ACUTA E SPIETATA ANALISI DEL PROF. PIETRO MASSIMO BUSETTA SUI FUTURI GUASTI DEL REGIONALISMO;
Scuola

SCUOLA, PRIMA VITTIMA DELL’AUTONOMIA
SE PASSA IL PROVVEDIMENTO APPROVATO

di PIETRO MASSIMO BUSETTAGiù le mani dalla scuola si potrebbe dire. Uno dei settori oggetto di interesse in cui le Regioni che hanno chiesto l’autonomia differenziata vogliono entrare è quello della formazione e della scuola. Ed è proprio uno di quei settori che registra maggiore opposizione da parte di coloro che sono contrari all’autonomia.

Riuscire a far diventare la scuola regionale è un obiettivo che se realizzato farà diventare reale l’accusa che l’autonomia differenziata si può definire come “spaccaitalia”. 

Avere possibilità di intervenire sui programmi scolastici, sull’assunzione dei docenti, sull’organizzazione complessiva della scuola, sulle materie da insegnare, (niente vieterebbe di inserire come materiale di insegnamento lo studio del dialetto, cosa che potrebbe anche essere opportuna se non diventasse un modo per discriminare coloro che non lo conoscono) è un modo per far diventare le Regioni degli Stati.

È noto che la scuola è la materia più delicata che uno Stato deve  gestire. Da lì passa la formazione dei nuovi cittadini. E l’unificazione sociale di un paese passa da una scuola uniforme. La possibilità di creare buoni cittadini, consapevoli delle scelte che faranno anche nelle cabine elettorali, dipende molto dalla formazione della scuola.

E più le realtà sono deboli e fragili più la scuola diventa importante. Quando si accusa il Mezzogiorno di non avere classe dirigente e successivamente l’elettorato  attivo di non scegliere dei rappresentanti adeguati, colpevolizzando la popolazione, non si mette in evidenza come la responsabilità di tali carenze sia dello Stato centrale.

Perché se non combatti la dispersione scolastica, consentendo a molti di rimanere analfabeti, se non non adotti il tempo pieno in modo da far si che i ragazzi possano stare praticamente tutto il giorno a scuola ed essere guidati nel loro processo formativo, se non cominci a far socializzare i bambini dall’asilo e li lasci a casa in famiglie più o meno adeguate, dove magari la donna non lavora perché le possibilità di inserimento sono molto contenute, allora la cosa più facile è che escano dei cittadini dalla scuola assolutamente incapaci di essere soggetti di una  democrazia evoluta. 

E poiché in genere le carenze si sommano nelle realtà meridionali, per cui si inizia col non avere l’asilo nido per l’infanzia, si continua poi con la mancanza di tempo pieno a scuola, con la perdita di numerosi ragazzi che abbandonano per lavorare e continui poi con una madre casalinga e un padre disoccupato, allora il risultato ovviamente non potrà essere un cittadino consapevole. 

Se le risorse che oggi sono state destinate alla scuola sono ancora insufficienti visto che a parte la fatiscenza di molti edifici scolastici poi in realtà molti servizi che la scuola potrebbe e dovrebbe dare non vi sono, per cui vi é già una differenza tra le aree del Paese, un ulteriore impoverimento di risorse per il Sud, conseguenza dell’autonomia, non potrà che peggiorare la situazione, imbarbarendo ulteriormente le realtà più periferiche, come quelle del Sud. 

E pensiamo poi ai contenuti scolastici e a come anche l’ insegnamento della storia può essere dipendente dalla posizione politica di ciascuna regione, per cui il periodo fascista, se il governo regionale è di destra, potrebbe essere valutato in un certo modo, mentre  la Resistenza in un altro o al contrario se il governo regionale é di sinistra può influenzare le materie da studiare e i programmi e i temi da approfondire indirizzandoli in un modo o in un altro.

Così come a livello territoriale le esperienze  storiche di ciascun regione possono essere valutate in modo diverso. Pensate al l’insegnamento della storia  che affronta argomenti come il brigantaggio. Già adesso esistono rispetto alla scuola cittadini di serie A e di serie B. È facile immaginare cosa diventerebbe l’insegnamento scolastico regionalizzato. 

 Tutto il contrario di quello di cui ha bisogno l’Italia. Docenti con remunerazioni differenziate, al di là delle difficoltà relative alla loro mobilità all’interno delle varie regioni, ripeterebbero la grande inefficienza che si è vista nel periodo del covid per la sanità.

 Ma forse è proprio questo quello che i leghisti vogliono. E forse proprio per questo le voci contrarie all’autonomia differenziata diventano sempre più consistenti e molte professionalità si stanno pronunciando contro in modo determinato. Dopo la ritirata rispetto all’argomento di Bonaccini e di Fassino a sostenere questa esigenza è rimasta solo la Lega per cercare di recuperare quel consenso che ormai anche nelle regioni dove è nata sta perdendo. Mentre gli alleati di Governo si mostrano molto tiepidi rispetto alle esigenze leghiste. 

La pericolosità di tale riforma è  fra l’altro dovuta ad una costruzione che prevede di non poter intervenire praticamente in alcun modo se non dando il proprio assenso o il proprio rifiuto in maniera globale. Per cui la cosa più facile é che le maggioranze di governo si ricompattino anche in Parlamento. 

Il nostro ordinamento addirittura prevede due Camere, il bicameralismo perfetto,  in modo tale da evitare errori troppo grossolani. In questo caso invece vi è una approvazione per adesione quasi a scatola chiusa. In un momento in cui l’Europa finanzia  progetti tipo Erasmus per farsi che si formino i nuovi europei noi andiamo nel senso opposto per inculcare nei nostri ragazzi un’identità, che avevano ormai perso, relativa all’essere veneti o siciliani. 

 La leva obbligatoria per molti anni aveva consentito un mescolamento  delle identità, per evitare che ci fossero troppe differenze nelle nuove generazioni. Adesso si vuole fare il percorso inverso, grazie ad una visione gretta ed assolutamente provinciale. 

Assisteremo a cartelli del tipo “non si vogliono insegnanti meridionali” come abbiamo visto annunci per anni con su scritto “non si affittano case a meridionali”? E si richiederà la conoscenza del dialetto veneto a chi vorrà insegnare a Treviso? Finiremo col non  mettere più nei programmi di letteratura Pirandello o Sciascia perché rispettivamente agrigentino o racalmutese? 

Gli scenari che si aprono sono talmente preoccupanti che forse rallentare questo processo, al di là delle accelerazioni un po subdole del ministro Calderoli, può essere l’unico sistema perché questo innamoramento folle di un percorso veloce, che non potrà che portare a un ulteriore confusione e difficoltà nel Paese, possa essere stoppato. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]