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L’OPINIONE / Giusy Staropoli Calafati – Le elezioni e un Sud pieno di dubbi

di GIISY STAROPOLI CALAFATI – Meno tre al voto e nessun programma di nessun partito politico italiano che apra citando le meditate sacrosante parole che Corrado Alvaro consegna alla storia del paese esattamente nel 1961, nel suo Ultimo Diario, affinché essa possa, nel suo seguito, consapevolmente avvalersi di una società civile e politica sempre più raffinata e spessa.

Nessuno che ricordi a sé stesso e quindi al popolo che intende rappresentare che La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società, è il dubbio che vivere rettamente sia inutile. Un conio letterario così potente che, nelle scuole italiane, nei pubblici uffici, nei tribunali, nelle sedi di partito, andrebbe affisso a caratteri cubitali. Ma che invece fatica ad attecchire oltre che nei libri di formazione, nella vita politica dell’intero paese. Troppe camicie da sudare per una società così alvariana. E, allora, meglio una barca che va finché può andare. O forse finché c’è mare.

Al Sud, cruccio di intellettuali, politici e naviganti, in questa ennesima tornata elettorale, in cui tocca dare un nuovo governo alla Nazione, non si sa bene ancora se piangere o ridere. Insomma la disperazione regna sovrana, il dubbio insiste, e la chiaranza sembra essere mille miglia lontana dalla vista del popolo meridionale. Neppure più una chitarra e cento illusioni, come cantava Mino Reitano

Il Sud si conferma il buon capro espiatorio con cui propagandarsi buoni italiani. Nessuno però che abbia pensato bene di doverla programmare all’insud questa nuova campagna elettorale. Il velo da stendere è davvero pietoso! 

Non è vero che nell’agenda politica dei tanti che con queste elezioni vorrebbero potersi ancora una volta rattopparsi le camice aggratis, c’è il bene del Mezzogiorno. Solo farse carnascialesche che non incantano più. Il Mezzogiorno esiste come esistono in Italia i laghi da pesca. Al lago si va, si getta l’amo, e se va bene si prendono i pesci e si ritorna a casa ricchi di pescato.

Al Sud accade la medesima cosa. Si viene trionfanti, e pure inclini ai dialetti dei luoghi, che al “focu mio” e “mancu li cani”, scatta pure l’applauso, si fanno i comizi, si illudono i popoli, si prendono i voti e poi da qui come dal lago si va via ricchi di pescato. Ma mentre al lago si ritorna per piacere il giorno dopo, dal Sud si va via per sempre, almeno fino alle prossime elezioni. Peccato però che ai politici di questa era bastarda e irregolare nessuno ha mai posto all’attenzione le parole di Confucio: Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita.

Le elezioni si decidono al Sud, dice Letta in un’intervista televisiva. E potrebbe avere anche ragione. Peccato però che poi gli accordi si fanno tutti al Nord, alle spalle del Sud e soprattutto della storia a cui il Meridione ha partecipato per fare dell’Italia un grande paese. Una beffa davvero amara! Il Meridione pare abbia sulle spalle un peso che ciclicamente lo inabissa, che non si capisce mai bene se dipende dalla sua stessa stazza, o altri glielo caricano sopra. Io vado per la seconda, che pur di tumularla questa fetta di terra ‘gloriosa’, mai nessuno svela cosa giace tra il suo fatto serio e quello faceto.

La questione è vecchia e pur sempre incalzante. Fu lo stesso Mario Draghi, appena qualche mese fa, dalla città partenopea, a ribadire che la questione meridionale, che tanto affligge, si fa per dire, l’intera Nazione, ha bisogno di essere del tutto risolta. E aveva ragione. La vera questione è che però dai pulpiti, i politici celebranti, parlano di Mezzogiorno come un caso da risolvere, ma nei fatti poi di celebrazioni risolute non se ne vedono affatto. E la questione meridionale, del Sud è del Sud resta. 

Alla base di questo quadro certamente poco gradevole che ritrae la natura reale del paese, v’è più di una domanda che dentro il cuore di noi del Mezzogiorno sorge spontanea, e quasi tutte chiosano con il perché la politica italiana si serva ripetutamente del Sud per innestare il sacrilego concetto di due “Italie” che il Meridione lo castiga e il Nord lo favorisce. Ma di cosa bisognerebbero le aree del Mezzogiorno per ritornare in testa alla storia del paese? Davvero solo di Pnrr? O forse servirebbero anche maggiore onestà e risoluta coerenza da parte di tutto lo stato nazionale?

La Calabria nella politica italiana sembra essere un antico bersaglio. Esercitarsi quaggiù, sulla pelle dei calabresi, viene comodo e pure facile a tutti quanti. Le annate di raccolta non vanno mai magre. E tutto, certamente, con il valido silenzio assenso degli scecchi matti del luogo. Dei calabresi nemici dei calabresi stessi, che a Mezzogiorno invece di volgere lo sguardo, puntano il fucile. E pur di avere un posto fisso che gli possa in un certo ugual modo far ingrassare il proso, pur nella versione d’uomini minchioni, strusciandosi con i mediocri che nelle camere di controllo invece di dare alla collettività, fottono, si vendono la radice.

La propria e quella degli altri. E sempre causa lo stato ineluttabile di povertà culturale. Essi infatti, non sanno che “un popolo senza storia è come un albero senza radici”. Muore.

A meno 3 dal voto, la politica italiana, nelle piazze, ai comizi pubblici, porta il Sud come una bandiera, quasi una terra patria. E fesso chi crede! L’Italia di bandiere ne ha una sola, ed è la stessa che di tre colori tinge il Nord, il Centro e il Sud. Tutto il paese. 

Si vedono uomini che per le stelle a cinque punte si stracciano le vesti, altri che dedicano liturgie alla falce e al martello, altri ancora a cui la fiamma tricolore cuoce le salsicce, nessuno però che per l’Italia sia disposto, come san Francesco lasciò le sue cose per seguire Dio, a lasciare la propria roba per seguire il paese. Luigi Di Maio, da attuale ministro degli esteri, vola d’angelo sul pubblico e sorride pure. Un gesto povero che se fatto da Pulcinella non ce ne saremmo dati peso, ma l’Italia è una cosa seria, il paese merita rispetto. 

A meno 3 dal voto, quando pensate al Sud, ricordatevi la differenza tra voler bene e amare. Perché questa volta l’Italia o si fa una, o lo stivale si spezzerà per sempre.

I voti non si cercano, si guadagnano. Il voto non si promette, si merita. Soprattutto al Sud.
Mi sono sempre sentita calabrese in Italia e italiana nel mondo. Con lo stesso carico di orgoglio. Ma mai mi sono vergognata di essere calabrese, nonostante tutto, per quanto ora mi senta invece imbarazzata a essere italiana. 

Buon voto, Italia! (gsc)