NELLA COERENZA DELLE CONTRADDIZIONI
SOLO LA CHIESA HA CAPITO L’AUTONOMIA

di MIMMO NUNNARI – C’è un aspetto non considerato nella polemica che si è accesa sulle conseguenze che comporterà l’introduzione dell’Autonomia differenziata se mai arriverà al traguardo e non riguarda solo la divaricazione Nord Sud che inevitabilmente si accentuerà malgrado le ipocrite rassicurazioni della Lega il movimento nato separatista che ha sempre avuto l’obiettivo di disarticolare l’unità morale sociale e politica del Paese.

Il traguardo sogno della Padania poco più di trent’anni dopo passando da Bossi a Salvini potrebbe ora essere raggiunto, paradossalmente con l’aiuto determinante di FdI: la forza politica erede di movimenti di destra e post fascisti che fino a poco tempo fa innalzavano orgogliosamente la bandiera dell’antiregionalismo e della patria unita.

Senza andare troppo indietro nel tempo, quando Giorgio Almirante, segretario nazionale del Movimento Sociale Italiano, affermava che le Regioni sarebbero state “carrozzoni clientelari e di potere” e votò contro la loro istituzione, insieme a liberali e monarchici, basterebbe adesso ricordare quando nel 2014 l’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni allora esponente di Alleanza Nazionale presentò in Parlamento un progetto di riforma costituzionale – insieme al collega Edmondo Cirielli, l’attuale viceministro degli Esteri – che prevedeva l’abolizione delle Regioni tout court.

È questa l’Italia: il Paese delle conversioni per opportunismo e per convenienza, del trasformismo e degli intrighi. Aveva ragione lo scrittore Guido Morselli: “Negli uomini, non esiste veramente che una sola coerenza: quella delle loro contraddizioni”.

È questa l’Italia alla perenne ricerca di stabilità e identità: Il Paese dove non si è mai riuscito a saldare moralmente e culturalmente – con un visione suprema dello Stato –  territori dalla Sicilia alle Alpi.

Oggi, sembra che tutti in Parlamento abbiamo dimenticato – anche i “45” senatori di centrodestra del Sud che hanno chinato il capo come i sudditi – che il fanatismo e l’egoismo delle leghe nordiste è un veleno che corrode la solidarietà di cui il Mezzogiorno e le aree più deboli hanno bisogno.

Solo la Chiesa sta parlando con chiarezza: “È questo un modo per diventare più solidali, sapendo del grande divario che c’è tra una parte e l’altra d’Italia”? ha commentato il segretario di Stato Vaticano cardinale Pietro Parolin dopo il voto del Senato. E pochi giorni prima un avvertimento pesante era giunto da Matteo Maria Zuppi presidente della CEI: “Attenti i vescovi del Sud sono sul piede di guerra”.

La questione non è solo ciò che un domani potrà accadere ma ciò che sta già accadendo oggi, con uno scenario politico parlamentare terreno di scontro duro, come nell’epoca post risorgimentale e con i giornali nazionali che sulla scia di questa contrapposizione si schierano a favore o contro una causa, a sostegno o contro le forze politiche, tornando a quel vizio d’origine del giornalismo italiano che ha condizionato a lungo la sua funzione e il suo sviluppo, non solo nel ventennio fascista. Si sta facendo un tipo di giornalismo votato alle cause da sostenere, delle parti politiche da assecondare, e poco attratto dall’esigenza di informare con correttezza con il fine precipuo di comunicare notizie e di interpretare i gusti e le esigenze dei lettori e di informare a tutto campo. Anche per questo i giornali nazionali continuano a perdere lettori. Un secolo e mezzo dopo l’Unita’, i mezzi della comunicazione risentono ancora di quel vizio d’origine che malauguratamente si riflette nelle vicende storiche del Paese, anch’esse, per mancanza di visioni, tornate all’epoca dei contrasti e delle fratture politiche che allontanarono e oggi ancora allontanano il Mezzogiorno dall’Italia e dall’Europa, delegittimando i valori etici-politici dello Stato unitario. (mnu)

Il sacerdoce cosentino Don Pasquale Panaro nominato membro del Capitolo della Basilica di San Pietro

Prestigioso incarico per don Pasquale Panaro, giovane sacerdote cosentino che è stato nominato da Papa Francesco componente del Capitolo della Basilica di San Pietro in Vaticano.

Don Pasquale, del clero dell’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano, originario di Paola, ha compiuto gli studi di teologia nel Seminario Teologico Cosentino. È stato ordinato sacerdote il 23 giugno del 2017. Ha svolto per diversi anni il servizio di segretario particolare dell’Arcivescovo Nolè è di viceparroco della Cattedrale.

Ha conseguito anche il diploma di Organo e composizione organistica presso il Conservatorio di Cosenza; attualmente è a Roma per gli studi in teologia Biblica presso la Pontificia Facoltà Gregoriana.

