ASPROMONTE, IL RICONOSCIMENTO UNESCO
CON L’AMBIZIONE DI DIVENTARE GEOPARCO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Era il 2 marzo 2017 quando il Parco Nazionale dell’Aspromonte ha inviato la sua candidatura per entrare a far parte della rete globale dei geoparchi dell’Unesco:  nella giornata di ieri, ha ricevuto il disco verde dal Quinto Consiglio dei Geoparchi Unesco. Il sogno sta diventando realtà. Un riconoscimento ambito e importante che qualifica e valorizza un Parco straordinario dove la biodiversità trova la sua espressione più completa, un Parco e una regione che il mondo così comincerà a conoscere un po’ di più.

Si tratta di un primo importante traguardo per il Parco che – candidatosi insieme al Parco della Maiella, in Abruzzo – ambisce a diventare l’11esimo geoparco nazionale, quella rete di territori che possiedono un «patrimonio geologico particolare e una strategia di sviluppo sostenibile sorretta da un programma europeo idoneo a promuovere tale sviluppo», che comprendono un certo numero di siti geologici di particolare importanza in termini di qualità scientifica, rarità, valore estetico o educativo e che possiedono un ruolo attivo nello sviluppo economico del suo territorio attraverso la valorizzazione di un’immagine generale collegata al patrimonio geologico ed allo sviluppo del geoturismo.

Una sfida ambiziosa per l’Ente guidato da Leo Autellitano e che ha visto impegnato, in prima persona, il compianto direttore Sergio Tralongo, che ha ideato un progetto dal titolo Aspromonte Geopark: Terre Migranti, «ovvero la geologia come profezia dei territori determinati dagli eventi, svincolati da confini stabili, immateriali, capaci di proiettarsi nel futuro in chiave antropologica, cultura,e sociale, filosofica, ambientale, umana; il geoparco non pi contenuto in un perimetro fisico ma libero e aperto alle esperienze e al confronto dei popoli. È un sogno, un obiettivo, una responsabilità collettiva».

L’obiettivo, è quello di «essere parte della Rete mondiale dei Geoparchi e lavorare in sinergia per favorire l’implementazione e la coesione della stessa rete, nonché dare l’opportunità alle imprese locali di promuovere la creazione e commercializzazione di nuovi prodotti e servizi collegati al patrimonio geologico, in uno spirito di complementarità con gli altri membri della rete».

Come si legge nelle slide preparate dall’Ente, «un Geoparco Aspromonte è prodotti agricoli e dell’artigianato locali, cooperazione internazionale e networking, scambio di esperienze e progetti formativi tra membri del network» e, sopratutto, «è futuro».

Il via libera del Consiglio ai geoparchi  – ha evidenziato Pier Luigi Petrillo, a capo dei negoziatori ministeriali – riconosce la qualità del lavoro svolto dai due parchi in risposta alle raccomandazioni adottate nel 2018 e nel 2019 sui dossier trasmessi. Ora, la parola passa all’Executive Board dell’Unesco che, nella prossima primavera, sarà chiamato a confermare le valutazioni tecniche a favore dei due nuovi siti italiani e di quelli proposti da altri paesi (Germania, Indonesia, Finlandia, Polonia, Danimarca e Grecia)».

«Con questo primo via libera tecnico – ha osservato il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa – l’Italia torna a essere protagonista anche in questo settore dell’Unesco, potenziando la rete delle Zone economiche ambientali e offrendo agli altri Paesi membri dell’agenzia delle Nazioni Unite un modello di crescita che sappia coniugare la salvaguardia dell’ecosistema e lo sviluppo dei territori. L’Unesco conferma, così, l’efficacia di politiche che puntano, in modo consistente, sui parchi nazionali. Basti pensare che l’ultima legge di bilancio stanzia a favore dei parchi e per lo sviluppo delle Zone economiche ambientali oltre 150 milioni di euro in azioni e progetti concreti».

Il parco dell’Aspromonte, istituito nel 1989 in Calabria, comprende 37 Comuni e la provincia di Reggio Calabria e si estende per 65 milioni di ettari in una collocazione geografica unica, stretta tra Mar Ionio e Tirreno, che affaccia su panorami che abbracciano lo Stretto di Messina, l’Etna, le isole Eolie, i territori greci calabresi, il territorio di Locri e la Piana di Gioia Tauro.

Ad oggi, nella rete di eccellenza Unesco risultano scritti 161 parchi in 44 paesi. I geoparchi italiani riconosciuti nelle rete globale Unesco sono 9, ovvero: Madonie (2004), Rocca di Cerere (2004), Beigua (2005), Adamello-Brenta (2008), Cilento Vallo di Diano e Alburni (2010), Colline metallifere toscane (2010), Alpi Apuane (2011), Sesia-Val Grande (2013) e Pollino (2015). Il parco della Maiella, localizzato in Abruzzo dove si trova il massiccio più singolare dell’Appennino, si estende per oltre 74 milioni di ettari tra le province di Pescara, L’Aquila e Chieti, includendo 39 Comuni, e offre un affascinante paesaggio montano costituito da numerosi rilievi carbonatici che superano o sfiorano i 2000 metri, separati da valli e da pianori carsici.

