;
Vincenzo D'Atri

Addio a VIncenzo D’Atri maestro di giornalismo in Calabria

di SERGIO DRAGONE – Un altro pezzo della storia del giornalismo calabrese vola via. Vincenzino D’Atri è stato un professionista serio e onesto, un galantuomo d’altri tempi, incapace di gelosie o slealtà in un mondo dominato dall’ego. Veniva dalla carta stampata prima di approdare in RAI. Forse per questo negli anni Settanta, quando facevo praticantato a Cosenza nella redazione del Giornale di Calabria, mi aveva “adottato” assieme a quel mostro sacro del giornalismo che è Emanuele Giacoia. Mi hanno aiutato molto a superare le difficoltà di ambientazione in una città per me nuova. Avevo poco più di vent’anni e bisogno di punti di riferimento. Vincenzino ed Emanuele riuscirono perfino a farmi avere, di straforo, il tesserino per accedere alla mensa aziendale della RAI, la mitica trattoria “Da Giocondo” in via Montesanto. “Tu non guadagni molto, questo ti aiuterà un poco”, mi dicevano i due Maestri.

Chi farebbe oggi qualcosa del genere per un giovane praticante un po’ spiantato? Questo a dimostrare la straordinaria umanità di Vincenzino, la sua bontà d’animo e la sua non comune sensibilità. Negli anni, anzi nei decenni, questo affetto e questa stima non sono mai venuti meno.

Vincenzino è approdato in RAI nella fase pionieristica e più difficile. Le tecnologie dell’epoca non sono minimamente paragonabili a quelle odierne e ciò rende l’idea degli sforzi sovrumani dei primi “pionieri” (ricordo tra quelli che ho conosciuto personalmente, Gegè Greco, il già citato Emanuele Giacoia, Enzo Arcuri, Franco Falvo).

D’Atri non aveva incontrato difficoltà nel passare dalla carta stampata al microfono. La sua stella di riferimento era sempre e comunque la notizia, un fatto da raccontare nel migliore dei modi, sulla base di elementi certi e fondati. Non amava gli scoop o le notizie non verificate rigorosamente.

Si era perfettamente calato nel ruolo di conduttore dei primi telegiornali regionali quando nacque la Terza Rete e già questo lo colloca stabilmente nella storia del giornalismo televisivo della Calabria.

Ma Vincenzino era anche un uomo passionale. Il suo “unico grande amore”, ovviamente dopo la sua adorata famiglia, era il Cosenza, la squadra che gli faceva battere il cuore e per la quale aveva dato tutto, perfino personali contributi in denaro nei momenti di maggiore difficoltà.

Vincenzino “era il Cosenza” e credo che la società rossoblù e il Comune debbano trovare il modo di ricordarlo perennemente alle future generazioni.

Alla figlia Gabriella, che ne ha raccolto il testimone in RAI, dico – sapendo di dire una cosa scontata e banale – di conservare sempre nel cuore il ricordo e l’esempio di questo padre speciale. A me resta il ricordo dolce di un giornalista già affermato che prese per mano un giovane praticante un po’ spaesato e con pochi spiccioli in tasca. Ciao Vincenzino! (sdr)