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Saverio Strati

Un ricordo di Saverio Strati: avrebbe compiuto oggi 98 anni

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Il 16 agosto 1924. A Sant’Agata del Bianco nasce Saverio Strati. Il poeta muratore, lo scrittore contadino. Il maestro grato di Tibi e di Tascia, il calabrese che insegnò alla letteratura italiana come accendere una teda. Oggi avrebbe compiuto esattamente 98 anni, Saverio Strati. 98 all’anagrafe, per la vita tanti di più, se si considerano gli anni con cui la Calabria attribuisce a ognuno dei suoi una certa somma algebrica inclusiva degli anni di resistenza del paese a cui si appartiene e quelli infinitesimali de “I cari parenti” da cui si discende. 

Una vita capiente, abbondante di esperienze, viaggi, turni, mani in pasta e mani vuote, piccolo e grande Sud, e più vite con sogni di tornanza, nostalgie, miti, racconti e leggende, fiabe calabresi e lucane, in cui di Strati s’alzano il collo e la testa che su di esso si regge, del paese a lui caro, dei volti della madre e del padre, quello di Cicca e di Carmela, del Mezzogiorno in cui gli è capitato di nascere, il solo volo geografico a cui si è sempre sentito di appartenere. 

Sant’Agata del Bianco, piccolo borgo di pietra ai piedi dell’Aspromonte. Il niente e il tutto. La casa e la piazza, i muratori e i contadini, le adolescenze, gli infanti, le madri di paese, l’acqua nel bombolotto, i giochi alle nocciole. Il centro del mondo per Strati, lo spazio sacro, il posto originale in cui mai si contrae il desiderio d’esservi dentro, appartenervi col sangue e la carne, il sesso e l’anima. Il paese. La culla con precisi caratteri di geografia, il sepolcro con definiti elementi di storia. 

Il mio centro del mondo, come Recanati era il centro del mondo per Leopardi. Ogni cosa che io riesco a immaginare, in ogni cosa che io devo scrivere e ambientare, c’è quel pezzo di terra e quel pezzo di mare che mi stanno sempre davanti, che sono sempre dentro di me. Poi magari si può allargare e diventare Firenze, Milano, Zurigo, Francoforte, il mondo, ma il centro vero, il punto focale e vitale, la matrice è lì. Il vero unico personaggio che vive una sua vita autonoma, che si muove con padronanza è proprio quel pezzo di terra. Un buco di pochi chilometri quadrati della Calabria più povera, un pezzetto sperduto dell’estremo Sud d’Italia, un paesino al confine dell’Europa Mediterranea. tanto che io potrei esclamare: Sempre caro mi fu quest’eremo colle, ecc., ecc. …

Scrittore selvaggio e lazzarone, Saverio Strati, anticonformista, con una lingua diversa dalla lingua dei letterati. Mai copia conforme, solo stesura in originale. Poco avvezzo ai riflettori, voce pregnante priva di sconti, con verità sincere assicurate alla compostezza umana, e per questo sempre poco gradite alla menzogna. Agli artefici altrui. Degli stessi letterati, dubbiosi e altresì teatrali difronte alla coralità della vita.  

A molti la mia scrittura dà parecchio fastidio. Tanto meglio per me e tanto peggio per loro. Quando mi danno del selvaggio e del lazzarone non lo riferiscono alla mia persona, ma al mondo che esprimo. Essere lo scrittore dei lazzaroni e dei selvaggi mi fa piacere, perchè vuol dire che ho centrato un mondo-problema, un mondo-idea. I miei personaggi sono personaggi-problemi. Non sono personaggi con la carta di identità in tasca, con un reddito annuo, con relazioni col mondo degli affari o col mondo delle cortigiane. Sono creature che si affacciano alla storia e che capiscono che anche loro ne possono fare la loro parte, da protagonisti e non più da servi. A chi non intende questo, i miei libri non piacciono. Non interessano infatti alla piccola borghesia che si nutre di storielle di coppie che si cornificano fra di loro.

Uomo di paese e uomo in viaggio. Scrittore periferico e non di periferia. Strati doppia il senso dell’umano, si esprime nella vita e nella scrittura. Per coscienza e credo si dissocia dalla “periferia” quale incapacità dell’individuo di riuscire a trovare il nocciolo del proprio essere. Gli uomini fanno parte dell’essere universale, dice Saverio Strati, ed è esattamente quando trovano il nocciolo del proprio essere, che si riscoprono dentro l’universale: Viviamo su un pianeta che ha la forma di una sfera e la sfera non ha periferie. Ogni punto della sfera si trova alla stessa distanza dal centro. […] Noi calabresi non siamo scrittori periferici. Siamo scrittori nati in Calabria, ma nella nostra opera c’è qualcosa che fa parte del mondo degli uomini. I nostri libri, le nostre storie non sono affatto espressione di un mondo periferico.

