. 

Quanto virgolettato è ciò che, da sempre, chiedono i Presidenti delle regioni Veneto ed Emilia Romagna. Non partecipare al processo perequativo dello Stato in nome di un’efficienza, tutta da dimostrare (a nostro parere indimostrabile), delle loro Regioni che, per anni, hanno ottenuto più risorse di quante avrebbero dovute riceverne. 

L’intesa prevede che le risorse necessarie a finanziare le funzioni trasferite siano tratte da tributi propri della Regione o da compartecipazione al gettito di tributi maturati nel territorio regionale. Condizione necessaria per il trasferimento delle funzioni richieste e delle risorse corrispondenti resta la definizione dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni), in 4 materie che saranno oggetto di richiesta: sanità, assistenza, istruzione e trasporto pubblico locale.

Viepiù, in un secondo momento, l’articolo 4 prevede, una volta definiti i Lep, anche il superamento della spesa storica attraverso la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard. 

A questo punto ci sia concessa un’osservazione. In tal modo si potrebbe creare una spaccatura ancora maggiore nel divario tra Nord e Sud, con arretramento ancor più marcato per quelle aree periferiche che rappresentano il sud nel sud. 

Siamo in presenza di un attacco alle corde più sensibili della nostra Costituzione. Con il rischio, sempre più concreto , di rompere la tenuta di una comunità solidale. Si stanno mettendo sul piatto da gioco disparità di trattamento tra persone, indebolimento dei diritti di cittadinanza e, forse un domani non troppo lontano, anche la differenziazione tra i salari.   

Per questo riteniamo che il Ministro per il sud, assieme a tutti i Presidenti delle Regioni meridionali e ad una Rappresentanza istituzionale regionale e nazionale dell’area che nel Mezzogiorno sconta il ritardo più atavico, l’Arco Jonico, si facessero interpreti e portavoce, con il Governo e con il Primo Ministro di quello che potrebbe rivelarsi un boomerang per le Regioni e per le popolazioni del Sud ed un ecatombe per l’area Jonica calabro-appulo-lucana. 

D’altronde accettare una soluzione come quella proposta dal Ministro agli affari regionali equivarrebbe a confermare il conclamato spaccamento in due del Paese. E verrebbero meno anche i dettami imposti da Bruxelles circa la coesione territoriale, atteso che, l’Europa ci chiede di concedere maggiori spettanze a chi è rimasto più indietro per consentire un sostanziale pareggio territoriale fra aree dello stesso Paese. 

Ed è grazie a questo principio che l’Italia risultò essere beneficiaria del più cospicuo pacchetto di fondi Next Generation UE. 

Se aggiungiamo che, a livello nazionale,  la distribuzione dei fondi PNRR sta disattendendo i parametri richiesti dall’Europa, i presupposti di questo federalismo differenziato potrebbero conferire il colpo di grazia alle Regioni meridionali. Il tutto con la certezza matematica che aree come quella jonica, devastate da una disoccupazione due volte superiore a quella dello stesso Mezzogiorno e tre volte rispetto quella dell’intero Paese, saranno destinate a desertificarsi. E l’esodo, già in atto da tempo, verso altri lidi, diventerà inarrestabile. 

Riteniamo, infine, che non possa essere accettata una così palese differenziazione tra cittadini dello stesso Stato. Con la consapevolezza che se si procederà verso tale disparità di trattamento si creerà un inedito sistema di “scala mobile” al contrario dove chi già sta meglio continuerà a vivere una vita agiata e chi sta peggio finirà alla fame. (dm e gl)

ADDIO AL «SUD CHE È ESISTITO FINO A IERI»
BENVENUTI NEL CUORE DEL MEDITERRANEO

di MARA CARFAGNA – Signor presidente della Repubblica, Signor presidente del Consiglio, Signor presidente della Camera, Autorità tutte, mentre in questi mesi preparavo questa iniziativa, mentre questa mattina aspettavo il vostro arrivo, pensavo che non c’è nulla di più bello per una donna del Sud, nata e cresciuta nell’Italia del Sud, che conosce l’orgoglio ma anche la fatica di essere meridionale, della possibilità di poter lavorare concretamente per la propria terra.

Di potersi impegnare per cambiare le cose e riuscire a ottenere risultati concreti.

È un privilegio enorme, ne sono consapevole e questo guida ogni giorno il mio lavoro.