«Apprendo con grande compiacimento della nomina a componente del Capitolo della Basilica di San Pietro in Vaticano, di don Pasquale Panaro, giovane sacerdote cosentino e segretario particolare dell’Arcivescovo di Cosenza-Bisignano, Mons.Giovanni Checchinato, così come lo era stato di Mons.Francescantonio Nolè», ha dichiarato il consigliere comunale Francesco Turco, delegato del sindaco Franz Caruso ai rapporti con le comunità religiose.

«A don Pasquale Panaro, che è anche vicario della cattedrale di Cosenza e organista del coro diocesano, rivolgo, a nome del sindaco Franz Caruso, le più vive congratulazioni dell’Amministrazione comunale per il nuovo, importante e delicatissimo ruolo che gli è stato conferito grazie alla nomina di Papa Francesco – ha detto Francesco Turco –. Consapevole della responsabilità che un tale incarico comporta, sono certo che don Pasquale Panaro saprà assolverlo nel migliore dei modi come è riuscito ad attendere alle funzioni di segretario particolare di Mons. Nolè e Mons. Checchinato, instaurando con l’Amministrazione comunale e con la mia figura di delegato ai rapporti con le comunità religiose, un rapporto di grande collaborazione e disponibilità, nell’interesse della città». (rcs)

La Calabria ha un nuovo Venerabile: è Don Gaetano Mauro

di FRANCO BARTUCCI – La Calabria ha un nuovo Venerabile sulla via della Beatificazione e Santificazione. Stiamo parlando di Don Gaetano Mauro, fondatore dei Pii Operai Catechisti Rurali, chiamati Ardorini, con la casa madre a Montalto Uffugo, dove creò l’Istituto Don Bosco.

Nato a Rogliano il 13 aprile 1888 venne ordinato sacerdote il 14 luglio 1912 nella Chiesa Parrocchiale di Santa Maria della Sanità di Portapiana a Cosenza, da S.E. Mons. Salvatore Scanu, Vescovo di San Marco Argentano. Nello stesso anno viene ricevuto in udienza dal Santo Padre San Pio X. Il 24 novembre 1914 viene nominato Parroco di Santa Maria Assunta, Decano della Colleggiata della Serra di Montalto Uffugo, dove sviluppa tutta la sua opera missionaria fino alla data della sua morte avvenuta il 31 dicembre 1969; dove incontra ed assiste spiritualmente la giovane Elena Aiello (nota come la monaca santa) per l’intero percorso di suora e poi madre fondatrice della Congregazione delle Suore Minime della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, oggi celebrata sugli altari come Beata.

Sarà ricevuto in udienza dai Papi Pio XI (29 maggio 1922), Pio XII (12 giugno 1939), Giovanni XXIII (2 maggio 1959) che lo nomina Antistitem urbanum seu Proelatum Domesticum, Paolo VI (27 aprile 1964 – 30 aprile 1966) che lo ha spronato a proseguire la sua opera missionaria oltre che in Italia anche all’estero.

Tanto è vero che in quello stesso anno inviò un padre Ardorino negli Stati Uniti ed in Canada, dove oggi nella città di Toronto hanno una casa per la creazione di una comunità con due parrocchie. Oggi gli Ardorini oltre che in Canada hanno le loro case in Colombia, India e Tanzania.

Dopo la sua morte avvenuta il 31 dicembre 1969 vengono avviate dai Padri Ardorini tutte le procedure necessarie per avviare un processo diocesano per la causa di canonizzazione, la cui apertura avviene il 9 maggio 2002 con la chiusura dieci anni dopo nel 2012 nella Chiesa di San Francesco di Paola in Montalto Uffugo.

Papa Francesco il 19 gennaio 2023, con decreto Pontificio, ha riconosciuto a don Gaetano Mauro il titolo di Venerabile ed il grado eroico delle Virtù. Tale documento è stato presentato nel pomeriggio di sabato 14 ottobre 2023 nella Cattedrale di Cosenza, dove si è svolta una solenne cerimonia religiosa, presieduta dall’Arcivescovo di Cosenza Bisignano, Mons. Giovanni Checchinato, alla presenza del clero cosentino, numerosi fedeli provenienti dalle parrocchie di Montalto Uffugo, Rogliano, Cosenza, San Vincenzo La Costa e Petilia Policastro, rappresentati anche dai rispettivi sindaci o delegati; nonché da diversi padri Ardorini con accanto il Superiore Generale, padre Salvatore Cimino; mentre erano pure presenti i Vescovi Todisco, Milito e Bonanno, che hanno partecipato alla concelebrazione della Santa Messa con l’Arcivescovo Mons. Giovanni Checchinato.