Nell’opera di Strati c’è il mondo e basta. Con i suoi carichi di pregi e difetti, i limiti della bruttezza e le massime bellezze. E poi vi sono gli uomini e il loro disagio, le donne e la loro sacra maternità. V’è il linguaggio assoluto dell’universale.

Saverio Strati entra di petto nella letteratura italiana. E ne viene completamente assorbito come se le lettere fossero da tempo in attesa di uno scrittore così assoluto e per completare il ‘900 culturale italiano. I suoi libri vengono tradotti nel mondo, premiati ovunque. Dal Campiello al Veillon, dal premio Napoli al premio Sila. E nonostante le sue “discusse” origini calabresi. Un’appartenenza che l’Italia fa pesare a suo carico quasi fosse una colpa, ma di cui egli non si sposta, anzi la presenta come prima radice e massimo orgoglio. 

Essere calabrese, per Strati, non è limite ma vantaggio. “Calabrese” non è per lo scrittore un puerile aggettivo e basta. C’è davvero tanto di più in questa parola che ovunque lo identifica. Lo bolla, lo marchia (uomo e intellettuale di qualità). Alcune volte con un dito puntato contro, altre con tutta la mano. Calabrese è una dimensione umana regionale che lo stesso scrittore ama. Sente sua.

Io sono contento ogni volta che di me scrivono “il calabrese” o quando addirittura mi dal del calabrese. Sono orgoglioso di essere calabrese davanti a chiunque, perchè ho la piena coscienza di aver compiuto qualcosa… Una delle prime volte che capitai a Milano nella sede della Mondadori, negli anni ’50, un dirigente settentrionale che ra stato in vacanza in Calabria mi disse: “Voi calabresi siete dei veri uomini: dei saggi, la vostra parola conta di più di un atto notarile”. Io rimasi fuor di me dalla gioia a sentir dare questo giudizio così positivo della nostra gente, di noi tutti.

La Calabria diventa per Strati il tutto di Tutta una vita (questo il titolo dell’opera pubblicata postuma). E senza farle sconti, senza cercare alibi, ma bensì proponendosi come obiettivo quella sacrosanta verità che le appartiene, l’unica in grado di portare a un possibile rimedio a quelli che sono gli effetti critici che a tutt’oggi impediscono a questa regione, nonostante la bellezza di cui dispone, di sbarcare il lunario.

Aveva ancora solo 60 anni Strati, quando si trovò a dover discutere della Calabria, terra ricca di bellezza, povera di lavoro. E le sue osservazioni sembrano essere un vero manifesto politico, a tutt’oggi urgentemente da considerare: Non siamo stati capaci, credo questo sia il nostro limite, di creare lavoro. Non siamo dei creatori di lavoro. Siamo rimasti dei contemplativi. Nel passato questo era un pregio, oggi veramente è un difetto che definirei drammatico. […] Bisogna imparare a usare la mente insieme alle mani. Avere capacità di iniziativa privata. Se non siamo capaci di avere questa iniziativa imprenditoriale, se non saremo capaci di creare lavoro, è inutile sperare che venga lo Stato a crearcelo. […] Il lavoro dobbiamo crearlo noi. Qualsiasi tipo di lavoro onesto.  Può essere quello agricolo o quello turistico. Quello turistico potrebbe essere attivo in tutte le stagioni, quaggiù.  […] E’ sul turismo che bisogna puntare: fare un turismo intelligente e competitivo: ché se qui mi fanno pagare 100 mila lire per una camera e pensione e a Cattolica o a Viareggio ne pago 70 mila, bé in questo caso me ne vado a Cattolica o in Versilia dove sono tanti più attrezzati, dove ci sono più divertimenti. E da oggi, c’è da aggiungere, vi sono anche i Bronzi di Riace.

Saverio Strati, la Calabria, non la scrisse soltanto, la visse soffrendola. Con attaccamento spasmodico. Giorno dopo giorno. Su Ponte Vecchio guardava L’Arno, pensava allo Jonio e piangeva. Il suo è uno sguardo sincero che esce dai libri, e si pone al centro della vita dei paesi e degli uomini che in essi abitano e ivi vivono la loro storia. Oltre la metafora, si sofferma sulla realtà. La Calabria come fenomeno non solo geografico, geologico, ma come fenomeno storico. […] Una realtà sociale e storica a cui guardare realisticamente.

Ri-leggere Strati, a 98 anni dalla sua nascita, oltre il piacere della lettura porta con sé la necessità del sapere. Come leggere uno scrittore nato oggi. 

Attualizzare la letteratura è un compito a cui siamo tutti chiamati. Un processo necessario per non restare indietro. In Calabria ancor di più rispetto al resto del mondo.  (gsc)