LA SCARSA PRODUTTIVITÀ IN PARLAMENTO
SONO DELUDENTI I NUMERI DEI CALABRESI

di FABIO PUGLIESE – La 18esima legislatura della Repubblica Italiana, iniziata il 4 marzo 2018, volge ormai al termine ed il prossimo 25 settembre nascerà un nuovo Governo. Molti dei parlamentari uscenti, in totale sono 30, non sono stati ricandidati e solo per alcuni vi è stata la possibilità di una ricandidatura che potrebbe rivederli tra i 19 parlamentari che la Calabria eleggerà, a seguito del taglio dei parlamentari, appunto il prossimo 25 settembre.

Come hanno lavorato i parlamentari uscenti che aspirano ad essere rieletti? Per capirlo basta andare sul sito web Open Parlamento all’interno del quale è riportato minuziosamente e nel dettaglio tutta l’attività che ogni singolo parlamentare calabrese ricandidato per la prossima legislatura ha svolto negli ultimi 5 anni.

Il bilancio è netto e concorre a farci comprendere quale sia la dimensione di una incapacità politica che la Calabria, negli ultimi anni, ha pagato molto caro anche e soprattutto per merito di una classe politica parlamentare letteralmente miracolata, inetta ed incapace Nel collegio uninominale Cosenza – Tirreno per il Movimento 5 Stelle è candidata Anna Laura Orrico che è anche candidata nel plurinominale insieme ad Enza Bruno Bossio del Partito Democratico. Il confronto tra queste due parlamentari è praticamente inesistente. La Orrico in 5 anni produce davvero molto poco: 2 disegni di legge (di cui nessuno approvato), 1 mozione, 14 interrogazioni a risposta scritta, 2 interrogazioni in commissione, 4 ordini del giorno in assemblea e 3 emendamenti. Enza Bruno Bossio in 5 anni ha presentato ben 16 disegni di legge di cui 6 approvati, una mozione, 3 interpellanze, 10 interrogazioni a risposta orale, 17 a risposta scritta e 32 in commissione. Sono 2 le risoluzioni in commissione, una risoluzione conclusiva, 28 ordini del giorno in assemblea e 158 emendamenti.

Nel Collegio Catanzaro i parlamentari uscenti che aspirano ad essere rieletti sono Wanda Ferro (Fratelli d’Italia – Lega – Forza Italia), ed Elisa Scutellà (Movimento 5 Stelle). Anche qui il confronto è imbarazzante. La Ferro in 5 anni di opposizione al Governo presenta 5 proposte di legge cui una approvata “in materia di compensazione dei crediti maturati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione”. Elisa Scutellà 2 e nessuna approvata. La Ferro presenta 208 interrogazioni a risposta scritta e 29 in commissione. La Scutellà appena 8 interrogazioni a risposta scritta e nessuna interrogazione in commissione. Sono 80 gli ordini del giorno presentate in assemblea dalla Ferro contro le 8 della Scutellà. In 5 anni la Ferro presenta 376 emendamenti contro i 5 della Scutellà…

Nel Collegio Vibo Valentia – Reggio Tirrenica i parlamentari uscenti che ambiscono ad essere rieletti sono la ex “grillina” Dalila Nesci sostenuta dalla coalizione che comprende anche il PD e Riccardo Tucci (Movimento 5 Stelle).  Nesci, che oggi è espressione del partito di Di Maio, in 5 anni presenta 11 disegni di legge di cui 5 approvati. Tucci, invece, niente… Proprio niente. Incredibile ma vero: proprio niente…

Al fine di favorire una buona analisi i è ritenuto opportuno dare rilevanza a tutto ciò che i parlamentari hanno prodotto come primi firmatari. Ciò è importante poiché molto spesso i parlamentari sono co-firmatari di atti su cui non hanno lavorato ma che firmano solo per favorire il collega di partito primo firmatario che coglie l’opportunità di dare peso al proprio lavoro raccogliendo più firme di parlamentari.

Eclatante, infine, il caso di Corigliano-Rossano. Ho voluto approfondire l’analisi per capire anche qual è il risultato prodotto in questi ultimi 5 anni dai quattro parlamentari nella terza città della Calabria dai parlamentari Abate, Forciniti, Sapia e Scutellà. Quest’ultima è la sola ad essere stata ricandidata (peraltro nel collegio di Catanzaro…). Mentre l’Abate, Forciniti e Sapia come è noto non sono stati ricandidati.

In pratica la somma di tutto ciò che in 5 anni è stato prodotto da tutti e 4 i parlamentari del Movimento 5 Stelle eletti a Corigliano-Rossano nell’ultima legislatura è al di sotto di ciò che il solo Giovanni Dima, da onorevole eletto alla Camera dei Deputati della Repubblica Italiana nella 16esima legislatura, ha prodotto da solo nei 5 anni che vanno dal 2008 al 2013. La scelta del confronto con l’on. Dima è dovuta al fatto che Corigliano-Rossano nella 17esima legislatura non ha eletto parlamentari. Quindi, andando a ritroso nel tempo, il primo confronto utile è con l’on. Dima eletto, appunto, nella 16esima legislatura.

Ciò che è emerso lascia davvero senza parole.

Negli ultimi 5 anni l’on. Rosa Silvana Abate ha presentato al Senato della Repubblica italiana solo 2 disegni di legge. I colleghi eletti alla Camera dei Deputati on. Scutellà solo 2, l’on. Forciniti solo 2 e l’on. Sapia 5. In totale, tutti e 4, hanno presentati 11 disegni di legge. L’on. Giovanni Dima da solo, in 5 anni, presentò 12 disegni di legge.

L’on. Abate e l’on. Scutellà in 5 anni non hanno presentato neanche una mozione. L’on. Forcini solo una mentre l’on. Sapia ne presenta 2. In totale 3. Dima, in 5 anni, ne presentò 2.

L’on. Forciniti in 5 anni non presenta neanche una interpellanza. L’Abate e la Scutellà una a testa mentre Sapia ne presenta 7. Tutti e 4 ne presentano in totale 9. Dima, in 5 anni, ne presentò solo 2.

La senatrice Abate in 5 anni ha presentato 8 interrogazioni a risposta orale e 3 a risposta scritta. La deputata Scutellà ne presenta 2 a risposta orale e 8 a risposta scritta, il collega Forciniti solo 1 a risposta orale e solo una a risposta scritta mentre Sapia ne presenta 2 a risposta orale e 90 a risposta scritta. In totale, i 4 parlamentari eletti a Corigliano-Rossano hanno presentato 115 interrogazioni. L’on. Dima da solo, in 5 anni, non presenta neanche una interrogazione a risposta orale ma sono ben 129 quelle a risposta scritta!

La senatrice Abate in 5 anni presenta in tutto 4 risoluzioni. Neanche una per Scutellà, Forciniti e Sapia. L’on Dima in 5 anni da solo ne presenta in tutto 6.

Dima viene superato solo per ordini del giorno (ne presenta 5), contro i 15 dell’Abate, gli 8 della Scutellà, i 28 di Forciniti ed i 25 di Sapia. E per emendamenti poiché Dima ne presenta 14 contro i 200 dell’Abate, i 5 della Scutellà, i 2 di Forciniti ed i 7 di Sapia.

In definitiva, stupisce il dato sull’indice di produttività. Questo prende in esame il numero, la tipologia, il consenso e l’iter degli atti presentati dai parlamentari in modo da poterli confrontare tra di loro. In pratica valuta, in parole povere, la qualità del loro operato svolto nella legislatura.

All’on. Giovanni Dima viene attribuito un voto pari a 179,6. L’on. Francesco Sapia 58,1, l’on. Abate 34,0, l’on. Forciniti 27,5 e l’on. Scutellà 21,9.

Tutti i 4 parlamentari eletti nel Movimento 5 Stelle nella 18esima legislatura a Corigliano-Rossano in totale ottengono un indice di produttività sommato pari a 141,5 che è inferiore a quello ottenuto dal solo on. Dima nella 16esima legislatura (pari, appunto, a 179,6).

Tutti questi parlamentari sono stati – come direbbe Beppe Grillo – “pagati con i soldi dei cittadini” in quanto sono di fatto “dei nostri dipendenti”. È evidente, tuttavia, che mentre alcuni hanno svolto un lavoro tutto sommato accettabile altri, invece, hanno lavorato poco o nulla. Quest’ultimi, il dato lo conferma in modo inconfutabile, sono soltanto i parlamentari ricandidati nel M5S… (fp)

TRA BELLE PAROLE E PATETICHE PROMESSE
I POLITICI AFFOSSANO SEMPRE DI PIÙ IL SUD

di GIOVANNI MOLLICA – I risultati elettorali rispondono a dinamiche molto variegate che vanno dalla simpatia verso il leader di un partito alla personale, egoistica convenienza dell’elettore. Esempi tipici di queste motivazioni sono la diffusa antipatia nei confronti di Matteo Renzi e l’incrollabile difesa del Reddito di Cittadinanza da parte di Giuseppe Conte.