A dare inizio alla cerimonia è stato il Postulatore del processo di canonizzazione, padre Francesco Maria Ricci, priore della Provincia Romana dei Domenicani, che dopo aver letto i vari passaggi della vita di don Gaetano Mauro, riportarti nel Decreto sulle Virtù Eroiche, si è avviato verso la conclusione della lettura del documento nel quale si afferma: «Aderendo profondamente alla volontà divina, abbracciò con generosità le sofferenze valorizzando il dolore e facendone una componente di fecondità spirituale fondamentale». Aveva fatto suo e viveva il motto: «Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù”, operando concretamente per l’attuazione dei principi di giustizia sociale a favore dei meno abbienti».

Dopo aver citato le varie date di espletamento del processo, la cui Positio venne sottoposta all’esame del Congresso Peculiare dei Consultori Teologici il 2 dicembre 2021, con esito favorevole; i Padri Cardinali e Vescovi, preso atto di ciò nella Sessione Ordinaria del 17 gennaio 2023, hanno riconosciuto che il Servo di Dio ha esercitato in grado eroico le virtù teologali, cardinali ed annesse.

Tutte queste cose sono state riferite dal Cardinale Prefetto a Papa Francesco, Sua Santità, che accogliendo e confermando i voti del Dicastero delle Cause dei Santi ha dichiarato: «Constano le Virtù teologali, Fede, Speranza e Carità verso Dio e verso il prossimo, nonché le Virtù Cardinali, Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza, e le Virtù annesse, in grado eroico, del Servo di Dio Gaetano Francesco Mauro, Sacerdote diocesano, Fondatore della Congregazione dei Pii Operai Catechisti Rurali».

Decreto che per disposizioni del Sommo Pontefice è stato disposto per la sua pubblicazione e inserito negli atti del Dicastero delle Cause dei Santi in data 19 gennaio 2023.

Della figura del nuovo Venerabile e del suo profilo ne ha parlato nell’ omelia l’Arcivescovo di Cosenza Bisignano, Mons. Giovanni Checchinato, ricordando alcuni aspetti significativi del profilo missionario del Venerabile. «Con il suo modo di sentire e fare si è dedicato agli ultimi del mondo rurale e giovanile – ha detto il Presule – riversando sulle periferie la sua missione, come oggi a distanza di cento anni ci viene ricordato e sollecitato da Papa Francesco. A questa testimonianza attingono oggi i suoi figli».

«Da questo parroco calabrese – ha detto ancora- possiamo imparare la “fantasia pastorale” per portare l’amore di Dio agli uomini del nostro tempo, camminando insieme a loro, senza pregiudizi, coscienti che il Signore stesso cammina accanto a noi e ci viene incontro. Abbiamo un modello di vita sacerdotale ed un testimone che ci mostra le vie di Dio che si intrecciano con i sentieri degli uomini».

Al termine della Messa ha preso la parola il Superiore Generale degli Ardorini, padre Salvatore Cimino, per porgere dei ringraziamenti e saluti a tutti coloro che si sono impegnati nella organizzazione dell’incontro religioso, alle autorità presenti civili e religiose, come al Postulatore del processo, padre Francesco Maria Ricci, sempre più innamorato ed estimatore della figura del Venerabile, don Gaetano Mauro. In pochi minuti, prima della recita di una preghiera collettiva indirizzata a chiedere l’inizio di un percorso finalizzato ad arrivare, attraverso le preghiere e i buoni comportamenti, alla beatificazione del Venerabile don Gaetano Mauro.

«E’ una gioia quella dei Missionari Ardorini – ha detto padre Salvatore Cimino – che vuole essere la gioia di tutti quelli che in un modo o in altro hanno avuto, hanno e avranno la grazia di incrociare il loro cammino con quello di don Gaetano Mauro e che oggi, a partire dalle missioni Ardorine in Italia, Canada, Colombia, India e Tanzania, con cuore grato, accolgono il dono del riconoscimento da parte della Chiesa della eroicità delle virtù cristiane vissuta da questo sacerdote calabrese, conosciuto e riconosciuto come l’apostolo dei giovani e dei contadini». (fb)

I 70 Anni di sacerdozio di don Antonino Denisi

di PINO NANO – «Sono felice di aver fatto il prete per tutta la vita, e oggi ringrazio il Signore per avermi dato la forza di andare avanti ogni giorno della mia vita. Ma di questo vado anche fiero. Ho la certezza assoluta di aver servito la Chiesa di Reggio Calabria, così come anche la Chiesa di Potenza, e la Chiesa di Francesco con tutta la mia infinita passione e con tutti i miei limiti.Oggi qui a Reggio non si celebra solo la ricorrenza del mio settantesimo anno di sacerdozio, ma si celebra anche la storia della nostra gente e della nostra città».

70 anni di sacerdozio. Avete capito bene, 70 anni di missione pastorale al servizio della chiesa reggina. E’ questa la storia e la vita di don Antonino Denisi, un sacerdote di grande cultura e di grande empatia, un intellettuale della chiesa del suo tempo, che con il peso delle sue idee e il carisma della sua fede ha profondamente segnato il corso della storia della chiesa reggina. E non solo reggina.