Riuscire a entrare a far parte della rete globale dei geoparchi dell’Unesco, sarebbe un prestigioso traguardo non solo per il Parco Nazionale dell’Aspromonte, che vanta un patrimonio culturale e naturalistico senza precedenti, ma anche per tutta la Calabria che, in caso di conferma da parte del prossimo Consiglio esecutivo dell’Unesco, in programma a marzo, potrà ‘vantare’ di avere ben due geoparchi Unesco, dato che il Parco del Pollino ne fa già parte. (ams)

Il giornale tedesco Süddeutsche Zeitung dedica una pagina alla Calabria e all’Aspromonte

Il giornale tedesco Süddeutsche Zeitung, la scorsa settimana ha dedicato una pagina intera, con un articolo firmato dal giornalista e scrittore Stefan Ulrich, alla Calabria e all’Aspromonte.

«Uno spot bellissimo sulla Calabria – ha scritto su Facebook lo scrittore Gioacchino Criaco – con, tra le altre cose, una colta conversazione col più importante poeta greco d’Aspromonte, Salvino Nucera».

L’articolo, dal titolo Un dio in ogni estraneo, racconta di Bova dove il sindaco, Santo Casile, ha detto che «qui a Bova torniamo nella Grande Grecia», delle città limitrofe e dell’Aspromonte, che «ha buone possibilità di essere presto designato Geoparco dall’Unesco».

Un viaggio, dunque, nella Calabria greca alla scoperta di un patrimonio culturale inestimabile che, oggi, continua a battere più vivo che mai grazie ai calabresi che, senza il loro instancabile lavoro di valorizzazione, sarebbero estinti. (rrc)

CONTRO LA PIAGA DEGLI INCENDI D’ESTATE:
ASPROMONTE BRUCIA, VERDE IN PERICOLO

L’Aspromonte brucia, come ogni estate, il verde, i boschi, gli animali, tutto è in pericolo. L’Associazione Guide Ufficiali del Parco Nazionale dell’Aspromonte ha lanciato un appello a tutte le associazioni, agli escursionisti, a chiunque frequenta la montagna. Occorre stare vigili e segnalare qualsiasi filo di fumo sospetto. Se brucia l’Aspromonte non va a fuoco solo la Montagna, ma una grande parte di Calabria che non rinascerà più. C’è anche un prezioso contributo dello scrittore Gioacchino Criaco per mettere in guardia contro il fuoco. Questo è un accorato appello, corale, perché l’Aspromonte è tutti noi.

«Non sono nuvole. – scrivono le guide – Odore acre e pungente che travolge gli occhi e li riempie di lacrime.
Il fumo sovrasta l’Aspromonte, la nostra montagna, la nostra casa.
Monte Scafi, Croce Melia, Pesdavoli, Monte Antenna, Armaconi, Santa Trada, i boschi di Casalinuovo, Africo Vecchio, Samo bruciano.
Perché non è un’emergenza?
Non vediamo nessuno strappato al calore del suo letto ergersi a difensore dei boschi aspromontani e continuiamo a chiederci perché, mille volte perché.
Spesso, quando facciamo educazione ambientale, cerchiamo di svelare il valore delle cose che normalmente sembrano non averne. Un lingotto d’oro è universalmente un valore, ma una pigna? Un sasso, una corteccia, un albero? Spesso è una scoperta, per i bambini…
Ora che migliaia di piante sono in fiamme e molti habitat sono a rischio, non riusciamo a capacitarci di come questo valore, immenso, non sia percepito neanche dagli adulti.
Se qualcuno pensa che sia solo empatia ed amore per madre natura sbaglia. Non vogliamo solo sia protetto un albero o un fiore, vogliamo che sia protetto il diritto al futuro, l’economia che le aree protette generano con le conseguenti ricadute sul tessuto socio economico dei piccoli centri aspromontani, contribuendo a farli uscire dalla storica marginalità. Difendere l’Aspromonte dal fuoco, vuol dire anche difendere la sua gente ed il suo futuro.
Siamo in emergenza, l’Aspromonte brucia e le braccia per domare il fuoco sono poche e stanche e le ringraziamo con tutta la forza che abbiamo.
Non sta bastando. Ma nessuno pare preoccupato o almeno non lo dimostra.
Non esiste un solo problema, in Calabria, lo sappiamo molto bene.
Ma quando la terra sarà bruciata non avremo più nulla da difendere. Il rischio ed il danno per biodiversità, necessaria per l’uomo, rischia di essere pesantissimo. Ciò che potrebbe apparire lontano ci riguarda tutti, molto da vicino, perché la distruzione degli habitat porta ad un naturale impoverimento che colpirebbe tutti noi. Sarebbe come togliere da un muro un mattone per volta, prima o poi quel muro cadrà. Sotto ci siamo noi.
Chi deve fare qualcosa, la faccia, o ci dica cosa sta facendo.
Lo pretendiamo.
Noi vogliamo fare la nostra parte. Possiamo parlarne, dobbiamo parlarne.
Possiamo contribuire alle segnalazioni (lo stiamo facendo) e dobbiamo farlo ancora di più.
Noi vediamo, sentiamo, parliamo.
Questa è oggi la nostra priorità.
Non ci sarà Guida Parco che in questi giorni sarà per le montagne, che non avrà lo sguardo vigile e pronto per segnalare il primo pennacchio di fumo e tutto ciò che potrebbe essere utile a rintracciare chi quel fumo l’ha fatto partire.
Lanciamo l’appello a tutte le associazioni, singoli escursionisti ed a chiunque frequenti la montagna.
Segnalate, vigilate, sollevate il problema, gridate all’emergenza, pretendete un intervento.
Sta bruciando nostra madre, tutti dobbiamo contribuire a spegnerla con gli strumenti che abbiamo.
Chiediamo che per ogni ettaro di parco bruciato sia ampliata la superficie complessiva dell’area protetta.
Se bruciano mille ettari, che il nostro parco aumenti la sua superficie da 64 mila a 65 mila ettari.
Alla barbarie si risponda con la fermezza di chi ha una visione chiara, dell’Aspromonte lucente scrigno di biodiversità al centro del Mediterraneo».  (rrm)