Con queste propensioni, più o meno istintive, convivono tanti altri impulsi, tra i quali vi è anche il modello di società nella quale ognuno di noi vorrebbe vivere. Coloro che considerano importante il valore della solidarietà sentiranno maggiore affinità con i partiti che la perseguono; chi vive in un quartiere pericoloso darà il suo appoggio ai paladini della sicurezza e così via. In questo legittimo intreccio di sentimenti è un sano esercizio intellettuale tentare di demolire le convinzioni che semplificano troppo la complessa logica delle votazioni; in omaggio all’invito di Popper: “Ogni mattina, appena svegli, bisognerebbe impegnarsi a sfatare un qualche luogo comune”.

Uno di quelli che vanno per la maggiore è che la crescita del M5S a Sud sia prevalentemente dovuta al Reddito di cittadinanza. Comodo riscontro all’accertata (?) vocazione parassitaria dei meridionali. Convinzione che, tafazzianamente, trova numerosi sostenitori in quel Sud che del RdC è il primo beneficiario.

A nessuno (o quasi), sembra venire il dubbio che le ragioni del consenso ai 5S non risiedano invece nella totale assenza di progetti per lo sviluppo del Mezzogiorno da parte delle altre forze politiche. Non ci riferiamo alle poche (pochissime e patetiche) promesse inserite a forza nei programmi dei partiti, ma all’evidente incapacità di capire cos’è la Questione meridionale o, peggio, la precisa volontà di non affrontarla.
“Risollevare l’Italia partendo dal Sud…”; “Estensione dell’AV in tutto il territorio italiano…”; “…sviluppare le infrastrutture necessarie a collegare il nostro Paese con le grandi reti di trasporto transeuropee (TEN-T)… rilanceremo e potenzieremo il Piano Sud 2030” sono solo alcune delle generiche e stucchevoli proposte mirate a dare una risposta al dramma di milioni di cittadini di serie C, il cui reddito pro capite è del 40% inferiore alla media europea.

Quale serio economista, sensibile sociologo, esperto di trasporti e logistica o semplice (ma vero) responsabile politico può credere che queste siano credibili proposte per la rinascita del Mezzogiorno? Più sincero, nella sua totale indifferenza ai problemi del Sud il programma del Terzo Polo, che si limita a promette di: “…proseguire ulteriormente la Palermo-Catania-Messina e realizzare i primi lotti funzionali delle direttrici Salerno-Reggio Calabria e Taranto-Potenza-Battipaglia affinché entrambe possano essere realizzate. . È necessario inoltre potenziare le reti ferroviarie regionali e interregionali, soprattutto in Sicilia”.

Cioè a non fare nulla di più di quanto oggi già programmato. Cioè nulla di ciò che l’Ue ha richiesto urgentemente (entro il 2026) all’Italia con il Next Generation UE.

Senza addentrarci in analisi che, nella sostanza, ipotizzano gravi carenze nella cultura politica del Paese, offensive per tutti i leader politici e i loro consiglieri, saltiamo alle conclusioni: la banale, mal strutturata e semplicistica richiesta del M5S è l’unica offerta politica esistente.
L’alternativa è il nulla.

Ciò tristemente premesso, i sondaggi danno ancora vincente il cdx ma dicono anche che Pd + M5S + Azione + Sinistra, se fossero rimasti uniti, sarebbero stati certamente competitivi. Se non vincenti. Affermazione puramente teorica, priva di riscontri pratici, che dà adito a qualche altra riflessione.

La prima è che l’idea del “Campo largo” di Enrico Letta non era tanto… campata in aria, bensì era l’unica tattica che dava al Pd la speranza di restare al governo del Paese. Che è il principale obiettivo di una sinistra (?) romanamente politeistica che va da Turati a Gramsci, da Berlinguer a Craxi e da … D’Alema a Letta. Sapeva di perdere, Enrico, e così ha cercato l’alleanza impossibile con 5S, Leu e Calenda. Renzi non lo nominiamo perché, a nostro parere, i suoi obiettivi erano e restano altri. La speranza del segretario Pd era di prenderli come alleati e trasformarli giorno dopo giorno in subordinati. Tutti insieme pur di non far vincere la destra.
Pare non esserci riuscito.

Eppure, aveva chiuso facilmente l’accordo con Verdi e sinistra estrema, pronti a sacrificare qualsiasi ideale – centrali a carbone, rigassificatori, termovalorizzatori, rendite finanziarie e trickle down – pur di avere uno scranno. Purtroppo per lui, Enrico ha cozzato con le speranze dei 5S e di Azione di contare nel panorama politico italiano. I loro obiettivi si sono dimostrati più elevati del tristo mantenimento del potere e hanno mantenuto qualche residuo di idealità.

Confusa, barricadera e sprovveduta quella dei primi, elitaria, pseudo tecnicistica, miope e da fine anni ‘80 quella dei secondi. Così è miseramente fallito il GPPP (Grande Piano Per il Potere) del Pd e il suo insuccesso determinerà, quasi certamente, la fine della segreteria Letta.

Liberatisi dall’abbraccio mortale del segretario pisano dallo sguardo di gattino impaurito, il M5S vola verso il 15% e Azione verso il 10%. Con questi numeri, condizioneranno Meloni & Co.

Ci rendiamo conto che la nostra è solo un’interpretazione, per quanto suggestiva e stimolante, che si presta a innumerevoli contestazioni ma credo che un’amara conclusione sia incontestabile: non c’è nei partiti politici di oggi alcuna volontà di abbandonare la strategia a trazione settentrionale (continuando, così, ad affossare il Paese) e, per il Sud, l’alternativa resta quella di molti decenni fa: assistenzialismo o abbandono.

Non resta che individuare singoli uomini e donne, a livello nazionale e locale, per aiutarli a diventare leader di caratura nazionale, capaci di dare al Sud quell’insostituibile ruolo nel panorama euromediterraneo che la geografia gli assegna mai i governi nazionali gli negano. Per portare avanti questo disegno dovranno lottare contro tutti. Speriamo che non debbano lottare anche contro gli elettori meridionali. (gmo)

L’EMERGENZA DEMOGRAFICA IN CALABRIA
NON FIGURA NEI PROGRAMMI ELETTORALI

di GIUSEPPE DE BARTOLOCon la presentazione delle liste, frutto di una legge che mortifica la libertà di scelta dell’elettore e che favorisce il fenomeno dell’astensionismo, è entrato nel vivo il dibattito sui temi della campagna elettorale, dibattito che vede fino ad oggi la prevalenza degli argomenti legati alla crisi energetica e all’inflazione, conseguenze della guerra in Ucraina.

Molti altri temi, pur importanti, sembrano del tutto trascurati, tant’è che per un loro esame puntuale bisogna andare a spulciare i programmi delle coalizioni e dei singoli partiti, operazione che l’elettore comune difficilmente farà. In questa nota ci limiteremo a esaminare, seppur brevemente, quali contenuti demografici vi sono nei programmi di questa tornata elettorale e quali variazioni è possibile cogliere rispetto a quelli delle elezioni del 2018, argomenti che in questi ultimi anni hanno tenuto banco, tant’è che il termine “emergenza demografica” lo ritroviamo ormai nel linguaggio di tutti i giorni, con prese di posizione anche autorevoli per le conseguenze sul welfare familiare, sul sistema pensionistico e su molti altri aspetti della vita economica.

Ricordiamo che nella tornata elettorale del 2018 il sostegno alle famiglie e alla natalità aveva avuto una forte rilevanza sia per la preoccupazione di certi ambienti politici che la diminuzione della popolazione, certificata dai dati e dalle previsioni Istat, potesse essere colmata dagli immigrati sia per le conseguenze economico-sociali prodotte da una fecondità molto lontana dalla soglia di rimpiazzo delle generazioni di 2,1 figli per donna. La presa di coscienza che quella demografica fosse un’emergenza tra le più sottovalutate nella storia d’Italia si tradusse allora in proposte a sostegno della famiglia molto generose ma poco articolate per valutarne la reale fattibilità. Esaminiamo dunque più in dettaglio come il tema “demografia” sia variato nei programmi dall’elezione del 2018 a quella del 2022. Riteniamo che questo non sia un esercizio fine a sé stesso ma utile per cogliere cambiamenti degli atteggiamenti dei partiti non esplicitamente dichiarati.