Lo ricordo, don Antonino Denisi è stato tra i protagonisti del ventunesimo Congresso Eucaristico Nazionale, celebrato a Reggio Calabria nel 1988. In quella occasione lui ricopriva l’incarico di segretario e responsabile del servizio stampa.E come membro della Deputazione di Storia Patria per la Calabria, è stato amatissimo Direttore diocesano e regionale della Fondazione “Migrantes”, collaborando a livello nazionale alle attività della Conferenza Episcopale Italiana (Cei), nel settore della mobilità e della pastorale migratoria.
 
«Don Antonino Denisi» ha «saputo fare il prete» ma «quando ha fatto ricerca è stato uno studioso rigoroso. Una figura» che «ci ricorda – scrive lo storico Andrea Riccardi– il debito che abbiamo verso la generazione dei padri del Concilio»

«Un «erudito della vita vissuta» – aggiunge il giornalista Angelo Scelzo, che è uno dei grandi vaticanisti di questo tempo.

Quando io l’ho conosciuto per la prima volta, esattamente 40 anni fa, lui era già uno degli editorialisti più affermati e anche più sofisticati del giornale dei Vescovi Italiani, L’Avvenire, giornale per il quale io allora incominciavo a scrivere, e questo alla fine mi permetteva anche di leggere le sue cose e le sue opinioni. Che erano analisi sociologiche di grande respiro. Denunce sociali di grande impatto, appelli accorati perchè lui raccontava la sua terra come «gravemente ammalata e piena di bisogni». Un sacerdote illuminato, più che un vescovo, più che un cattedratico, più che un teologo di tradizione.

Nessuno meglio di lui sapeva raccontare la Calabria di quegli anni, e soprattutto nessuno meglio di lui conosceva le tensioni le attese e i sogni di una città difficile come allora lo era la città di Reggio Calabria.

Carattere forte, determinato, a tratti autoritario, assolutamente sempre aristocratico e solenne, un sacerdote che incuteva rispetto e ammirazione, e probabilmente all’interno del clero calabrese qualche invidia e qualche malinteso. Ma la vita di ogni famiglia che si rispetti è piena di luce e di qualche ombra di troppo.

Primo di cinque figli,  Antonino si forma al Seminario Arcivescovile di Reggio Calabria. Prima il ginnasio, poi il triennio liceale-filosofico presso il Seminario Pontificio Pio XI della stessa città. Poi ancora una Laurea nelle scienze sacre presso la Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale San Luigi di Napoli, dove discute la tesi di dottorato su L’opera pastorale di Annibale D’Afflitto, Arcivescovo di Reggio Calabria dal 1594 al 1638.

Dopo essere stato ordinato sacerdote il 21 settembre 1953 nella Cattedrale di Reggio Calabria da Monsignor Giovanni Ferro incomincia a svolgere il suo ministero sacerdotale come titolare nella parrocchia di Santo Stefano Protomartire a Santo Stefano in Aspromonte. Qui rimane dal 1955 al 1961. Dal 1961 al 1967 è vicario parrocchiale nella parrocchia di San Dionigi a Catona e Rettore della chiesa di Maria SS. del Rosario a Villa San Giovanni, e dal 1990 al 1991 è parroco titolare del Tempio della Vittoria-San Giorgio al Corso di Reggio Calabria.

Vi dicevo prima «più vescovo di tanti vescovi in carica», in realtà gran parte del suo ministero è trascorso svolgendo le mansioni delicatissime di segretario particolare di Monsignor Aurelio Sorrentino, prima a Potenza dal 1967 al 1977, e poi a Reggio Calabria dal 1977 al 1990.Poi l’ano dopo, il 1991, diventa canonico del Capitolo Metropolitano dell’Arcidiocesi di Reggio Calabria-Bova col titolo di Arcidiacono.

Non solo «più vescovo di tanti altri vescovi in carica», ma anche «più giornalista di tanti altri giornalisti» di mestiere.

Don Antonino infatti per tutta la vita non farà che scrivere, che collaborare con giornali diversi, che firmare centinaia di editoriali fondi saggi e analisi diverse, L’Osservatore Romano, Avvenire, L’Avvenire di Calabria, per lunghe stagioni della sua vita anche curatore della rubrica domenicale Chiesa e società sulla Gazzetta del Sud. Una vera e propria macchina da guerra, una fonte inesauribile di informazioni e forse anche di segreti che don Antonino si porterà dentro per sempre.