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La Montagna brucia

di GIOACCHINO CRIACO – Chi dà fuoco al bosco brucerà all’inferno”, dicevano i padri, per i figli dei pastori era la minaccia più terribile, l’incendio eterno, ad arderli vivi; la profferivano sempre, dopo un rogo, con le facce antiche mascherate dal fumo, le braccia ustionate e le mani piagate con stretti i monconi dei rami di pino che erano l’unico, minimo, rimedio al fuoco. I pastori, quelli veri, non appiccavano fiamme, perché i roghi succhiavano la vita alla terra che non pasceva pascoli e quando, dopo anni, rispuntava l’erba, era freno di panza buono solo a gonfiare gli stomaci degli animali, ma inutile per colmare mammelle, e senza sostanza e senza profumo. I pastori veri chiedevano alla quercia uno dei suoi mille bracci, e si riscaldavano un inverno intero. L’acqua se la succhiavano dai capezzoli di roccia e a ogni stagione ringraziavano la grande madre per i suoi tanti frutti. I montanari veri non avanzavano pretese sulla montagna, gli appartenevano. È la città che vuole legna, acqua, terre libere da farci i cottage, gli hotel e gli affari. È la città che vuole farci le gite di domenica e a ferragosto, per ritrovarsi. La montagna è come l’India: quelli che ci stanno ci sopravvivono e quelli che vanno in vacanza ritrovano il Karma. E, sulla montagna, i cittadini raccontano un sacco di balle: che è bella, magnifica, rigenerante, -che è lì che si dovrebbe vivere. Ma dopo una notte, o una settimana scappano via, e fuori dalle casettine di Heidi ci stanno giusto il tempo di farsi venire la fame, poi una bella doccia, panni puliti e pronto in tavola. La montagna, per chi davvero ci ha vissuto, è stata zecche, pulci, pidocchi, freddo, fame, sudore e tanta tanta puzza, che l’acqua è ghiaccia pure ad agosto. La montagna non è mai tenera, ma per chi davvero la ama è l’amore di una madre, ed è, soprattutto, un essere vivente che ti ospita, tutto è suo e tu puoi accettarne i doni. E ogni montagna è un essere a sé, che non è che ne conosci una e le conosci tutte. Dentro il suo mondo ci stanno creature a miliardi: monti, alberi, animali, torrenti. Tutte creature animate. E con le felci dopo sei mesi ci parli, ma per vincere la ritrosia dei pini ci vogliono sette anni, e perché le querce ti prestino ascolto te ne servono dodici. La montagna non è la bestia feroce che potete guardare in sicurezza davanti alla gabbia dello zoo cittadino. La montagna è una fiera in libertà, se ci si scherza troppo si viene mangiati.
La Montagna brucia perchè tanti ignobili traditori ne vorrebbero fare il loro orto privato, per raccogliere solo loro pochi frutti avvelenati. Chi la brucia? Pastori finti, che non hanno idea di cosa significa essere pastori e credono che bruciando, alle prime piogge ricrescerà tanta erba. Disboscatori che vogliono fare affari con la legna. Spegnitori che hanno nell’antincendio i vantaggi. Quelli a cui servono spazi, materiali per le centrali a biomasse, radure per le pale eoliche. C’è una genia infinita di ammazzatori, che hanno per complici tutti quelli che dovrebbero difendere la montagna.
Che la montagna non è un giardino da tenere come cartolina. La Montagna è una mammella con un capezzolo da suggere con delicatezza. E’ vita, per questo è nata per dare vita ed essere vissuta. La Montagna è legna buona, acqua, ortaggi e frutti, e cammini faticosi. La Montagna si vuole e si deve dare, ma bisogna proteggerle i fianchi, pulirla, rimboschirla, fare armacere e briglie, accudire i sentieri e risanare le frane, smantellare cementi e dighe. Utilizzare ogni suo centimetro come fosse il lembo millimetrico della pelle di nostra madre. Non dissipare la sua ricchezza ma aumentarne il valore, i talenti. Metterci gente a lavorare, avere presenze continue, ripopolare davvero. L’Aspromonte è una bomboniera, ma non un soprammobile, non è il lume finto sopra il cammino, è una lampada che illumina la strada. Noi abbiamo una Montagna ma è come se non l’avessimo, perché non la utilizziamo per quella che è la sua natura. Noi abbiamo una Montagna, ma non abbiamo la Montagna. Quelli che la bruciano dovremmo prenderli a calci, anche se ci fossero compari, amici, fratelli. Sono traditori: di sè stessi, della nostra terra, di noi. Tradiscono tutti quelli che lottano perché la Montagna torni a darci vita e da vivere.