Nel 2018 il Movimento 5Stelle, come all’epoca sottolineava Neodemos, partendo dalla constatazione del forte gap tra fecondità desiderata e realizzata, aveva dedicato al tema della fecondità un punto specifico del suo programma, promettendo un consistente aiuto alle famiglie con figli e un sistema fiscale basato sul quoziente familiare come in Francia. Nel programma del 2022, invece, non troviamo un esplicito riferimento alla denatalità ma una semplice elencazione di misure a sostegno delle donne (parità salariale, pensione anticipata per le mamme lavoratrici, sgravi per l’assunzione delle donne in gravidanza ecc.).

La coalizione PD, nel Capitolo Diritti e cittadinanza, manifesta l’impegno alla promozione di politiche di sostegno per la famiglia, anche per affrontare il problema della povertà infantile, della natalità e dell’inverno demografico, promettendo di migliorare l’Assegno unico universale e rivedere il peso della prima casa nel calcolo dell’ISEE. È prevista anche la realizzazione di un’Agenzia di Coordinamento delle politiche migratorie, un piano straordinario per l’occupazione femminile e l’impegno a costruire “un paese per giovani”.

Il Centro Destra, che nel 2018 presentava misure ben dettagliate sul tema demografico, nel programma odierno, nel punto Sostegno alla famiglia e alla natalità, ripropone le medesime misure che vanno dall’allineamento alla media europea della spesa pubblica per l‘infanzia e la famiglia, all’aumento dell’assegno unico e universale, alla progressiva introduzione del quoziente familiare e alle politiche di conciliazione lavoro famiglia per madri e padri. Molto dettagliati risultano gli argomenti riguardanti la sicurezza e il contrasto della legalità in linea con la tradizione politica di questo raggruppamento.

Infine, nel programma di Azione –Italia Viva – Calenda viene data enfasi agli interventi per combattere lo spopolamento e la desertificazione delle aree interne; all’impegno a realizzare il Family Act, e a misure riguardanti il welfare e terzo settore con particolare attenzione alla promozione dell’invecchiamento attivo.

Vi è anche un riferimento alle modalità di copertura finanziaria. Naturalmente, quanti di questi punti programmatici troveranno un’effettuale realizzazione da parte del governo che entrerà in carica dopo il 25 settembre, stante le risorse disponibili e il quadro internazionale attuale, è veramente difficile da immaginare. (gdb)

[Giuseppe De Bartolo è docente di Demografia all’Università della Calabria]

LA SPINA DELLE ELEZIONI È IL NON VOTO
LA CALABRIA È LA CENERENTOLA D’ITALIA

di VITTORIO ZITOAlle 23 del prossimo 25 settembre ci sarà un dato che sarà subito commentato nelle varie maratone elettorali in Tv: l’affluenza alle urne. La Calabria, con ogni probabilità, sarà ancora una volta la Cenerentola d’Italia e questa distanza dei calabresi dall’esercizio della massima espressione di dovere civico sarà assunta come metro per tesi, analisi e giudizi degli ospiti negli studi televisivi. 

Ma la bassa affluenza alle urne rischia di essere un dato presente in maniera capillare su tutto il territorio nazionale. Alle prime elezioni repubblicane per la Camera dei deputati partecipò al voto oltre il 92% della popolazione. Alle elezioni del 2018 nemmeno il 73%. Alle consultazioni europee del 2019 ha partecipato al voto meno del 55% degli elettori. Di fronte a questi numeri dobbiamo porci alcune domande e chiederci, quindi, quali siano le reali cause dell’astensionismo, quali gli effetti e, infine, quali i possibili rimedi. 

Partiamo dagli effetti. L’astensionismo è un sintomo della crescente sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni democraticamente elette e incide direttamente sul livello di rappresentatività del Parlamento. Ma l’astensionismo è sintomo che aggrava la malattia, nel senso che, in un circolo vizioso, alimenta ulteriormente quella sfiducia, genera istituzioni democraticamente elette poco rappresentative dei cittadini e causa un vulnus nel funzionamento di un sistema democratico minandone le basi che si fondano necessariamente sulla partecipazione dei cittadini alle elezioni. Ma a fronte di questa vera e propria malattia della democrazia, le forze politiche e i media discutono di quest’argomento solo pochi giorni prima di un voto, e qualche giorno dopo. Tra un’elezione e l’altra, quando si potrebbero adottare misure concrete, la questione esce dalle agende politiche.

Veniamo alle cause, la cui analisi deve essere rigorosa perché solo su una analisi rigorosa si possono fondare i rimedi. Sul web si trova una pubblicazione a cura del Dipartimento per le Riforme Istituzionali che analizza con puntualità il fenomeno dell’astensionismo. Uno studio portato avanti da una Commissione Scientifica molto autorevole che ha redatto un documento parecchio interessante, finito però in qualche cassetto nel dimenticatoio delle analisi politiche. Lì viene spiegato che il dato “astenuti” fotografa fenomeni profondamente diversi con un unico scatto. E che per questo motivo quella foto deve essere spiegata per essere compresa. 

Lo studio qualifica tre diverse tipologie di astenuti: gli alienati, portatori di una sfiducia irredimibile nei confronti del voto e delle istituzioni democratiche, e che non votano mai; gli indifferenti, che guardano con profondo disinteresse alle elezioni, sono disinformati e non hanno alcuna voglia di informarsi, e per questo non votano, ma in certe condizioni potrebbero votare; gli involontari, che vorrebbero votare, ma sono oggettivamente impossibilitati a farlo. Quest’ultima categoria di persone meriterebbe la massima attenzione da parte della politica, perché è dovere primario della politica rimuovere le barriere che impediscono l’esercizio del voto. 

Gli astenuti involontari appartengono per la stragrande maggioranza a due macrogruppi: gli Italiani che risiedono all’estero e che sono iscritti all’Anagrafe loro dedicata (AIRE); i cittadini che, come lavoratori, universitari o studenti di un ciclo scolastico, sono domiciliati lontano dal proprio luogo di residenza. 

Facciamo l’esempio di Roccella, dove alle ultime comunali hanno votato 4.085 elettori, pari al 53% degli aventi diritto al voto. Secondo le statistiche ufficiali non ha votato il 47% dei miei concittadini. Un dato impressionante, che restituisce a chi lo legge la fotografia di una comunità rassegnata, disillusa e distante dalla politica, che rinuncia addirittura a dire la sua per determinare il futuro della propria città. 

Ma analizziamo meglio lo “scatto” restituito dalle statistiche ufficiali (la foto  sulla quale disserterebbero nelle maratone elettorali). 

Dei 7.625 aventi diritto al voto, ben 2.285 risiedono all’estero e non possono votare per corrispondenza alle amministrative. Mi chiedo se abbia senso inserirli nel calcolo dell’affluenza, atteso che la concreta possibilità che essi votino è nulla. Per cui le persone che effettivamente avrebbero potuto votare erano 5.340 e di queste ben 4.085 ha votato, pari al 76,5%. Ecco quindi una foto profondamente diversa, una comunità viva, che crede nell’esercizio del voto come strumento per determinare il suo futuro e come primario dovere civico. 

E guardiamola ancora meglio quella foto. Tra le 1.255 persone che pur potendo votare non lo hanno fatto ci sono, come dicevamo, gli alienati, gli indifferenti e gli astenuti involontari. Focalizziamoli meglio questi ultimi che, secondo la ricerca a cui ho accennato prima, per la Calabria rappresentano il 7,1% degli elettori. A Roccella sono circa 400. Perché sono astenuti involontari? Perché l’esercizio del diritto di voto è talmente reso difficile dal dovervi rinunciare. Perché tornare a votare costa troppo, perché è impossibile in termini di tempo, salvo prendersi qualche giorno di ferie, perché perdere 3 giorni di lezione in università è impossibile e per altri problemi simili che chi va a votare a cento metri da casa certamente non patisce.

Se anche gli astenuti involontari avessero avuto la possibilità di votare, i votanti a Roccella sarebbero stati 4.485, facendo aumentare di 10 punti percentuali l’affluenza sugli aventi diritto al voto e portando all’83% la percentuale di chi, potendo materialmente, avrebbe esercitato il proprio dovere di cittadino. 

Infine i rimedi. Il primo molto semplice: comunicare meglio il significato dei numeri dell’astensionismo, distinguendo quello “censito”, calcolato secondo i dettami di legge, da quello “reale”, che tiene conto dei fattori propri dell’astensionismo involontario. Questo perché c’è il rischio serio che il fenomeno si autoalimenti per emulazione. Che quindi un astenuto indifferente, sentendo che a votare alle comunali di Roccella ci è andato solo il 53% degli elettori, si senta nel giusto, senta di far parte di un gruppo importante, che cresce di giorno in giorno. E che addirittura anche chi magari a votare ci è andato, di fronte a quei numeri, possa pensare che è stata inutile la sua partecipazione e che forse è meglio la prossima volta essere indifferente.

