L'APPELLO DELLE GUIDE DEL PARCO E UN SIGNIFICATIVO RACCONTO DELLO SCRITTORE GIOACCHINO CRIACO;
Aspromonte a fuoco

CONTRO LA PIAGA DEGLI INCENDI D’ESTATE:
ASPROMONTE BRUCIA, VERDE IN PERICOLO

L’Aspromonte brucia, come ogni estate, il verde, i boschi, gli animali, tutto è in pericolo. L’Associazione Guide Ufficiali del Parco Nazionale dell’Aspromonte ha lanciato un appello a tutte le associazioni, agli escursionisti, a chiunque frequenta la montagna. Occorre stare vigili e segnalare qualsiasi filo di fumo sospetto. Se brucia l’Aspromonte non va a fuoco solo la Montagna, ma una grande parte di Calabria che non rinascerà più. C’è anche un prezioso contributo dello scrittore Gioacchino Criaco per mettere in guardia contro il fuoco. Questo è un accorato appello, corale, perché l’Aspromonte è tutti noi.

«Non sono nuvole. – scrivono le guide – Odore acre e pungente che travolge gli occhi e li riempie di lacrime.
Il fumo sovrasta l’Aspromonte, la nostra montagna, la nostra casa.
Monte Scafi, Croce Melia, Pesdavoli, Monte Antenna, Armaconi, Santa Trada, i boschi di Casalinuovo, Africo Vecchio, Samo bruciano.
Perché non è un’emergenza?
Non vediamo nessuno strappato al calore del suo letto ergersi a difensore dei boschi aspromontani e continuiamo a chiederci perché, mille volte perché.
Spesso, quando facciamo educazione ambientale, cerchiamo di svelare il valore delle cose che normalmente sembrano non averne. Un lingotto d’oro è universalmente un valore, ma una pigna? Un sasso, una corteccia, un albero? Spesso è una scoperta, per i bambini…
Ora che migliaia di piante sono in fiamme e molti habitat sono a rischio, non riusciamo a capacitarci di come questo valore, immenso, non sia percepito neanche dagli adulti.
Se qualcuno pensa che sia solo empatia ed amore per madre natura sbaglia. Non vogliamo solo sia protetto un albero o un fiore, vogliamo che sia protetto il diritto al futuro, l’economia che le aree protette generano con le conseguenti ricadute sul tessuto socio economico dei piccoli centri aspromontani, contribuendo a farli uscire dalla storica marginalità. Difendere l’Aspromonte dal fuoco, vuol dire anche difendere la sua gente ed il suo futuro.
Siamo in emergenza, l’Aspromonte brucia e le braccia per domare il fuoco sono poche e stanche e le ringraziamo con tutta la forza che abbiamo.
Non sta bastando. Ma nessuno pare preoccupato o almeno non lo dimostra.
Non esiste un solo problema, in Calabria, lo sappiamo molto bene.
Ma quando la terra sarà bruciata non avremo più nulla da difendere. Il rischio ed il danno per biodiversità, necessaria per l’uomo, rischia di essere pesantissimo. Ciò che potrebbe apparire lontano ci riguarda tutti, molto da vicino, perché la distruzione degli habitat porta ad un naturale impoverimento che colpirebbe tutti noi. Sarebbe come togliere da un muro un mattone per volta, prima o poi quel muro cadrà. Sotto ci siamo noi.
Chi deve fare qualcosa, la faccia, o ci dica cosa sta facendo.
Lo pretendiamo.
Noi vogliamo fare la nostra parte. Possiamo parlarne, dobbiamo parlarne.
Possiamo contribuire alle segnalazioni (lo stiamo facendo) e dobbiamo farlo ancora di più.
Noi vediamo, sentiamo, parliamo.
Questa è oggi la nostra priorità.
Non ci sarà Guida Parco che in questi giorni sarà per le montagne, che non avrà lo sguardo vigile e pronto per segnalare il primo pennacchio di fumo e tutto ciò che potrebbe essere utile a rintracciare chi quel fumo l’ha fatto partire.
Lanciamo l’appello a tutte le associazioni, singoli escursionisti ed a chiunque frequenti la montagna.
Segnalate, vigilate, sollevate il problema, gridate all’emergenza, pretendete un intervento.
Sta bruciando nostra madre, tutti dobbiamo contribuire a spegnerla con gli strumenti che abbiamo.
Chiediamo che per ogni ettaro di parco bruciato sia ampliata la superficie complessiva dell’area protetta.
Se bruciano mille ettari, che il nostro parco aumenti la sua superficie da 64 mila a 65 mila ettari.
Alla barbarie si risponda con la fermezza di chi ha una visione chiara, dell’Aspromonte lucente scrigno di biodiversità al centro del Mediterraneo».  (rrm)