LA CULTURA RITROVATA VA IN ASPROMONTE
AD AFRICO INTELLETTUALI A CONFRONTO

di MARIA CRISTINA GULLÍ – Ritrovarsi, per il terzo anno consecutivo, ad Africo Antico, nel cuore dell’Aspromonte: è stato un nuovo successo quest’incontro, quest’anno, non sponsorizzato dalla Regione, bensì promosso e organizzato dai giovani di Insieme per Africo. Un raduni senza inviti, solo col passaparola per mettere fianco a fianco artisti, scrittori, poeti, giornalisti e tanti, tantissimi giovani con la voglia di ascoltare, di domandare, di sentirsi protagonisti. E Gente in Aspromonte non sarà più un evento sporadico: il presidente del Parco Leo Autelitano lo ha inserito tra gli “attrattori culturali, turistici e ambasciatori del Parco», così che quest’incontro il cui sottotitolo recita “La visione del Sud vista dall’Aspromonte” acquisisce il pieno sostegno del Parco. L’obiettivo di del presidente Autelitano è valorizzare le iniziative che caratterizzano l’Aspromonte a supporto di identità culturali, incentivando il confronto e la crescita sociale nel rispetto della legalità.

Giungere al rifugio Carrà non è agevole, eppure sono arrivati in tanti, a cominciare dallo scrittore Gioacchino Criaco che ama moltissimo questo suggestivo angolo di Aspromonte lo ha fatto conoscere ad amici e colleghi: con l’intervento dell’Ente Parco diventa sede stabile dell’incontro che, è chiaro, si ripeterà crescendo sempre di più.

"GENTE IN ASPROMONTE" 2020

Bella la motivazione che ha spinto i giovani organizzatori dell’incontro di quest’anno: «Non arrabbiarti con il pozzo che è secco – hanno scritto su FB – perché non ti da l’acqua, piuttosto domandati perché continui ad insistere a voler prendere l’acqua dove sai già che non puoi trovarla.
Noi ragazzi di “Insieme per Africosiamo così. Ci crediamo da sempre che qualcosa possa realmente cambiare, ci crediamo nonostante le mille promesse fatte, ma mai mantenute.
«Quest’anno abbiamo voluto organizzare, di nostra spontanea volontà, la terza edizione di “Gente in Aspromonte”, e nonostante le mille difficoltà riscontrate, possiamo dire che ce l’abbiamo fatta anche questa volta. Ce l’abbiamo fatta anche grazie all’aiuto di alcune persone davvero speciali che ci danno una mano da sempre. Ci supportano in ogni iniziativa ed in alcuni momenti ci danno la forza per andare avanti.
Il sorriso degli ospiti, le belle parole spese nei nostri confronti e di conseguenza l’ottima riuscita dell’evento è stata soprattutto merito di :
Gioacchino Criaco, Bruno Criaco, Francesco Pileggi, Giuseppe Aloe, Paolo Sofia, ed altri amici, i quali si sono impegnati in prima persona affinché tutto potesse essere perfetto e andare per il meglio. E così è stato.
«Noi ragazzi volevamo ringraziare tutte le persone presenti, tutti coloro che sono intervenuti al dibattito con l’auspicio che sia solo l’inizio di tante iniziative affinché vengano valorizzati i nostri incantevoli Borghi Aspromontani.
«Siamo gente strana noi Africoti, è da settant’anni che viviamo sul mare, ma continuiamo a chiamare Madre l’Aspromonte. Continuiamo a sognare che la nostra terra possa un giorno essere valorizzata e conosciuta da tutti. Per noi è il nostro paradiso sulla terra. Siamo dei piccoli, poveri, romantici sognatori ancora rimasti a crederci. E anche se tutto questo fosse soltanto un sogno, per favore non svegliateci. Scusateci, ma noi preferiamo continuare a sognare».

È un luogo di memoria Africo, che rimanda al grande Umberto Zanotti Bianco, un settentrionale a totale servizio del Sud, impegnato a dare visibilità e sostegno a una popolazione di dimenticati e oppressi. Aleggiava il suo spirito nel rifugio Carrà, tra gli ulivi e le pietre delle armacìe circostanti, il profumo del verde e l’alito fresco che giunge dal mare. È un luogo impervio, ma ci arrivano a frotte, e continueranno ad arrivarci perché l’Aspromonte scoppia di tradizioni e di cultura e non finisce mai di tramandarle. (mcg)

 