Il secondo rimedio può essere quello di chiedere a tutti i candidati calabresi di impegnarsi, dalle posizioni di maggioranza o opposizione, per promuovere un “patto per il coinvolgimento dell’elettorato” che veda uno sforzo congiunto al fine di individuare modalità per agevolare la partecipazione alle elezioni da parte dei cittadini che temporaneamente si trovano in Italia ma fuori dal luogo di residenza per motivi di studio, salute o lavoro. Questa fetta dell’elettorato riguarda in particolare gli studenti universitari fuori sede, che sono tantissimi in Calabria e nei cui confronti abbiamo il dovere di garantire il diritto alla partecipazione elettorale. Le modalità per l’esercizio del voto fuori sede ci sono. Basta solo normarle, come fu fatto per i residenti all’estero.

L’ultimo rimedio è quello di intervenire costantemente, e non solo in prossimità delle elezioni, per superare i principali gap informativi facendo sentire il cittadino elettore parte della vita istituzionale del Paese. Come? Con iniziative nelle scuole e campagne di comunicazione che promuovano l’importanza della partecipazione e l’uso della scheda bianca o l’annullamento del voto come extrema ratio per significare la lontananza dalle proposte in campo, senza rinunciare ad essere cittadini.

Ciò che dobbiamo auspicare è, in definitiva, che si possa passare dalla discussione sulla astensione dal voto ad una discussione che individui subito gli strumenti utili per una estensione delle possibilità di voto. Ne va della tenuta stessa delle nostre istituzioni. (vz)

SOCIAL ED ELEZIONI IN QUESTA CAMPAGNA
CHE IL DIGITAL DIVIDE RENDE COMPLICATA

di FRANCESCO RAO – In una regione come la Calabria nella quale il 4,4% dei residenti non ha alcuna competenza digitale, il 47,9% ha basse competenze, il 22,5% ha competenze di base, mentre le competenze digitali alte interessano il 25,2% dei calabresi, la questione afferente al Digital Divide che si lega all’analfabetismo funzionale, rischia di non rendere possibile la comprensione dei segnali lanciati in rete dai vari leaders politici, sempre più intenti a svolgere la loro campagna elettorale anche tramite social. 

Questa considerazione non vuole essere una limitazione per quanti posseggono uno smartphone o un tablet e durante la giornata seguono le varie notizie riconducibili alla propaganda elettorale ma vuole essere una via nella quale poter tentare di analizzare ed osservare l’evoluzione della volontà del voto.

Intanto, vi è una novità sulla quale riflettere e tale circostanza, per una volta, non divide il Paese tra Nord e Sud ma a quanto pare lo unisce. I video prevalgono sui testi in quanto rendono maggiormente veloce la capacità di veicolare l’argomento scegliendo di volta in volta la brevità dei contenuti, la linearità dell’argomento e il diretto coinvolgimento dei contenuti, apparentemente su misura per tutti gli spettatori. Viene sempre meno utilizzato il ricorso a lunghi post nei quali poter articolare il percorso lineare di una progettualità politica da attuare entro una Legislatura. Insomma, con i social non si segue più tutto il Campionato di calcio, ci si limita ad assistere alla sola fase dei rigori.

In un passato piuttosto recente, eravamo abituati a campagne elettorali nelle quali emergevano ampie discussioni, avviate di solito con largo anticipo dai vari leaders dei partiti politici per costruire il consenso da raccogliere poi con i voti espressi dagli Elettori. Spesso partiva tutto dalle piazze. In esse venivano riversati i malesseri sociali e, molti di quei temi, divenivano l’oggetto specifico per avviare discussioni e confronti portati persino nell’agenda politica trattata all’interno dell’emiciclo costituzionale, dove ai lavori delle rispettive Camere si aggiungevano proprio quei temi, divenendo molte volte l’origine di numerosi provvedimenti legislativi. Quel modello, comparato alle attuali campagne Elettorali, divenute ormai un fatto permanente ha poco in comune.

Saranno mutate le esigenze sociali? La diffusione dei social e la loro potente pervasività hanno veramente inciso sulle strategie comunicative? Oggi, ha più paura la classe politica di rimanere isolata oppure è la società ad essersi isolata, perché completamente disaffezionata alla politica?

Cerchiamo di mettere un po’ in ordine il puzzle e, seppur il compito sia arduo, proviamo a sviluppare una breve riflessione, anteponendo con dovuta lucidità che si tratterà di un piccolissimo passo per poter affrontare un dilemma molto complesso.

Per non dover partire dal peccato di Adamo ed Eva, rischiando di tediare i lettori, vorrei richiamare una fase particolarmente importante per il nostro modo di vivere, dettato dalla rapida diffusione di un fenomeno sociale avente una portata di dimensione più ampia di quanto si possa immaginare: l’insorgenza della società dei consumi.

Questo sentimento, sviluppatosi molto velocemente a partire dalla metà del Secolo scorso, di fatto ha contribuito a stemperare l’intensità ideologica dalla quale si era usciti dopo il 25 Aprile del 1945. La frattura sociale, apertasi con l’avvento del periodo fascista durante il Ventennio, alla sua conclusione, ha lasciato allo stremo gli italiani. Difatti, alla fine della dittatura, escludendo il periodo di guerra, la situazione per la maggior parte della popolazione era peggiorata (ma la propaganda ne impediva la diffusione dei dati e soprattutto del malcontento). 

In particolare, rispetto al 1923, nel 1938 i salari reali erano scesi di circa il 20%, niente al cospetto dell’attuale inflazione. La fine del Secondo conflitto Mondiale e l’affermazione del modello Repubblicano, hanno poi reso indispensabile l’avvio della ricostruzione. 

Tutto ciò servì a ridefinire la chiusura della frattura sociale pregressa con l’apertura di una nuova fase, identificabile per facilità metodologica come una lunga parentesi sociale durata sino al 2008. In realtà, la causa che alimentò l’onda lunga della crisi nella quale ancora oggi siamo avvolti è principalmente individuabile con lo scoppio della bolla speculativa, originata negli Stati Uniti, mediante il diffondersi della crisi finanziaria. 

La crisi portò alla recessione le economie di tutto il mondo, che in qualche modo sono tutte collegate a quella degli Stati Uniti, nonostante i numerosi tentativi di salvataggio messi in atto dalla politica a livello planetario le conseguenze della crisi furono piuttosto gravi e per molti versi continuano tuttora. Di tali circostanze, ognuno di noi, nel corso del tempo, è stato costretto a pagarne un prezzo. 

A ciò, oggi si aggiungono gli effetti determinati a seguito della guerra tra Russia e Ucraina e l’insieme delle sanzioni comminate alla Russia del blocco Atlantico iniziano ad essere un vero e proprio boomerang, soprattutto per l’Italia. Nel Meridione d’Italia, come già detto in più occasioni, la disoccupazione è crescente e alla riduzione della disponibilità economica si aggiungono l’inflazione e il sempre più alto costo dell’energia.

 Tutto ciò, all’interno dei mercati finanziari sta generando un vero e proprio blocco dei i processi economico-produttivi, incidendo notevolmente a livello strutturale ed espandendosi velocemente facendoci contare oltre all’aumento del costo della vita, le aziende pronte a chiudere ed i disoccupati in preda al panico.

Dall’altra parte si assiste allo sviluppo ed alla diffusione della comunicazione di massa, grazie alla diffusione della rete internet. l’importantissimo ruolo svolto dalla rete, in pochissimo tempo si è rivelato fondamentale anche per politica. 

Se Obama venne chiamato presidente YouTube ci sarà stato sicuramente un motivo. In quella fase storica, nessuno poteva immaginare che la politica, nel giro di pochissimi anni, potesse snaturare l’importanza del rapporto umano ridisegnando un nuovo anello di congiunzione tra partiti e movimenti politici con le masse sociali, traslando tale azione dal mondo reale al mondo virtuale. Eppure, è stato così. 

Oggi la notizia non è più la ricetta per sanare l’economia ma il partito che da Instagram o Facebook sbarca su Tik Tok senza considerare l’immane quantità di dati consegnati in mano al gestore della piattaforma. 

L’intento dovrebbe essere quello di coinvolgere al voto i più giovani ma non conoscendo il lessico della Gen Z, le loro aspettative e la loro storia il tutto potrebbe tradursi in un vero e proprio boomerang. Con una forte propensione verso il virtuale, sono state abbandonate in buona parte le piazze ed i cortei venendo meno i confronti, gli incontri e tutta la formazione politica appresa in quei luoghi.  