Così come sono consapevole che la vostra presenza qui è una testimonianza di straordinaria attenzione per questo territorio, ma anche un’assunzione di responsabilità verso venti milioni di cittadini italiani, che troppo spesso negli ultimi tempi hanno avvertito la Repubblica e le sue istituzioni come lontane dalle loro vite, che si sono sentiti privati di diritti e opportunità che altrove sono riconosciuti a tutti.

Oggi siamo qui per dire che quella stagione è chiusa. Oggi si apre un’altra stagione.

Se siamo qui oggi, non è per l’ennesimo convegno “a tema” sul Sud, ma per marcare l’inizio di quella stagione che si è aperta nel 2021, grazie alle ingenti risorse provenienti dall’Unione Europea – e so bene di trovarmi in una condizione molto più favorevole rispetto a quella nella quale si sono trovati molti miei predecessori, che ringrazio per il testimone che mi hanno trasmesso.

Ma quella stagione si è aperta anche perché abbiamo fatto una precisa scelta di campo: affrontare i problemi e risolverli, anziché usarli per fare propaganda o polemica. E ci siamo ispirati a una visione meridionalista concreta, fattiva, operosa, orgogliosa, ben distante dal meridionalismo disfattista e rivendicativo che per troppi anni ha tenuto prigioniero il Sud e ha alimentato sfiducia e rassegnazione.

Insomma, tengo a sottolineare che c’è un “prima” e un “dopo” la data del 30 aprile 2021, quando il nostro Piano di Ripresa e Resilienza è stato presentato all’Europa.

Per la prima volta, il tema dei divari territoriali è stato posto non come rivendicazione di una parte del Paese contro l’altra, ma come “questione nazionale”, come urgenza nazionale. Una questione non meridionale, ma nazionale, da affrontare e risolvere per far ripartire l’intero Paese, scartando il modello della “locomotiva”, dove poche regioni trainano e tutte le altre vanno a rimorchio.

Come ci ha ricordato il Presidente Mattarella nel suo discorso alle Camere riunite, il giorno del suo giuramento – cito testualmente – dobbiamo costruire «un Paese che cresca in unità. In cui le disuguaglianze, territoriali e sociali, che attraversano le nostre comunità vengano meno».

Per la prima volta – lo ricordava il Presidente Draghi – abbiamo quantificato, messo in evidenza, vincolato al Sud all’interno del PNRR una quota percentuale di investimenti superiore rispetto alla popolazione residente e rispetto al PIL prodotto: il 40 per cento del totale delle risorse territorializzabili, circa 82 miliardi di euro.

Non sono numeri scritti sulla carta, ma sono in alcuni casi cantieri già aperti, come quelli sulla linea ferroviaria Napoli-Bari, o sulla Palermo-Messina-Catania, o l’importante intervento nel porto di Gioia Tauro. O cantieri che apriranno nelle prossime settimane e prossimi mesi, come i tanti investimenti infrastrutturali nelle Zone Economiche Speciali, oppure per aprire nuove scuole, asili nido, palestre, mense scolastiche, per cui abbiamo già ripartito i fondi.

Per la prima volta, abbiamo varato un grande piano di modernizzazione infrastrutturale per cancellare l’isolamento “fisico” che ha condannato e condanna tutt’oggi all’arretratezza interi territori del Mezzogiorno. Vogliamo portare ovunque modernità, vogliamo portare ovunque collegamenti sia fisici che digitali. Per questo investiamo nelle reti ferroviarie, nelle reti idriche, nelle connessioni logistiche, nella diffusione della banda ultralarga. Ancora, investiamo nella creazione di decine di ecosistemi dell’innovazione, luoghi di ricerca e contaminazione tra università e impresa. Sosteniamo l’internazionalizzazione e la competitività delle imprese meridionali.

Irrobustiamo la sanità del Sud, il suo sistema di istruzione, digitalizziamo la sua pubblica amministrazione.

Favoriamo la transizione ecologica ed energetica.

Finanziamo, grazie a un uso intelligente dei Fondi della Coesione – un uso addizionale e complementare, come ci viene richiesto dall’Europa – interventi che con i fondi europei non potevamo finanziare, come la viabilità stradale e gli aeroporti.

Un tema a cui tengo molto: per la prima volta cancelliamo l’odioso principio della “spesa storica” che ha alimentato, anno dopo anno, discriminazione e diseguaglianza. Un principio in base al quale, per esempio, un comune come Giugliano, con 120mila abitanti, ha le risorse per un solo asilo nido e un solo assistente sociale, mentre una città lombarda delle stesse dimensioni di Giugliano – per esempio, Monza – ha le risorse per 8 asili nido e 32 assistenti sociali.