L’Aspromonte di Mimmo Calopresti, uno struggente racconto di Calabria al cinema

Piacerà e non poco, ma non solo ai calabresi, il bellissimo e struggente nuovo film di Mimmo Calopresti, Aspromonte la terra degli ultimi, da domani nei cinema di tutt’Italia. È film-verità di un fatto avvenuto realmente, quando la povera gente di Africo abbandonò il paese, devastato dall’alluvione del 1951, per scendere alla marina (Africo Nuovo). È un racconto magnifico, dove il regista di Polistena guida senza la minima incertezza una grande massa di figuranti, mescolati agli attori del film, straordinari interpreti a partire da Valeria Bruni Tedeschi (la maestrina milanese andata a insegnare nel posto più sperduto dell’Aspromonte) a Marcello Fonte (eccezionale “poeta” e, cantore e guida per i giovani del paese, che si costruisce una “casa per morire non per viverci”) a un eccellente Francesco Colella, un intenso Marco Leonardi e a un preciso Sergio Rubini (il temuto boss del paese). Il casting, come il film, è perfetto, tanto che a Calopresti vanno riconosciuti uno stile e una capacità caravaggesca nelle rappresentazione delle scene e nei personaggi. Non è folclore, ma vita vera, miseria e disperazione, che si respiravano davvero in alcuni paesini dell’Aspromonte tanto da ispirare un clamoroso servizio fotografico del rotocalco più importante di allora, Epoca, e suggerirono più tardi il bel libro di Corrado Stajano, il giornalista-scrittore che raccontò quell’esodo verso la marina, in quegli anni passato quasi inosservato.

La storia di Aspromonte La terra degli ultimi, è una metafora della calabresità che contraddistingue la nostra gente. La caparbietà di arrivare comunque alla meta, proprio quando tutti sono contro o tutti sono indifferenti. La meta, in questo caso, è una strada che avvicini il piccolo borgo alla strada principale, che possa dare via di scampo alla partoriente che non ha il medico in paese (e per questo muore tra mille sofferenze insieme con il la creatura che porta in grembo). Nessuno vuole costruirla, anzi quando gli africoti decidono che se la costruiranno da soli interviene il prefetto a bloccare i lavori e sequestrare zappe e picconi. È un’amara metafora delle tante incompiute della Calabria, ma non è un film di denuncia civile: troppo inascoltate – da sempre – le parole e le accuse contro l’indifferenza e l’ignavia dei nostri governanti. È un film che adempie al suo compito primario, intrattenere e affascinare il suo pubblico. Calopresti ci riesce in maniera esemplare: rapisce il suo spettatore e lo coinvolge quasi a fargli sentire gli odori della terra, costringendolo a scrutare il cielo e i campi abbandonati fino ad appropriarsene, a calpestare a piedi nudi – come hanno fatto realmente tutti gli attori – quelle pietre che caratterizzano i viottoli del paese. Il film è tutto in dialetto calabrese (con sottotitoli in italiano) ed è un sincero atto d’amore di un figlio devoto che ama perdutamente la sua terra, senza blandizie o carezze superflue, e la fa conoscere al mondo, con un che di genuina nostalgia: i calabresi non si devono vergognare della povertà e della miseria che sono le protagoniste assolute del film, la vergogna è semmai di tutti coloro che hanno permesso e mantenuto questo stato di ingiustizia sociale in tanti piccoli, piccolissimi paesi del profondo Sud.

Il racconto coinvolge e avvolge in un crescendo di emozioni che, com’è giusto, non fanno velo ai sentimenti. C’è la rabbia, la disperazione, la solitudine dell’abbandono, ma c’è anche in primo piano l’orgoglio dell’appartenenza, quel senso innato di calabresità che trasversalmente colpisce tutti quelli che se ne sono andati o continuano (purtroppo) ad andar via: pastori e letterati, maestri e pescatori, contadini e laureati. La diaspora calabrese, probabilmente, non finirà mai, per questo in ogni angolo del mondo troviamo sempre un conterraneo, che quasi sempre raggiunge posizioni di grande prestigio. I calabresi sono come gli africoti del film di Calopresti: non s’arrendono mai, per questo raggiungono la vetta più facilmente degli altri, in ogni campo.

Siamo certi che la magnifica suggestione di Aspromonte di Calopresti riuscirà a raccogliere consensi se non addirittura entusiasmi. Facile prevedere un’incetta di premi, che meritatamente, arriveranno. Il casting è straordinariamente perfetto, come in una mega-produzione d’oltreoceano: ognuno ha la faccia giusta, anche i bambini sono l’affresco (Caravaggio non avrebbe potuto fare di meglio) di una civiltà contadina e aspromontana che anche chi vive lontano da qui non riuscirebbe a immaginare in modo diverso. Marcello Fonte si rivela un grande attore, preciso nel ruolo, come i suoi comprimari. Valeria Bruni Tedeschi si ritaglia un personaggio che raccoglierà parecchie statuette come miglior attrice dell’anno, ma due ultime segnalazioni di merito vanno a Elisabetta Gregoraci, intensa e irriconoscibile (ma perfetta) compagna del boss, tenera mamma e insieme moglie fedifraga di uno “ribelli” del paese, e a Fulvio Lucisano (proprio lui, il grande produttore calabrese, che ha realizzato questo film) che si ritaglia un prezioso e fresco cameo di chiusura da cui traspare la famosa calabresità di si diceva prima.