Seppur il metodo sia cambiato, le ultime elezioni politiche hanno determinato l’inedita vittoria di un movimento nato, cresciuto e consumatosi nella rete e l’odierna Campagna elettorale riparte proprio da quel modello, superando definitivamente le pregresse esperienze. 

Forse, bisognerebbe considerare l’Elettore come un consumatore anzi, andrebbe rideterminato considerandolo come un consumAttore il quale, non essendo portatore di ideologia politica che lo vincola al voto di un partito, osserva liberamente e sceglie chi sostenere di volta in volta, perciò, la logica dei sondaggi diviene ancora più complessa perché all’intenzione di voto si aggiunge la determinazione dell’ultimo istante. Si ricordi che Berlusconi, impegnandosi a eliminare l’ICI sulla prima casa sconvolse l’Elettorato e vinse le elezioni. 

Sulla scorta del dato iniziale, fornito dal recente Rapporto Svimez, in una regione come la Calabria, si rischia di implementare la quantità di confusione tra gli Elettori rischiando addirittura di alimentare sia l’astensionismo sia la propensione all’errore nell’esprimere il voto perciò, dall’osservatorio delle scienze sociali, il risultato del 25 settembre potrà essere anche un banco di prova per virificare la pervasività dell’informazione fatta veicolare tramite i canali Social. 

Il Terzo Millennio porta in dote dal Secolo scorso il concetto di liquidità, ormai disseminato in ogni ambito sociale e culturale. Di conseguenza, anche la politica è diventata una scienza liquida. 

Nel nostro Meridione quella liquidità si chiama povertà educativa, impossibilità a sbarcare il lunario a fine mese, sanità commissariata e figli disoccupati, costretti ad abbandonare la loro terra, i loro affetti e la possibilità di poter guarda avanti divenendo protagonisti. Intanto una domanda rimane aperta: gli Italiani si recheranno alle urne oppure attenderanno il risultato su Tik Tok? (fr)

 

«IL PONTE UNA NECESSITÀ PER L’EUROPA»
LA “PROMESSA ELETTORALE” DI SALVINI

di SANTO STRATI – «È una necessità per l’Europa»: Matteo Salvini a Reggio Calabria rilancia sull’attraversamento stabile dello Stretto, cogliendo al balzo l’assist offerto da Berlusconi, che – dietro accorta e sapiente operazione di marketing elettorale – ha rispolverato per primo la questione del Ponte. Quale miglior argomento per raccogliere consenso in Calabria e in Sicilia?

Salvini, che si presenta al Senato nel collegio di Reggio, è stato ieri nella Città dello Stretto, prima di andare a Messina, per un incontro con i sostenitori calabresi (il giorno prima è stato a Corigliano-Rossano. e in altre località calabresi). Abbiamo scritto molte volte che leghista e meridionale è un vero e proprio ossimoro: Salvini ci sta provando da tempo a modificare questo molto diffuso modo di vedere, ma deve giocarsi la carta del Sud per limitare lo strapotere giorgiano che ha rosicchiato molto ai berlusconiani e sta erodendo, pian piano, anche la base leghista. La strategia è accurata e la regia di ogni incontro trasforma quello che un tempo si sarebbe detto un comizio in una festosa rentrée di amiconi che si vedono di tanto in tanto (a ogni scadenza elettorale, per intenderci), ottenendo comunque un evidente successo di consensi. Salvini ricorda le simpatiche canaglie dei film noir francesi: un po’ sbruffoni ma affascinanti.

Salvini è decisamente un trascinapopolo che stimola una strana empatia da vecchio amico che si vede di tanto in tanto, quello con cui si va volentieri a farsi pizza e gelato. Non è uno sciupafemmine né seduce a prima vista le elettrici (come facevano Berlusconi ai bei tempi o “Giuseppi” Conte della prima tornata), ma rappresenta il buon apprezzabile fidanzato per la figlia ancora nubile (come si usava dalle nostre parti fino a molti anni fa).

In poche parole sa come conquistare la fiducia di chi lo sta ad ascoltare, e in politica, se ne tenga conto, questo è essenziale. Sorride, senza mai infiammarsi, con i “colleghi” giornalisti e stringe mille mani di pensionati che odiano la Fornero: un mix di populismo intelligente con la consapevolezza che un voto in più conta moltissimo, in questo momento. Insomma cerca di farsi piacere con il personaggio che più gli si addice, quello del compagnone, che – se si escludono le insopportabili e inaccettabili litanie sugli sbarchi e i migranti – punta, però, a giocarsi un ruolo da leader.

Certo, non basta qualche centinaio di simpatizzanti un po’ dovunque, in Calabria, per elettrizzare la campagna elettorale, ma qualcosa si deve pur fare. E a Reggio Salvini deve ancora farsi perdonare lo scivolone delle amministrative di due anni fa, quando. impose, contro ogni logica e lasciando inascoltati gli allarmi che arrivavano dalla coalizione di destra, il suo uomo “vincente”, Nino Minicuci. Persona per bene, ma lontano anni luce dai problemi di Reggio e dei reggini. La sua scelta ha fatto vincere le elezioni a Falcomatà il quale a mani basse ha fatto prevalere la logica del “meno peggio”: «se non votate me, avrete il colonizzatore Salvini».

La lezione, a quanto pare, Salvini l’ha imparata e, questa volta, sta ad ascoltare il territorio e quanto gli suggerisce la base di riferimento. Colpire al cuore, sui sentimenti di rivalsa e di riscatto, facendo dimenticare gli insulti antimeridionalisti e le vaccate leghiste dei vari Bossi e Borghezio di turno. Si cambia motivo e ogni pretesto è buono per togliere voti non tanto all’avversario (la sinistra riesce a farsi male da sola, anche alle nostre latitudini) quanto agli “alleati”. Difatti, la scommessa elettorale calabrese si gioca sì, tutta nel centrodestra, ma guarda ai numeri. Chi dei tre alleati sarà il primo partito?

A occhio, visto il passato, la base forzista rimane un caposaldo che non dovrebbe deludere l’ex cavaliere e i suoi uomini in Calabria, quindi la sfida vera e propria è tra Salvini e Meloni. Quest’ultima non ha una base consolidata in Calabria perché le manca una rappresentatività di risorse umane che non si possono inventare dalla sera alla mattina. A nostro avviso, ha sbagliato la “sorella” Giorgia a spingere per la fine anticipata della  legislatura: con sei mesi aggiuntivi di campagna mediatica avrebbe potuto raccogliere consensi maggiori. Ma non è detto che, alla fine, tra transfughi e nuovi ideologizzati della fiamma (guai a toccare le tradizioni…) non possa capovolgere i pronostici che la danno seconda nella nostra regione.

E Salvini, proprio per questo, sta percorrendo in lungo e in largo le strade calabresi per distribuire sorrisi e raccogliere simpatie. Ed è difficile non riconoscergli questa carica umana che vuole esorcizzare le diffidenze del passato e conquistare nuovi consensi. Parla di famiglie, imprese, bollette: argomenti di stretta attualità che solo uno sciocco non metterebbe al centro della propria proposta politica, con impegni e promesse che se da un lato sarà difficile mantenere fino in fondo (il modello cui s’ispira Salvini per il taglio delle bollette è Macron), dall’altro dovranno pur trovare una soluzione per evitare il default del Paese.

Ma non di sole bollette soffrono i meridionali (in questo caso il divario con il Nord è inesistente), ma patiscono l’assenza di infrastrutture, di strade, ferrovie e, naturalmente, del disagio dell’attraversamento dello Stretto. Gioca facile Salvini (ma a ben vedere) invocando la necessità del Ponte per eliminare l’inquinamento dei traghetti nello Stretto e la strozzatura di due ore che impediscono di arrivare subito in Sicilia o dalla Sicilia: «Faremo risparmiare due ore di tempo a cittadini e imprenditori. Non collegheremmo solo la Sicilia alla Calabria, collegheremo l’Italia all’Europa.

C’è un progetto per una campata –se adesso stiamo altri dieci anni a parlare delle campate nel 2050 stiamo ancora a fare ipotesi –: ci sono gli ordini degli ingegneri, ci sono i politecnici, ci sono i comitati interministeriali che hanno dato l’ok a quel progetto. E con l’Europa che una volta tanto ci copre più della metà dei costi, dire di no al Ponte è una follia. Significa essere ignoranti, sennò si va in canoa: ditelo all’imprenditore calabrese e siciliano che trasporta merci in canoa perdendo due ore di tempo ogni volta».