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La Montagna brucia

di GIOACCHINO CRIACO – Chi dà fuoco al bosco brucerà all’inferno”, dicevano i padri, per i figli dei pastori era la minaccia più terribile, l’incendio eterno, ad arderli vivi; la profferivano sempre, dopo un rogo, con le facce antiche mascherate dal fumo, le braccia ustionate e le mani piagate con stretti i monconi dei rami di pino che erano l’unico, minimo, rimedio al fuoco. I pastori, quelli veri, non appiccavano fiamme, perché i roghi succhiavano la vita alla terra che non pasceva pascoli e quando, dopo anni, rispuntava l’erba, era freno di panza buono solo a gonfiare gli stomaci degli animali, ma inutile per colmare mammelle, e senza sostanza e senza profumo. I pastori veri chiedevano alla quercia uno dei suoi mille bracci, e si riscaldavano un inverno intero. L’acqua se la succhiavano dai capezzoli di roccia e a ogni stagione ringraziavano la grande madre per i suoi tanti frutti. I montanari veri non avanzavano pretese sulla montagna, gli appartenevano. È la città che vuole legna, acqua, terre libere da farci i cottage, gli hotel e gli affari. È la città che vuole farci le gite di domenica e a ferragosto, per ritrovarsi. La montagna è come l’India: quelli che ci stanno ci sopravvivono e quelli che vanno in vacanza ritrovano il Karma. E, sulla montagna, i cittadini raccontano un sacco di balle: che è bella, magnifica, rigenerante, -che è lì che si dovrebbe vivere. Ma dopo una notte, o una settimana scappano via, e fuori dalle casettine di Heidi ci stanno giusto il tempo di farsi venire la fame, poi una bella doccia, panni puliti e pronto in tavola. La montagna, per chi davvero ci ha vissuto, è stata zecche, pulci, pidocchi, freddo, fame, sudore e tanta tanta puzza, che l’acqua è ghiaccia pure ad agosto. La montagna non è mai tenera, ma per chi davvero la ama è l’amore di una madre, ed è, soprattutto, un essere vivente che ti ospita, tutto è suo e tu puoi accettarne i doni. E ogni montagna è un essere a sé, che non è che ne conosci una e le conosci tutte. Dentro il suo mondo ci stanno creature a miliardi: monti, alberi, animali, torrenti. Tutte creature animate. E con le felci dopo sei mesi ci parli, ma per vincere la ritrosia dei pini ci vogliono sette anni, e perché le querce ti prestino ascolto te ne servono dodici. La montagna non è la bestia feroce che potete guardare in sicurezza davanti alla gabbia dello zoo cittadino. La montagna è una fiera in libertà, se ci si scherza troppo si viene mangiati.
La Montagna brucia perchè tanti ignobili traditori ne vorrebbero fare il loro orto privato, per raccogliere solo loro pochi frutti avvelenati. Chi la brucia? Pastori finti, che non hanno idea di cosa significa essere pastori e credono che bruciando, alle prime piogge ricrescerà tanta erba. Disboscatori che vogliono fare affari con la legna. Spegnitori che hanno nell’antincendio i vantaggi. Quelli a cui servono spazi, materiali per le centrali a biomasse, radure per le pale eoliche. C’è una genia infinita di ammazzatori, che hanno per complici tutti quelli che dovrebbero difendere la montagna.
Che la montagna non è un giardino da tenere come cartolina. La Montagna è una mammella con un capezzolo da suggere con delicatezza. E’ vita, per questo è nata per dare vita ed essere vissuta. La Montagna è legna buona, acqua, ortaggi e frutti, e cammini faticosi. La Montagna si vuole e si deve dare, ma bisogna proteggerle i fianchi, pulirla, rimboschirla, fare armacere e briglie, accudire i sentieri e risanare le frane, smantellare cementi e dighe. Utilizzare ogni suo centimetro come fosse il lembo millimetrico della pelle di nostra madre. Non dissipare la sua ricchezza ma aumentarne il valore, i talenti. Metterci gente a lavorare, avere presenze continue, ripopolare davvero. L’Aspromonte è una bomboniera, ma non un soprammobile, non è il lume finto sopra il cammino, è una lampada che illumina la strada. Noi abbiamo una Montagna ma è come se non l’avessimo, perché non la utilizziamo per quella che è la sua natura. Noi abbiamo una Montagna, ma non abbiamo la Montagna. Quelli che la bruciano dovremmo prenderli a calci, anche se ci fossero compari, amici, fratelli. Sono traditori: di sè stessi, della nostra terra, di noi. Tradiscono tutti quelli che lottano perché la Montagna torni a darci vita e da vivere.