Giornalista dal 1974, dal 2005 è vicepresidente della sezione regionale dell’Ordine per la Calabria. Ha fatto parte del gruppo di Direttori dei Settimanali Diocesani che hanno dato vita al Consis ed all’agenzia Sir (Servizio di Informazione Religiosa) per il sostegno culturale ed organizzativo della stampa cattolica. Ma è stato anche, assieme all’arcivescovo Sorrentino, fondatore della rivista di cultura La Chiesa nel tempo, promuovendone la regolare pubblicazione quadrimestrale come Direttore responsabile per un trentennio. Collaboratore dei quotidiani .
Prete-Professore, ma non poteva non essere così la sua vita.

Per lunghi anni don Antonino è stato docente di Teologia morale presso l’Istituto superiore di scienze religiose di Reggio Calabria dove è stato grande maestro di Ecumenismo e di Comunicazioni Sociali.

Nessuno meglio di lui ha saputo raccontare in tutti questi anni la storia dell’emigrazione calabrese.
Non a caso è stato, per diverse legislature, componente della Consulta regionale e del Direttivo dei “Calabresi nel Mondo”, collaborando alla promozione della cultura e dei prodotti tipici della regione tra gli emigrati. Soprattutto, favorendo l’incremento e l’orientamento dell’associazionismo in emigrazione mediante circoli e club che si richiamano alla storia e tradizioni della Calabria.

Tanti gli scritti su San Gaetano Catanoso, di cui don Antonino istruì il processo di beatificazione, e poi decine di scritti su padre Dante Vittorio Forno «il sacerdote che non diceva mai basta», su Polsi, sulle radici cristiane della città di Reggio Calabria, sulle comunità cristiane di fronte alla criminalità organizzata, sullo storico delle Chiese di Calabria, padre Francesco Russo.

Un personaggio puro, insomma, a tratti anche scomodo per la spigolosità del suo carattere, ma sotto il profilo ecclesiastico un vero protagonista della Chiesa calabrese contemporanea. (pn)

Presto un Cenacolo Teologico internazionale promosso dalla Path

Si è svolta nei giorni scorsi a Istanbul la visita del Presidente della Pontificia accademia di teologia, Antonio Staglianò, al patriarca ecumenico di Costantinopoli, Sua Santità Bartolomeo I.

L’incontro ha posto le premesse per la creazione di un Cenacolo teologico internazionale ecumenico sul tema: “Dio e la violenza: tra religioni e fede cristiana”. La guerra in Ucraina ha riportato a galla un “passato cristiano” che sembrava tramontato definitivamente con quella idea ateologica che Dio possa stare dalla parte di una nazione “contro” un’altra.

Il patriarca Bartolomeo ritiene invece inammissibile e totalmente assurdo che possa essere tirato in ballo persino Gesù Cristo, il quale è morto in croce proprio per rivelare il volto santo di Dio-agape, solo e sempre amore. Se dalla parte di qualcuno Cristo deve stare, allora sta dalla parte delle vittime (tutte, ucraine e russe), mentre esige col suo comandamento dell’amore (amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi) che tutti stiano dalla sua parte, quella del perdono, dell’amicizia, della fratellanza universale.

Condividendo in pienezza la posizione di Papa Francesco – del quale più volte ha detto di stimare e amare come un vero fratello – Bartolomeo ha manifestato il suo diretto interesse per la creazione di questo cenacolo teologico ecumenico, per fare chiarezza definitiva su un dato centrale della fede cristiana: «nessun rapporto tra Dio e la violenza». Come dice Francesco, infatti, «agire con violenza in nome di Dio è satanico».

La guerra in Ucraina non pone solo problemi sociali (si pensi ai milioni di sfollati), non solo problemi politici (di riconfigurazione geopolitica dell’Asia e dell’Europa), e, ancora, non solo problemi pastorali (nel testimoniare una fede operosa, attraverso l’accoglienza e l’ospitalità), ma soprattutto problemi teologici, per l’immagine di Dio sempre “compromessa e avvelenata” in ogni guerra fatta all’insegna di “Dio lo vuole”.

«Nell’incontro con il Patriarca ecumenico – spiega mons. Staglianò – si è potuto far riferimento ad alcuni fatti della storia: al “sacco di Costantinopoli” del 1204, quando crociati cristiani massacrarono cristiani bizantini, per gli interessi economici dei veneziani. Per non parlare del 1453 quando Maometto II conquistò Costantinopoli facendo crollare l’impero bizantino definitivamente dopo 53 giorni di assedio: in ambedue i fronti il 28 maggio si pregò il proprio Dio e il 29 i primi a sferrare l’attacco furono soldati di un esercito cristiano che collaborava con il Sultano. Religiosi che massacrano religiosi, cristiani che massacrarono cristiani: davvero in nome di Dio? E poi perché Dio non ascolta le preghiere di chi si rifugia in una chiesa per impetrare protezione?».