Bello sentire dire questa cose. Bella questa promessa che puzza di campagna elettorale (sono 50 anni che a ogni appuntamento alle urne, il Ponte ritrova vigore e suscita nuovi impegni). Berlusconi, furbone, prima di tutti gli altri ha rispolverato la realtà di un progetto approvato sotto il suo governo, e gli altri della coalizione adesso ci mettono del proprio per giocare anche quest’altra carta acchiappaconsensi. Questa volta, però, comunque vadano le cose il 25 settembre, e qualunque sia il governo che reggerà l’Italia, il Ponte non può ritornare nuovamente una delle tante promesse elettorali da rinviare a miglior data.

C’è in ballo la centralità del Mediterraneo, con lo sviluppo obbligato per il Paese (sottolineiamo per il Paese, non solo per la Calabria) di Gioia Tauro e dei suoi 650 ettari di retroporto inutilizzati. C’è il corridoio Helsinki-La Valletta che va completato e c’è l’Alta velocità per Calabria e Sicilia che – senza il Ponte – non avrebbe senso.

E allora sarà il caso di dare un po’ di credito a tutti coloro che tireranno in ballo l’urgenza e l’improcrastinabilità del Ponte, in queste settimane che si separano dall’appuntamento elettorale del 25 settembre, ma bisognerà poi vigilare sulla promessa (da qualunque parte sia arrivata). Il Ponte serve al Paese, non unisce solo due sponde, racchiude un’idea di sviluppo che il Mezzogiorno si è stancato di sentirlo solo annunciare. Le chiacchiere stanno a zero, il progetto è eseguibile, si possono risparmiare i 50 milioni di nuovi inutili studi voluti dal ministro Giovannini (soldi buttati nelle acque dello Stretto…) e si potrebbe mettere subito mano alla costruzione di un sogno che il mondo – credeteci – ci invidierà. (s)

IL VALZER DEI NOMINATI E PARACADUTATI
L’IRA DEGLI ESCLUSI, I SOGNI DI CHI TORNA

di SANTO STRATI – C’era una volta la politica, con il parlamentare che curava il suo collegio, conosceva quasi tutti i suoi elettori, elargiva promesse, favoriva sogni, qualche volta esaudiva anche qualche desiderio. Non c’è più nulla di tutto questo, nonostante le legittime perplessità sulle disinvolte manovre elettorali che caratterizzarono le campagne elettorali passate di democristiani, socialisti, comunisti, etc, risulta, invece, evidente il distacco totale della politica dal territorio.

A guardare le candidature di questi nuovi “turisti” in cerca di un posto blindato e sicuro, la gente non può trattenere rabbia e indignazione: c’è la sfacciata arroganza del potere delle segreterie politiche e dei leader che si sono guardati bene dal modificare (come era stato promesso per far digerire la modifica costituzionale che tagliava 345 parlamentari) il Rosatellum, ovvero la legge elettorale-truffa con cui si andrà a votare il 25 settembre.

Troppo comoda la posizione di chi può determinare la certezza di un’elezione, infischiandosene del territorio e degli elettori, quasi il voto fosse una fastidiosa incombenza per dare qualche prebenda ai peones, ai portatori d’acqua – pardon, di voti – pronti al “sacrificio” in cambio di una vaga promessa di riconoscenza. Da parte di chi, non è chiaro, ma quelli che figurano al terzo e quarto posto nei listini plurinominali, ovvero dove vale il voto maggioritario che premia i “prescelti” (non i votati), sanno già che sarà fatica inutile. Apparire piuttosto che non esserci e poi si vedrà.

Ma nella benedetta incapacità dimostrata da parte di quasi tutti i leader, a nessuno è venuto in mente che il popolo chiamato al voto oltre che disertare le urne si potrebbe anche veramente incazzare? E andare a votare per punire arroganza e superficialità? 

È stato compiuto con queste liste uno sgarbo alla coscienza civile della società, mostrando ancora una volta che, con questa norma, la politica che apparentemente premia i suoi sodali più importanti, in realtà ha perso, posizionando amici e (a vario titolo) “irrinunciabili” personaggi nei posti giusti .

E con eguale strafottenza, i nominati hanno preso di corsa il paracadute offerto loro dai vari Letta, Berlusconi, Meloni, Conte,  etc, e fatta la valigia virtuale sono andati da “turisti” a prendersi il seggio. Con buona pace dei candidati locali che, qualche volta, in uno scatto d’orgoglio hanno graziosamente ringraziato declinando soluzioni e posizioni impossibili.

Certo, il taglio – irresponsabile, oggi lo dicono anche i sostenitori della riforma – di 345 parlamentari ha complicato ulteriormente le cose, per cui gli scenari si sono dovuti adeguare con posti limitati, contingentati e riservati, Coperti i seggi blindati dal maggioritario che rappresentano il 61% di quelli disponibili, resta sempre un 37% di eletti con il voto nominale (ossia di chi prende più voti). Ma anche qui le scelte sembrano dettate più da irrinunciabili opportunismi piuttosto che da reali esigenze del territorio. L’obiettivo, del resto, alla faccia di chi ancora crede nell’esercizio del voto, è quello di raccogliere il risultato, poi si vedrà. E siccome la sfacciataggine e la sfrontatezza di numerosi politici di mestiere (c’è chi non ha mai fatto altro nella vita, ricordiamocelo) non sono mai troppi, viene fuori, scorrendo le liste, una pluripresenza di diversi protagonsti della scena politica in diversi collegi uninominati: tanto, anche se dovesse andar male, c’è il paracadute del seggio sicuro garantito dal meccanismo maggioritario.

Qui, però, è opportuno fare una considerazione: si dà per scontato che le varie formazioni politiche, alle quali “appartengono” i seggi cosiddetti blindati, sono ultrasicure del risultato. Per i “nominati” (dai partiti, non eletti dal popolo) ci sarebbe di che stare tranquilli, senza nemmeno bisogno di fare qualche telefonata di cortesia. Cosa succederebbe se una grande massa di elettori incazzati andasse a votare e sovvertisse le previsioni? Ovvero decidesse di punire i partiti e i candidati che hanno mostrato di infischiarsene del territorio e dei suoi abitatori? Una piccola (?) rivoluzione, ma, nonostante l’ottimismo, tutto ciò appare un miraggio lontano.

E allora rassegniamoci a vedere un Paese di nuovo in preda all’ingovernabilità, pur di fronte a serie emergenze: l’inflazione sta devastando le fasce medie e il rialzo insostenibile delle bollette costringerà molte aziende a chiudere. Ammesso che la pandemia si riesca a tenerla sotto controllo, è l’economia del Paese quella che deve preoccupare non poco: aziende che chiudono equivalgono a nuovi disoccupati e niente nuovi posti di lavoro. Sarà un inverno gelido, sotto tutti i punti di vista non solo figurativamente, e il ricshio di avere un esecutivo di scarsa considerazione in Europa è piuttosto elevato.

In Calabria i futuri parlamentari (tra “nominati” ed eletti) dovranno mostrare (smentendo la facile via della “nomina”) di avere gli attributi per fronteggiare l’insidia neanche tanto nascosta dell’autonomia differenziata e difendere l’idea di una crescita non più rinviabile sui tempi più caldi: sanità, infrastrutture, mobilità e trasporti. Questa regione rischia di vedere vanificate le promesse sia sull’alta velocità ferroviaria (che dev’essere però anche alta capacità, se no si viaggia al rallentatore) sia sulla famigerata statale 106. Per non dimenticarsi del Ponte sullo Stretto che diventa sempre più un traguardo impossibile da raggiungere per l’inettitudine della classe politica non solo calabrese e siciliana, ma anche di tutto il Mezzogiorno e dell’intero Paese. È un’opera che l’Europa ci chiede e che darebbe sbocchi occupazionali importantissimi in questi anni di crisi, senza contare all’indotto per tutte le attività del territorio. E invece si continua a prendere e perdere tempo discutendo di aria fritta.

Saranno capaci i futuri parlamentari (calabresi e siciliani se solo facessero fronte comune) a liberare le energie necessarie e determinanti per il Ponte? Nei programmi presentati in queste elezioni (farlocche, è quasi già tutto previsto), di Ponte si parla troppo poco. Come si parla pochissimo di Sud e di Mezzogiorno e men che meno di Calabria.