Il film è tratto dal libro omonimo di Pietro Criaco (Rubbettino editore), sceneggiato dallo stesso Calopresti con Monica Zappelli. Criaco è un calabrese di Africo, Mimmo Calopresti è nato a Polistena, emigrato da giovanetto a Torino con il padre. Un grande sentire comune guida la storia, una grande storia calabrese, per farne un grande, straziante ma meraviglioso film. Commovente e prezioso, bellissimo, da non perdere assolutamente. (s)

La foto di copertina è di Fulvio Lucisano.

Il trailer del film Aspromonte La terra degli ultimidi Mimmo Calopresti, dal 21 novembre al cinema:

 

REGGIO – Martedì la conferenza “Le fiumare, arterie dell’Aspromonte”

Martedì 25 giugno, a Reggio, alle 21.00, presso la sede del Club Alpino Italiano – Sezione Aspromonte di Reggio Calabria, la conferenza Le fiumare, arterie dell’Aspromonte.

Relaziona il prof. Giuseppe Bombino, uno dei massimi esperti nel campo e socio della sezione reggina.

«Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte – ha spiegato il prof. Bombino – l’inverno quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque». I torbidi torrenti descritti nella nota opera dello scrittore calabrese Corrado Alvaro sono le fiumare: ampie vallate riempite di ghiaia e ciottolame che solcano l’estremità meridionale della Calabria, esse rappresentano uno degli aspetti più peculiari del paesaggio aspromontano. Corsi d’acqua che, originandosi alle quote altimetriche più elevate, “precipitano” verso la costa attraversando il territorio agro-forestale, gli ambiti rurali, i borghi e le città».

«Malgrado, in passato – ha proseguito il prof. Bombino – l’esigenza di recuperare aree agricole e urbane ha spesso condotto alla realizzazione di interventi per il controllo delle dinamiche fluviali provocando la perdita di importanti caratteri ecologici, la potente naturalità della La Verde, del Bonamico, dell’Amendolea e delle altre fiumare, custodiscono ancora pozze d’acqua cristallina e cascate impetuose. Storici e geografi dell’antichità come Tucidide, Plinio, Edrisi, Strabone, Polibio, Barrio, ci tramandano che alcune di queste fiumare erano navigabili, quindi fiumi perenni. Ciò da un’idea delle profonde mutazioni idroorografiche che ha dovuto subire tale territorio in seguito agli innumerevoli disboscamenti, ai terremoti ed alle frane succedutesi nel corso di secoli». (rrc)

La montagna calabrese e le aree sacre, un riuscito convegno a Camigliatello Silano

15 ottobre – Un bel tema, “Il sacro e la montagna calabrese” per parlare delle tracce monastiche tra Pollino, la SIla, le Serre e l’Aspromonte, un tema che ha appassionato i tanti presenti, studiosi, appassionati e semplici curiosi. A Torre Camigliati di Camigliatello SIlano il convegno organizzato dal Circolo di Studi Storici “Le Calabrie”, presieduto da Marilisa Morrone, ha confermato le attese e le aspettative: di montagna si può e si deve parlare, tanto da far diventare questo un appuntamento annuale.
Un’intera giornata dedicato allo studio degli insediamenti di monasteri e luoghi di culto nelle zone montuose della Calabria, fin dagli albori del cristianesimo: «I più importati rilievi calabresi, – ha detto la presidente Morrone – hanno registrato, sin dal medioevo grandi figure di monaci e Santi, importanti monasteri e venerati santuari meta di pellegrinaggi ancora oggi: S. Nilo, Gioacchino da Fiore, S. Brunone da Colonia, S. Nicodemo di Mammola, S. Leo di Africo, S. Fantino il Cavallaro; luoghi come l’abbazia Florense, la Certosa di Serra, il Convento domenicano di Soriano, l’abbazia di S. Nicodemo e il santuario di Polsi, il Santuario delle Armi, il Patirion, ne sono i più celebri».
La vetta di un monte costringe ad alzare lo sguardo. È come un indice puntato verso il cielo, è il rimando allo Zenit e quindi alla luce, all’inaccessibilità, alla trascendenza rispetto all’orizzonte in cui  siamo immersi quotidianamente. Il monte con la sua cima, che sembra perforare il cielo, ricalca la posizione eretta dell’uomo che si è alzato dalla brutalità della terra. È una sorta di simbolo della vittoria sulla forza di gravità ed in tutte le culture si ritrova, nel profilo verticale della montagna, un’immagine della tensione verso l’oltre e l’altro rispetto al limite terrestre, ed in tutte le religioni, un segno dell’Oltre e dell’Altro divino.
A fare gli onori di casa è stata Mirella Stampa Barracco. Tra gli ospiti anche la sen. Margherita Corrado. A condurre i partecipanti del convegno alla scoperta del sacro nelle montagne calabresi sono state le relazioni ad iniziare dal docente Unical, Pietro Dalena, che, partendo dalla lettera di S. Bruno a Rodolfo il Verde, prevosto di Reims, ha delineato le motivazioni della scelta della montagna quale sede preferita dai religiosi del Medioevo. «Bellezza del paesaggio, pace, tranquillità, vicinanza al Cielo, solitudine. È così che le balze delle montagne calabresi pullulano di asceteri e laure; Gioacchino da Fiore, sulle orme del monachesimo italo-greco, si ritira nella profonda Silva Sila, S. Bruno alle sorgenti dell’Ancinale, S. Nilo nelle terrazze della Sila Greca. Sono sempre le montagne calabresi la meta preferita da monaci in fuga dall’oriente o dalla Sicilia conquistata dagli Arabi, come S. Vitale di Castronuovo che, dopo aver attraversato tutta la Regione, si insedia a Nord, nella zona dell’attuale S. Demetrio Corone».
La relazione di Enzo D’Agostino, Deputato di Storia Patria per la Calabria e storico della Chiesa, ha posto l’attenzione sull’occupazione monastica del versante jonico dell’Aspromonte nel medioevo che trova il momento clou nell’arrivo dei monaci greci dalla Sicilia verso la valle delle Saline, «Particolarmente significativo – ha detto D’Agostino – fu l’arrivo dei religiosi del monastero di S. Filippo di Agira  fondatori di ben tre monasteri in provincia di Reggio. Si possono definire tre zone monastiche greche nel versante jonico dell’Aspromonte: la vallata del Torbido, la zona di Gerace e la vallata del Bonamico dove domina nel cuore dell’Aspromonte, il grande Santuario della Madonna della Montagna di Polsi, sovrappostosi ad un antico monastero di Popsi, già menzionato nel XIII sec.»