La Pontificia accademia di teologia – in attesa dell’approvazione del nuovo Statuto dal Santo Padre, papa Francesco – sta già lavorando a nuove iniziative per una “teologia in uscita”, capace di rimettere la questione di Dio (e della Rivelazione cristiana) al centro della vita della gente comune, di quella “folla dei chiunque” a cui Gesù si rivolgeva, mentre educava i discepoli alla missione, privilegiando soprattutto loro, poveri, sofferenti, afflitti, carcerati, ma rivolgendosi a tutti. (rrm)

REGGIO CALABRIA – Grande successo per il concerto Christus Vincit

Definirlo un successo è sicuramente restrittivo, il concerto “Christus Vincit” di venerdì 19 maggio scorso diretto dal noto compositore e maestro mons. Marco Frisina che si è svolto al Teatro Francesco Cilea di Reggio Calabria, è stato un tripudio di musica, canto, preghiera, adorazione e commozione. Il concerto che da settimane aveva registrato il tutto esaurito ha visto la partecipazione di oltre 1.000 spettatori oltre a diverse autorità civili e militari e sacerdoti e religiose presenti per ascoltare i 100 coristi provenienti da varie parti della Calabria diretti dal più grande compositore di musica sacra dal Concilio Vaticano II ad oggi. Il concerto è stato presentato dal giornalista Vincenzo Malacrinò, il quale nel condurlo brillantemente ha lanciato diversi messaggi cristiani e spunti di riflessione che hanno toccato il cuore del pubblico.

Con il concerto si è concluso la terza ed ultima fase del progetto di beneficenza “Tutti insieme per l’Hospice” organizzato dall’Oratorio Sant’Agata guidato da don Giovanni Gattuso e dal Chorus Christi diretto dal M°. Antonino Ripepi della Parrocchia di Cataforio e San Salvatore in collaborazione con Chorus Inside Calabria guidato dal M°. Natale Femia e promossi dall’Ufficio Diocesano Sport, Turismo e Tempo Libero e dall’Ufficio per la Pastorale della Salute dell’Arcidiocesi di Reggio Calabria-Bova guidati rispettivamente da don Giovanni Zampaglione e don Stefano Iacopino.
Un progetto di beneficienza strutturato in tre fasi: la prima un convegno di sensibilizzazione sul tema della sofferenza, la seconda fase l’incontro di formazione sul canto sacro. Fasi che hanno culminato con il grande concerto.
Sono stati 12 i canti eseguiti: Iubilate Deo, Sono risorto, Benché sia notte, Dono di grazia, Alto e glorioso Dio, Preghiera semplice, La via dei martiri, Pacem in Terris, Madre, fiducia nostra, Ave mundi spes, Regina coeli, Canto del mare. Il filo rosso che legava tutti i pezzi eseguiti è la gioia e il desiderio di lodare Dio di coloro che hanno fatto esperienza della presenza del Signore.

Applausi convinti e protratti per il noto compositore durante tutta la serata. Non è stato solo un concerto spirituale, ma un’occasione per curare la propria interiorità, nonché una catechesi come hanno commentato commossi molti spettatori al termine del concerto.

È stato un evento ricco di musica e cultura, premiato dalla cittadinanza. Il ricavato raccolto (17.000 mila euro) che sarà interamente devoluto all’Hospice Via delle stelle nella persona del suo Presidente il dr.Vincenzo Nociti.
Mons. Marco Frisina ha ribadito come «la musica orienta il cuore di chi canta in una certa direzione, nel nostro caso e nella fattispecie del canto sacro, il fine di questo orientamento del cuore è verso Dio. È un modo – continua mons. Frisina – per donare al cuore dell’uomo la nostalgia della bellezza di Dio, la tenerezza e il suo amore. La musica sacra dovrebbe sempre dare al cuore questa serenità e questa pace perché comunica l’armonia del Creatore, la bellezza della sua Parola, i grandi valori cristiani. La musica – conclude Frisina – diventa preghiera e dilata il cuore e aiuta gli uomini a sentirsi più uomini e a ritrovare una via per riscoprire il volto di Dio nella propria esperienza concreta».
Don Gattuso al termine del concerto dichiara: «quando la fede esce dalla sacrestia diventa più credibile perché incontra i volti, i cuori e le storie della gente. Il Signore ci chiama a far fruttare i talenti con audacia e con creatività. Dio ci domanderà un giorno se ci siamo messi in gioco. Ecco – continua don Gattuso – noi oggi insieme abbiamo cercato con coraggio di impiegare i nostri talenti a servizio della persona e del bene comune. Mi piace ricordare – evidenzia don Gattuso – San Luigi Orione quando parla ai suoi sacerdoti della spiritualità dalle maniche rimboccate. Ed è proprio in tale circostanza che il santo della carità afferma che “ci vuole un illuminato spirito di intrapresa, altrimenti certe opere non si fanno: la vostra diventa una stasi, non è più vita di apostolato ma è lenta morte e fossilizzazione”».