Una regione dimenticata e trascurata, dove prevale la regola della polemica ad ogni costo: oggi sono di scena i medici cubani (che, sia ben chiaro non vanno a “rubare” il posto ad alcun calabrese o italiano, ma sopperiscono a un deficit di personale che è davvero insostenibile). Fino a ieri di parlava dei Bronzi che Sgarbi (aspirante ministro alla Cultura) vorrebbe portar via dal Museo di Reggio (gli serviva fare campagna elettorale gratis), e prim’ancora di mille altre inezie, buone solo a dare un po’ di visibilità ad amministratori e politici che mostrano solo incapacità e, molto spesso, assoluta incompetenza di una classe politica che dovrebbe ricominciare a studiare.

Ci sono decine di dossier sul tavolo del Presidente Occhiuto di cui dovrebbero far tesoro i futuri parlamentari del 25 settembre: quelli che sono rimasti fuori potranno solo interrogarsi su quanto non fatto in oltre quattro anni di legislatura e quelli che ci speravano (senza successo) dovranno far sentire il peso del territorio che –  dicono – avrebbero voluto arricchire con il proprio contributo politico. 

Tra gli esclusi ci sono nomi eccellenti, sia tra le mancate riconferme nel PD (Viscomi) e la pressoché impossibile elezione (Guccione), ma c’è anche qualche ritorno: Nino Foti, già parlamentare di Forza Italia che si presenta dopo lo stop del 2018 con i colori di Noi Moderati e l’ex sottosegretario Dorina Bianchi, già campione di cambio di casacca, oggi candidata con +Europa. Ci sono 23 simboli elettorali presenti nella scheda ma solo 19 posti in totale a rappresentanza della Calabria. Capirete che sarà molto difficile per tutti.

Tra gli esclusi, Marco Siclari, senatore forzista al centro di una kafkiana vicenda giudiziaria (condannato in primo grado per voto di scambio senza un briciolo di prove) e gran parte del drappello del Movimento 5 Stelle che, invece, candida due “stranieri”: il procuratore Federico Cafiero De Raho (da Roma) e il giudice Roberto Spampinato (da Palermo) e “pesca” dal Pd Maria Saladino “convertita” al grillismo.

Gli elettori all’estero sono 4.871.731, di cui 2.645.030 in Europa, 1.535.804 nell’America Meridionale e 437.802 nell’America Settentrionale e Centrale; nella circoscrizione Africa, Asia, Oceania e Antartide sono 253.095. Rispetto al 2018 sono da eleggere 12 parlamentari (erano 18), 8 alla Camera, 4 al Senato. Nella circoscrizione Estero viene riproposto il calabresi Nicola Carè per il Partito democratico. (s)

RISCHIO ZERO PER I FURBI IN PARACADUTE
E STASERA LA CONFERMA DEL VOTO-BEFFA

di ORLANDINO GRECO – Quella di ieri è stata una domenica diversa, particolare, perché, con la presentazione delle candidature per le prossime elezioni politiche, si dà il via ad una campagna elettorale sicuramente inattesa ed avventata ma che pur sempre consegnerà al Paese un nuovo parlamento ed un nuovo governo.
Sono diverse, infatti, le ragioni che spingono i più a considerare queste elezioni un becero esercizio di riposizionamento della classe politica. Erano e sono tanti i motivi per i quali la legislatura precedente doveva continuare. Emergenze quali la crisi energetica, gli equilibri mondiali legati alla politica internazionale, il PNRR ed il continuo aumento di divari tra nord e sud dovevano spingere i partiti a superare gli egoismi ed i particolarismi evitando, oggi, il rischio di riconsegnare al Paese, a causa di una legge elettorale canaglia, l’ennesimo governo instabile e precario nei numeri.

Sarebbe stata auspicabile, quindi, quantomeno una riforma elettorale per fare il pari con una insensata riduzione orizzontale del numero dei parlamentari. Come è noto, ciò non è avvenuto e allora la premessa di questo pantano che apprestiamo a rivivere è che al taglio dei parlamentari (peraltro lineare alle due camere e quindi non produttivo di effetti benefici in termini di snellimento dei processi decisionali e di iter, dal momento che permane un sistema di bicameralismo paritario) andava necessariamente accoppiata una riforma della legge elettorale in senso proporzionale e con le preferenze, proprio per compensare gli effetti negativi del taglio e cioè l’allargamento a dismisura dei collegi elettorali e la riduzione della rappresentanza.

Il suddetto combinato disposto, che sostanzialmente fa si che i candidati siano tutti, di fatto, paracadutati dall’alto, per usare un lessico comune, determinerà sempre di più una divaricazione fra elettore ed eletto, con tutte le conseguenze negative che conosciamo in termini di astensionismo dal voto e di sfiducia verso la politica e le istituzioni. D’altronde, soffermandoci sul modello elettorale con il quale andremo a votare, la parte proporzionale del cosiddetto “rosatellum”, che eleggerà il 61% complessivo dei parlamentari, è basato su listini corti e bloccati e non su un sistema di preferenze che avrebbe invece quantomeno limitato gli effetti negativi della riduzione dei parlamentari in quanto a libertà dell’elettore di poter scegliere democraticamente il proprio rappresentante. Ne fa fede, in queste convulse giornate d’agosto, la corsa sfrenata dei tanti aspiranti parlamentari ad accaparrarsi il primo posto del cosiddetto listino bloccato nei collegi plurinominali proporzionali.

Per non parlare della parte maggioritaria della legge elettorale, fondata sui collegi uninominali e che eleggerà il 36% dei deputati e senatori. La quale apparentemente preserva il diritto dell’elettore di scegliersi i propri rappresentanti ma che, di fatto, lo espropria da ogni possibilità decisionale perché le candidature nei vasti collegi sono il frutto di alchimie e composizione di equilibri interni alle correnti di partito, in cui la parte del leone per la decisione finale la fanno in ogni caso i cosiddetti capi partito, affiliando sodali che spesso non rappresentano le istanze territoriali ma brillano solo per fedeltà comprovata al capo. E comunque, a valle dell’iter di scelta dei candidati, che non risponde di certo a principi di democrazia e partecipazione, l’elettore si troverà di fronte a una scheda elettorale nella quale, nella stragrande parte dei casi, di tutti i candidati paracadutati nei collegi uninominali (in Calabria 7 fra Camera e Senato) già si conoscono i nomi dei probabilissimi sette vincitori, con tutti gli altri a fare da comparse o al più da semplici portatori d’acqua a beneficio dei capilista dei listini bloccati.

Perché un altro perverso elemento di questa pessima legge elettorale è appunto la commistione e la promiscuità fra componente maggioritaria (collegi uninominali) e componente proporzionale(collegi plurinominali bloccati), con i candidati perdenti nei collegi a fare da traino alle liste bloccate.

Dunque, a fronte del desolante quadro, ciò che mi e vi domando è: a cosa serve recarsi alle urne, o addirittura mobilitarsi per affermare le proprie idee e il proprio punto di vista, quando l’esito della deputazione è perlopiù già scontato e scritto, al netto di qualche residuale postazione? Quale entusiasmo alla partecipazione si può suscitare se i cosiddetti leader di partito, gli stessi che selezionano i propri fidi, si candidano a loro volta capilista in più regioni al fine esclusivo di garantirsi il paracadute elettorale? Per chi crede nella democrazia, nel primato della politica e delle idee, nella sovranità del popolo e nelle autonomie locali, la risposta a questa domanda non è di certo incoraggiante. (og)

Versace, sindaco metropolitano ff di Reggio, non sarà candidato

Il sindaco metropolitano ff di Reggio Carmelo Versace ha annunciato che, contrariamente a quanto era stato preannunciato, non sarà candidato alle prosisme elezione politiche del 25 settembre- Con una nota ha voluto esprimere il proprio ringraziamento ad Azione Calabria  e a quanti gli avevano anticipato consensi.