Bene, grazie all’approvazione e al finanziamento in Legge di Bilancio del primo Livello Essenziale delle Prestazioni per gli asili nido e gli assistenti sociali – cui abbiamo aggiunto quello per il trasporto scolastico degli studenti con disabilità – da qui al 2027 Giugliano avrà le risorse per assumere gli stessi assistenti sociali e per aprire gli stessi asili nido di Monza. Solo quest’anno, il Comune godrà di circa 800mila euro in più per servire 105 bambini rispetto ai soli 20 dello scorso anno.

Questo varrà per Potenza, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Messina, Catania, varrà per Napoli. Lo dico al sindaco, che è qui presente: Napoli soltanto quest’anno avrà circa 4 milioni di euro in più per accompagnare al nido 500 bambini che fino all’anno scorso il posto nel nido non lo avrebbero trovato.

Credo che questo sia un cambiamento importante, che porterà giustizia e diritti a migliaia di bambini e alle loro famiglie, che consentirà a migliaia di donne del Mezzogiorno di cercare e trovare un lavoro, o di tenersi stretto quello che faticosamente sono riuscite a conquistare, affrontando con decisione anche la piaga della bassa occupazione femminile al Sud.

Ancora, per la prima volta abbiamo finalmente attivato e reso operative le Zone Economiche Speciali, delineando una precisa visione di sviluppo.

In mille convegni, il Sud è stato definito “piattaforma logistica nel Mediterraneo”. Noi quella piattaforma oggi la realizziamo grazie a importanti investimenti nei porti – 1,2 miliardi – e grazie alla riforma e all’infrastrutturazione delle Zone Economiche speciali, che sono il “cuore” della nostra scommessa di sviluppo. Luoghi dove sarà finalmente conveniente, più facile, più rapido investire grazie a una burocrazia ridotta e a una tassazione agevolata.

E qui lo dico ai tanti investitori presenti o collegati da remoto: approfondite le opportunità che si aprono nelle ZES. Per chi investirà in quelle aree ci sarà un unico numero di telefono da chiamare, quello dei Commissari straordinari che abbiamo già nominato; un’unica autorizzazione da richiedere al posto della miriade di pareri, concessioni, autorizzazioni, nulla osta necessari prima; un unico sportello digitale cui connettersi per risolvere ogni problema.

Potrei continuare a lungo, ma credo che questa elencazione sia già stata abbastanza lunga.

Potrei ricordare l’impulso che abbiamo dato alla Strategia Nazionale delle Aree interne, abbiamo sbloccato cantieri fermi dal 2017. Potrei ricordare anche l’impulso dato ai Contratti Istituzionali di Sviluppo, che finanziano e finanzieranno importanti investimenti strategici infrastrutturali in molte aree del Mezzogiorno. Potrei ricordare il sostegno alla capacità operativa degli Enti locali. Ma mi fermo, perché quello che conta è la scelta di fondo, il messaggio che mi auguro passi anche attraverso questa due-giorni.

Dimenticatevi il Sud che è esistito fino a ieri. Ne sta nascendo un altro, più giusto, più moderno, più efficiente, più “europeo”, più collegato, capace di offrire pari diritti e pari dignità ai suoi cittadini, ma anche di attrarre investimenti nazionali e internazionali.

I nuovi scenari determinati prima dalla pandemia, poi dalla guerra in Ucraina, la crisi energetica, la crisi dell’agroalimentare, la necessità e l’opportunità di reindustrializzare l’Europa, rendono il Mezzogiorno l’asset più importante su cui investire in questo momento.

È al Sud che le rinnovabili hanno maggiori margini di sviluppo e maggiore resa.

È al Sud che dovremo immaginare di collocare i nuovi rigassificatori per trasformare il gas naturale liquefatto che viene e verrà sempre di più dall’America e da altri Paesi del mondo.

È il Sud che dovrà essere messo nelle condizioni di attrarre nuovi investimenti industriali, in un’epoca in cui si ridurranno le catene globali del valore e dovremo riportare in Europa produzioni che in passato troppo entusiasticamente avevamo lasciato in Cina e in Asia.

È il Sud che deve rafforzare il suo ruolo di interlocutore privilegiato con i Paesi del Mediterraneo.

È il Sud a essere un hub energetico naturale per il gas in arrivo da Africa e Medio Oriente, non solo per l’Italia ma per l’intera Europa.

Queste sono sfide politiche, prima ancora che energetiche, industriali e commerciali, che possono assegnare al Sud un profilo strategico decisivo nei nuovi equilibri geopolitici mondiali.