Antonino Ripepi – direttore del Chorus Christi – afferma di essere soddisfatto che l’obiettivo del progetto “Insieme per l’Hospice”, sia stato ampiamente centrato. Il concerto oltre ad aver scatenato una incredibile gara di solidarietà, ha inaspettatamente assunto i toni di un evento di natura colossale, segno tangibile della presenza di Cristo. Le voci e la musica che si elevavano con passione e potenza alla gloria di Dio, hanno incantato la folla presente. L’interminabile standing ovation finale, tra lacrime e sorrisi, ha trasmesso a tutti noi l’abbraccio del Cristo Vittorioso.
Questo grande successo è anche frutto della sinergia tra le istituzioni, con la collaborazione dell’Istituto alberghiero di Villa San Giovanni.

Un grazie di cuore al Maestro Natale Femia, presidente di Chorus Inside Calabria, che con indiscussa professionalità e competenza, ha composto per l’occasione una grande corale, attingendo dagli iscritti alla federazione. La predetta corale è stata accompagnata dall’orchestra del Coro Polifonico Diocesano Laetare di Locri, di cui il maestro Femi è anche Direttore, ed ha eseguito in modo impeccabile i brani in scaletta.

Grazie a tutti i direttori ed ai cantori che hanno preso parte all’evento, dimostrando notevole impegno e spirito di sacrificio: Giuseppe Cappella – Coro Concordia Vox (Lamezia Terme); Natale Femia – Coro Diocesano Laetare (Locri-Gerace); Vincenzo Laganà – Coro Don Giosuè Macrì (Tropea); Chiara Ferraro – Coro Exultate Deo (Mammola); Alessandra Montenero – Coro Musica Nova (Reggio Calabria); Francesco Arena – Coro San Francesco d’Assisi (Presinaci di Rombiolo); Lilli Lanzetta – Coro Trisaghion (Reggio Calabria); Rosà D’Audino – Polifonica Aulòs (Lamezia Terme); Gaetano Antonio Stillitano – Schola Cantorum Porta Fidei (San Giovanni in Fiore). (rrc)

ROSSANO (CS) – Celebrata l’assemblea sinodale diocesana per l’avvio del 3° cantiere di Betania

“Il segno delle chiese vuote!”, “Pomeriggio del cristianesimo”, “Apateismo” nei confronti della fede e della religione, sono le parole e i concetti con cui la prof.ssa Rosanna Virgili, ha esordito durante l’assemblea sinodale diocesana che si è svolta, sabato 6 maggio, nella parrocchia Santa Maria ad Nives in Schiavonea, davanti a una platea di più di 400 persone, tra cui contavano i membri eletti degli organismi di partecipazione ecclesiale, numerosi operatori pastorali e tanti fedeli laici.

Concetti non facili da esporre, ma che hanno trovato subito eco nei cuori e nelle menti dei partecipanti risuonando come parole interpretative del momento storico socio-ecclesiale che stiamo vivendo.

“Il segno delle chiese vuote” senza liturgia comunitaria, sono tra le immagini più inquietanti del tempo di pandemia che abbiamo vissuto. Esse evocavano e ancora ci parlano del senso oscuro della fine di un mondo, di un’epoca, di una forma di cristianesimo.

Allo stesso modo la parola apateismo come nuovo termine teologico coniato dagli storici della religione, ci interpreta e ci interpella. Si riferisce alle persone che non mostrano alcun interesse, specialmente quando si tratta di Dio. E se ci riflettiamo, non sono neanche pochi. Tra esse ci siamo anche noi.

Ma è con il concetto di “pomeriggio del cristianesimo” che il nostro cuore ha cominciato a risollevarsi e a intravedere, dietro l’imbrunire e il tramonto della chiesa, una possibilità di rinascita, di un nuovo inizio come avviene con la preghiera vespertina, già preludio di un giorno nuovo secondo il mondo monastico, o come è successo nel giardino dell’Eden dove con un ritmo cadenzato scandito dal consueto “e fu sera e fu mattina”, non si chiudeva definitivamente il giorno, ma si annunciava, contemporaneamente, la nascita del giorno o meglio di un tempo nuovo.

Tramonto e aurora ci ricordano continuamente che, nel momento in cui qualcosa muore, c’è sempre un segno di rinascita, proprio come morire e rinascere sono il vero mistero della fede cristiana.

Così quello che stiamo vivendo non sarebbe forse – secondo la biblista – il tempo della fine, il tardo pomeriggio o la notte del cristianesimo ma il segno di un’alba nuova quella che il Sinodo voluto da Papa Francesco ci propone.
Ne sono una conferma i volti delle persone che con entusiasmo e con senso di responsabilità hanno aderito al cammino sinodale che in questo pomeriggio ha inaugurato il 3° cantiere di Betania, quello della formazione spirituale e della diaconie, che prevedeva una tappa formativa a livello diocesano.

Una tappa che, come ha ricordato l’arcivescovo mons. Maurizio Aloise, in apertura di assemblea, colmasse quel “debito di formazione”, lamentato da molti durante i cantieri precedenti, e registrato sin dalle prime tappe del cammino iniziato lo scorso anno.