«È questo, per me – scrive Versace –, il momento di ringraziare pubblicamente Azione-Calabria per la compattezza, la serietà e la linearità nella linea politica assunta, in questi giorni complessi e delicati, nei confronti della segreteria nazionale del partito”. Esordisce così Carmelo Versace, sindaco facente funzioni della Città Metropolitana, in una lettera aperta in cui interviene in merito alla vicenda delle candidature per le elezioni politiche.
«È doveroso e sentito un ringraziamento a tutti gli amici ed amministratori del comprensorio metropolitano – prosegue Versace – per la stima che hanno voluto e saputo dimostrarmi, esortandomi, con entusiasmo e partecipazione, ad essere presente nella prossima tornata elettorale. A tutti loro, oggi, confermo con la massima convinzione che siamo all’inizio di un importante percorso di rinnovamento, che ci vedrà crescere e costruire, tutti insieme”.
«Abbiamo dato la disponibilità, come gruppo dirigente, alla candidatura per il territorio e nel territorio in cui la nostra azione amministrativa di ascolto e di risoluzione dei problemi affrontati avrebbe potuto essere valutata ed apprezzata dagli elettori. Abbiamo cercato di spiegare l’importanza delle ragioni politiche per cui questa candidatura sarebbe dovuta nascere nell’ambito della nostra azione amministrativa e all’interno di un percorso strutturato, in crescita e territoriale.
«Per motivi superiori e di accordi elettorali, è stata fatta un’altra scelta. Ne prendiamo serenamente atto e andiamo avanti nell’impegno al servizio del nostro territorio, ancora più determinati ad ascoltare e risolvere i problemi, tanti, delle nostre comunità”.
«Continueremo a costruire sulle solide basi che abbiamo realizzato con dedizione e perseveranza, continueremo a lavorare per radicare ulteriormente il partito, che proseguirà nella buona politica pragmatica e del fare. Lo faremo con vigore e decisione, mantenendo lealmente l’impegno programmatico dell’alleanza con il sindaco Falcomatà, ma senza mai cadere in alcun appiattimento politico. Siamo sempre di più – conclude Versace – abbiamo passione, competenze e visione ed è questa la strada già segnata su cui proseguiremo verso il nostro chiaro e concreto progetto per il futuro». (rp)

 

C’È POCO MEZZOGIORNO NEI PROGRAMMI
PERÒ È BOOM DEL “TURISMO ELETTORALE”

di SANTO STRATI – In attesa di conoscere domani la composizione finale delle liste e quindi le candidature definitive per il voto del 25 settembre, non possiamo fare a meno di mettere in evidenza due aspetti di quella che si preannuncia una “cruenta” e pessima campagna elettorale.

Il primo riguarda tutta la popolazione del Mezzogiorno (un terzo degli italiani): nei vari programmi elettorali elaborati sì in tutta fretta c’è poca considerazione per il Sud, diremmo uno sguardo superficiale della serie “fa fine e non impegna”. Di tutte le belle parole e le dichiarazioni d’impegno programmatico, se vogliamo analizzare con cura i documenti proposti agli elettori dalle singole formazioni e coalizioni, non c’è da scialare. L’altro aspetto, non meno singolare, in grado di far arrabbiare il più tranquillo degli elettori, quello che crede ancora nella democrazia e nella scelta consapevole del voto, riguarda il fenomeno del “turismo elettorale”. C’è un gran daffare con spostamenti, a volte incompatibili con la logica della conoscenza del territorio, per attribuirsi un seggio, un collegio sicuro. La conferma che questa legge elettorale – il Rosatellum – che colpevolmente il Parlamento appena sciolto in quattro anni s’è guardato bene di aggiornare e modificare, neanche dopo la soppressione di 345 parlamentari votata da tutti quei partiti che adesso lacrimano a dirotto, questa legge elettorale fa davvero acqua da tutte le parti. 

L’hanno mantenuta cinicamente in vita con l’idea (sbagliata) di fottere l’avversario, gli uni contro gli altri, tutti convinti di poter usufruire del premio di maggioranza previsto dal Rosatellum, senza pensare che se già col vecchio parlamento di 945 membri eletti c’era comunque un problema a costituire una sana maggioranza in grado di sostenere senza affanno un governo, adesso, con la riduzione del numero dei parlamentari e la nuova mappatura dei collegi, c’è il rischio serio che non ci siano “posti sicuri” e garantiti. Il che, ovviamente, non è vero, salvo che gli elettori non s’incazzino veramente e puniscano i giochi di Palazzo fatti sulle loro teste. Per cui, tranne alcune blindature che fanno inorridire perché sicure al 99,9%, tutti i candidati se la giocano senza sapere come andrà a finire.

Facciamo il caso della Calabria: da 30 parlamentari ne sono rimasti a rappresentare la regione appena 19, con un nuovo disegno dei collegi che lascia francamente a desiderare. Un elemento spicca subito agli occhi: gli elettori della Piana devono votare i candidati del collegio di Vibo e quelli di Vibo devono scegliere per la loro area candidati di Palmi, Gioia e Rosarno. Vista l’antica e mai sopita rivalità tra il Vibonese e la Piana diventa davvero difficile immaginare un voto che non sia espresso malvolentieri. 

Un voto, per quel poco che vale la volontà popolare, che – a livello nazionale – porta a zero il valore delle urne: nei collegi plurinominali (ovvero a elezioni proporzionale) ci sono i “prescelti”  delle segreterie dei partiti o dei leader (il prof. Conte ne sa qualcosa, ma nessuno degli altri si salva, né Letta, né Berlusconi, né la Meloni, né Salvini a proposito di “nomi” calati dall’alto e assolutamente “intoccabili”). Bene, per questo s’è attivato il fenomeno, non nuovo, ma oggi portato a estreme conseguenze, che ci piace battezzare “turismo elettorale”. 

Giusto per fare qualche esempio, il ministro della Cultura, il ferrarese Franceschini va a Napoli, Maria Elena Boschi (Italia Viva) viene in Calabria, la Lorenzin (pd, romana, va in Piemonte), Fassino (pd, piemontese) corre in Veneto, ma la lista dei “fuorisede” è lunga. Se guardiamo in Calabria, non mancano i maldipancia in casa Cinque Stelle con i due magistrati paracadutati al Senato (Federico Cafiero de Raho, che è stato comunque procuratore antimafia a Reggio e un legame anche modesto almeno ce l’ha con i calabresi) e il palermitano Spampinato alla Camera. Premesso che l’unica possibilità di raggiungere il quorum per i Cinque Stelle sta nel voto di chi riceve il Reddito di Cittadinanza e ha paura di perderlo (ma non è detto che si rechi alle urne) i numeri del 2018 appaiono un miraggio lontanissimo e un ricordo molto sbiadito.Della pattuglia uscente (al di là delle rinunce: Morra, Corrado, Misiti, etc) sarà molto difficile trovare tracce nel nuovo Parlamento che uscirà dalle urne il 25 settembre.

Gli elettori sono a dir poco schifati da queste “scelte” fatte sulla loro testa e, ancora una volta, a cominciare da Letta e finire a Berlusconi, sono decisioni che non hanno tenuto in alcun conto i sentimenti della base (pur con qualche lieve eccezione in Calabria: a Reggio si candida Cannizzaro e a Vibo Mangialavori, espressioni del territorio).

Più che un invito al voto, sembra, quindi, un gioco delle tre carte: vince sempre e solo l’imbonitore (imbroglione) che propone abilmente la carta sbagliata agli allocchi che lo stanno a guardare.

Dopo la presentazione delle liste, ne riparleremo.

Torniamo, invece, per un momento ai programmi elettorali che trascurano come sempre il Sud. Belle parole nel programma PD che parla di cambio di paradigma per colmare il divario e genericamente indica la necessità di razionalizzare i meccanismi di incentivazione, per favorire l’occupazione. Francamente con un ex ministro per il Sud, oggi vicesegretario come Provenzano, proveniente dalla Svimez, era lecito aspettarsi molto, ma molto di più. 

Né cambia con la controparte: nei 12 punti del programma del centrodestra la parola Mezzogiorno nemmeno compare e per i 5 Stelle c’è solo il riferimento al stabilizzazione della decontribuzione per proteggere e creare nuovi posti di lavoro. Un po’ pochino, se permettete. 

L’unica formazione che si è ricordata del Sud (ma non raggiunge la sufficienza, se si deve dare un voto scolastico) che parla di risorse Ue per il Mezzogiorno con un capitolo dedicato che sviluppa in 12 punti linee programmatiche che appaiono più auspici che modelli di intervento. Auguri e speranze: le solite promesse elettorali da dimenticare il giorno dopo lo spoglio.

La verità è che la gente è disorientata, aggredita dall’inflazione, con la paura di un ritorno del covid e le ristrettezze che il continuare della guerra ucraina inevitabilmente dovranno essere introdotte. Avremo un inverno al freddo e da queste elezioni prevediamo un solo vincitore sicuro: chi fabbrica fazzolettini di carta. Ne serviranno tantissimi per asciugare le lacrime di chi non vedrà più né Montecitorio né Palazzo Madama e di quelli, poveri illusi, portatori d’acqua, pardon di voti, che per un istante, fino al 25 settembre ci avevano fatto un pensierino.

Il Rosatellum non premia capacità e competenza ma rivela la debolezza di una democrazia imperfetta che si misura con la crescita dell’astensionismo. Quest’ultimo spesso involontario (succede di frequente in Calabria), ma anche qui il Parlamento uscente ha fatto orecchie da mercante all’unica proposta seria, partita dai giovani del circolo Valarioti di Rosarno: “voto sano da lontano” (ovvero la possibilità di votare anche lontano da casa). Neanche per idea. (s)