Noi vogliamo attrezzare il Sud per vincere queste sfide, stiamo attrezzando il Sud per vincere queste sfide.

Questo è il nostro obiettivo, questo è il nostro impegno, che ovviamente richiederà nei prossimi anni continuità nell’azione di governo e anche una classe dirigente nazionale e locale all’altezza di questa sfida.

In questo nostro impegno, sarà di straordinario valore il Libro Bianco che tra poco sarà presentato dal dott. Valerio De Molli.

È una ricerca importante, molto approfondita e articolata, che non nasconde criticità e problemi, che conosciamo benissimo e per i quali siamo ogni giorno al lavoro. A mio avviso, sfata tre grandi luoghi comuni della cosiddetta “questione meridionale”.

Primo, il Sud Italia è – lo vedrete dai numeri – una realtà molto più vivace e competitiva di quello che si crede. Cito solo un esempio: nella classifica delle esportazioni hi tech, il Sud – in proporzione al totale delle esportazioni – è quarto nel Mediterraneo, appena dopo Israele. Qualcuno ha mai sentito parlare del Sud come esportatore di tecnologia, anziché di arretratezza? Questi sono gli aspetti da potenziare e da comunicare con efficacia. Secondo. A lungo si è discusso e si discute dell’assenza di una “politica industriale” per il Mezzogiorno. Forse non tutti si sono resi conto che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è un grande strumento di politica industriale e noi l’abbiamo utilizzato per disegnare la nostra visione di politica industriale per il Paese e, naturalmente, il Mezzogiorno. L’Italia e il suo Sud come polo della trasformazione e distribuzione dell’agroalimentare italiano, come hub logistico ed energetico del Mediterraneo, centro di innovazione tecnologica e scientifica, luogo attrattore di turismo e nuovi residenti. Ancora, l’Italia del Sud come ponte necessario tra l’Europa e il Continente più giovane e promettente, l’Africa.

Terzo. Per anni abbiamo sentito ripetere che il Sud era un problema da affrontare, “una domanda” a cui dare risposte. Ogni dato presentato nel Libro Bianco ci dice che questa impostazione va totalmente capovolta.

Il Sud può essere la risposta alle tante questioni che interrogano la politica e la società italiana. Il Sud può essere la soluzione al problema della bassa crescita italiana.

Il governo ha scelto, consapevolmente, questo indirizzo. E la presenza qui a Sorrento di tanti ministri, oltre che del presidente Draghi, conferma la larga condivisione per questa scelta. Questa è la nostra grande scommessa. Io sono certa che uniti, soltanto uniti, potremo vincerla.

Ringrazio ancora tutti voi per essere qui, per partecipare a questo evento. Benvenuti al Primo Forum Internazionale del Mediterraneo. Benvenuti a Sorrento. Benvenuti nel cuore del Mediterraneo. Benvenuti nel nuovo Sud che stiamo costruendo. (mc)

[Mara Carfagna è la ministra per il Sud e la Coesione territoriale]

Alta velocità e Ferrovie, la ministra Carfagna: La Sa-RC sarà completata entro il 2030

La Salerno-Reggio Calabria sarà completata entro il 2030. È quanto ha reso noto la ministra per il Sud, Mara Carfagna, nel corso del suo intervento nel programma Zapping di Rai Radio Uno, spiegando che ciò sarà possibile grazie agli «investimenti sia nel Pnrr sia nel Fondo
complementare».

La ministra, poi, ha spiegato che «abbiamo stanziato oltre 30 miliardi di euro per rendere il sud più vicino con il resto d’Italia e d’Europa», e che ci sono «700 milioni per il potenziamento e l’ammodernamento delle principali stazioni del mezzogiorno e dei collegamenti trasversali, tra la costa tirrenica e la costa adriatica» e la «massa di investimenti sulle ferrovie regionali».

«Abbiamo stanziato – ha spiegato – 6,3 miliardi non solo per le strade ma anche per le ferrovie e le reti idriche» e che «lo abbiamo fatto con
l’anticipazione del Fondo nazionale di sviluppo e coesione. Buona parte questi soldi serviranno per modernizzare alcune strade del nostro paese, opere che i territori aspettavano da tempo».

Carfagna, poi, ha spiegato il motivo per cui si utilizzeranno altri fondi per le strade e non quelli previsti dal Pnrr, in quanto l’Europa considera il trasporto su gomma inquinante.