La relazione dell’archeologo Francesco Cuteri ha coinvolto con i racconti di eremiti e monaci nelle serre calabre «L’essenza della vita certosina, oltre le prove e le tentazioni sulle quali san Bruno si sofferma poco, le descrive in un passo famoso che paragona la montagna al deserto, dove gli uomini coraggiosi possono rientrare in se stessi quanto vogliono e dimorare nel loro cuore, coltivare intensamente i germi delle virtù e gustare con gioia i frutti del paradiso. La montagna – ha detto Cuteri – conserva le tracce storiche della fede delle popolazioni che hanno vissuto i diversi territori. Tracce ancora incontaminate e da scoprire». Per finire, il docente Unical, Mario Panarello si è soffermato sulle opere d’arte commissionate dai diversi monasteri nel tempo, e che rappresentano patrimonio ancora in gran parte sconosciuto e da valorizzare.
Al termine del convegno, un ampio e stimolante dibattito ha registrato gli interventi di Padre Bruno Macrì, Filippo Racco, Giacinto Marra, Luigi Morrone, Antonio Macchione, Vincenzo Naymo, Riccardo Allevato, Salvatore Spagnolo, Giulia Fresca, Salvatore Zurzolo e Maria Gabriella Morrone, presidente del Club per l’UNESCO di S. Giovanni in Fiore.
«Dopo la positiva esperienza dello scorso anno, quando si tenne nella stessa sede un incontro di studi sul tema “La Sila: usi, paesaggi, risorse” – ha spiegato Marilisa Morrone, presidente del Circolo di Studi Storici “Le Calabrie” – l’assemblea, su proposta del socio cultore arch. Pasquale Lopetrone, ha deliberato che l’evento di Torre Camigliati divenisse appuntamento annuale». Il prossimo appuntamento a Torre Camigliati sarà nel mese di settembre 2019 mentre continuano le giornate di incontro e studio del Circolo “Le Calabrie” come quella che si svolgerà il prossimo 28 ottobre nel borgo di Gallicianò.  Da segnalare anche l’uscita del numero 11 della rivista “Studi Calabresi. Storia Arte Archeologia”. (rcs)

REGGIO – La mostra “I colori dell’Aspromonte”

27 settembre – Sarà inaugurata oggi pomeriggio, a Reggio, alle 17.30, presso il Castello Aragonese, la mostra fotografica “I colori dell’Aspromonte” dell’Associazione “Calabria dietro le quinte”.
Patrocinata dall’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte e dal Comune di Reggio, la mostra si potrà visitare fino al 5 ottobre.
Le foto, che immortalano le specie faunistiche e floreali dei territori del Parco Nazionale dell’Aspromonte, candidato per entrare a far parte della Rete Mondiale Unesco dei Geoparchi, sono a cura dei fotografi Antonello Diano, Domenico Timpano, Marina Mazzeo, Gianni Siclari, Libero Sottilotta, Giuseppe Filice, Longhetto Lavinia, Antonio Verduci, Melania Morabito, Aldo Fiorenza, Fabio Santoro, Francesco Truglia, Francesco Vizzone, Lorenzo Cantarella, Kristle Pons, Rocco Calogero, Bruno Caccamo, Gianni Vittorio, Raffaele Astorino, Antonio Macheda, Tony Mezzatesta e Tirso Ceazar Pons.
A seguire, è previsto l’incontro letterario “Camminando in Aspromonte”: conversazione con Domenico Minuto e Alfonso Picone Chiodo, autori del libro “Antichi passi”. L’evento è a cura di Città del Sole Edizioni. (rrc)

