IL RISCHIO È CHE IL CONTRIBUTO DEL TERRITORIO SIA NULLO, COSÌ COME I TAVOLI DI REGGIO E MESSINA;
Manodopera per il Ponte

IL PONTE SIA “OPERA TERRITORIALE” E NON
DI INTERESSI DI PRIVATI AI DANNI DEL SUD

di GIOVANNI MOLLICA e ALBERTO PORCELLI – Nelle ultime settimane, i media nazionali hanno evidenziato che alcune società considerate probabili partner di Eurolink per i lavori del Ponte sullo Stretto hanno visto crescere il loro valore. Ne siamo lieti: vuol dire che il mercato crede nell’effettiva realizzazione del sogno di tanti calabresi e siciliani.

Il compiacimento è però appannato dal ricordo di quanto pubblicato nell’ottobre scorso, quando OpenEconomics – azienda specializzata nell’analisi delle politiche d’investimento – pubblicò i risultati dell’indagine relativa al Ponte sullo Stretto.

I 12,3 miliardi di spesa complessiva si trasformeranno in 19,7 mld di Pil, ma i loro effetti saranno molto diversi nelle varie regioni italiane. La Lombardia ne intercetterà 5,6 (28,43%, con 9.337 occupati su 33 mila) e il Lazio 3,7 (18,78% con 6.628 occupati). A Sicilia e Calabria toccheranno 2,1 e 1,9 mld (10,66 e 9,64%), per un totale di circa 6.000 posti di lavoro. In sintesi, sostiene l’azienda romana, oltre il 79,7% dei benefici atterrerà al di fuori dalle due regioni che subiranno il trauma dei lavori. Che sono anche le più povere d’Italia e tra le più arretrate dell’Ue.

Né crediamo che basti appellarsi al “libero mercato” per giustificare quella che appare una grave carenza  di visione politica, sanabile solo mediante interventi perfettamente compatibili con il riformismo di matrice liberale, che Tocqueville, nel 1840 (!!!), chiamava  “scelte pubbliche in campo economico”.

In altre parole, ci farebbe piacere vedere la Politica nazionale e locale sostenere lo sforzo della Società concessionaria di dare al Ponte la qualifica di “opera territoriale”. Cioè quella funzione di stimolo che avvia lo sviluppo sostenibile dell’area interessata ai lavori e fa sì che la crescita non sia solo economica, ma anche sociale e culturale. Condizione fondamentale per la concessione dei contributi europei.

Ed è proprio a tale proposito che apprendiamo con preoccupazione come proceda a grandi passi quanto abbiamo sempre temuto, cioè che – constatata l’inerzia della politica e le esitazioni del sistema imprenditoriale locale – il Contraente generale si organizzi nel proprio esclusivo interesse.

Come sta accadendo.

Non c’è altro modo, infatti, di interpretare le notizie sulla prossima creazione dei campi base, cioè delle “cittadelle” che, in Sicilia e Calabria, ospiteranno le centinaia di lavoratori approdati sulle rive dello Stretto per lavorare nei cantieri del Ponte.
E’ ovvio che, se la manodopera fosse locale, non ci sarebbe bisogno di un’organizzazione logistica destinata a chi viene da altre regioni d’Italia, se non dalla Romania e dal Bangladesh. Un luogo ove passerà anche gran parte delle sue giornate fuori dall’orario di lavoro. Trovando tutto ciò che è indispensabile a una quotidianità di fatica e di sacrifici. Una dotazione logistica ampiamente collaudata nei cantieri di tutto il mondo che assicura alloggio, vitto, servizi igienici e sanitari e perfino il tempo da dedicare allo svago. Rendendo quantomeno improbabile spendere soldi fuori dal perimetro dei cantieri.

Come diceva Agatha Christie, «un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, tre indizi fanno una prova”. La prova che il Contraente generale non sembra affatto interessato a collaborare col territorio.
“Ringraziate il cielo che vi stiamo facendo il Ponte” è una delle frasi più sentite a nord della Linea Gustav.

Che fine faranno le speranze dei Tavoli Ponte di Reggio e di Messina?
Si concretizzeranno le timide e incerte proposte di collaborazione degli Ordini professionali, le intenzioni (ancora non materializzate) di costituire consorzi e associazioni di imprese per fornire servizi confortevoli e adeguati alle maestranze, i corsi di Formazione per i lavoratori locali, le Scuole di Alta specializzazione, i tour di visita ai cantieri dell’Ottava Meraviglia del Mondo e le cento altre cose a corredo di un’opera fuori scala rispetto al territorio in cui sorge?

Cosa ne pensano le associazioni datoriali, i sindacati dei lavoratori, gli Ordini professionali e le associazioni di categoria?
Inoltre, chi avvierà un’indagine per verificare se le imprese metalmeccaniche, i cantieri navali, gli studi notarili e legali, gli istituti di vigilanza reggini e messinesi sono in grado di assolvere ai bisogni di Eurolink?

Cresce il rischio che il contributo del territorio sia pressoché nullo; né ci consola l’obiezione – pur validissima – che ci viene ripetuta da più parti in questi giorni: «Il Contraente generale non si è degnato di dirci cosa gli serve».

È vero ma non è arroccandosi in una orgogliosa difesa della propria dignità che si avvia una collaborazione che non riesce a diventare un bagaglio culturale.

La Politica sembra non averlo capito – forse perché non ha la maiuscola -, l’ha compreso, invece la Stazione appaltante, Stretto di Messina, pronta a fare da catalizzatore per innescare la reazione chimica che può far fare l’agognato balzo in avanti a Calabria e Sicilia.
Ma, da sola può fare poco.

Ancora una volta, abbiamo perso troppo tempo in chiacchiere e il mondo non si è fermato ad aspettarci.
L’ennesima occasione perduta? Forse sì. O forse no. Dipende dalla possibilità di organizzare, subito, un piano operativo che metta insieme le imprese aderenti al Tavolo Ponte di Reggio, la società concessionaria e (chissà ?) una Politica locale che comprende che stiamo perdendo l’ennesimo treno.
Un motore che dimostri al Contraente generale che realizzare i Campi base non è “conveniente” rispetto ad “aprirsi” al territorio. Ma deve capirlo, per prima, la Politica, se vuole meritarsi il consenso della gente.

Sappiamo con certezza che, in Sicilia come in Calabria, esistono imprese in grado di competere e vincere la concorrenza delle – certamente più note ma non più efficienti  – aziende di altre parti d’Italia; sappiamo anche che trasportare un modulo dell’impalcato  pesante dalle 50 alle 150 ton – costa meno se l’assemblaggio è stato fatto in uno yard vicino al luogo dove deve essere agganciato ai cavi portanti.
E sono sotto gli occhi di tutti i rischi che si corrono ad allungare oltre ogni logica la filiera degli appalti e subappalti.

Lo sappiamo noi e lo sa la Stazione appaltante, pronta a farsi interprete attiva di quelle finalità sociali che dovrebbero essere la bandiera della politica nazionale e locale.

Cosa aspettiamo?

Abbiamo la pessima abitudine di essere chiari: Presidente Occhiuto, dove sei? (gm e ap)

[Giovanni Mollica e Alberto Porcelli sono Coordinatori dei Tavoli Ponte di Messina e Reggio Calabria]