«Cosa sarebbe l’Italia se la Calabria, la Campania e la Sicilia avessero lo stesso Pil, gli stessi tassi di crescita della Lombardia e del Veneto? Sarebbe un paese imbattibile sui mercati internazionali e il vantaggio sarebbe di tutti – ha proseguito –. Forse la conflittualità tra Nord e Sud, che tutti dobbiamo impegnarci a spegnere, è molto enfatizzata a livello mediatico».

«Sempre di più – ha aggiunto –  vedo rafforzarsi la consapevolezza che un sud in grado di correre e competere con il resto del paese è un vantaggio per tutto paese. Vedo questa consapevolezza rafforzarsi sempre di più».

Per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione, la ministra ha garantito che «entro primavera saremo in grado di coprire le posizioni mancanti nelle Pubbliche amministrazioni del Sud e che «dove dovessero presentarsi, ancora, delle carenze dei bisogni, delle necessità, siamo pronti a intervenire con qualunque strumento, perché non un euro vada sprecato».

«È la mia preoccupazione, infatti – ha spiegato – prima di consegnare il Pnrr a Bruxelles, con il ministro Renato Brunetta abbiamo pubblicato il primo bando per 2.800 tecnici, da inserire nelle amministrazioni del Mezzogiorno, per rafforzare la loro capacità di progettazione e attuazione degli
investimenti. Il bando ci ha consentito di selezionare quasi 800 profili».

Inoltre, oggi in Gazzetta Ufficiale dovrebbe essere pubblicato il decreto che «ripartisce il fondo – ha concluso la ministra – per la progettazione territoriale: 160 milioni per ingaggiare professionisti esteri e dotarsi di un parco progetti. Questi fondi serviranno per sostenere quasi 5.000 comuni». (rrm)

Il ministro Carfagna: Alla Calabria 13 milioni dal Pnrr per progettazione territoriale

Sono 13 milioni di euro la somma di cui è destinataria la Calabria per la progettazione territoriale. Lo ha reso noto il ministro per il Sud, Mara Carfagna, spiegando che è stato ripartito il Fondo, dotato di più 161.515.175 euro utili a rilanciare e accelerare la progettazione dei piccoli Comuni, delle Province e delle Città metropolitane delle regioni del Sud, Marche e Umbria, nonché dei centri delle aree interne.

«È uno dei principali strumenti che abbiamo studiato per sostenere lo sforzo di progettazione degli enti locali: una misura innovativa che aiuterà 4.845 amministrazioni a dotarsi di progetti per partecipare ai bandi e all’assegnazione delle risorse del PNRR e delle politiche di coesione nazionali ed europee» ha spiegato il ministro.

Alle sette Città metropolitane del Sud (Reggio Calabria, Napoli, Bari, Cagliari, Catania, Messina e Palermo) andrà un milione di euro ciascuna. Alle 38 Province del Sud più Marche e Umbria 500mila euro ciascuna. Ai 4.800 Comuni del Sud e delle aree interne con meno di 30mila abitanti cifre variabili in relazione alla popolazione. In totale, alle amministrazioni del Sud è attribuita una quota di 98.977 milioni e a quelle del Centro Nord di 62.537 milioni. Alla Calabria sono assegnati 13.292.898,09 euro.

«Con questo provvedimento – ha concluso Carfagna – rispondiamo a una delle domande ricorrenti nel dibattito sul Piano di Ripresa: come faranno le amministrazioni più fragili a partecipare ai bandi? Gli Enti locali da oggi hanno consistenti fondi a disposizione per rivolgersi a professionisti esterni e definire un parco progetti in ambito urbanistico o di innovazione sociale utile a salire sul treno dei bandi PNRR, dei Fondi strutturali europei o del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione». (rrm)

Saccomanno (Lega): Richieste del sindaco di Milano assurde, i fondi dirottati al Nord hanno ridotto Calabria in povertà assoluta

Il commissario regionale della LegaGiacomo Saccomanno, ha evidenziato come «leggere le richieste da parte di Sala e di altri politici del Nord su un presunto privilegio nella ripartizione dei fondi a favore del Meridione appare una eresia!».

«Da oltre 30 anni – ha spiegato – il Nord prevarica sul Mezzogiorno e ha sempre ricevuto somme maggiori. Non è comprensibile ed accettabile la richiesta avanzata che appare un ulteriore tentativo di depredare una parte della Nazione che si trova in difficoltà. D’altro canto, l’Europa ha chiesto, con l’erogazione dei fondi del Pnrr, di coprire l’attuale divario esistente e, quindi, la richiesta appare inaccettabile ed anacronistica!».