LA SCUOLA NEGATA – Il caso di Roccaforte. Un contributo del prof. Guido Leone

22 settembre – L’immagine di copertina, una foto del 1948 di Tino Petrelli, di come funzionava la scuola nei comuni aspromontani nell’immediato dopoguerra rivela, in controluce, la voglia di studiare, ad ogni costo, dei bambini di una Calabria della Repubblica
L’episodio di Roccaforte del Greco, il piccolo comune aspromontano (550 abitanti) della Città Metropolitana di Reggio non fa che rendere attuale quella logora immagine, triste e decisamente disarmante. La scuola negata ai bambini (costretti a fare 50 km per frequentare le lezioni, dopo la chiusura del plesso primario, è un episodio che deve fare riflettere. Il sindaco di Roccaforte Domenico Penna ha scritto alla Presidenza del Consiglio, al ministro dell’Istruzione, al sindaco di Reggio: «Il diritto allo studio per ogni cittadino, sancito dalla Costituzione Italiana – ha scritto Penna – non viene più riconosciuto ai bambini di questo piccolo paese di montagna. Bambini anche in tenera età saranno costretti a percorrere circa 50 chilometri su strade con precaria manutenzione e soggette nel periodo invernale a frane e smottamenti, per poter frequentare le lezioni».
Negli anni passati, data l’appartenenza del Comune all’area della minoranza linguistica grecanica, era stata garantita una pluriclasse primaria anche in deroga alle normative nazionali. «È normale – si chiede il sindaco Penna – far aumentare l’isolamento e la marginalità di questo piccolo centro, alla cui comunità è riconosciuta la peculiarità di minoranza linguistica contribuendo a spopolarlo con pregiudizio per la propria identità linguistica e culturale?».
La dirigente scolastica della scuola “chiusa” si è detta pronta a istituire nuovamente una pluriclasse, ma attende disposizioni con un’assunzione di responsabilità dall’ufficio scolastico regionale: «Mi hanno lasciato sola» – si è sfogata Concetta Sinicropi che dirige l’Istituto comprensivo “Megali”. (rrc)

  • Sul problema dei dimensionamenti scolastici, pubblichiamo un intervento del prof. Guido Leone, Già Dirigente tecnico USR Calabria e memoria storica della scuola in Calabria.

 

Il prof. Guido Leone

«Roccaforte del Greco, Canolo, Careri, non saranno gli ultimi casi. – scrive il prof. Leone – La nuova politica scolastica sembra in effetti ritenere che le scuole dei piccoli centri aspromontani e preaspromontani siano dei rami secchi da tagliare, che contraddice peraltro le tanto insistite politiche della famiglia. Fino ai dodici anni il diritto alla scuola nel luogo dove si abita dovrebbe essere un diritto inalienabile. Fra l’altro la politica europea che tende a ripopolare le zone di montagna e i paesini dell’entroterra cozza contro questa preoccupazione tutta economica di chiudere ciò che a occhi miopi risulta non produttivo. Sto parlando della Calabria montana dove si stanno chiudendo o ridimensionando anno dopo anno le scuole con l’argomento che a servirsene sono in pochi.
Gli ultimi casi quelli di Roccaforte del Greco, Canolo e Careri. Ma è tutto l’entroterra collinare e aspro montano che negli ultimi anni ha subito un lento ma continuo processo di spopolamento con il venir meno dei servizi primari nei tanti paesini del territorio reggino. Senza considerare che almeno il 40% della popolazione scolastica della nostra provincia che non risiede sulla costa non gode pienamente dell’offerta formativa per via della mancanza di mezzi che consentano loro di poter essere presenti nelle ore pomeridiana per le attività scolastiche. Questa ossessione del risparmio che si esercita sui più deboli, sui più piccoli, a me pare insensata.
Mi auguro che i prossimi tavoli interistituzionali che saranno attivati per il nuovo dimensionamento operino con una visione innovativa prevedendo plessi polivalenti in grado di seguire il processo formativo dalle scuole dell’infanzia alla media di primo grado. Innovazione significa ripensare la scuola non più come singolo edificio ma come il nodo di una rete di formazione che si estende non solo alla singola comunità,ma ad aree intercomunali  al cui bacino d’utenza vanno forniti servizi in termini di qualità:dalla struttura,ai trasporti,alle mense,ai laboratori,nell’arco del tempo scuola.
Ma per una gestione consortile agli stessi comuni servono creatività e coraggio
È indispensabile un progetto integrato d’area del territorio per realizzare azioni comuni tra le diverse istituzioni sulla base di una regia organica rivolta a sostenere l’innovazione nei processi formativi e nelle strategie d’accoglienza agli studenti.
Quanto detto significa che il sistema educativo deve essere costruito a livello culturale – educativo, ma anche a livello politico e organizzativo.
A livello politico l’ente locale deve ancor più rappresentare il promotore del raccordo tra le risorse educative presenti nel territorio rivestendo il ruolo di promotore nella costruzione del sistema educativo integrato.
Bisogna passare dal Pof della singola scuola alla elaborazione di un Piano dell’offerta formativa territoriale come proposta educativa di un territorio  e nello spirito di una istituzione scolastica  intesa come comunità educativa permanente.
Certo, mi rendo conto che il panorama che si intravede all’orizzonte dal punto di vista economico imporrà dei sacrifici e delle scelte, ma proprio per questo occorre prepararsi a fronteggiare tali ristrettezze lavorando insieme enti locali e amministrazione nella individuazione delle scelte. (Guido Leone)