Passare “da evento a processo”, “dall’io al noi” ricordandoci che “il tutto è superiore alla parte” è il compito che ci aspetta per imparare, sempre più a camminare insieme, per dare forma a quella circolarità e comunione inaugurate dal Concilio e ripresentato da Papa Francesco sotto forma di un “meraviglioso poliedro” che rispetta la diversità e sottolinea le differenze mantenendo quella “distanza di sicurezza” necessaria all’amore, come ha scritto Levinas. Siamo tutti pari ma non uguali. Tutti figli e fratelli tra di noi. «La chiesa nasce per fare giustizia» ci ha ricordato la prof.ssa Virgili. Tutti adulti in essa, da tutti si può imparare qualcosa.

Chi fosse passato da Schiavonea quel giorno non avrebbe certo avuto l’impressione di trovarsi in una chiesa vuota o in un pomeriggio della Chiesa, piuttosto in un nuovo mattino caratterizzato da una “Chiesa gremita” dove dall’arcivescovo è risuonato lo stesso invito rivolto da Gesù, agli operai seduti oziosi sul fare di un giorno fortunato per loro “Andate nella mia vigna!”. Invito risuonato anche alle 9 del mattino, e a mezzogiorno e persino alle 5 del pomeriggio, tale è la gioia del padrone di poter dare a tutti la gioia della ricompensa per il lavoro svolto, per il ruolo assunto nella Chiesa, per la musica della sinodalità accolta e fatta divenire stile.

Proprio come in una danza che tutti ci fa entrare nello stesso movimento, dietro al “primo ballerino”, al “presule”, parola nel cui significato si nasconde il sostantivo “Sul” che starebbe ad indicare danza, movimento e che non permette a nessuno di ritenersi escluso, o fuori dalle danze, esule appunto nella chiesa, che sogniamo e che con senso di responsabilità ci stiamo impegnando a costruire.

È questo il senso del mandato ai membri degli organismi di partecipazione parrocchiale, consegnato da mons. Aloise al termine dell’assemblea, accogliendo il loro “sì alla diaconia nella Chiesa” e inviandoli, confermati nell’entusiasmo e nel senso di responsabilità dimostrato, aderendo all’invito a farsi collaboratori attivi dei loro “presuli”, dei loro sacerdoti chiamati ad aprire la danza della sinodalità che lo Spirito Santo sta già suonando in questo nuovo mattino della Chiesa. (rcs)

L’arcivescovo di Reggio, Fortunato Morrone, ha ‘ricevuto’ il pallio da Papa Francesco

È stato consegnato all’arcivescovo metropolita di Reggio Calabria-Bova, mons. Fortunato Morrone, il pallio da Papa Francesco, in occasione delle celebrazioni Eucaristica dei Santi Pietro e Paolo.

Il pallio, (derivato dal latino pallium, mantello di lana) «è costituito da una striscia di stoffa di lana bianca avvolta sulle spalle. Rappresenta – per la sua forma e materiali – l’agnello portato sulle spalle, come simbolo del vescovo in quanto Buon Pastore (le due strisce terminali di seta nera simboleggiano gli zoccoli della pecora), e insieme l’agnello crocifisso per la salvezza dell’umanità perduta; questo spiega anche l’uso della lana e delle sei croci decorative trapassate con gli spilloni (simbolo dei tre chiodi della croce di Cristo), è stato semplicemente consegnato e non imposto».

Il Pallio, infatti, sarà imposto nella rispettiva sede metropolitana, in modo da dare la possibilità ai fedeli di partecipare a questo importante rito, «che sottolinea la relazione di comunione tra il Santo Padre e i nuovi arcivescovi, sancendo allo stesso tempo un legame con la Chiesa locale».

Pallio
Il Pallio

Nel corso dei secoli, il pallio è divenuto simbolo di un legame speciale con il Papa ed esprime inoltre la potestà che, in comunione con la Chiesa di Roma, il metropolita acquista di diritto nella propria giurisdizione: «Segno liturgico della comunione che unisce la Sede di Pietro e il suo Successore ai Metropoliti e, per loro tramite, agli altri Vescovi del mondo è il pallio…» (Benedetto XVI).

I due agnelli la cui lana è destinata, nell’anno successivo, alla fattura dei pallii, vengono allevati dai monaci trappisti dell’Abbazia delle Tre Fontane a Roma. Dal 1644 essi vengono benedetti dall’Abate Generale dei Canonici Regolari Lateranensi nella Basilia sulla Via Nomentana Complesso monumentale di Sant’Agnese fuori le mura nel giorno in cui si fa memoria della santa, il 21 gennaio e poi portati al Papa nel Palazzo Apostolico. Il pallio viene tessuto e cucito dalle suore di clausura del convento romano di Santa Cecilia in Trastevere. (rrm)