«È sufficiente leggere le molteplici sentenze della Corte Costituzionale – ha proseguito – oppure le relazioni della Corte dei Conti o della Banca d’Italia, per avere la certezza che il Sud ha ricevuto, sempre, importi minori. Basta guardare i fondi per i livelli essenziali, per la sanità, per l’istruzione, per gli asili e le infrastrutture: importi ridotti per il Sud rispetto a quelli riconosciuti per l’altra Italia. Dalle stime eseguite, il Mezzogiorno perde circa 170 milioni al giorno, in relazione ai 62,3 miliardi che ogni anno -dati del Sistema dei conti pubblici territoriali alla mano- viene sottratto al Sud e dirottato verso il Nord!».

«Parlo di circa 5,2 miliardi al mese di spesa pubblica allargata, non solo statale – ha detto ancora –. Questi sono dati certificati dalla Corte dei conti ed è stato ammesso anche dalla Commissione parlamentare di inchiesta. Potrei continuare e snocciolare tanti altri dati! Ma, preferisco fermarmi qui e ribadire che senza la crescita del Sud l’Italia non potrà mai allinearsi e crescere unitariamente».

«E allora, chi vuole bene alla nostra Nazione – ha concluso – deve collaborare affinché vengano superate le differenze esistenti e, quindi, tutti assieme contribuire per la crescita del Sud che vuol dire sviluppo dell’Italia e, quindi del Nord. Ragionare diversamente vuol dire far solo del male agli italiani e allo stesso Nord». (rcz)  

NORD E SUD, DIVARIO ANCHE NEGLI ATENEI
E CONTINUA LA MIGRAZIONE DEI CERVELLI

di FRANCESCA CUFONE –Il divario tra Nord e Sud, negli ultimi anni, si è sempre più allargato e il gap è molto marcato per la spesa relativa a formazione e ricerca e sviluppo e cultura. Grave il ritardo, anche, nei servizi per linfanzia. 

E a ricordarcelo sono sempre i dati Svimez: la spesa in istruzione in Italia si riduce con una flessione del 15% a livello nazionale, di cui il 19% nel Mezzogiorno e il 13% nel Centro-Nord. Le differenze Nord/Sud riguardano soprattutto lofferta di scuole per linfanzia e la formazione universitaria. Nel Mezzogiorno solo poco più di 3 diplomati e 4 laureati su 10 sono occupati da uno a tre anni dopo aver conseguito il titolo. Prosegue labbandono scolastico sempre crescente e lemergenza sanitaria non ha affatto giovato la situazione pregressa. In questo sarebbe utile mantenere la didattica a distanza nelle università al fine di garantire egual diritto allo studio.

La pandemia ha anticipato lera della digitalizzazione e dovremmo evitare affermazioni del tipo ritorniamo alla normalità”, bensì creiamo una nuova normalità”. In questo può venirci in soccorso la Ricerca scientifica in quanto una delle sfide più urgenti che si presenta alla società odierna riguarda la necessità di verificare e rivedere in profondità i processi formativi che vengono offerti alle nuove generazioni. In un mondo che non può fondarsi soltanto sui mercati e sulla tecnica, il patrimonio culturale e di risorse umane fornito dall’università gioca un ruolo decisivo.

Si tratta, dunque, di riattivare una riflessione alta intorno al senso al futuro delluniversità, riproponendo le domande di fondo circa il suo ruolo nella società e la sua vocazione allapertura lincontro superamento delle barriere. È diventata, ormai, prassi diffusa quella di articolare i compiti delluniversità secondo la formula della triplice missione, con unespressione che agli obiettivi tradizionali della formazione della ricerca affianca quello della diffusione della conoscenza nellinterazione con il territorio.

Purtroppo abbiamo un primato negativo: siamo il Paese in Europa che investe meno nelluniversità, dunque nella Ricerca e la continua migrazione dal Sud verso il Nord, ma anche i meccanismi di riparto del Ffo (fondo finanziamento ordinario), aumentano il divario tra le regioni italiane. A ciò si aggiunge unaltra beffa: il Recovery Plan prevede investimenti in ricerca dal 2021 a 2026 × 12.000.000.000, oltre il 3,6 miliardi per la formazione universitaria, di cui almeno il 40% doveva essere destinato al mezzogiorno. A distanza di un anno la quota si è ridotta al 29%, precisando che il 40% su 545 milioni vale 218 milioni, cioè meno del 30% riservato ai giovani. Questi ultimi emigrano soprattutto perché cercano sbocchi occupazionali.

Scappano ancora anche troppi ricercatori e quelli che vorrebbero rientrare spesso hanno difficoltà a trovare occasioni di lavoro interessanti.

Gli sgravi fiscali previsti per coloro che rientrano in Italia sta avendo effetto. La creazione di grandi infrastrutture di ricerca sicuramente ne attrarrebbe altri. I giovani ricercatori dallestero vorrebbero entrare in Italia e molti ritornare proprio al sud. Ma chiedono procedure più snelle e programmazione regolare di bandi e progetti. In altre parole, vogliono sapere quale opportunità potranno cogliere anche in futuro, non si accontentano chiaramente di progetti saltuari, in quanto la legge 240/2010 Gelmini fissa anche un limite ai contratti ‘precari’, vale a dire un singolo ricercatore non può accumulare più di 12 anni tra contratti da assegnista e ricercatori a tempo determinato  (RTDa, RTDb), superata questa soglia senza riuscir ottenere un ingresso in ruolo.

Sono temi difficili da un punto di vista tecnico che devono essere discussi allinterno delle università, ma non riguardano soltanto gli specialisti: tutti i cittadini e quindi gli atenei devono svolgere un ruolo di ‘traduzione’ di queste questioni a beneficio di tutti e far capire che in un Paese democratico si devono affrontare anche queste emergenze. A maggior ragione laddove sono state più penalizzate. Lautonomia differenziata ha accentuato il divario in termini di diritti, marcando una sostanziale differenza nelle opportunità di crescita e sviluppo dellindividuo e conseguente divario a livello nazionale ed europeo.

In un dibattito sul regionalismo differenziato il rettore dell’Università di Catania, Francesco Priolo, ha ribadito «come le politiche universitarie degli ultimi dieci anni abbiano penalizzato le università del Mezzogiorno con un vero e proprio trasferimento di risorse dal Sud al Nord che ricadute non soltanto per i nostri atenei, ma soprattutto per i nostri territori. Il trasferimento strutturale dei nostri giovani al Nord trasformerà il tessuto e la formazione socio-culturale del Meridione nel giro di un decennio».

E sulle ‘migrazioni’ dal Sud al Nord, il prof. Viesti ha precisato che «il fenomeno migratorio degli studenti del Sud al Nord è quantificabile in 3 miliardi annui tra tasse universitarie, vitto e alloggio che arricchiscono ulteriormente quei territori, e al tempo stesso provoca un ulteriore depauperamento del Sud in termini di sviluppo, crescita e ricchezza e anche un aumento di quella biforcazione socio-economica tra le diverse regioni».

Ecco perché come Italia del Meridione sosteniamo l’alzata di scudi da parte dei rettori delle università meridionali, che si trovano nuovamente a dover ‘correggere’ gli errori, per ben tre volte in dieci giorni, dello stesso Ministero nel presentare i bandi del Pnrr sulla Ricerca. Anch’essi riferiti al NextGenerationEU che ha l’obiettivo di ridurre i divari tra le due parti del Paese. Misure e criteri che continuano, invece, ad essere disattesi e su cui la politica e i suoi rappresentanti meridionali devono vigilare, pretendendo la regolarità e la certezza della distribuzione dei fondi così come la Comunità Europa ha dettato.

La responsabilità di ciò che avverrà da oggi in poi è maggiore rispetto al passato, proprio perché è un’occasione unica che il sud non può farsi strappare. Non si tratta di un problema che investe soltanto luniversità ma la città, il territorio, è espressione della crescita delle regioni che rappresenta, perché riguarda temi importanti come listruzione, la ricerca, le infrastrutture, lambiente e che puntano sulla valorizzazione delle proprie risorse umane. Investire su queste, sulla ricerca e sulla cultura, significa scrivere un destino diverso per le future generazioni e per quel ‘Meridione fuori questione’. (fcu)

 

L’OPINIONE / Orlandino Greco: Tanti parlano per il Sud, ma pochi agiscono per il Sud

di ORLANDINO GRECO – Sono molti che discutono di Mezzogiorno d’Italia, di divari socio-economici e di arretratezza tecnologica, tanto da scomodare grandi uomini come De Gasperi, Saraceno o Salvemini nel tentativo di sperimentare nuovi modelli d’intervento straordinario a risoluzione di quella che ancora per molti è la ‘questione meridionale’.

Differenze e distanze, diversità e disparità, mancanze e incompetenze, sono tangibili e certificate da qualsiasi indicatore e dato statistico. Sono cambiate le parole, forse si inizia a considerare il Sud come parte integrante del sistema Paese, molti cominciamo a capire che il Sud può essere la soluzione di una “questione” nazionale. E sì, si intravedono spiragli nelle prospettive e visioni future ma tuttora nessuna azione certa, programmazione o agenda di governo che definisca linee guida immediate e soprattutto risolutive.

In questo quadro desolante solo la voce di ’Italia del Meridione’, che da sempre ha rappresentato il Sud, è stata presente delle piazze del meridione senza farne slogan ma diventandone baluardo missione e visione. IdM s’inserisce non in un campo ideologico ascrivibile al centrodestra o al centrosinistra, bensì in quel campo di idee che sintetizzano e valorizzano le diversità culturali, in un’ottica meridionalista.

‘Meridione fuori questione’ non è soltanto un’inversione di termini ma di prospettive, non si parla e si scrive sul Meridione ma si agisce per il Meridione. Ed ecco che anche il paradosso di Zenone ha una sua risoluzione, matematicamente provata, dove: la somma degli infiniti spazi (le vocazioni, le singolarità) colma la distanza (reale o presunta), un divario (voluto e calcolato), tra Sud e Nord superabile attraverso l’esplicazione delle proprie forze e proporzionale alle proprie peculiarità.
Fuori dai proclami e dagli slogan, si deve ritornare alla politica del fare, costruire, agire!. (og)

L’OPINIONE / Rodolfo Bava: Attingere ai fondi del Pnrr per migliorare l’aspetto delle nostre città

di RODOLFO BAVA – Molte volte, sia gli impegni che i buoni propositi governativi, nei confronti del Meridione d’Italia, sono finiti nel nulla. Però, oggi giorno, la Ministra per il Sud, Mara Carfagna, sostiene che «ci sono tutte le condizioni per sfruttare al meglio le risorse disponibili del Pnrr». Le riforme e gli investimenti del Pnrr sono cruciali per potere colmare il divario tra Nord e Sud.

A tale proposito la Ministra ricorda quanto segue: «Abbiamo pubblicato con il ministro Renato Brunetta un avviso pubblico per la ricerca di ben 2800 tecnici ed esperti proprio per irrobustire le pubbliche amministrazioni del Mezzogiorno d’Italia».

Pertanto, tali esperti andranno ad insediarsi nei Comuni, nelle Province e nelle Città Metropolitane, al fine di redigere i progetti per potere accedere ai fondi del Pnrr. È necessario spendere bene i fondi, provvedendo con celerità. Infatti, il Ministro alla Cultura Dario Franceschini ha affermato: «È una sfida del Paese, ma anche il Mezzogiorno è chiamato a fare la sua parte».

Ecco perché gli Amministratori dei vari Comuni del Sud hanno l’obbligo morale di richiedere e di potere disporre di un tecnico esperto per il percorso del Pnrr. Vastissimo è il campo degli interventi: dal recupero del patrimonio storico alla riqualificazione degli spazi pubblici (ad esempio: migliorando l’arredo urbano); dalla creazione e promozione di nuovi itinerari  (itinerari tematici e percorsi storici) alle visite guidate; dai sostegni finalizzati per le attività culturali, creative, turistiche, commerciali, agroalimentari e artigianali alla valorizzazione di tali prodotti;  dalla rigenerazione di parchi e giardini storici alla rigenerazione urbana con la formazione di personale  che possa curarli  e preservarli nel tempo; dalla realizzazione di nuovi impianti di gestione rifiuti all’ammodernamento  degli impianti esistenti.

È possibile, inoltre, eseguire lavori per la messa in sicurezza del territorio, attraverso l’adeguamento degli edifici, la pulizia dei corsi di acqua, l’efficienza energetica ed i sistemi di illuminazione pubblica. Ci si potrà occupare della tutela e valorizzazione del verde urbano ed extra urbano.

Si potrà procedere con la manutenzione di aree pubbliche e strutture edilizie esistenti a fine di pubblico interesse, compresa la demolizione di opere abusive. Da non trascurare il miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale, anche attraverso la ristrutturazione edilizia di edifici pubblici, al fine di potere sviluppare i servizi sociali, culturali, educativi e didattici.

È possibile, pertanto, cambiare in meglio il volto delle nostre città attingendo alla “manna”, piovutaci dal cielo. Ossia: il Pnrr. Il campo d’intervento è vastissimo ed è possibile creare nuovi posti di lavoro. Spetta, ora, ai Sindaci assicurarsi un esperto, al quale suggerire gli interventi da effettuare. Crotone ed i Comuni della nostra Calabria attendono vari “miracoli”. (rb)